N. 67 SENTENZA 20 - 22 febbraio 1990
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Espropriazione- Determinazione dell'indennita'- Mancanza della relazione di stima della commissione prevista dalla legge o dell'U.T.E.- Diritto di agire in giudizio- Esclusione- Richiamo alle sentenze nn. 47/1964 e 186/1972- Violazione del diritto di difesa in concreto e di quello di agire in giudizio- Illegittimita' costituzionale. (Legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, cosi' modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10). (Cost., artt. 24, primo comma, e 42).(GU n.9 del 28-2-1990 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 15 e 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilita', modifiche ed integrazioni alle l. 17 agosto 1942, n. 1150, l. 18 aprile 1962, n. 167, l. 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia, agevolata e convenzionata), come modificati dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei suoli), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 20 aprile 1989 dalla Corte d'Appello di Salerno nel procedimento civile vertente tra Ferrara Alfonso ed altri e la s.r.l. Cooperativa Salvo D'Acquisto ed altro, iscritta al n. 309 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989; 2) ordinanza emessa il 28 febbraio 1989 dalla Corte di Cassazione nel procedimento civile vertente tra Mezzetti Natale e il Comune di Castel San Pietro Terme, iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visto l'atto di costituzione di Mezzetti Natale nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 1989 il Giudice relatore Gabriele Pescatore; Uditi l'avv. Francesco Paolucci e l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza in data 28 febbraio 1989, la Corte di Cassazione ha sollevato, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19, primo comma, della legge 22 settembre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non consente che il proprietario, gia' espropriato, di un bene immobile e gli altri interessati possano agire in giudizio per la determinazione della indennita' di espropriazione anche in mancanza della relazione di stima della commissione di cui all'art. 16 o dell'U.T.E., quando sia trascorso il tempo ragionevolmente necessario per il compimento delle relative attivita'. La questione si e' posta nel corso del procedimento promosso per la determinazione dell'indennita' definitiva da parte del proprietario di un'area occupata in via d'urgenza nel 1982 ed espropriata nel 1983. L'interessato non aveva accettato l'indennita' provvisoria determinata dal comune espropriante e aveva convenuto lo stesso davanti alla Corte d'appello, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 865 del 1971, chiedendo che fosse stabilita la giusta indennita' di espropriazione. La Corte d'appello dichiaro' inammissibile la domanda, mancando la stima della indennita' definitiva ad opera della commissione provinciale, competente a norma dell'art. 16 della legge gia' menzionata. Avverso tale decisione il proprietario aveva proposto ricorso per cassazione. Il giudice a quo osserva che in effetti il ricorrente agisce per ottenere la determinazione dell'indennita' definitiva, cui ha diritto a seguito del provvedimento di espropriazione, non impugnato, ne' posto in contestazione. La tutela di tale diritto si attua, in virtu' della legge n. 865 del 1971, mediante un giudizio affidato alla cognizione speciale in unico grado della Corte d'appello, giudizio che si instaura con l'opposizione alla stima dell'indennita' definitiva. Tale stima - osserva ancora la Corte di Cassazione - si pone come presupposto dell'azione giudiziaria e la sua mancanza determina l'improponibilita' della domanda. Per contro, la determinazione dell'indennita' non costituisce presupposto per la pronuncia del decreto di espropriazione. La conseguenza e' che puo' accadere, e normalmente accade, che il provvedimento di espropriazione sia emanato senza (o comunque prima) che sia stata determinata l'indennita' definitiva. D'altra parte, per la determinazione, comunicazione e pubblicazione dell'indennita' definitiva la legge non stabilisce altri termini, se non quello di trenta giorni dalla richiesta alla commissione o all'U.T.E., ma anche tale termine non e' posto in collegamento con il decreto di esproprio e si presenta, in ogni caso, come meramente ordinatorio, non derivando dalla sua inosservanza alcun effetto sul procedimento. L'espropriato dunque, gia' spogliato della proprieta', puo' trovarsi indefinitamente e ingiustificatamente paralizzato nel suo diritto a conseguire l'indennita' dovutagli di cui, finche' manchi la stima non puo' chiedere nemmeno la determinazione giudiziale. Tale situazione - conclude l'ordinanza di rimessione - si pone in contrasto con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, il quale proclama che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. 