N. 621 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 gennaio - 22 agosto 1997
N. 621 Ordinanza emessa il 21 gennaio 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 agosto 1997) dalla commissione tributaria provinciale di Parma sul ricorso proposto dalla Schia 2 S.r.l. contro l'ufficio del registro di Parma Imposta di registro - Compravendita di immobile ancora privo di dati aggiornati di rendita catastale - Possibilita' per il contribuente di richiedere all'U.T.E. l'attribuzione della rendita catastale con successivo, eventuale recupero da parte dell'ufficio del registro della differenza d'imposta afferente al valore dichiarato nell'atto e quello catastale - Lesione del principio di eguaglianza in riferimento al contribuente che gia' disponga di una rendita catastale - Violazione del principio della capacita' contributiva. (Legge 13 maggio 1988, n. 154, art. 12). (Cost., artt. 3 e 53).(GU n.40 del 1-10-1997 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso della S.r.l. Schia 2, avverso avviso di liquidazione n. 941V4459 emesso dall'ufficio del registro di Parma. Sciogliendo la riserva formulata nell'udienza del 21 gennaio 1997 in occasione della trattazione del ricorso contraddistinto dal n. 1668/1996 r.g.r., ha pronunciato ordinanza di remissione della citata impugantiva alla Corte costituzionale per le motivazioni e con il dispositivo che segue: Premesso che: con l'impugnativa di cui all'oggetto la societa' ricorrente, con sede in Parma, via Buffolara n. 66/a, rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Conti, ha chiesto l'annullamento dell'avviso di liquidazione d'imposta notificato dall'ufficio del registro di Parma in data 14 ottobre 1996, mediante il quale, tale ufficio finanziario a rettifica del valore finale dichiarato nell'atto di compravendita pubblicato a ministero del notaio dott. A. Dalla Tana, repertorio n. 57409/94, ha richiesto il pagamento della complessiva somma di L. 75.809.000, operando ai sensi della legge n. 154/1988; deducendo motivazioni, che la commissione giudicante ha fatto proprie ritenendole pertinenti, il patrocinatore di parte ricorrente ha sollevato eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 del decreto-legge n. 70/1988, convertito in legge n. 154/1988, in relazione all'art. 3 della Costituzione per la disparita' di trattamento che l'applicazione della norma sopra citata determina tra il contribuente che disponga degli estimi di reddito catastale dei suoi beni, nei confronti di chi, non possa disporne; la parte ricorrente chiedendo la trattazione del ricorso in pubblica udienza, ha svolto istanza di sospensione dell'atto impugnato. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la eccezione come sopra svolta per le considerazioni di cui oltre, e cosi': Osserva in fatto Con il citato atto dott. Dalla Tana in data 4 ottobre 1994 la societa' ricorrente ha venduto alla S.r.l. T.S. Costruzioni, un immobile in Cremona che, al momento del rogito, era ancora privo dei dati aggiornati di rendita catastale. Conseguentemente le parti hanno chiesto la applicazione dell'art. 12 della legge 13 maggio 1988, n. 154, quale strumento "agevolativo" previsto dal legislatore per superare carenze o ritardi, non certo addebitabili al singolo contribuente. Ne e' conseguita una valutazione finale del bene compravenduto, quantificato a cura dell'U.T.E. competente, in L 915.536.000; e su tale valore accertato l'ufficio registro ha liquidato l'imposta richiesta alla societa' ricorrente, che, con tempestivo e formale ricorso, ha impuganto la iniziativa tributaria ritenendo la stessa erronea ed infondata siccome non rispondente ai reali valori di mercato nel rispetto del fondamentale principio di equita' contributiva. Rileva in diritto La censura avanzata dalla societa' ricorrente, a giudizio di questa commissione, non e' priva di fondamento logico-giuridico, e quindi e' stata ritenuta rilevante e fondata per i motivi e con le considerazioni di cui oltre: con il decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 venne introdotto il sistema di valutazione catastale degli immobili, sostituendo il principio, applicato fino a quel momento, della libera rettificabilita' dei valori dichiarati nei vari atti, da parte degli uffici finanziari. Con tale norma si e' voluto ancorare a parametri predefiniti, quelle valutazioni che avevano dato adito a tante impugnative ed oneroso contenzioso; in particolare l'art. 51 (che la legge n. 154/1988 non ha certo abrogato) dispone e prevede i criteri che l'ufficio del registro deve osservare in occasione di eventuali rettifiche. Il