N. 752 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 gennaio 2007
Ordinanza emessa il 23 gennaio 2007 dalla Corte di appello di Perugia nel procedimento penale a carico di Servettini Fausto Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione, salvo nelle ipotesi di cui all'articolo 603, comma 2, cod. proc. pen., se la nuova prova e' decisiva - Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Lesione del principio di parita' delle parti - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e del principio della ragionevole durata del processo - Lesione del principio di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale. - Codice di procedura penale, art. 593, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10. - Costituzione, artt. 3, 97, 111 e 112.(GU n.45 del 21-11-2007 )
LA CORTE DI APPELLO Letta l'eccezione di illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 593 c.p.p., come modificato dall'art. 1, legge n. 46/2006, e 10 legge cit. sollevata dalla procura generale, O s s e r v a Nel presente processo la questione di illegittimita' del combinato disposto normativo di cui sopra si presenta certamente rilevante in quanto la Corte, investita dall'appello proposto dal p.m. avverso una sentenza di proscioglimento, in applicazione delle norme impugnate, dovrebbe dichiarare l'inammissibilita' dell'appello medesimo. Venendo dunque all'esame del merito della questione sollevata dal p.g. ritiene la Corte che l'eccezione di incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 593 c.p.p. - come modificato dall'art. 1, legge n. 46/2006 - e 10, legge cit., nella parte in cui inibiscono al p.m. di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento ed impongono la declaratoria di inammissibilita' degli appelli gia' proposti, sia non manifestamente infondata, anche per profili diversi da quelli posti in rilievo dall'eccipiente. La nuova normativa infatti, per quanto si dira', realizza una drastica compromissione dei poteri processuali del p.m., determinando una evidente asimmetria, quanto ai poteri di impugnazione delle sentenze, la quale non puo' dirsi assolutamente giustificata da ragionevoli considerazioni di principio ovvero di politica legislativa processuale, con conseguente violazione, sotto questo profilo degli artt. 111, secondo comma, e 3 Cost. Inoltre la stessa, in sede applicativa, e' foriera di tali incongruenze, da consegnare nelle mani degli operatori del diritto un meccanismo praticamente ingestibile, nell'ambito del quale qualsiasi opzione ermeneutica si prediliga e' ineluttabilmente destinata a cozzare con un diverso profilo di illegittimita' costituzionale, determinando, soprattutto nel regime transitorio, notevoli disparita' di trattamento ovvero la necessita', onde evitare soluzioni pasticciate, del ricorso ad una sorta di giurisprudenza «creativa», o «suppletiva» delle sviste del legislatore. Tutto cio' in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) ed a conferma della irragionevolezza complessiva del sistema delineato dalla normativa in argomento. Quest'ultima inoltre, in particolar modo nel regime transitorio, e' destinata ad incidere negativamente sui tempi processuali, determinando la necessita' dello svolgimento di un maggior numero di gradi di giudizio, a fronte di sentenze gravemente erronee, laddove l'errore ridondi in vizio di motivazione, in violazione del citato secondo comma dell'art. 111 Cost., ultimo periodo. Risulta pertanto necessario, al fine di porre in luce i profili di incostituzionalita' delineati in termini generalissimi, rivolgere uno sguardo di insieme alla nuova legge, ai lavori preparatori, alla interlocuzione del Presidente della Repubblica, che ha ravvisato profili di manifesta illegittimita', rinviando la legge alle Camere per una nuova deliberazione, nonche' alle modifiche apportate onde correggere le suddette censure di incostituzionalita'. Un tale discorso di insieme, lungi dal coinvolgere in un generico giudizio negativo l'impianto generale della legge, in violazione della regola della obbligatoria rilevanza della questione, e' utile e necessario al fine di evidenziare la profonda irrazionalita' della norma da applicare nel caso di specie. Al riguardo va in primo luogo sgombrato il campo da un falso presupposto teorico che riecheggia nei lavori preparatori della legge n. 46/2006, secondo cui la eliminazione del potere del p.m. di appellare le sentenze di proscioglimento sarebbe conforme ad un principio generale, sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. In