N. 405 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 dicembre 1989
N. 405 Ordinanza emessa il 6 dicembre 1989 dal tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Palermo, sul ricorso proposto da Fallu' Angelo contro il Ministero della difesa Servizio militare - Leva militare - Chiamata alla leva di coloro che hanno fruito del rinvio, una volta cessato il titolo del rinvio stesso, con il primo scaglione o contingente dell'Esercito o dell'Aeronautica - Natura ordinatoria, secondo la giurisprudenza del consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, di detto termine - Asserita violazione dei principi: a) di determinazione temporale delle prestazioni personali; b) di uguaglianza per la disparita' di trattamento tra gli arruolati a seconda che usufruiscano del diritto al rinvio; c) del dovere dei cittadini di concorrere alla difesa della Patria; d) dell'imparzialita' della p.a. - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 164/1985. (Legge 31 maggio 1975, n. 191, art. 21, secondo comma). (Cost., artt. 3, 23, 52 e 97).(GU n.26 del 27-6-1990 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 71-37/89 registro ordinanze, proposto da Fallu' Angelo, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Saetta, presso il cui studio e' elettivamente domiciliato in Palermo, via Paisiello, n. 31, contro il Ministero della difesa - Distretto militare di Agrigento, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso, come per legge, dall'avvocatura dello Stato del distretto di Palermo, domiciliataria, per l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento di chiamata alle armi di cui alla cartolina di precetto n. 227 del 13 ottobre 1988 del Distretto militare di Agrigento pervenuta il 10 dicembre 1988, in forza della quale e' stata disposta la presentazione del sunnominato Fallu' Angelo, presso il 60º b.t.g.f. "Col di Lana" di Trapani per il giorno 2 febbraio 1989; nonche' di tutti gli atti presupposti e conseguenziali; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'avvocatura dello Stato per l'amministrazione intimata; Visti gli atti depositati dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 6 dicembre 1989, il referendario dott. Cosimo Di Paola, udito l'avv. dello Stato Rosario Di Maggio per l'amministrazione resistente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Con ricorso a questo tribunale, notificato il 3 gennaio 1989 e depositato il giorno 11 successivo, il sig. Fallu' Angelo, premesso di avere conseguito il diploma di geometra nel mese di luglio del 1987 e di avere perduto da quella data il beneficio del rinvio del servizio militare, ai sensi dell'art. 21 della legge 31 maggio 1975, n. 151, ha impugnato il provvedimento in epigrafe specificato, chiedendone l'annullamento, previa sospensione, per i seguenti motivi di censura: "Violazione di legge anche sotto il profilo dell'eccesso e dello sviamento di potere". Il ricorrente, avedo usufruito del rinvio del servizio di leva, fino al mese di luglio 1987, avrebbe dovuto essere chiamato alle armi - ai sensi dell'art. 21 della legge n. 191/1975 - dal mese di agosto successivo o, al piu', dal mese di gennaio 1988. La chiamata alle armi e' invece intervenuta "soltanto ben 19 scaglioni e ben 4 contingenti dopo". Con successiva memoria, la difesa del ricorrente ha ulteriormente illustrato le ragioni poste a sostegno del ricorso, insistendo per l'accoglimento dello stesso. L'Avvocatura dello Stato, costituitasi per l'amministrazione intimata, ha sostenuto la legittimita' del provvedimento impugnato, concludendo per il rigetto del ricorso, vinte le spese. Con ordinanza collegiale n. 46 del 27 gennaio 1989 e' stata accolta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato. Alla pubblica udienza del 6 dicembre 1989 i procuratori delle parti hanno chiesto porsi il ricorso in decisione. D I R I T T O 1. - La questione su cui la sezione e' oggi chiamata a pronunziarsi e' gia' stata dalla stessa affrontata e risolta, conformemente alla tesi prospettata nel ricorso in esame, con sentenza n. 413 del 31 maggio 1988 (peraltro non isolata nella materia di che trattasi: cfr. t.a.r. Veneto, del 21 gennaio 1986), resa in fattispecie analoga alla presente. Va rilevato, tuttavia, che il consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana in s.g., riesaminando il problema in sede di giudizio di appello della predetta sentenza n. 413/1988, e' giunto a conclusioni difformi, accogliendo l'opposto principio che la previsione normativa, secondo cui coloro che fruiscono del rinvio sono tenuti a prestare il servizio militare con il primo scaglione