successivo art. 52 precisa invece che non debbano essere sottoposti a rettifica i valori d'immobili con attribuzione di rendita dichiarata, per i fabbricati in numero non inferiore a 100 volte il reddito rivalutato in catasto con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito. Storicamente, per l'evolversi della nuova disciplina, questo consesso ricorda che, si era alla fine degli anni '80, in epoca coeva all'imponente riversarsi sul catasto delle istanze di sanatoria edilizia (legge 28 febbraio 1985, n. 47): quando per effetto del condono, o per i ritardi in cui comunque il catasto si dibatte nell'attribuzione delle rendite, una grande percentuale di unita' immobiliari non disponeva di una rendita catastale, vanificando cosi', di fatto, l'importante novita' legislativa costituita appunto dal sistema di valutazione catastale, inapplicabile in mancanza di una rendita attribuita. E non solo: la mancanza della rendita comportava per il contribuente una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto a chi invece di una rendita ben disponesse, in quanto, in quest'ultimo caso, si rendeva possibile effettuare tutti i calcoli necessari ad evitare questioni di valutazine con gli uffici, mentre, in mancanza della rendita, riprendeva vigore il sistema invece negletto della descritta riforma, e cioe' quello fondato sulla libera valutazione dei beni da parte degli uffici. Ora, per rimediare a tale ingiustificata disparita' di trattamento, il decreto-legge n. 70/1988 convertito in legge n. 154/1988 venne dunque a stabilire che anche per le unita' immobiliare prive di rendita ben poteva applicarsi il sistema di valutazione basato sull'automatismo catastale, e cio' in sostanza al fine di perequare la situazione dei contribuenti che, all'atto del trasferimento immobiliare ben dispongano della rendita catastale, con quelli che invece, per i piu' svariati motivi (nuova costruzione, condono edilizio, recenti lavori di ristrutturazione, ecc.), non disponendo della rendita, non possano effettuare le moltiplicazioni idonee a stabilire i valori fiscalmente congrui. Il procedimento introdotto dal decreto-legge n. 70/1988 consiste, in sintesi, nell'esplicazione nel rogito della volonta' di avvalersi del sistema di valutazione catastale, nella presentazione all'U.T.E. di una specifica istanza di attribuzione della rendita catastale, nell'esibizione all'ufficio del registro di una ricevuta di tale presentazione. Ricevuta l'istanza l'U.T.E. si attiva per attribuire la rendita e comunica all'ufficio del registro i risultati della propria stima; il registro confronta la rendita cosi' attribuita con i valori dichiarati nel rogito e procede infine al recupero delle imposte corrispondenti ad imponibili eccedenti quelli dichiarati nel rogito medesimo. Ma e' proprio a questo punto che questo consesso giudicante ha effettuato una fondamentale riflessione, determinante per una corretta azione tributaria. Occorre infatti aver riguardato al fatto che il principio basilare su cui si fonda la determinazione dell'imponibile, ai fini della applicazione delle imposte indirette, e' quello per il quale detta base imponibile corrisponde, per regola generale, al valore venale dei beni oggetto di trasferimento. Se il legislatore ha introdotto il cosiddetto sistema di valutazione catastale, cio' non significa che il suaccennato principio sia stato scalzato o diminuito: gia' infatti s'e' dimostrato come detto sistema catastale non sia un sistema di valutazione, bensi' un limite al potere di rettifica degli uffici, al fine di sveltire il contenzioso da controversie defatiganti e di esito sempre incerto. Ora, nel caso in cui il contribuente ben disponga della rendita catastale, a seconda del fatto che la rendita catastale sia maggiore o minore del prezzo effettivamente pagato, egli ha la scelta di chiedere la tassazione sulla base della rendita catastale (e cioe' indipendentemente dal prezzo pattuito), cosi' mettendosi comunque al riparo da azioni di accertamento, oppure puo' chiedere, dichiarando un valore inferiore alla rendita, di essere assoggettato ad un normale procedimento di valutazione da parte dell'ufficio, disancorando appunto dai parametri catastali. Invece, chi non disponga della rendita non puo' effettuare tali calcoli di convenienza (ben ammessi invece dalla legge nel caso appena esposto, di cui di una rendita invero si disponga) in quanto l'alternativa e' quella di richiedere o meno l'applicazione della legge n. 154/1988, senza pero' sapere (come invece accade quando si dispone della rendita) quale sia il fondamentale dato di base da