N. 427 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 1999

                               N. 427
 Ordinanza emessa il 17 febbraio 1999 dal T.A.R. della  Lombardia  sul
 ricorso  proposto da Lombardo Consolato contro il comune di Milano ed
 altra
 Edilizia popolare, economica e sovvenzionata - Edilizia  residenziale
 pubblica   -  Regione  Lombardia  -  Decadenza  dall'assegnazione  di
 alloggio del titolare di diritto di proprieta' o di diritto reale  di
 godimento  su  uno  o  piu'  alloggi  o  immobili,  ovunque,  ubicati
 produttivi di reddito pari  all'ammontare  del  canone  di  locazione
 determinato  ai  sensi  della  legge  n.  392/1978  -  Violazione dei
 principi  stabiliti  dalla  legislazione   statale   in   materia   -
 Ingiustificata  discriminazione degli assegnatari di alloggio in base
 alla provenienza dei redditi.
 (Legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91, art. 2, primo  comma,  lett.
 D), e art. 22, primo comma, lett. E)).
 (Cost., art. 3).
(GU n.36 del 8-9-1999 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 3235 del 1998
 proposto da Lombardo Consolato rappresentato e difeso dall'avv. Mirco
 Rizzoglio, presso il  sui  studio  e'  elettivamente  domiciliato  in
 Milano, via G. Bellezza n. 9;
   Contro  il  comune  di  Milano, in persona del sindaco pro-tempore,
 rappresentato  e  difeso  dagli  avv.ti  Maria  Rita  Surano  e  Irma
 Marinelli,  presso  cui  e'  elettivamente domiciliato in Milano, via
 della Guastalla, 8, negli uffici dell'avvocatura  comunale  e  contro
 A.L.E.R.   -  Azienda  lombarda  edilizia  residenziale  Milano,  non
 costituita in giudizio per l'annullamento del provvedimento 4  giugno
 1998  (n.  prot.  546/1998  di  Reg. "B", settore Patrimonio E.R.P. e
 assegnazione alloggi), notificato  il  1  luglio  1998,  con  cui  il
 direttore  del  settore  ha  dichiarato  la  decadenza del ricorrente
 dall'assegnazione dell'alloggio n. 65 sito in Milano, via dei  Larici
 n.  12,  e  la  risoluzione  di  diritto  del contratto di locazione,
 intimando il rilascio dell'alloggio  stesso;  nonche',  ove  occorra,
 dello  statuto  comunale  nella parte in cui attribuisce ai dirigenti
 l'adozione dei provvedimenti corrispondenti alle  attribuzioni  della
 struttura di appartenenza;
   Visto il ricorso, notificato il 31 luglio e depositato il 18 agosto
 1998;
   Visti l'atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva del
 comune di Milano;
   Visti gli atti e i documenti di causa;
   Uditi,  alla  pubblica  udienza  del  17 febbraio 1999, relatore il
 dott. Carmine Spadavecchia, gli avv.ti Rizzoglio e Marinelli;
   Considerato quanto segue:
                            Fatto e diritto
   1. - Con provvedimento  dirigenziale  in  data  4  giugno  1998  il
 ricorrente,  assegnatario  di  un  alloggio  di edilizia residenziale
 pubblica sito in Milano, via dei Larici n. 12,  e'  stato  dichiarato
 decaduto  dall'assegnazione  ai sensi dell'art. 22, lettera e), della
 legge regionale 5 dicembre 1983 n. 91,  con  conseguente  risoluzione
 del   rapporto  locatizio,  per  la  perdita  di  uno  dei  requisiti
 soggettivi previsti per l'accesso all'edilizia  pubblica,  in  quanto
 titolare  di  un  reddito  immobiliare  superiore  al  limite segnato
 dall'art. 2, comma 1, lettera d), della legge stessa.
