N. 764 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 maggio 2007
Ordinanza emessa l'8 maggio 2007 dal tribunale di Pescara sul ricorso proposto da Pavone Adriana Fallimento e procedure concorsuali - Riabilitazione civile - Istanza presentata da soggetto sottoposto a procedura fallimentare dichiarata chiusa in data anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del 2006 che ha abrogato il procedimento di riabilitazione - Prevista ultrattivita' della previgente legge fallimentare limitatamente ai ricorsi per dichiarazione di fallimento e alle domande di concordato fallimentare depositate prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del 2006, nonche' alle procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data - Irragionevole esclusione dalla disciplina transitoria dei procedimenti di riabilitazione civile che presuppongono fallimenti chiusi o comunque disciplinati secondo la normativa previgente - Omessa previsione della possibilita', per i soggetti i cui fallimenti siano stati o comunque restino disciplinati esclusivamente dalla previgente legge fallimentare, di ottenere la riabilitazione civile e di beneficiare dei persistenti effetti di essa (quale causa di estinzione del reato o della pena di bancarotta semplice e di non menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale) - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza sotto il particolare profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento nelle condizioni di accesso ai benefici conseguenti alla riabilitazione civile. - Decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, art. 150. - Costituzione, art. 3.(GU n.46 del 28-11-2007 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. - Con sentenza di questo tribunale in data 20 maggio 1999 veniva dichiarato il fallimento di Pavone Adriana, nata a Penne il 10 marzo 1954. Con decreto dello stesso Tribunale in data 31 marzo 2005 il fallimento veniva chiuso ai sensi dell'art. 118, n. 4 l.f. Con ricorso depositato in data 13 febbraio 2007, Pavone Adriana ha chiesto la riabilitazione civile in applicazione del disposto dell'art. 143, n. 3, l.f. Il p.m., in data 21 marzo 2007, ha formulato parere favorevole all'accoglimento della domanda. 2. - Sebbene ricorrano nella specie gli estremi di cui all'art. 143, n. 3, l.f., atteso che il fallimento si e' chiuso da oltre 5 anni, che nel periodo il debitore ha tenuto buona condotta e che non sussistono a suo carico le condizioni ostative di cui all'art. 145 l.f. (avendo riportato lo stesso solo applicazioni di pena ex art. 444 c.p.p.), occorre preliminarmente affrontare la questione dell'ammissibilita' del ricorso, depositato dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, di riforma organica del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), il quale ha inciso per piu' versi sull'istituto della riabilitazione. 3. - Come e' noto, il suddetto decreto di riforma ha avuto una entrata in vigore differenziata. A norma dell'art. 153, infatti, il 16 gennaio 2006 (data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) sono entrati in vigore l'art. 45 (che ha sostituito l'art. 48 l.f., prevedendo, in luogo della consegna diretta al curatore della corrispondenza del fallito, l'obbligo di quest'ultimo di consegnare al curatore quella riguardante i rapporti compresi nel fallimento), l'art. 46 (che ha sostituito l'art. 49 l.f., prevedendo, in luogo dell'obbligo di residenza del fallito, l'obbligo di comunicazione dei cambiamenti di residenza ed eliminando il potere di accompagnamento coattivo del fallito), l'art. 47 (che ha abrogato l'art. 50 l.f., il quale istituiva il pubblico registro dei falliti, esigendo per la cancellazione delle relative iscrizioni una sentenza del tribunale e subordinando alla cancellazione la durata delle incapacita' stabilite dalla legge a carico dei falliti), l'art. 151 (che ha abrogato 1'istituto della transazione fiscale) e l'art. 152 (che ha abrogato l'incapacita' elettorale attiva e l'incapacita' all'esercizio dell'attivita' di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto, gia' previste a carico dei falliti). 