2. - Si e' costituita davanti alla Corte la parte ricorrente nel giudizio a quo, sostenendo che la norma impugnata si pone in contrasto non solo con l'art. 24, ma anche con l'art. 42 della Costituzione. Con l'esproprio il diritto del proprietario si converte nel diritto all'indennita': il titolo al pagamento nasce quindi al momento dell'emanazione del provvedimento ablativo ed e' sin da allora che si deve consentire al privato di poter agire. La parte privata conclude quindi per la declaratoria di illegittimita' della norma impugnata. 3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha affermato l'inammissibilita' della questione. La Corte di Cassazione non avrebbe dovuto infatti limitarsi ad osservare che l'azione davanti alla corte d'appello non puo' essere proposta se non dopo la determinazione dell'indennita' definitiva, ma avrebbe dovuto altresi' esaminare se nessun altro rimedio giuridico sia offerto dall'ordinamento per ovviare all'inerzia dell'espropriante. In ogni caso, ad avviso dell'Avvocatura, deve dichiararsi l'infondatezza della questione, perche' il proprietario ha i mezzi per evitare il protrarsi della situazione di inerzia. Egli puo' anzitutto far ricorso al giudice perche' assegni all'ente espropriante un termine, ai sensi dell'art. 1183 cod. civ., entro il quale dar corso alle attivita' previste dall'art. 15 della legge. Inoltre, il proprietario potrebbe diffidare l'ente espropriante al compimento dell'attivita' dovuta e, nel caso di protratta inerzia, impugnarne il silenzio rifiuto ai sensi dell'art. 27 n. 4 del t.u. n. 1054 del 1924, potendosi pervenire, se del caso, alla nomina di un commissario ad acta. Comunque - osserva ancora l'Avvocatura - la questione e' inammissibile perche' si chiede alla Corte di integrare e modificare la norma impugnata, inserendo in essa la previsione di una ipotesi di decadenza per il mancato compimento dell'attivita' dovuta, ovvero la determinazione di un congruo termine perentorio, con invasione della sfera riservata al potere legislativo. 4. - Con ordinanza in data 20 aprile 1989, la Corte d'appello di Salerno ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 15 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come sostituito dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non prevede la prefissione di termini perentori per il compimento delle attivita' previste in detta norma; b) dell'art. 19 della stessa legge, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui, accanto alla opposizione alla stima effettuata dall'U.T.E., non prevede, per il caso di omissione da parte dell'espropriante delle attivita' di cui all'art. 15, il ricorso diretto del proprietario e degli altri interessati alla Corte d'appello competente per territorio, ai fini della determinazione giudiziaria della indennita' definitiva di espropriazione. Il giudice a quo - adito dai proprietari di un'area i quali, dopo aver rifiutato l'indennita' provvisoria ed avere subito l'espropriazione del bene, proponevano opposizione avverso l'indennita' indicata nel decreto di espropriazione - osserva che e' stata eccepita l'improponibilita' della domanda per mancata determinazione dell'indennita' definitiva. Tale comportamento omissivo della pubblica amministrazione - prosegue l'ordinanza di rimessione - e' certamente lesivo del diritto soggettivo dell'espropriato a conseguire l'indennita' dovutagli (art. 42, terzo comma, della Costituzione; art. 834 cod. civ.; art. 24, legge 25 giugno 1865, n. 2359; artt. 11, 13, 15, legge n. 865 del 1971; legge n. 247 del 1974; legge n. 10 del 1977) e ad opporsi a quella determinata in misura eventualmente incongrua. Mentre nella ipotesi di avvenuta determinazione della indennita' definitiva (art. 15, legge n. 865 del 1971) e' previsto uno specifico mezzo di difesa del diritto insufficientemente indennizzato, mediante la opposizione alla stima innanzi alla corte d'appello (art. 19 legge citata), la stessa legge, viceversa, non prevede alcun mezzo di tutela innanzi al giudice ordinario contro l'omessa determinazione da parte della pubblica amministrazione espropriante. Il titolare del diritto soggettivo si viene a trovare, cosi', inerme, in attesa per un tempo indefinito e sprovvisto di altri mezzi di tutela, non essendo esperibili ne' il ricorso all'art. 1183 cod. civ., per il divieto posto al giudice ordinario di ordinare un "facere" alla pubblica amministrazione, ne' il ricorso al procedimento per la formazione del silenzio - rifiuto. Da quanto innanzi - conclude il giudice a quo - deriva che nella situazione esposta non sussiste possibilita' di agire in giudizio per la rimozione dell'ostacolo all'esercizio del diritto soggettivo indicato, ne' tutela giurisdizionale adeguata al diritto leso. 5. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza delle questioni, con argomenti che in linea generale riecheggiano quelli svolti nell'intervento gia' riferito. Considerato in diritto 1. - Le ordinanze innanzi indicate denunciano l'illegittimita' costituzionale delle stesse disposizioni di legge, sulla base di argomentazioni analoghe. I relativi procedimenti vanno quindi riuniti per essere definiti con una unica decisione. 2. - La Corte di Cassazione e la Corte d'appello di Salerno impugnano l'art. 19, primo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10), nella parte in cui non consente che in caso di espropriazione il proprietario del bene e gli altri interessati possano agire in giudizio per la determinazione dell'indennita' loro dovuta, anche in mancanza della relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge stessa. Per entrambi i giudici la disciplina e' sospetta di contrasto con l'art. 24 della Costituzione; per la Corte d'appello di Salerno sarebbe violato anche l'art. 42. 3. - Osserva preliminarmente la Corte che il diritto alla determinazione dell'indennita' di espropriazione puo' essere tutelato, secondo quanto previsto dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865, mediante un giudizio affidato alla cognizione speciale in unico grado della Corte d'appello. L'art. 19 consente all'interessato di proporre opposizione alla stima della indennita' definitiva operata dalla apposita commissione istituita in ogni provincia (art. 16), ovvero, finche' le commissioni stesse non siano insediate, dall'Ufficio tecnico erariale (art. 19, secondo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10), entro trenta giorni dall'inserzione dell'avviso del deposito della relazione nel Foglio degli annunzi legali della provincia. Secondo una consolidata giurisprudenza, richiamata dalle ordinanze di rimessione, la stima delle indennita', con i procedimenti indicati, si pone come presupposto dell'azione giudiziaria e la sua mancanza determina l'improponibilita' della domanda. Per contro, essa non impedisce la pronuncia del decreto di espropriazione, il quale a norma dell'art. 13 della legge n. 865 del 1971 - e' emanato dall'autorita' competente entro quindici giorni dalla richiesta dell'espropriante, che provi di avere adempiuto a quanto previsto dall'art. 12 (pagamento dell'indennita' provvisoria accettata dall'espropriando ovvero deposito presso la Cassa depositi e prestiti dell'indennita' non accettata). Puo' dunque avvenire, e risulta avvenuto nelle vicende che hanno dato origine ai giudizi a quibus, che il provvedimento di espropriazione sia emanato prima della determinazione dell'indennita' definitiva, che tale determinazione manchi anche a lungo e che l'espropriato, gia' privato della proprieta' del bene e non indennizzato, non possa neppure agire per ottenere la determinazione giudiziale di quanto dovutogli. Tale situazione risulta priva di rimedi efficaci. E' ben vero che questa Corte, esaminando la fattispecie disciplinata dall'art. 12 del decreto-legge luogotenenziale 27 febbraio 1919, n. 219 (convertito in legge 24 agosto 1921, n. 1290), ritenne che l'espropriato, per ottenere il deposito dell'indennita' di espropriazione, potesse far ricorso alla procedura prevista dall'art. 1183 cod. civ. che consente la fissazione, ad opera del giudice, del termine entro il quale la pubblica amministrazione deve effettuare tale deposito (sent. n. 138 del 1977). Ma in quel caso si lamentava che l'espropriazione potesse precedere il deposito dell'indennita' senza che fosse fissato un termine entro il quale esso doveva avvenire. Nel caso di specie, invece, si lamenta che sia inibita "sine die" all'espropriato l'esperibilita' dell'azione giudiziaria per ottenere la determinazione della giusta indennita', in attesa del deposito della relazione di stima dei beni espropriati, non essendo fissato un termine entro il quale la stima deve essere effettuata. Trattasi, pertanto, di fattispecie obiettivamente diverse, in relazione alla prima delle quali la violazione dell'art, 24 della Costituzione non era stata neppure dedotta. E' appunto tale norma costituzionale, invece, che risulta violata dall'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, cosi' come mod. dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. 4. - Questa Corte ha costantemente affermato che la tutela giurisdizionale garantita dalla Costituzione non deve necessariamente porsi in relazione di immediatezza con il sorgere del diritto. Essa ha pero' precisato, fin dalla sentenza n. 47 del 1964, che la determinazione concreta di modalita' e di oneri non deve rendere difficile o impossibile l'esercizio di tale diritto, ostacolandolo fino al punto di pregiudicarlo o renderlo particolarmente gravoso. Tali enunciazioni di principio sono alla base della decisione (sent. n. 186 del 1972), con cui venne dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 146 della legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269), perche' consentiva all'amministrazione finanziaria, discrezionalmente