   Il  provvedimento e' stato impugnato per i seguenti motivi:
     a) incompetenza, in quanto il potere di dichiarare  la  decadenza
 spetterebbe alla giunta comunale e non ai dirigenti;
     b)  violazione  dell'art.  2  della  legge  n.  457/1978  e della
 deliberazione del C.I.P.E. 13 marzo 1995,  incostituzionalita'  sotto
 svariati  profili  dell'art.  2,  comma  1,  lettera  d)  della legge
 regionale n. 91/1983 con riferimento agli artt.  3,  117,  118  della
 Costituzione;
     c)  violazione  dell'art.  3  della  legge 7 agosto 1990, n. 241,
 eccesso di potere per carenza di motivazione, erronea valutazione dei
 presupposti,  difetto  di  istruttoria,  disparita'  di  trattamento,
 contraddittorieta'   ed   ingiustizia   manifesta,   in   quanto   il
 provvedimento non lascerebbe comprendere quale sia  il  parametro  di
 riferimento  utilizzato  per  stabilire  "l'ammontare  del  canone di
 locazione di un alloggio adeguato con condizione medie abitative"  il
 cui superamento comporta la decadenza dall'assegnazione.
   Il comune di Milano, costituito in giudizio, ha controdedotto.
   Con  sentenza  parziale  n.  911/99  in  data  22 marzo 1999 questa
 Sezione ha respinto i motivi sub a) e c), senza tuttavia definire  il
 giudizio  in  quanto l'esame del motivo sub b) postula la preliminare
 soluzione  di  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  che   il
 collegio  ritiene  rilevanti  e  non  manifestamente infondate per le
 ragioni che seguono.
   2. - La legge regionale della Lombardia  5  dicembre  1983,  n.  91
 disciplina  l'assegnazione  e  la  gestione degli alloggi di edilizia
 residenziale pubblica. L'art.  22,  comma  1,  lettera  e)prevede  la
 decadenza  dall'assegnazione qualora l'assegnatario perda i requisiti
 soggettivi necessari per ottenere l'alloggio.
   Il requisito la cui perdita ha determinato, nel caso in  esame,  la
 decadenza  e'  quello previsto dall'art. 2, comma 1, lettera d) della
 stessa legge, che (nel  testo  modificato  dall'art.  2  della  legge
 regionale  4  maggio  1990  n.  28) consente di accedere all'edilizia
 pubblica a "chi non sia titolare del diritto di proprieta' o di altri
 diritti reali di godimento su uno o piu'  alloggi,  ovvero  su  altri
 beni  immobili,  ubicati  in  qualsiasi  localita', che consentano un
 reddito  almeno  pari  all'ammontare   del   canone   di   locazione,
 determinato  ai sensi della legge 27 luglio 1978, n. 392, concernente
 "Disciplina  delle  locazioni  di  immobili   urbani   e   successive
 modificazioni e integrazioni", di un alloggio adeguato con condizioni
 medie   abitative,   come   definite  al  successivo  secondo  comma;
 l'ammontare di tale canone di locazione e' determinato dal comune  in
 sede   di   indizione   del  bando  di  concorso  in  conformita'  ai
 coefficienti di cui al successivo secondo comma".
   Il comune ha dichiarato la decadenza del  ricorrente,  assegnatario
 perche'  dalle  dichiarazioni dei redditi del medesimo e del coniuge,
 relative agli anni 1994, 1995, 1996, risultavano redditi  immobiliari
 superiori  all'ammontare  del canone teorico calcolato dalla Regione,
 ai sensi della  legge  n.  392/1978,  in  relazione  ad  un  alloggio
 adeguato al nucleo familiare dell'assegnatario.
   3.  -  Va  premesso  che nel riparto delle competenze delineato dal
 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, le funzioni amministrative  concernenti
 la  determinazione  dei  criteri  per  le  assegnazioni di alloggi di
 edilizia residenziale pubblica  e  per  la  fissazione  dei  relativi
 canoni  erano  riservate  allo  Stato  (art. 88, n. 13), che ne aveva
 demandato il compito al CIPE (art. 2, secondo comma, legge  5  agosto
 1978, n. 457).