cui prendere le mosse. (E se si tratta di immobili classificati in cat. D, le conseguenze, per maturate esperienze, possono essere ... allarmanti|). Con il risultato poi, che se non si domanda l'applicazione della legge n. 154/1988 ci si assoggetta al normale procedimento valutativo dell'ufficio anche nel caso in cui il prezzo dichiarato in atto sia in ipotesi superiore a quello della attribuenda rendita catastale, mentre se si chiede la applicazione della legge n. 154/1988 ci si espone ad un recupero d'imposta anche nel caso in cui la rendita venga attribuita in misura eccessiva rispetto al valore del bene in esame (caso nel quale, invero, avendo avuto per tempo a disposizione la rendita catastale, si sarebbe senz'altro optato per la tassazione dell'atto con il sistema di valutazione libero da parametri di tipo catastale). Insomma, la legge n. 154/1988, introdotta per perequare i contribuenti, se viene letta nel senso proposto dall'ufficio impostore, finisce per creare di nuovo una ingiustificata disparita' di trattamento in aperto contrasto con la ratio dell'art. 3 della Costituzione. Il senso in cui la legge n. 154/1988 va interpretata, a giudizio di questo consesso, e' invece un altro, assai lineare e molto semplice, conforme ai principi generali e non generatore di assurde sperequazioni. Il dato di partenza e', come si ripete, il principio fondamentale per il quale la base imponibile e' data dal valore venale del bene in comune commercio. Tenendo presente questo dato, che in ogni contesto deve comunque guidare l'opera del tassatore, se ne trae che qualora la rendita catastale sia manifestamente sproporzionata in eccesso rispetto al valore di mercato, il contribuente deve poter pretendere che l'atto venga tassato sulla base del reale valore venale di mercato, e cio' pure se abbia richiesto di avvalersi della procedura di cui alla legge n. 154/1988. E cio' in sostanza accade: se si dispone della rendita, dichiarando l'effettivo prezzo, inferiore a detta rendita, e quindi suscettibile di essere valutato dall'ufficio con parametri non catastali e quindi sulla base appunto del valore di mercato del bene; se della rendita non dispone, nonostante sia stata attivata la procedura di cui alla legge n. 154/1988, tassandosi l'atto con la rendita catastale che verra' attribuita dall'U.T.E., trovandosi pero' comunque un limite del valore di mercato del bene, qualora detta rendita sia superiore al reale suo valore. Se cosi' non si ragiona, osserva questa commissione, si crea diseguaglianza di trattamento tra chi dispone della rendita e chi non ne dispone poiche' quest'ultimo, non potendo a priori effettuare alcun calcolo di convenienza, si troverebbe altrimenti soggetto alla terribile alea di vedersi determinare anche una base imponibile al di fuori di ogni plausibile riferimento al valore reale del bene, disattendendo il principio costituzionale di cui all'art. 53 della capacita' contributiva. Nel testo di legge si evince che l'ufficio "liquida la maggiore imposta corrispondente alla differenza"; ma si lascia inespresso se la maggior imposta sia afferente alla differenza tra il valore dichiarato e il valore catastale attribuito su richiesta del contribuente, oppure tra il valore dichiarato e il valore di mercato. Ma la risposta non puo' che essere nel senso di calcolare detta differenza tra il valore dichiarato e il valore di mercato, a meno che il valore catastale non sia inferiore al valore di mercato, caso, quest'ultimo, nel quale la differenza andrebbe appunto calcolata tra il valore dichiarato e il valore catastale. E cio' per il gia' ricordato argomento per il quale la rendita catastale non e' un sistema di valutazione bensi' il limite minimo una volta superato il quale non vi e' potesta' rettificatatrice del fisco. Pertanto, la tesi secondo cui la norma in questione legittima l'Erario a recuperare la differenza d'imposta corrispondente al maggior valore derivante dalla futura rendita catastale e il valore dichiarato non puo' essere di applicazione cosi' asettica e matematica da costringere il contribuente a sborsare imposte per valori che siano ben al di la' di quelli venali; il fisco, anche in caso di istanza di attribuzione di rendita, non puo' non trovare come anzi detto, un limite nel valore di mercato. Da qui la fondatezza della eccezione svolta. La regola del recupero della differenza d'imposta tra quella afferente il valore dichiarato e il valore catastale infatti non e' stata introdotta per legittimare prelievi d'imposta corrispondenti ad imponibili fuori dal mercato, ma per parificare il piu' possibile il