o contingete chiamato alle armi, configurerebbe solamente un obbligo nei confronti degli arruolati e non anche un obbligo perentorio dell'amministrazione (dec. n. 110 del 21 marzo 1989). Questo decidente, nel prendere atto della interpretazione della norma enunciata dal giudice superiore, in forza della quale l'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1971 (che dispone: "cessato il titolo al ritardo, coloro che ne fruivano sono tenuti a prestare il servizio militare con il primo scaglione contingente chiamato alle armi se dell'esercito o dell'aeronautica, ovvero, se della marina, con uno degli scaglioni della classe di leva chiamata alle armi nell'anno di cessazione del titolo al ritardo, o, al massimo, col primo scaglione della classe successiva") consete all'amministrazione militare di chiamare l'arruolato nell'esercito o nell'aeronautica, gia' ritardatario, non appena possibile, anche dopo il primo scaglione o contingente e, dunque, senza alcun limite temporale perentorio al potere in tal modo esercitato - interpretazione alla cui stregua le censure prospettate nel ricorso oggi in esame andrebbero disattese, conducendo alla reiezione del gravame - ritiene tuttavia di doversi dar carico d'ufficio dell'esame della questione di legittimita' costituzionale della norma di che trattasi: all'evidenza rilevante ai fini della decisione della presente controversia in dipendenza della ricostruzione ermeneutica operata dal c.g.a. nella cennata pronuncia n. 110/1989. 2. - Osserva a tal proposito il Collegio che l'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1971, nella interpretazione enunciatane dal giudice amministrativo di secondo grado (attraverso la pronuncia resa dalla sua articolazione decentrata operante nella regione siciliana), collide con fondamentali principi costituzionali desumibili degli artt. 3, 23, 52 e 97, primo comma, della Costituzione, per la parte in cui non prevede che il termine per la chiamata alle armi degli arruolati dell'esercito e dell'aeronautica, ivi disposto, sia peretorio. Occorre premettere che, in base all'attuale sistema normativo relativo alla leva ed al reclutamento obbligatorio, ogni cittadino italiano, di sesso maschile, per il solo fatto della nascita, e' inserito in una "classe di leva" che, per l'appunto, coincide con l'anno di nascita (art. 5 della legge n. 237/1964). Poiche' la legge prevede la "chiamata delle classi alla leva" (art. 2 della legge n. 191/1975 che ha sostituito l'art. 44 della legge n. 237/1964), ogni cittadino e' posto nelle condizioni di sapere che sara' chiamato alla leva nell'anno in cui compie il diciottesimo anno di eta'; tale anno, altresi', identifica la cosiddetta "sessione di leva" (art. 13 della legge n. 191/1975), che decorre dal 1º gennaio al 31 dicembre dell'anno preso in considerazione. Se le operazioni di leva danno esito positivo, il cittadino e' arruolato ed e' inserito nei "ruoli militari" a sensi dell'art. 8 della legge n. 237/1964. Dopo di che, questi, e', di norma, collocato (art. 14, secondo comma della legge n. 191/1975) in congedo illimitato provvisorio in attesa di essere chiamato alle armi. La "chiamata alle armi ha luogo per ordine del Ministro per la difesa, nell'anno in cui i giovani arruolati compiono il diciannovesimo anno di eta' (art. 3, comma primo, della cit. legge n. 191/1975), salva la facolta' concessa allo stesso Ministro, di anticiparla o ritardarla di un anno per "speciali circostanze" o "contingenze straordinarie" (si veda la diversa formulazione dell'art. 540 del r.d. 3 aprile 1942, n. 133, che, in un diverso contesto costituzionale, consentiva, all'allora Ministro della Guerra, di chiamare alle armi i cittadini arruolati senza alcun riferimento temporale preciso). Dal quadro normativo oggi vigente si evince: a) che le operazioni di leva e reclutamento poggiano su procedimenti ed istituti tipizzati e che di conseguenza l'amministrazione militare - in conformita' alla riserva di legge sancita dall'art. 23 della Costituzione in ordine all'imposizione di prestazioni personali - non ha alcun margine di discrezionalita', fatte salve le espresse e tassative eccezioni sancite da specifiche disposizioni legislative; b) che il cittadino arruolato - in conformita' ai principi desumibili dall'art. 52 della Costituzione - viene posto, attraverso la predeterminazione dei procedimenti e la delimitazione dei poteri della pubblica amministrazione, nelle condizioni di poter conoscere in anticipo i tempi ed i modi entro i quali egli sara' assoggettato alla chiamata alle armi e, dunque, di svolgere il relativo servizio con il minor