4. - Le norme appena ricordate, le quali secondo quanto gia' ritenuto da questo Tribunale sono applicabili anche ai fallimenti dichiarati prima della loro entrata in vigore, potrebbero avere gia', dal 16 gennaio 2006, reso inammissibili, per carenza di interesse, nuovi ricorsi per riabilitazione. Infatti, secondo la formulazione originaria dell'art. 142 l.f., la riabilitazione aveva l'effetto (costitutivo) di determinare la cancellazione del nome del fallito dal registro previsto dall'art. 50 e di fare cessare le incapacita' personali che colpiscono il fallito per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento (laddove le incapacita' patrimoniali cessavano - e cessano - per effetto della sola chiusura della procedura, a norma dell'art. 120 l.f.). Per quanto il novero delle incapacita' personali conseguenti al fallimento (e non alla iscrizione nel registro dei falliti, che non aveva, a differenza della cancellazione, effetto costitutivo) sia notevolmente piu' esteso rispetto a quelle espressamente abrogate dal ricordato art. 152, d.lgs. n. 5/2006 (possono ricordarsi, ad esempio, le incapacita' previste dagli artt. 350, 355, 393, 424, 2382, 2399, 2417, 2488 c.c.; dagli artt. 8 e 124 t.u. 12/1941 in materia di funzioni giudiziarie e di partecipazione al concorso per uditore giudiziario, nonche' da analoghe disposizioni in materia di iscrizione ad albi professionali, di requisiti per l'esercizio di professioni sanitarie e, piu' in generale, dalle norme che subordinano l'esercizio di talune facolta' al pieno esercizio dei diritti civili), sicche' anche dopo il 16 gennaio 2006 il fallimento continua a produrre incapacita' personali oltre che patrimoniali, l'abrogazione dell'art. 50 l.f. ha fatto venir meno l'effetto costitutivo della cancellazione, svincolando la durata delle incapacita' personali da quella della iscrizione nel registro dei falliti e rendendo cosi' non necessaria, a tal fine, la sentenza di riabilitazione. Puo', cioe', ritenersi che dal 16 gennaio 2006 le incapacita' personali che conseguono al fallimento permangono soltanto finche' permane lo status di fallito e cessano con la chiusura del fallimento, senza necessita' della cancellazione dal registro dei falliti. E cio' non solo in relazione ai fallimenti dichiarati dopo il 16 gennaio 2006, ma anche in relazione a quelli dichiarati in epoca precedente. Da cio' alcuni interpreti e alcune pronunce giurisprudenziali hanno desunto la conseguenza della inammissibilita' ed improcedibilita' dei ricorsi per riabilitazione depositati o, rispettivamente, non ancora decisi al momento della entrata in vigore della riforma, in quanto per far accertare la cessazione delle incapacita' personali e' ormai «assolutamente superfluo percorrere la strada (un tempo obbligata) della procedura di riabilitazione civile, istituto che ormai va confinato nei libri di storia del diritto» (cosi' Trib. Taranto 20 dicembre 2006; Trib. Vicenza 20 luglio 2006 ha «ordinato l'immediata cancellazione dal registro dei falliti di tutti i nominativi che vi sono attualmente iscritti, non essendo ragionevole esigere che ogni ex-fallito presenti la propria istanza di riabilitazione per provocare uno specifico provvedimento a suo nome»; Tribunale Alba 15 dicembre 2006 ha, analogamente, ritenuto che «non puo' pronunciarsi la riabilitazione, ma deve in ogni caso ordinarsi la cancellazione dal pubblico registro dei falliti e la cessazione di ogni incapacita' civile derivante dalla dichiarazione di fallimento»). 5. - Pur dovendo convenirsi - come appena visto - con il venir meno della necessita' della cancellazione dal registro dei falliti ai fini della cessazione delle incapacita' personali ancora derivanti dal fallimento (le quali cessano, ormai, per effetto della sola chiusura della procedura concorsuale), non pare pero' a questo tribunale che cio' comporti l'attuale carenza di interesse alla riabilitazione in capo a chi sia stato dichiarato fallito. Gli effetti della riabilitazione civile, infatti, non si esauriscono in quelli espressamente previsti dall'art. l42 l.f. (nel testo originario) e cioe' nella cancellazione dal registro dei falliti e nella - allora conseguente - cessazione delle incapacita' personali, ma comprendono anche quelli desumibili dall'art. 241 l.f. (secondo cui «la riabilitazione civile del fallito estingue il reato di bancarotta semplice» e «se vi e' condanna, ne fa cessare l'esecuzione e gli effetti») e dagli artt. 24, 26 e 28 d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (che subordinano alla riabilitazione la non menzione dei provvedimenti relativi al fallimento nei certificati generali e civili del casellario giudiziale rilasciati a richiesta dall'interessato o di pubbliche amministrazioni). La riabilitazione, quindi, quale causa di estinzione del reato o della pena di bancarotta semplice e quale causa di non menzione della sentenza dichiarativa di fallimento nei certificati del casellario giudiziale, continua a costituire una pronuncia giudiziale necessaria con effetti costitutivi, alla quale hanno interesse tutti i falliti. Ne' e' prospettabile, per quanto concerne gli effetti in esame, una soluzione analoga a quella configurata