contribuente che disponga di rendite catastali definitive (e che quindi puo' effettuare calcoli ben precisi) e quello che, a causa dei ritardi e delle inefficienze della stessa amministrazione finanziaria, si trova senza la possibilita' di effettuare tali calcoli e che quindi deve procedere con la necessaria approssimazione. Quindi, chi e' privo della rendita e chieda che l'atto venga trattato ugualmente con il sistema catastale, non puo' essere costretto, nel caso che la futura rendita sia sproporzionata rispetto al valore di mercato, a pagare un'imposta corrispondente: egli potra' pretendere che il fisco comunque si fermi al valore di mercato e non consideri quindi la richiesta di attribuzione di rendita come strumento per infierire su chi, forse imprudentemente, ma cero inconsciamente, l'ha invocata; va infatti ricordato che la stessa Direzione generale delle tasse con circolare n. 37/220391 del 10 giugno 1986 ha riaffermato l'intento che la norma ha, di facilitare i rapporti amministrazione/contribuenti. Cio' anche nel rispetto del dettato costituzionale di cui all'art. 53 che impegna i cittadini a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacita' contributiva; e tale non puo' essere, per l'applicazione dell'imposta di registro, che quella risultante dal valore venale dei beni nel comune commercio, che si realizza nella dialettica amministrazione/contribuente, e non con remissione a valori da determinare solo da una delle parti interessate, per "delega" dell'altra che cosi' ha dovuto operare, per carenza alla stessa non addebitabile, di elementi valutativi. A giudizio di questa consesso quindi, anche chi ha chiesto l'applicazione della legge n. 154/1988, per ragioni di giustizia ed equita' di trattamento, deve essere posta nelle condizioni di potere confutare le basi di calcolo applicate unilateralmente dall'ufficio. Vero e' che la procedura seguita dall'ufficio del registro e' prevista dalla legge, per altro richiesta dal contribuente, ma altrettanto vero e' che la sua applicazione, in conseguenza dei criteri adottati dall'U.T.E. (non rispondenti alla norma di base di cui all'art. 51 della legge n. 131/1986) porta a risultati abnormi e vessatori. Ha preso atto questo Collegio, che l'U.T.E. dopo aver determinato con stima autonoma e diretta il valore dell'immobile in questione ne ricava la rendita catastale, dividendo il valore per 20 (ossia moltiplicando per un saggio di redditivita' del 5%) mentre l'ufficio del registro per determinare il valore finale dello stesso immobile moltiplica quella rendita catastale, come sopra ottenuta, per 50, con la conseguenza che il valore finale che il contribuente dovra' regolarizzare col fisco risulta essere di due volte e mezzo superiore all'originaria valutazione disposta dall'U.T.E.; questa non e' equita' tributaria, ed il ripetersi della perversa procedura, crea quel contenzioso che proprio la legge n. 154 voleva superare nell'interesse anche del contribuente. Rilevante, come anzidetto e non manifestamente infondato appare a questo Collegio giudicante la illegittimita' dell'art. 12 della citata legge n. 154/1988 se rapportato a quanto voluto dagli artt. 3 e 53 della Carta costituzionale.
P. Q. M. In applicazione del dettato costituzionale di cui all'art. 134; Visto l'art. 12 della legge 13 maggio 1988, n. 154; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 12, sollevata nel contesto del ricorso a margine citata, con riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione per le possibili lesioni dei diritti di uguaglianza dei cittadini in ordine anche al diritto-dovere di rispetto della loro capacita' contributiva (nel caso disciplinata dai criteri riportati nel contesto dell'art. 51 della legge di registro che la legge n. 154/1988 non ha modificato); Visto pertanto il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art, 47, sospende preliminarmente l'esecutivita' dell'atto impugnato di cui e' causa; Parimenti sospende, come da verbale d'udienza, il giudizio in corso ed ordina la trasmissione di tutti gli atti relativi allo stesso, alla Corte costituzionale, disponendo che la cancelleria notifichi la presente ordinanza (con il ricorso di cui al contesto della stessa) al Presidente del Consiglio dei Ministri, alla societa' ricorrente in persona del legale che la rappresenta e difende, all'ufficio del registro di Parma, per quanto necessario, all'Ufficio tecnico erariale di Parma, dando contemporanea comunicazione ai sigg. Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Parma il 21 gennaio 1997. Il presidente relatore: Roncoroni Il membro: Riva 97C1052