N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 1989
N. 74 Ordinanza emessa il 13 dicembre 1989 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra la ditta f.lli Ceresa e Vaccaro Antonino Procedimento civile - Sentenza del giudice - (Fattispecie: sentenza in giudizio davanti al pretore per il risarcimento del danno da incidente stradale) - Mancata previsione dell'obbligo della lettura in udienza pubblica del dispositivo della sentenza (che peraltro il giudice e' tenuto a scrivere subito dopo la discussione) - Violazione del principio della pubblicita' delle udienze garantito dalla Costituzione, del principio di imparzialita' e buon andamento delle p.a. (da ritenersi valido anche per la amministrazione della giustizia), del principio della soggezione dei giudici alla legge, nonche' di norme dal giudice a quo ritenute "di diritto internazionale generalmente riconosciute": convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (art. 6); Patto internazionale di New York (art. 14); protocolli dello statuto della Corte di giustizia annessi ai trattati C.E.C.A., C.E.E. ed Euratom (rispettivamente artt. 28 e 29). (C.P.C., artt. 128, 275 e 276). (Cost., artt. 10, 97 e 101).(GU n.9 del 28-2-1990 )
IL PRETORE Nel giudizio civile 7966/89, promosso dinanzi la pretura di Torino dalla ditta f.lli Ceresa contro Vaccaro Antonino per ottenere il risarcimento del danno conseguente al sinistro stradale verificatosi il 17 gennaio 1989, il pretore, all'udienza del 6 dicembre 1989, prima di assumere la causa a sentenza, si riservava, per poter promuovere d'ufficio la questione di incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 128, 275 e 276 del c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice, dopo la redazione della sentenza, legga il dispositivo in pubblica udienza per i seguenti rilievi: 1. - Contrasto con l'art. 101 della Costituzione. Secondo quanto ha statuito questa Corte costituzionale (sentenza 97/1986 n. 212, ordinanza 21 marzo 1988, n. 738, sentenza 16 febbraio 1989, n. 50) il principio della pubblicita' delle udienze e', costituzionalmente, garantito dall'art. 101 della Costituzione, quale conseguenza necessaria del fondamento democrtico del potere giurisdizionale. Tale principio, come afferma questa Corte nelle citate sentenze, e' presente non solo nell'ordinamento italiano, ma anche in numerose convenzioni internazionali, quali la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (art 6), il Patto internazionale di New York, adottato il 16 dicembre 1966 (art. 14), i protocolli sullo statuto della Corte di giustizia annessi ai trattati CECA, CEE ed EURATOM (rispettivamente artt. 28 e 29). Se, come pacificamente si ritiene in dottrina e giurisprudenza, la pubblicita' delle udienze garantisce la trasparenza dell'esercizio del potere giurisdizionale e consente ai cittadini il controllo su tale attivita', appare conseguenziale, a questo giudice a quo, che il modo piu' significativo, per rendete operativa questa forma di controllo, e' l'affermazione del dovere del giudice, che ha compilato la sentenza, di leggerne il dispositivo di udienza. Nel processo civile di primo grado, dove e' pubblica solo l'udienza di discussione (artt. 84 delle disp. att. del c.p.c.) il principio della pubblicita' delle udienze, e quindi del controllo da parte dei cittadini sull'esercizio del potere giurisdizionale, appare essere un sacco vuoto se i destinatari del potere giurisdizionale non abbiano la coscienza e percezione immediata e diretta in pubblica udienza dell'atto piu' rappresentativo della funzione giudiziaria, cioe' della sentenza, nonche' della certezza che tale statuizione non potra' essere piu' modificata se non in sede di gravame. 2. - Contrasto con l'art. 10, primo comma, della Costituzione. Appare a questo giudice a quo che il processo cognitivo ordinario di primo grado non sia stato tutt'ora adeguato, dal legislatore, alla norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, che impone al giudice che ha redatto la sentenza il dovere di renderla publica in pubblica udienza (questa esigenza non e' stata nemmeno recepita nel disegno di legge di miniriforma del codice di procedura civile n. 1288/S/X il Foro it. 88,V,325). L'art. 14 del Patto internazionale di New York, relativo ai diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e ratificato con legge 25 ottobre 1977, n. 881, nel prevedere che "... qualsiasi sentenza pronunciata in giudizio penale e civile dovra' essere resa pubblica..." appare sancire, nel suo contesto che il giudice, che ha pronunziato la sentenza penale o civile, la rendera' pubblica immediatamente e non quando lo riterra' opportuno. Piu' chiaramente, nel senso dell'adozione del citato principio, l'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede testualmente che "... la sentenza deve essere pronunziata pubblicamente..." nella versione inglese "... judgment shall be pronunced publicly...", nella versione francese "... le jugement doit etre rendu publiquement...". E' sintomatico ai fini dell'affermazione del citato principio di diritto internazionale che le citate disposizioni si riferiscono, in egual misura, ai processi penali (dove il principio non e' in discussione) e civili. Ancor piu' chiaramente, ai fini del recepimento del citato principio nel diritto inernazionale, l'art. 31 del protocollo sullo statuto della Corte di giustizia, annesso al Trattato CEE, ratificato con legge 25 giugno 1952, n. 766, sancisce che "les arrets sont signe's par le president, le juge rapporteur et le graffier, ils sont lus en seance publique". Non pare a questo giudice a quo che si possa dubitare che si e' in presenza di un principio di diritto internazionale (che costituisce una garanzia per i destinatari del servizio-giustizia) secondo il quale una sentenza, una volta formata, dopo una pubblica udienza non puo' restare un segreto del giudice e della cancelleria, ma va esternata in pubblica udienza. 