con riferimento alle incapacita' personali derivanti dal fallimento, perche' si tratta di effetti del tutto svincolati ab origine dalla iscrizione nel registro dei falliti e ricollegati alla pronuncia di riabilitazione in quanto tale, sicche' pare arduo pervenire in via interpretativa alla affermazione di una loro produzione generalizzata che prescinda dall'accertamento dei presupposti e delle condizioni previste per la riabilitazione civile e che si riconnetta esclusivamente alla chiusura del fallimento, cio' che equivarrebbe alla abrogazione di fatto del reato di bancarotta semplice (venendo la chiusura del fallimento a determinare l'estinzione del reato o della pena eventualmente gia' irrogata) ed alla introduzione di una causa di non menzione di iscrizioni del casellario giudiziale non prevista dalla legge. Non e' dunque possibile desumere dalla abrogazione dell'art. 50 l.f. una generale inammissibilita' o improcedibilita', dal 16 gennaio 2006, dei ricorsi tesi ad ottenere sentenza riabilitativa. 6. - Sennonche' il 16 luglio 2006 e' entrata in vigore la restante parte della riforma della legge fallimentare, la quale - artt. 128 e 129 - ha completamente sostituito il capo IX del titolo II del r.d. 267/1942, riscrivendo gli articoli da 142 a 144 ed abrogando l'art. 145, ed ha introdotto, in luogo della riabilitazione civile precedentemente disciplinata, l'istituto della esdebitazione, operante sul piano esclusivamente patrimoniale attraverso la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori e sottoposta a termini e condizioni in gran parte diversi rispetto all'istituto previgente. Cio' comporta senz'altro, dal 16 luglio 2006, la inammissibilita' dei ricorsi per riabilitazione civile relativi a fallimenti disciplinati dalle nuove norme (rispetto ai quali dovrebbero invece essere ammissibili ricorsi per esdebitazione), ma non anche la ammissibilita', procedibilita' e decidibilita' secondo i previgenti artt. da 142 a 145 dei ricorsi per riabilitazione riferiti a fallimenti disciplinati dalla normativa ante-riforma. 7. - Infatti, il d.lgs. n. 5/2006 contiene (a differenza del r.d. n. 267/1942, che dedicava alle disposizioni transitorie l'intero titolo VII del capo IV, ivi compreso l'art. 256 in materia di riabilitazione civile, a tenore del quale «anche per i fallimenti dichiarati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto il fallito, che non ha gia' ottenuto la cancellazione dall'albo dei falliti a norma delle leggi anteriori, puo' chiedere la riabilitazione civile secondo le norme del presente decreto. La cancellazione dall'albo dei falliti ottenuta a norma delle leggi anteriori produce gli stessi effetti della riabilitazione civile») una sola norma transitoria, dettata dall'art. 150, che cosi' recita: «i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell'entrata in vigore del presente decreto, nonche' le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore». 8. - Stando al tenore letterale della norma, l'ultrattivita' della previgente legge fallimentare e' limitata (oltre che alle procedure per dichiarazione di fallimento gia' iniziate) alle procedure di fallimento pendenti, cioe' gia' aperte e non ancora chiuse, alla data del 16 luglio 2006 ed e' finalizzata alla loro definizione, cioe' alla loro chiusura. Secondo altra interpretazione (non seguita da questo Tribunale, ma accolta da numerosi giudici di merito) anche i fallimenti dichiarati in accoglimento di ricorsi proposti prima del 16 luglio 2006 resterebbero regolati - ai fini della loro conduzione e definizione - dalle vecchie norme, ancorche' aperti quando gia' erano in vigore le nuove. Al di la' di quest'ultima questione (che qui assume scarso rilievo), vi e' da chiedersi, anzitutto, se l'ultrattivita' di cui si e' detto ricomprenda nel proprio ambito operativo anche i procedimenti di riabilitazione, i quali, ancorche' presuppongano necessariamente una procedura fallimentare, non costituiscono fasi di quest'ultima (peraltro gia' necessariamente chiusa perche' la riabilitazione possa essere chiesta e pronunciata), ma procedimenti autonomi, introdotti da autonomo ricorso e specificamente disciplinati dalla legge. 