N. 287 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 1997
N. 287 Ordinanza emessa il 13 marzo 1997 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Piacenza nel procedimento penale a carico di Scagnelli Celestino Reati contro la pubblica amministrazione - Abuso d'ufficio - Fatto commesso al fine di procurare a se' o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto - Asserita indeterminatezza della fattispecie incriminatrice, non superabile per effetto del previsto dolo specifico, per difetto di elementi oggettivamente verificabili - Conseguente possibilita' di inizio del procedimento penale senza previo accertamento della notitia criminis - Ipotizzata indebita ingerenza nella sfera della discrezionalita' della p.a. - Lesione del principio di legalita' e di quello del buon andamento della p.a. (C.P., art. 323, primo comma). (Cost., artt. 25, secondo comma, e 97, primo comma).(GU n.23 del 4-6-1997 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 457/1995 g.i.p. e n. 129/1995 p.m. a carico di Scagnelli Celestino. Il pubblico ministero chiedeva il rinvio a giudizio dell'imputato indicato in epigrafe per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 323, primo comma, c.p. Il g.u.p. fissava l'udienza preliminare. Cio' premesso, questo giudice, ripropone anche nel presente procedimento (tenuto conto dei principi fissati dal combinato disposto dagli artt. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 e 159 c.p.) la questione (gia' sollevata d'ufficio nel procedimento penale n. 255/1995 g.i.p. e n. 625/1994 p.m. in data 16 aprile 1996 in ordine all'art. 323, secondo comma, c.p.) di legittimita' costituzionale dell'art. 323, primo comma c.p. perche' in contrasto con gli artt. 25, secondo comma e 97, primo comma Cost. Esaminando innanzitutto il primo profilo, l'art. 323, primo comma c.p. (ma un discorso analogo puo' farsi per l'art. 323, secondo comma c.p. che prevede, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, una autonoma ipotesi di reato) non pare rispettare uno degli aspetti del principio di legalita' sancito dall'art. 25, secondo comma Cost. e cioe' quello della tassativita' e sufficiente determinatezza della fattispecie incriminatrice; si tratta di un aspetto che, come e' noto, tende a salvaguardare i cittadini contro eventuali abusi del potere giudiziario, a restringere i poteri di interpretazione del giudice. Non si intende certo mettere in discussione che nella redazione delle fattispecie incriminatrici il legislatore possa fare riferimento ad elementi normativi e non solo descrittivi. Si vuole invece evidenziare che l'art. 323 c.p. incentra la condotta esclusivamente sull'abuso d'ufficio rinviando all'elemento soggettivo (dolo specifico) la rilevanza penale del fatto. Senonche', come autorevole dottrina ha osservato, l'abuso e' una figura che non possiede, di per se' stessa, connotati oggettivamente verificabili, essendo il risultato di un giudizio che si esprime su un comportamento spesso solo in ragione del fine che lo ha ispirato; si e' osservato che si tratta di un concetto abbastanza generico, di una locuzione indeterminata, di un termine neutro, incolore. La norma, allora, si presta a facili manipolazioni e ad essere applicata a qualsiasi forma di vizio-irregolarita' di tipo amministrativo (che possono essere legati alle ragioni piu' varie e differenti dalla commissione di un reato); ne conseguono, inevitabilmente, incertezze interpretative, indeterminatezza applicativa. Impostando correttamente il discorso in relazione all'attivita' del giudice fin dall'inizio del procedimento (perche' sarebbe certamente riduttivo prospettarsi la questione guardando all'epilogo del processo) ha ancora osservato autorevole dottrina che il giudice penale puo' dire di trovarsi dinanzi ad una notizia criminis allorche' e' posto alla sua attenzione un fatto che, ad una sommaria valutazione, corrisponda nella sua materialita' ad una ipotesi di reato. Orbene, in relazione all'art. 323 c.p., il carattere neutro della condotta rende poco agevole la sussunzione nell'ambito della norma dei comportamenti piu' vari che possono essere sottoposti al vaglio del giudice. Ne consegue il fondato rischio che, in concreto, l'inizio del procedimento possa precedere l'accertamento di una notitia criminis ed essere diretto, spesso in presenza di una mera ipotesi, a verificare se nella situazione