danno possibile per la propria posizione e situazione individuale. Dalle superiori premesse deriva, in buona sostanza che gli aspetti temporali relativi alla chiamata alle armi, come in atto disciplinata dalla legge n. 191/1975 e dalla legge n. 237/1964, non implicano spazi di discrezionalita' amministrativa; cio', verosimilmente, nell'intento, costituzionalmente rilevante, di far si che il servizio militare di leva soggiaccia alla riserva di legge nei suoi aspetti piu' rilevanti e comunque, non sia di particolare pregiudizio per gli interessi del cittadino e, in particolare, per la sua posizione di lavoro, attuale o potenziale. Tale regola trova, peraltro, conferma nelle uniche due eccezioni espressamente previste dalla ripetuta legge 191: quella che attribuisce al Ministro la facolta' di chiamare alle armi gli arruolati per contingeti o scaglioni (art. 3, terzo comma); ovvero quella di anticipare o posticipare - ma di un solo anno - la chiamata stessa (art. 3, secondo e quarto comma). A tal fine, pero', occorre un apposito provvedimento di carattere generale, che deve essere opportunamente motivato circa le "speciali circostanze", ovvero le "contingenze straordinarie" che ne giustifichino l'emanazione. Non e' superfluo ricordare che la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 164/1985, riconoscendo la natura perentoria del termine fissato dall'art 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (relativa al servizio civile sostitutivo), ha sottolineato l'esigenza di ordine costituzionale di circoscrivere al minimo indispensabile i disagi connessi alla prolungata attesa del cittadino per la chiamata agli obblighi connessi col servizio militare di leva. Senonche' la ratio legis - garantista - che pure emerge nel contesto della legge n. 237/1964 e della legge n. 191/1975, appare totalmente capovolta nell'art. 21, 2º comma, di quest'ultima. Qui, infatti, il legislatore avrebbe sancito il sostanziale arbitrio della amministrazione della difesa che, nel chiamare alle armi i soggetti che hanno fruito del ritardo, verrebbe posta nelle condizioni di esercitare il relativo potere qando meglio ritiene, senza alcun limite temporale perentorio: ed e' di tutta evidenza come una siffatta scelta legislativa oltre a non presentare coerenza col resto delle norme esistenti in materia, non trovi alcun valido supporto negli artt. 23 e 52 della Costituzione. 3. - Quanto alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione e' palese, ad avviso del Collegio, la disparita' di trattamento che la norma denunziata determina tra gli arruolati, gia' ritardatari, dell'esercito e dell'aeronautica (assoggettati, come si e' detto, ad un vero e proprio arbitrio circa il tempo della loro chiamata alle armi dopo il ritardo) e quelli della Marina, per i quali, viceversa, e' previsto che la chiamata alle armi deve avvenire "... con uno degli scaglioni della classe di leva chiamata alle armi nell'anno di cessazione del titolo al ritardo o, al massimo col primo scaglione della classe successiva" (art. 22, secondo comma). L'espressione "al massimo" - la quale nel suo perentorio significato letterale e logico e' di assoluta evidenza - non era, peraltro, contenuta nel previgente art. 87 della legge n. 237/1964 (questo testualmente disponeva: "cessato il titolo al ritardo, coloro che ne fruivano sono tenuti a prestare il servizio militare con il primo scaglione o contingente chiamato alle armi se dell'esercito o dell'aeronautica, ovvero con il primo scaglione della classe di leva che sia chiamata alle armi per compiere la ferma, della marina") sicche' la stessa diversita' letterale tra le disposizioni ricordate evidenzia l'intento della disposizione successiva di collegare il potere di chiamare il cittadino alla ferma in Marina a precisi limiti temporali; il medesimo intento pero', ingiustificatamente, non viene applicato anche per gli arruolati dell'esercito e dell'aeronautica, presentando la scelta relativa evidenti sintomi del c.d. "eccesso di potere legislativo". Ne', a tal proposito, e' dato cogliere se, ed in che modo, la pur differenziata disciplina della leva di mare (relativamente alla durata della ferma ed al sistema di avviamento alla stessa, attuata solamente tramite scaglioni - art. 17 della legge n. 191/1975 -) possa giustificarne il diverso, opposto trattamento riservato, sotto l'aspetto che qui interessa, alla leva delle altre Armi. Un ulteriore profilo di disparita' di trattamento si coglie, poi, nel fatto che gli arruolati gia' ritardatari, contrariamente agli altri arruolati (i quali debbono essere chiamati, come si e' visto, al 19º