9. - Stando sempre al tenore letterale della norma transitoria, il quesito deve avere risposta negativa, sicche' l'effetto della riforma sui procedimenti per riabilitazione pendenti alla data del 16 luglio 2006 o iniziati in data successiva a quest'ultima deve trovare disciplina nelle regole di diritto intertemporale che la dottrina e la giurisprudenza desumono dall'art. 11 preleggi e che vengono comunemente espressi nel principio di salvezza del «fatto compiuto» in caso di successione di norme sostanziali (per cui gli effetti giuridici non ancora prodottisi dovranno dispiegarsi, dopo l'entrata in vigore della nuova norma, secondo le previsioni di quest'ultima) e nel principio tempus regit actum in caso di successione di norme processuali (per cui ciascun atto della sequenza procedimentale, sia per cio' che riguarda il regime della sua essenza, della sua struttura e dei suoi requisiti, sia per cio' che riguarda il regime delle sue conseguenze, e' di massima sottoposto alla legge del tempo in cui venne posto in vita). In base a tali principi, deve escludersi in radice che sia piu' possibile, dal 16 luglio 2006, pronunciare sentenze di riabilitazione (non solo di soggetti i cui fallimenti sono disciplinati dalla legge fallimentare riformata, ma anche) di debitori i cui fallimenti sono ancora disciplinati dalla vecchia legge oppure sono stati chiusi prima del 16 luglio 2006 essendosi interamente svolti secondo la medesima disciplina anteriore. Ne consegue una preclusione all'accesso alla riabilitazione - quale causa di estinzione del reato o della pena di bancarotta semplice e di non menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale - per tutti i debitori dichiarati falliti, i quali non l'abbiano gia' ottenuta prima del 16 luglio 2006, ancorche' le relative procedure concorsuali siano state sottratte, fino alla chiusura, alla applicabilita' delle nuove norme e siamo rimaste regolate da quelle previgenti. 10. - E' evidente la disparita' di trattamento tra situazioni identiche che questa conclusione comporta. E se il diverso trattamento dei falliti sottoposti a procedure disciplinate da leggi diverse ratione temporis puo' trovare giustificazione nella diversita' della disciplina applicabile, quest'ultima circostanza non vale certamente a rendere razionale la discriminazione - sotto il profilo dell'accesso alla riabilitazione - tra soggetti tutti sottoposti a procedura concorsuale identicamente regolata dall'originario r.d. n. 267/1942, non trovando ostacoli logici o giuridici la applicabilita' ai fallimenti sottoposti alla vecchia legge di tutti gli istituti da quella previsti e venendo a dipendere in concreto la applicabilita' o meno della riabilitazione dalla circostanza casuale dell'essere stata questa ottenuta prima di una certa data (e cio' non sempre per disinteresse o inerzia dell'interessato, ma in molti casi per non essere ancora decorsi a quella data i termini dalla chiusura del fallimento che condizionavano la concessione della riabilitazione). 11. - Tale ultima considerazione, che evidenzia il rischio di violazione dell'art. 3 Cost., induce a ricercare soluzioni interpretative che possano essere, oltre che sostenibili secondo i canoni ermeneutici di cui all'art. 12 preleggi, tali da evitare una ingiustificata differenziazione del trattamento di situazioni identiche. Potrebbero, cosi', farsi rientrare nell'ambito di operativita' dell'art. 150, d.lgs. n. 5/2006 anche procedimenti diversi ed autonomi rispetto alle procedure (pre-fallimentari e) fallimentari, che trovino pero' nel fallimento un antecedente necessario. La questione si pone in termini analoghi anche con riferimento all'applicabilita' del vecchio o del nuovo art. 24 l.f. ai giudizi che derivano da un fallimento soggetto, ex art. 150, d.lgs. n. 5/2006, alla disciplina previgente l'entrata in vigore della riforma. Ed e' questione che piu' di un interprete ritiene debba essere risolta nel secondo senso in base alla considerazione dell'autonomia dei giudizi che derivano dal fallimento rispetto al fallimento stesso, cui conseguirebbe la inapplicabilita' dell'art. 150 e la applicabilita' (invece) della nuova disciplina processuale non soltanto per i giudizi instaurati a seguito di fallimenti dichiarati dopo il 16 luglio 2006, ma anche per i giudizi derivanti da fallimenti gia' pendenti a tale data. In ogni caso, se pure si accedesse alla soluzione contraria e si riferisse l'ultrattivita' prevista dall'art. 150 non solo alla disciplina dei fallimenti pendenti alla predetta data, ma anche a quella dei giudizi e dei procedimenti derivanti o comunque connessi a quei fallimenti (e quindi anche ai procedimenti di riabilitazione promossi dopo la chiusura di uno di essi), si perverrebbe a conseguenze ancora piu' irrazionali sotto il profilo del trattamento diseguale di situazioni identiche: la riabilitazione, infatti, sarebbe consentita ai falliti i cui fallimenti erano ancora pendenti (o siano stati dichiarati in accoglimento di ricorsi gia' depositati) alla data del 16 luglio 2006, ma non anche a quelli i cui fallimenti a tale data erano ormai chiusi, pur trattandosi di fallimenti sottoposti a identico regime normativo. 