3. - Contrasto con l'art. 97, primo comma, della Costituzione. Secondo quanto ha statuito questa Corte costituzionale (sent. 7 maggio 1982, n. 86, in Foro it. 82, I, 1497, sentenza 19 gennaio 1989 n. 18, id. 89,I,305) l'art. 97 della Costituzione nello stabilire che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che sia assicurato il buon andamento dell'amministrazione, non ha inteso riferirsi ai soli organi della pubblica amministrazione in senso stretto, ma anche agli organi dell'amministrazone della giustizia. Appare a questo giudice che il combinato disposto degli artt. 128, 275 e 276 del c.p.c., nel testo attualmente vigente, incida negativamente sul buon andamento dell'amministrazione della giustizia civile. Appare, innanzitutto irragionevole e tale da creare un inutile ritardo nella conoscenza della statuizione del giudice, l'imposizione al giudice del dovere di stilare il dispositivo della sentenza (art. 276, ultimo comma, del c.p.c.), subito dopo la discussione delle parti (artt. 128 e 275 del c.p.c.), senza il conseguenziale obbligo di pronunziare il dispositivo in pubblica udienza. Fatto sta che attualmente la sentenza pronunciata, e potrebbe essere un'ordinanza di approfondimento istruttorio (art. 281 del c.p.c. (finisce in una sorta di limbo e viene resa publica in tempi non agevolmente controllabili per le stesse parti del procedimento. Le statistiche sul tempo di definizione dei processi civili non tengono conto dei tempi medi (che sono da ritenere anch'essi lunghi) che passano dall'udienza di discussione alla comunicazione della publicazione della sentenza, quando sarebbe molto piu' semplice e trasparente per gli operatori della giustizia e per i fruitori del servizio, conoscere subito la statuizione del caso concreto. L'esigenza pubblicistica, cui risponde la lettura del dispositivo in udienza, di ancorare il momento dell'immodificabilita' della decisione alla data dell'udienza, resa esplicita solo in taluni procedimenti speciali civili come nell'art. 429 del c.p.c. (Cass. sez. un. 22 giugno 1977, n. 2632, in Foro it. 77,I,1638 par. 6, per il procedimento del lavoro, Cass. 14 luglio 1983, n. 4884, in Arch. Loc. e Cond. 83, 685, per i procedimenti locatizi che si richiamano all'art. 429 del c.p.c.) e nell'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Cass. 3 novembre 1988, n. 5945, in Foro it. 89,I,760) appare essere implicita nel combinato oggetto del giudizio di incostituzionalita' demandato a questa Corte, in quanto il giudice, dopo la formazione del disposito ai sensi dell'art. 276 del c.p.c. non puo' piu' comunque modificare la sua decisione. La seconda esigenza, individuata dalla citata giurisprudenza della Corte di cassazione, cui risponde la lettura del dispositivo in udienza per alcuni procedimenti speciali civili, che e' quella di dare sollecita definizione alla controversia, deve, secondo questo giudice, essere prerogativa del procedimento speciale prima della decisione, ma a decisione presa, nei procedimenti civili ordinari, (al pari di quelli speciali), non va mantenuto, un illogico intralcio alla immediata conoscenza della stessa rimandando ad un secondo momento la comunicazione della sentenza. La conoscenza immediata della decisione, anche quando il dispositivo non e' titolo esecutivo (nel caso dell'art. 431, secondo comma, del c.p.c.) si sposa con il principio di buona amministrazione della giustizia dando subito la possibilita' alle parti di adeguarsi alla statuizione. Sulla rilevanza della questione che si sottopone in via incidentale a questa Corte, il giudice a quo non puo' che ripetere le stesse considerazioni di questa Corte di sentenza 19 gennaio 1989, n. 18 (in Foro it. 89,I,305) "L'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, stabilendo che la questione di costituzionalita' proposta debba essere tale che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione di essa, implica, di regola, che la rilevanza sia strettamente correlata all'applicabilita' della norma impugnata nel giudizio a quo. Tuttavia, come questa Corte ha gia' esplicitamente ritenuto in altre occasioni (cfr. Corte costituzionale 24 novembre 1982, n. 196; 4 luglio 1977, n. 125; 15 maggio 1974, n. 128), debbono ritenersi influenti sul giudizio anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio a quo, attengono allo status del giudice, alla sua composizione, nonche' in generale alle garanzie ed ai doveri che riguardano il suo operare. L'eventuale incostituzionalita' di tali norme e' destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie ed i doveri: in sintesi, la protezione dell'esercizio della funzione nella quale i doveri si accompagnano ai diritti. Non crede questo giudice a quo che si possa negare che la lettura del dispositivo in udienza attenga alle garanzie ed ai doveri che riguardano il suo operare. Il pretore, pertanto, ritiene di dover rimettere, d'ufficio, l'esame della questione che non appare manifestamente infondata, e che comunque puo' incidere sulla decisione della lite sottoposta alla sua cognizione, in riferimento agli artt. 101, 10 e 97 della Costituzione, di incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 128, 275 e 276 del c.p.c., nella parte in cui non prevede che il presidente legge il dispositivo della sentenza in udienza.
Va, quindi, ordinata, la sospensione del procedimento in corso e l'esecuzione degli adempimenti ex art. 23 della legge n. 87/1953. Torino, addi' 13 dicembre 1989 Il pretore: TOSCANO 90C0184