base a tale tesi l'imputato potrebbe essere riconosciuto colpevole solo a seguito di due pronunce di merito conformi nella affermazione di colpevolezza. Diritto del quale sarebbe privato in caso di condanna in secondo grado a seguito dell'accoglimento dell'appello avverso il proscioglimento, non essendovi in questo caso spazio per un riesame nel merito della affermazione della colpevolezza. Tale tesi dimentica tuttavia che l'art. 2 del VII Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sottoscritto a Strasburgo il 22 novembre 1984 e ratificato in Italia con legge 9 aprile 1990, n. 98, prevede la possibilita' che un soggetto venga «dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento», e in questo caso anzi si esclude che il soggetto medesimo abbia diritto a un ulteriore gravame di merito. Se dunque e' erroneo il presupposto teorico di fondo della novella, ne discendono per li rami le conseguenze in punto di irrazionalita' di una disciplina che, nel differenziare drasticamente i poteri di impugnazione delle parti, e nel sacrificare pressoche' totalmente quelli del p.m. (e di riflesso della persona offesa), non risponde ad alcuna logica giustificazione. Se a cio' si aggiunge che, nel concreto della disciplina, le nuove norme risultano mal coordinate e tali da rendere obbligatori degli sbocchi processuali del tutto incongrui, la incostituzionalita' per irragionevolezza si manifesta in tutta la sua evidenza. Ed infatti, calandoci dai supremi principi alla applicazione pratica, si rilevano plurime anomalie ed irragionevoli disparita' di trattamento tra p.m. e persona offesa da un lato, parte civile ed imputato dall'altro, con la «stranezza» che la parte civile viene a condividere con l'imputato, suo contraddittore naturale, un destino di maggior favore rispetto a quello riservato al p.m. Nella previgente disciplina il piu' vistoso caso di asimmetria in relazione ai poteri di impugnazione delle parti riguardava le sentenze emesse all'esito del giudizio abbreviato, non potendo il p.m., salvo il caso del mutamento del titolo del reato, proporre appello avverso la sentenza di condanna. Tale disciplina era stata pacificamente ritenuta conforme al dettato costituzionale, in quanto la limitazione al potere di appello del p.m. riguardava una sentenza che, pur eventualmente deludendolo in punto di trattamento sanzionatorio, comunque accoglieva la tesi della penale responsabilita' dell'imputato. E tale sacrificio era giustificato dalla circostanza che il p.m. beneficiava della possibilita' di far valere come prove tutti gli atti raccolti nel corso delle indagini preliminari. Invece, nella disciplina introdotta dalla legge n. 46/2006, il p.m. e' in primo luogo privato del potere di proporre appello (id est di ottenere un riesame nel merito) addirittura avverso una sentenza di proscioglimento, che cioe' sconfessa totalmente la tesi accusatoria, ma tale radicale sacrificio non e' compensato da alcuna previsione di favore per la parte pubblica ne' altrimenti giustificato. E come si e' detto tale giustificazione non puo' rinvenirsi nelle fonti sopranazionali (che, nell'interpretazione costante, consentirebbero addirittura l'abolizione dell'appello dell'imputato, essendo il suo diritto alla impugnazione della condanna salvaguardato dalla obbligatoria previsione della ricorribilita' per cassazione delle sentenze), e tanto meno trova albergo al riparo di altri principi quali la ragionevole durata del processo ovvero l'immediatezza ed oralita' del processo. Sotto il primo profilo, come si vedra', le nuove disposizioni sono destinate ineluttabilmente ad allungare i tempi processuali. Il richiamo invece alla oralita' ed immediatezza, secondo cui il giudice d'appello, che decide sulle carte, non puo' sovvertire la decisione del giudice di primo grado che ascolta direttamente i testimoni, prova troppo, dovendo tale argomento necessariamente valere, dal punto di vista logico, anche in relazione all'appello proposto dall'imputato. Ne consegue che la sostanziale esclusione del potere di proporre appello da parte del p.m. sacrifica in maniera del tutto ingiustificata ed irrazionale la parita' delle parti nel processo e la stessa sua funzione di pervenire comunque (o di avvicinarsi tendenzialmente) alla verita' storica, inibendo un controllo giurisdizionale su eventuali errori di merito. B) Del tutto teorica e marginale e' la residua facolta' di appello conservata al p.m. (dopo il rinvio della legge alle Camere) in caso di sopravvenienza