12. - Ne' potrebbe riequilibrarsi la discriminazione consentendo ai soggetti i cui fallimenti non fossero piu' pendenti alla data suddetta l'accesso al nuovo istituto della esdebitazione, in base alla considerazione (peraltro opinabile) che alla non ultrattivita' delle vecchie norme corrisponde l'applicabilita' delle nuove. In tal modo, infatti (e senza considerare la diversita' dei presupposti e degli effetti dei due istituti), non solo si introdurrebbero ulteriori profili di irrazionalita'. del trattamento di situazioni identiche (giacche' solo alcuni dei fallimenti regolati fino alla chiusura dalla medesima disciplina di cui all'originario r.d. n. 267/1942 darebbero - in astratto - diritto alla esdebitazione), ma si priverebbero di fatto i debitori i cui fallimenti siano stati chiusi da piu' di un anno prima del 16 luglio 2006 sia della riabilitazione, sia della esdebitazione, poiche' quest'ultima puo' essere concessa soltanto con il decreto di chiusura del fallimento o sul ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo alla chiusura (art. 143 l.f. come riscritto dall'art. 128, d.lgs. n. 5/2006). Ed infatti nei casi noti in cui i tribunali si sono trovati a decidere su ricorsi per riabilitazione presentati da debitori i cui fallimenti erano stati aperti e chiusi sotto il vigore della legge fallimentare previgente sono dovuti, pur ipotizzando l'ammissibilita' dei ricorsi, pervenire al loro rigetto quanto meno per decorso del termine annuale (cosi' Tribunale Padova e Tribunale La Spezia, entrambi in data 5 ottobre 2006). 13. - L'unico correttivo che potrebbe consentire di pervenire a soluzioni non discriminatorie quanto meno delle situazioni dei soggetti i cui fallimenti siano stati e/o siano disciplinati dall'originario r.d. n. 267/1942 (la diversita' di trattamento connessa alla diversita' della disciplina applicabile alla procedura concorsuale non viene in rilievo nel caso di specie e cio' esime dall'approfondire l'esame della sua valutazione in rapporto all'art. 3 Cost.) consiste nel considerare «pendenti», ai fini dell'art. 150, d.lgs. n. 5/2006, non solo le procedure aperte e non ancora chiuse fino al 15 luglio 2006, ma tout court ogni procedura aperta prima di tale data e - ancorche' chiusa - ancora suscettibile di esplicare effetti indiretti, quale presupposto del procedimento di riabilitazione. In tal modo, per tutti i fallimenti sottoposti al regime della vecchia legge fallimentare - in qualsiasi momento dichiarati e chiusi - sarebbe consentito l'accesso degli interessati agli effetti di estinzione del reato o della pena di bancarotta semplice e di non menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale, ancor oggi derivanti dalla sentenza di riabilitazione. Ma a tale risultato non sembra potersi giungere per via interpretativa, considerato non solo che il termine «pendenti» utilizzato dal legislatore per regolare l'ultrattivita' delle vecchie norme evoca procedure tutt'ora in corso (e non certo anche procedure chiuse anche da diversi anni), ma che al medesimo risultato conduce anche la esplicita finalizzazione della ultrattivita' in parola alla «definizione» delle procedure stesse (con cio' escludendosi la applicabilita' della legge anteriore a procedure gia' definite). Non puo', inoltre, non tenersi in conto che, se si fosse voluto riferire anche alle procedure fallimentari non piu' pendenti alla data piu' volte ricordata ed ai procedimenti ad esse connessi, il legislatore (per quanto si tratti di un legislatore la cui tecnica di redazione delle norme e' stata da piu' parti definita sciatta, incompleta e ricca di sviste ed omissioni) avrebbe potuto piu' semplicemente prevedere l'applicabilita' della legge anteriore in relazione alle procedure «aperte» o «iniziate» prima della data di entrata in vigore della legge nuova. Ad operare simile correzione non pare legittimato l'interprete, il quale puo' solo, ricorrendone le condizioni, sollecitare l'intervento dell'organo preposto alla verifica di costituzionalita' delle leggi. 14. - La constatazione della disparita' di trattamento di situazioni identiche determinata da tutte le interpretazioni possibili dell'art. 150, d.lgs. n. 5/2006, il quale non prevede l'applicabilita' della previgente disciplina della riabilitazione civile (artt. 142-145) in relazione a tutti i fallimenti soggetti alla medesima disciplina normativa posta dal r.d. n. 627/1942 nel testo originario, si traduce, quindi, in questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost., che deve essere sollevata d'ufficio, giacche' sussistono le condizioni previste dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. 