anno, salvo provvedimenti generali e motivato del Ministro di anticipo o proroga di un anno) vengono assoggettati ad una incontrollabile alea temporale che dipende solamente o dalla libera determinazione dell'amministrazione della difesa, o, peggio, dalla maggiore o minore capacita' organizzativa della stessa. Non si tratta, pertanto, di postulare una situazione di privilegio (c.g.a., dec. n. 110/1989, cit.) per gli arruolati gia' ritardatari (i quali, ammettendo la perentorieta' del termine, verrebbero di fatto esonerati dallo svolgere il servizio militare nell'ipotesi in cui l'amministrazione non osservasse il termine medesimo) rispetto agli arruolati non ritardatari (i quali sarebbero assoggettati al principio di tassativita' delle cause di esonero dell'obbligo militare), bensi' di estendere allo status dei primi - di arruolati in attesa di ferma di leva - le medesime garanzie di certezza di cui godono i secondi; ai quali ultimi la legge medesima consente di conoscere con certezza che saranno assoggettati alla ferma di leva nell'anno di compimento del 19º anno di eta', salvo motivato provvedimento ministeriale di anticipo o proroga di un anno. Non e' inopportuno rilevare, inoltre, come nulla autorizzi a ritenere, stante la formulazione dell'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1971, che l'incertezza sulla chiamata dell'arruolato, gia' ritardatario, debba durare un solo anno (quello successivo alla cessazione del titolo al ritardo) e non possa invece protrarsi anche negli anni successivi. Invero, dato che la norma indica un termine, laddove questo debba interpretarsi come sollecitatorio anziche' perentorio (c.g.a., decisione n. 110/1988 cit.), nulla impedisce che la chiamata alle armi avvenga per gli arruolati in argomento, anche dopo piu' anni dalla cessazione del ritardo. Una tale inevitabile conseguenza, mentre da un lato finisce con l'offrire all'amministrazione, relativamente al tempo della chiamata alle armi, un margine di discrezionalita' che non trova alcun riscontro nel sistema della legge, dall'altro pone il cittadino (che abbia chiesto il ritardo della ferma di leva) nelle condizioni di non poter adeguatamente programmare la propria vita ed i propri impegni di lavoro (questi, infatti, non solo non puo' stabilire con certezza con quale scaglione o contingente sara' chiamato ai doveri militari, ma, addirittura, nemmeno in quale anno), con gravissimo pregiudizio dei canoni costituzionali di cui agli artt. 3, 23, 52 e 97 della Costituzione, sia singolarmente che unitariamente considerati. Si noti, per completezza, che anche gli artt. 650 e 655 del regio decreto 3 aprile 1942, n. 1133, non piu' vigenti, sancivano che alla cessazione del ritardo l'arruolato dovesse essere precettato a presentarsi alle armi con la prima classe che veniva chiamata dopo il periodo di ritardo, senza alcuna comminatoria di decadenza: una tale disposizione, pero', poteva giustificarsi nel diverso contesto giuridico e costituzionale allora esistente, in cui - come si e' ricordato - non vi era ne' una copertura costituzionale della sfera giuridica del cittadino comparabile a quella attuale, ne' una precisa collocazione temporale della chiamata alle armi da parte del Ministro della Guerra (cfr. art. 540 del r.d. 3 aprile 1942, n. 1133). E d'altronde il carattere storicamente innovativo, e o, piu' marcatamente garantista, della attuale disciplina giuridica della materia, lo si coglie nel raffronto dell'art. 3 della legge n. 191/, con il previgente art. 78 del d.P.R. n. 237/1964. L'uno, infatti, fissa un preciso riferimento temporale per la chiamata alle armi (al 19º anno d'eta') - delineando nel contempo le due precise eccesioni prima ricordate -, l'altro invece ignorava un tale riferimento ed, anzi, disponeva testualmente che la chiamata alle armi aveva luogo per ordine del Ministro della difesa "...normalmente nell'anno in cui i giovani compiono il ventunesimo anno di eta'...", cosi' riconoscendo implicitamente all'amministrazione una discrezionalita' di scelta temporale di amplissima portata. 