o scoperta di una nuova prova dopo il giudizio di primo grado. Anche questa previsione si apprezza per la sua palese inutilita' ed irrazionalita'. Sotto il primo profilo essa relega in un ambito statisticamente irrilevante il potere del p.m. di proporre appello, in considerazione del fatto che la nuova prova deve sopravvenire, in sostanza, durante il breve termine per appellare (di 15, 30 o 45 giorni a seconda dei casi), la cui durata, tra l'altro, dipende da fattori del tutto casuali, quali la indicazione o meno di un termine per il deposito della motivazione, il rispetto di tale termine da parte del giudice, la rapidita' della cancelleria e degli organi a cio' addetti nel notificare l'estratto della sentenza della parte eventualmente contumace. Con la ulteriore conseguenza che lo stesso rischio per l'imputato di dover subire il processo di appello dipende da circostanze assolutamente imponderabili e non da egli controllabili. A cio' si aggiunga che con i limitati poteri di indagine di cui dispone il p.m. dopo il rinvio a giudizio ex art. 430 c.p.p., la emersione di una nuova prova nel ristretto termine suddetto costituira' evenienza talmente rara da sfiorare il miracolistico. Sotto il profilo della razionalita' poi davvero non si riesce a comprendere perche' il potere di conservare alla parte pubblica un ulteriore grado di giudizio di merito debba essere riconosciuto solo ad una prova scoperta in quel limitato termine e non anche nelle more della celebrazione del giudizio di cassazione instaurato a seguito del ricorso proposto dal p.m. (verificandosi altrimenti il passaggio in giudicato della sentenza che preclude ab imis la possibilita' di far valere una nuova prova di colpevolezza, non conoscendo il nostro ordinamento la revisione in malam partem). Insomma, non potendo esser fatta valere l'emersione di una nuova prova davanti alla Corte di cassazione, il p.m. dovra' sperare solo nell'annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado, davanti al quale far valere la suddetta prova, verificandosi, in caso contrario, il definitivo scollamento, a causa della scelta di inibire la celebrazione di un secondo grado di merito, tra verita' processuale e verita' storica. Ancora va considerato che, in base alla nuova formulazione dell'art. 593 c.p.p., in caso di emersione di una prova nuova, anche l'imputato potra' proporre appello avverso una sentenza di proscioglimento pronunciata con una formula che possa eventualmente arrecargli pregiudizio (ad es. per difetto di dolo - con conseguente possibilita' di esperimento di azione civile risarcitoria nei suoi confronti per illecito civile colposo - ovvero per difetto di imputabilita). Orbene, in quest'ultimo caso, avverso la stessa sentenza potrebbero essere proposti mezzi di impugnazione diversi - l'appello da parte dell'imputato ed il ricorso per cassazione da parte del p.m. - senza che sia previsto alcuno strumento onde evitare la anomalia della contemporanea pendenza dello stesso processo in gradi diversi, non potendo operare, in una simile ipotesi, il meccanismo della conversione ex art. 580 c.p.p., ristretto ai soli casi di connessione ex art. 12 c.p.p. Infine, sempre con riferimento al tema della prova nuova, e con specifico riguardo alla normativa transitoria, il legislatore non ha previsto la salvezza dell'appello, gia' validamente proposto dal p.m. nel vigore della previgente disciplina, qualora negli stessi motivi di appello ovvero direttamente in dibattimento, l'appellante abbia chiesto la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deducendo una prova sopravvenuta. Con la irragionevole conseguenza, non superabile in via interpretativa, salvo a ricorrere a soluzioni «creative» o «integrative», che un appello che sarebbe valido anche secondo la nuova normativa - e che e' stato validamente proposto secondo la legge vigente al momento della sua proporzione - debba essere tuttavia dichiarato inammissibile, prevedendo l'art. 10, comma 2, legge n. 46/2006, la declaratoria di inammissibilita' dell'appello tout court, senza alcuna deroga o possibilita' di valutare gli appelli pendenti secondo il nuovo parametro introdotto dal novellato art. 593 c.p.p. C) La irragionevole disparita' di trattamento introdotta con la limitazione (rectius esclusione) della possibilita' del p.m. di appellare avverso le sentenze di proscioglimento, si apprezza anche con riguardo alla posizione della parte civile. In proposito, limitandoci ad una mera ricognizione della questione, non direttamente