   La legge regionale 5 dicembre1983, n. 91, di cui il comune ha fatto
 applicazione  nel  caso in esame, e' stata appunto emanata in seguito
 alla deliberazione 19 novembre 1981 (Gazzetta Ufficiale  19  dicembre
 1981,  n.  348)  con  la  quale  il  CIPE  ebbe a fissare "i principi
 direttivi cui le regioni  debbono  uniformarsi  nell'esercizio  della
 loro  attivita'  legislativa  in  materia di assegnazione e locazione
 degli alloggi e di fissazione dei canoni".
   Di recente il CIPE,  con  deliberazione  13  marzo  1995  (Gazzetta
 Ufficiale  27  maggio  1995,  n.  122),  ha  innovato parzialmente la
 disciplina dei requisiti per l'assegnazione degli alloggi di edilizia
 residenziale pubblica  e  dei  casi  nei  quali  l'assegnazione  puo'
 costituire oggetto di annullamento o di revoca.
   Detta  delibera  prevede come requisito negativo per l'assegnazione
 (e,  correlativamente  come  causa  di  decadenza)   la   proprieta',
 l'usufrutto,  l'uso,  l'abitazione  di  un  "alloggio  adeguato  alle
 esigenze del  nucleo  familiare"  (punto  3.1,  lettera  c);  nessuna
 rilevanza  attribuisce  invece  alla titolarita' di redditi di natura
 immobiliare, se non in quanto concorrano  a  determinare  un  reddito
 complessivo  superiore  al limite stabilito per accedere all'edilizia
 abitativa pubblica.
   La deliberazione 13 marzo 1995 del CIPE assegnava alle  regioni  un
 termine  di sei mesi per l'adeguamento delle normative regionali.  Il
 termine  e'  stato  successivamente  prorogato  dallo  stesso   CIPE,
 dapprima  con  delibera  21  dicembre  1995  (Gazzetta  Ufficiale  22
 febbraio 1995, n. 44), quindi con delibera 20 dicembre 1996 (Gazzetta
 Ufficiale 14 febbraio 1997, n. 37), che lo ha differito di  ulteriori
 quattro mesi dalla data della sua pubblicazione.
   Il  termine  e' venuto dunque a scadere il 14 giugno 1997 senza che
 la regione Lombardia abbia legiferato in materia.
   E' dubbio peraltro che l'obbligo per le regioni di  uniformarsi  ai
 criteri  dettati  dallo  Stato (e per esso dal CIPE) persista dopo il
 decreto legislativo 31 marzo  1998,  n.  112,  che  tra  le  funzioni
 conferite  alle  regioni ed agli enti locali annovera quelle relative
 "alla fissazione dei criteri  per  l'assegnazione  degli  alloggi  di
 edilizia  residenziale  pubblica  destinati all'assistenza abitativa,
 nonche' alla determinazione dei relativi canoni"  (art.  60,  lettera
 e).
   In  ogni  caso,  la normativa regionale vigente rimane ferma sino a
 quando  non  venga  adeguata  o  innovata  dallo  stesso  legislatore
 regionale  ai  sensi dell'art. 2 della legge-delega 15 marzo 1997, n.
 59, concernente la disciplina legislativa  delle  funzioni  conferite
 alle   regioni.      Il   che   rende   rilevante   la  questione  di
 costituzionalita' della norma regionale applicata dal comune.
    4. - Un ulteriore, concorrente profilo di rilevanza  discende  dal
 rilievo che il provvedimento di decadenza scaturisce dalla situazione
 reddituale  del ricorrente relativa (anche) ad annualita' antecedenti
 la deliberazione 13 marzo 1995 del CIPE.