e senza limite di tempo, di procrastinare la definitivita' dell'accertamento del tributo di registro, impedendo cosi' l'esplicazione della tutela giurisdizionale. Nel caso ora considerato ricorrono ragioni analoghe. La pubblica amministrazione, omettendo l'adempimento relativo alla relazione di stima, puo' ritardare in modo indefinito non solo la corresponsione dell'indennita', ma lo stesso esercizio della potesta' di agire in giudizio da parte dell'interessato. A cio' si aggiunga che - come e' stato posto in luce nella relazione al disegno di legge governativo n. 1947/S, annunciato in Aula il 14 novembre 1989, recante "Norme in materia di espropriazione per pubblica utilita'" - e' sempre piu' frequente la perdita anticipata della disponibilita' del bene. L'occupazione di urgenza, si legge infatti nella relazione, e' andata perdendo la sua connotazione originaria di istituto eccezionale, per divenire sempre piu' lo strumento abituale mediante il quale l'espropriante puo', prima dell'espropriazione, immettersi nel possesso del bene e, al tempo stesso, differire l'adempimento dell'obbligo di corrispondere l'indennita' dovuta fino alla scadenza del termine legale dell'occupazione. Anche la natura rigorosamente temporanea dell'occupazione, prosegue la relazione, e' venuta sensibilmente ad attenuarsi: il termine di durata e' stato, infatti, portato da due a cinque anni con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, e quindi piu' volte prorogato per le occupazioni in atto al momento dell'entrata in vigore delle relative disposizioni. Secondo la disciplina vigente, il proprietario del bene puo' dunque perderne la disponibilita' e in seguito anche la titolarita', restando per un lungo e non definito tempo privo di ristoro e paralizzato nella difesa. Situazione, questa, in sicuro contrasto con l'art. 24 della Costituzione, per il quale la tutela giurisdizionale, pur potendo diversamente modularsi da caso a caso, deve essere effettiva e non puo' quindi non concretarsi in adeguata protezione. Ne' puo' accedersi alla tesi prospettata dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il privato potrebbe avvalersi del previo ricorso, al giudice ordinario, ex art. 1183 cod. civ. - affinche' fissi un termine alla pubblica amministrazione per dar luogo alla stima ed agli altri adempimenti previsti dall'art. 15 della legge n. 865 del 1971 -, nonche' al giudice amministrativo, impugnando il silenzio-rifiuto sulla richiesta all'amministrazione di adempiere. A parte i problemi inerenti alla esperibilita' astratta di tali rimedi, evidente e', infatti, il loro carattere defatigante e non conclusivo e la conseguente scarsa efficacia al fine di assicurare all'espropriato, in tempi ragionevoli, la concreta e definitiva determinazione dell'indennita' di espropriazione. Certo, come osserva l'Avvocatura generale dello Stato, non spetta alla Corte surrogarsi al legislatore, stabilendo termini e modalita' del procedimento di acquisizione di beni per pubblica utilita'. Ma spetta alla Corte stabilire i limiti al di la' dei quali le garanzie apprestate dalla Costituzione devono ritenersi violate. Nel caso considerato, per dare effettivita' al diritto garantito dall'art. 24 della Costituzione, non puo' negarsi all'interessato di agire per ottenere l'indennizzo sancito nell'art. 42 della Costituzione, quanto meno dal momento in cui egli perde la proprieta' del bene. Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, cosi' come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui, pur dopo l'avvenuta espropriazione, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennita', finche' manchi la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge. 5. - La Corte d'Appello di Salerno ha impugnato altresi' l'art. 15 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come sostituito dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non prevede la prefissione di termini perentori per il compimento delle attivita' previste in detta norma (richiesta di determinazione della indennita' e successiva comunicazione, deposito e pubblicita' della indennita' determinata). La questione deve ritenersi assorbita a seguito dell'accoglimento dell'impugnazione relativa all'art. 19 della stessa legge.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilita', modifiche e integrazioni alle l. 17 agosto 1942, n. 1150, l. 18 aprile 1962, n. 167, l. 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia, agevolata e convenzionata), come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei suoli), nella parte in cui, pur dopo l'avvenuta espropriazione, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennita', finche' manchi la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1990. Il Presidente: SAJA Il redattore: PESCATORE Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 22 febbraio 1990. Il direttore della cancelleria: MINELLI 90C0186