rilevante nel caso di specie se non per i profili di irragionevolezza che introduce, va rilevato che, paradossalmente, all'interno del processo penale, dalla normativa a regime, viene tolta al p.m. una facolta' che invece viene confermata in capo alla parte civile (per lo meno secondo la tesi che si fonda sulla voluntas legislatoris, malamente espressa nel testo normativo, emendato a seguito del messaggio presidenziale), e cio' nonostante il diverso rango degli interessi perseguiti, la sedes materiae, e la permanente possibilita' del danneggiato dal reato di percorrere i tre gradi di giudizio trasferendo l'azione in sede civile. Ancor piu' evidente tale disparita' di trattamento emerge nella normativa transitoria ove e' pressocche' certo - a prescindere dalla tesi prescelta in relazione alla normativa a regime - che l'appello illo tempore proposto dalla parte civile conservi efficacia, con la conseguenza di mantenere la cognizione della Corte di appello penale esclusivamente su questioni civilistiche, che coinvolgono il merito della vicenda, privandola della corrispondente cognizione penale. Senza considerare l'ulteriore distonia, ridondante in un ulteriore profilo di irrazionalita', in caso del ricorso per cassazione del p.m., della contemporanea pendenza della medesima vicenda processuale in due gradi diversi, di merito e di legittimita', con possibilita' di soluzioni contrastanti, e senza che possa operare - in virtu' della disposizione dell'art. 580 c.p.p. - il meccanismo della conversione. D) L'ultimo profilo di incostituzionalita' della soppressione dell'appello del p.m. realizzato con le imperfette modalita' della legge n. 46/2006, riguarda l'incidenza del sistema delineato sui tempi processuali. Ed infatti e' altamente plausibile che, in caso di pronunce gravemente erronee, eliminandosi il potere emendativo della Corte di appello, a seguito dell'accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal p.m., si celebreranno i normali tre gradi di giudizio, con rischio elevatissimo di prescrizione del reato, vieppiu' alla luce della nuova disciplina dell'art. 157 c.p.p. Cio' accadra' a causa della sostituzione della sequenza: I grado, II grado e Cassazione, con la sequenza: I grado, Cassazione, I grado, II grado, Cassazione. E tale situazione e' ancora piu' drammatica nella disciplina transitoria che sconta la dilatazione dei tempi dovuta al decorso del termine per proporre appello ed all'intervallo tra la sua presentazione e la fissazione dell'udienza. Tutto cio', ragguagliato ai nuovi termini di prescrizione, si risolve in una sostanziale vanificazione della pretesa punitiva dello Stato in aperto contrasto con l'insegnamento di Corte cost. n. 98 del 24 marzo 1994 secondo cui «la configurazione dei poteri di impugnazione del pubblico ministero rimane affidata alla legge ordinaria che potrebbe essere censurata per irragionevolezza solo se i poteri stessi, nel loro complesso, dovessero risultare inidonei all'assolvimento dei compiti previsti dall'art. 112 Cost.» che risulta, conseguentemente, indirettamente violato. In conclusione l'eliminazione del potere del p.m. di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento: viola l'art. 111, secondo comma, Cost. introducendo una ingiustificata disparita' di trattamento tra le parti del processo, da intendersi in tutti i gradi in cui si esso e' destinato ad articolarsi attraverso la possibilita' concessa alle parti di accedervi; viola l'art. 3 Cost. per la manifesta irragionevolezza delle soluzioni normative adottate, tanto nella disciplina a regime quanto in quella transitoria; viola il principio della durata ragionevole del processo di cui all'art. 111 Cost.; viola l'art. 97 Cost. per la concreta ingestibilita' del processo in caso di applicazione della nuova normativa che determina situazioni di necessaria stasi dello stesso; viola l'art. 112 Cost. avviando ad un sicuro destino di prescrizione numerosissimi reati.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamemte infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 593 c.p.p., come modificato dall'art. 1, legge n. 46/2006 e dell'art. 10, legge n. 46/2006, per violazione degli artt. 3, 97, 111 e 112 della Costituzione, secondo quanto esposto nella parte motiva. Sospende il presente procedimento ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria per la notifica dell'ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonche' alle parti processuali. Perugia, udienza del 23 gennaio 2007 Il Presidente: Muscato 07C1297