in esame ci sia effettivamente una tale notitia. Va poi evidenziato che, come emerge dai lavori preparatori, il legislatore del 1990 si era espressamente posto l'obiettivo di meglio tipicizzare i comportamenti lesivi dei beni da tutelare nella p.a.; senonche' in tema di abuso, gli stessi lavori rendono chiaro che la formulazione attuale dell'art. 323 c.p. fu dettata anche e soprattutto da motivazioni non tecniche (incentrando la condotta solo sull'abuso e non inserendo un evento di tipo naturalistico si anticipava la soglia di punibilita' "per evitare rimproveri di eccessiva indulgenza"). L'insufficiente determinatezza dell'art. 323 c.p. appare piu' grave se si considera che la norma viene ad assumere un ruolo cardine e centrale nel sistema penale della p.a.: essa non ha piu' la funzione sussidiaria dell'originario abuso innominato; ha inglobato (e si e' parlato di fattispecie "onnivora") il peculato per distrazione, l'interesse privato in atti d'ufficio, l'abuso innominato; e tutto cio' con la previsione di pene certamente non lievi. Ad avviso di questo giudice, inoltre, non si puo' ritenere che l'art. 323 c.p. sia sufficientemente determinato per la presenza del dolo specifico; si tratta, come e' noto, di uno degli argomenti centrali con il quale nella ormai datata sentenza n. 7/1965 la Corte costituzionale dichiaro' non fondata la questione sollevata in relazione alla vecchia fattispecie di abuso innominato. Senonche', come pure e' stato sostenuto in dottrina, la fattispecie non acquisisce maggiore tassativita' attraverso il mero dolo specifico; in proposito non va trascurato che nella interpretazione giurisprudenziale (anche se in verita' nelle pronunce piu' recenti la suprema Corte ha posto un freno a tale orientamento), la prova del dolo specifico viene tratta spesso dalla mera illegittimita' dell'atto e del comportamento: l'elemento soggettivo diviene un mero corollario di quello oggettivo. Passando all'esame del secondo profilo di incostituzionalita' denunciato, va ribadito che sarebbe riduttivo prospettarsi la questione guardando solo al risultato finale del procedimento (l'applicazione "discrezionale" della norma di abuso ai fini di una eventuale condanna): nella realta' giudiziale, anzi, pare prevalgono decisioni in senso assolutorio. Occorre invece considerare quella che una autorevole dottrina ha definito una invadenza giudiziale "primaria", che si esprime, di per se', attraverso la sola attivazione dei meccanismi processuali. In questo senso l'art. 323 c.p., con la sua insufficiente determinatezza costituisce una facile chiave di accesso a disposizione del giudice penale per penetrare nel territorio della p.a. ed instaurare un processo penale: e gia' soltanto questo, si e' giustamente osservato, e' fonte di immediato discredito per i pubblici amministratori e di riflesso per la p.a. L'art. 323 c.p. costituisce allora "una spada di Damocle" che grava sulla testa anche dell'amministratore piu' onesto. Tutto cio' compromette seriamente "il buon andamento della p.a." voluto dall'art. 97 Cost.: da un lato perche' consente con facilita' incursioni giudiziali in una normativamente riservata sfera di valutazione discrezionale della p.a.; dall'altro perche' genera un clima non favorevole alla serenita' della attivita' amministrativa ed una situazione quindi, come pure si e' detto in dottrina, che puo' stimolare l'immobilismo, favorire mancanza di iniziativa, seminare preoccupazioni anche fra gli amministratori piu' onesti. Tutto cio' compromette seriamente, si ripete, lo svolgimento di una azione amministrativa in modo efficiente, appropriato, adeguato, spedito. Paradossalmente l'art. 323 c.p. pare minare proprio quel bene che costituisce l'oggetto specifico della tutela penale. La questione, che si solleva di ufficio, oltre che non manifestamente infondata, e' poi, di tutta evidenza rilevante per la decisione, attesa la concreta incidenza sul corso del processo.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 dichiara rilevante nel presente procedimento e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 25, secondo comma e 97, primo comma della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323, comma primo c.p. Sospende il presente procedimento; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Piacenza, addi' 13 marzo 1997 Il giudice per le indagini preliminari: Picciau 97C0516