15. - La questione, infatti, e', anzitutto, non manifestamente infondata, per quanto si e' gia' osservato sopra circa l'irragionevolezza della disparita' di trattamento cui da' luogo l'impossibilita' di accesso ai perduranti effetti favorevoli della riabilitazione da parte di soggetti il cui fallimento e' stato disciplinato - dalla dichiarazione fino alla chiusura - dalla precedente legge fallimentare, per la sola circostanza (non necessariamente dipendente da inerzia degli interessati) del non essere stata la riabilitazione pronunciata prima della data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006 (alla cui disciplina i fallimenti in questione restano estranei). E' sufficiente, poi, ricordare il costante insegnamento del giudice delle leggi (su cui si veda, ad esempio, Corte cost. 6 giugno 2006 n. 234) secondo cui comporta violazione del principio di uguaglianza costituzionalizzato dall'art. 3 Cost., una disciplina normativa che implichi disparita' di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali, venendo, nella specie, a riservare un trattamento deteriore a chi non abbia potuto, alla data di entrata in vigore della riforma, ottenere una sentenza di riabilitazione, rispetto a chi, versando nella medesima situazione, aveva gia' potuto usufruire della riabilitazione e beneficiare degli effetti della stessa, quale causa di estinzione del reato di bancarotta semplice o della relativa pena e di non menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale. 16. - La questione e', oltre che non manifestamente infondata, anche rilevante, poiche' la norma sospettata di incostituzionalita' deve trovare applicazione ai fini' della decisione del presente ricorso e comporterebbe una declaratoria di inammissibilita' del ricorso medesimo, laddove l'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale consentirebbe invece al Tribunale di esaminare nel merito la fondatezza ed al ricorrente di ottenere, poiche' - come detto in premessa - ne ricorrono le condizioni, una pronuncia di riabilitazione civile che abbia come effetti (se non quello di fare cessare le incapacita' personali derivanti dal fallimento, da ritenere comunque ormai cessate) l'estinzione della pena applicata per il reato di bancarotta semplice e la non menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale. 17. - Pertanto, deve essere rimessa alla Corte costituzionale, cui vanno trasmessi gli atti, la questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 150, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui, limitando la applicabilita' della legge anteriore alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto medesimo ed ai fini della loro definizione, anziche' estenderla a qualsiasi fine a tutti i fallimenti dichiarati prima della data stessa, non consente di ottenere la riabilitazione civile e di beneficiare dei persistenti effetti della stessa (quale causa di estinzione del reato o della pena di bancarotta semplice e di non menzione del fallimento nei certificati generali e civili del casellario giudiziale rilasciati a richiesta di privati o di pubbliche amministrazioni); ai soggetti i cui fallimenti siano stati o restino disciplinati esclusivamente dalla legge anteriore. Il presente giudizio deve essere conseguentemente sospeso.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e ss., legge n. 87/1953; 1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 150, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui, limitando la applicabilita' della legge anteriore alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto medesimo ed ai fini della loro definizione, anziche' estenderla a qualsiasi fine a tutti i fallimenti dichiarati prima della data stessa, non consente di ottenere la riabilitazione civile e di beneficiare dei persistenti effetti della stessa (quale causa di estinzione del reato o della pena di bancarotta semplice e di non menzione del fallimento nei certificati generali e civili del casellario giudiziale rilasciati a richiesta di privati o di pubbliche amministrazioni) ai soggetti i cui fallimenti siano stati o restino disciplinati esclusivamente dalla legge anteriore (r.d. 16 marzo 1942, n. 267 nella formulazione originaria); 2) Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 3) Manda alla cancelleria per la suddetta trasmissione nonche' per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento della Repubblica; 4) Sospende il presente giudizio fino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Cosi' deciso, nella Camera di consiglio del 26 aprile 2007. Il Presidente: Grilli Il giudice estensore: Filocamo 07C1318