4. - A rafforzare, poi, il dubbio che la norma in questione non sia in armonia con i ricordati principi costituzionali, soccorre la ulteriore considerazione che, una volta ritenuta l'assenza di un termine perentorio entro cui esercitare la chiamata alle armi nel periodo post/ritardo, l'amministrazione della Difesa diventa tout court destinataria della facolta' di esercitare il potere medesimo anche oltre l'anno successivo a quello in cui e' cessato il ritardo. Ancorche', nella specie, il provvedimento impugnato risulti essere stato adottato entro l'anno successivo alla cessazione del ritardo, tuttavia, in quanto l'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1975 impedisce al cittadino soggetto alla ferma di leva nell'esercito o nell'aeronautica (non a quello della marina), di prefigurarsi quanto potra' e dovra' assolvere al proprio dovere militare, risulta ulteriormente avvalorata la radicale inconciliabilita' della norma denunziata con i principi costituzionali di eguaglianza e di riserva di legge in materia, avuto riguardo anche alla esigenza, costituzionalmente rilevante ed evidenziata dalla Corte (con la menzionata sent. n. 164/1985), secondo cui l'assoggettamento del cittadino alla ferma di leva deve attuarsi con il minor danno possibile, nonche' del buon andamento della p.a. 5. - Ne' puo' parimenti ipotizzarsi che la norma trovi giustificazione nelle difficolta' organizzative dell'amministrazione, connesse alla predisposizione della chiamata alle armi dei soggetti ritardatari, giacche' tale assunto collide oggettivamente col principio del buon andamento della amministrazione sancito dall'art. 97 della Costituzione. La ratio del precetto costituzionale, contenuto nell'art. 97, infatti, appare inconciliabile con qualsiasi scelta legislativa che, come quella in argomento, risulti essere sostanzialmente ispirata al principio secondo cui i ritardi ed i disguidi cui puo' andare incontro la p.a. (nella specie quella della Difesa, nel programmare l'avviamento alle armi dei soggetti che abbiano fruito del ritardo) possono legittimamente ritorcersi, senza alcuna plausibile giustificazione, in danno del cittadino. Deve altresi' considerarsi che l'art. 656 del regio decreto n. 1133/1942, mai abrogato, ne' esplicitamente, ne' implicitamente, sancisce, l'obbligo dell'Amministrazione militare di tenere aggiornato un apposito elenco nominativo contenente le variazioni annuali dei giovani ammessi al ritardo, di tal che e' la stessa legge che toglie rilevanza alla sopra ipotizzata difficolta' dell'amministrazione di avere una tempestiva informazione sui soggetti che cessano dal ritardo e, quindi, di pianificare la chiamata degli arruolati ritardatari in tempi legislativamente pre-fissati. 6. - Tanto meno puo' sostenersi, infine, ove la norma disponesse un preciso termine a carattere perentorio, che i soggetti gia' ammessi al ritardo verrebbero ad avere un vantaggio rispetto agli arruolati non ritardatari, giacche' dal sistema delle norme vigenti non si ricava affatto che per questi ultimi la chiamata alle armi possa, indiscriminatamente, essere disposta in base alla incondizionata discrezionalita' dell'amministrazione e dunque in ogni tempo. Anzi, in generale, l'istituto della chiamata alle armi, in quanto rivolto ad imporre in conreto all'arruolato la prestazione personale del servizio di leva, deve costituire atto dell'amministrazione della Difesa, dovuto nei tempi e nelle forme dettate dalla legge, fatte salve solamente le facolta' (di ritardo o di dispensa) espressamente e tassativamente stabilite dalla stessa. In definitiva, sembra al collegio che ogni cittadino debba sapere con certezza almeno in quale anno sara' chiamato alle armi e cio' impone che la legge disponga in modo tale che l'amministrazione operi la effettuazione della ferma di leva secondo procedure e tempi predeterminati. Ogni indeterminatezza del relativo regime giuridico, che di fatto e di diritto faccia dipendere la chiamata alle armi da eventi incerti ed aleatori (sia nel caso di arruolati ordinari che in quello di arruolati ritardatari) e' tanto poco consono ai richiamati precetti costituzionali, quanto poco omogeneo rispetto al quadro generale delle norme attualmente vigenti in materia. 7. - In conclusione, sulla scorta delle fin qui esposte considerazioni, sembra necessario rimettere la questione al vaglio del giudice delle leggi, al fine di pervenire ad un definitivo autorevole chiarimento del problema.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevate e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 23, 52 e 97, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191, nella parte in cui non prevede che il termine per la ciamata alle armi, ivi disposto, per gli arruolati dell'esercito e dell'aeronautica, sia perentorio; Sospende il presente giudizio. Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura della segreteria della sezione, nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la comunicazione della medesima ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 6 dicembre 1989. Il presidente: GIALLOMBARDO Il referendario: VENEZIANO Il referendario-estensore: DI PAOLA 90C0798