   Quali  che  possano  ritenersi  la  portata e gli effetti di questa
 delibera nel periodo in cui essa e' rimasta in vigore senza  ricevere
 attuazione da parte del legislatore regionale, e' avviso del collegio
 che   i   nuovi   criteri   fissati  dal  CIPE  non  possano  operare
 retroattivamente, sicche' con riguardo  al  periodo  anteriore  resta
 comunque    applicabile    la    normativa    regionale   della   cui
 costituzionalita' si ha motivo di dubitare.
   Sebbene formalmente unico, il provvedimento di decadenza  si  regge
 infatti  su  una  pluralita'  di presupposti autonomi, quante sono le
 situazioni di "supero-reddito" riscontrate nel  volgere  degli  anni,
 ciascuna  delle  quali  puo'  costituire  causa  di  risoluzione  del
 rapporto secondo la legge del tempo in cui si e' verificata.
   Cio' indipendentemente da ogni questione sulla natura  dichiarativa
 o costitutiva del provvedimento di decadenza, che ha natura vincolata
 e  comporta  il  potere-dovere dell'Amministrazione di pronunciare la
 decadenza anche in relazione a  situazioni  risalenti,  applicando  a
 ciascuna di esse la normativa del tempo in cui e' venuta in essere.
   Anche  sotto questo profilo appare dunque rilevante la questione di
 costituzionalita', la cui non  manifesta  infondatezza  emerge  dalle
 considerazioni che seguono.
   5.  -  La  legge  regionale  estromette dall'alloggio soggetti che,
 indipendentemente  dal  reddito  complessivo  di  cui  godono,  siano
 titolari,   in  qualsiasi  localita'  del  territorio  nazionale,  di
 immobili da cui sia ricavabile un reddito pari al canone di locazione
 di un alloggio adeguato alle loro esigenze abitative, determinato  ai
 sensi della legge n. 392 del 1978.
   La  norma  appare  di dubbia legittimita' sotto vari profili, tutti
 riconducibili peraltro all'art. 3 della  Costituzione,  in  relazione
 tanto   al   principio   di   uguaglianza   quanto  al  principio  di
 ragionevolezza.
   5.1. - Sotto un primo profilo, va rilevato che, posto un limite  di
 reddito  come  indice dello stato di bisogno per l'ammissione a certe
 prestazioni  sociali,  dovrebbe  essere  del  tutto  irrilevante   il
 riferimento alla natura ed alla provenienza di tale reddito.
   In  base a questo principio e' stato considerato costituzionalmente
 illegittimo l'art. 43, comma 2, della legge 30 aprile 1969,  n.  153,
 nella  parte in cui, per l'ipotesi di redditi del genitore "a carico"
 non  derivanti  esclusivamente  da  pensione,  stabiliva  un   limite
 ostativo  al conseguimento degli assegni familiari, diverso da quello
 previsto per l'ipotesi di redditi provenienti da sola pensione (Corte
 cost.  14 gennaio 1986, n. 8).
   5.2.  -  Se  poi  si  ritenesse  giustificato  attribuire  autonoma
 rilevanza  al  patrimonio  da  cui il reddito deriva, non si vede per
 quale ragione debbano essere considerati soltanto i diritti reali  su
 beni  immobili  e non anche altre componenti del patrimonio (depositi
 bancari, titoli azionari e obbligazionari, ecc.),  che  costituiscono
 indici  di ricchezza non meno rilevanti della proprieta' immobiliare,
 la quale e' per giunta gravata da un trattamento fiscale e  da  oneri
 di manutenzione che non sembrano legittimare un trattamento deteriore
 della  stessa,  ai  fini  in  questione  rispetto  ad  altre forme di
 investimento.
   5.3.  -  Sotto  altro  profilo,  appare  del  tutto  inadeguato  il
 parametro  di  valutazione  del  reddito  immobiliare,  che  la norma
 regionale - in un regime delle locazioni ormai svincolato  dall'"equo
 canone", sostanzialmente superato dall'introduzione dei c.d. patti in
 deroga  (art. 11, d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8
 agosto 1992, n. 359) - continua a ragguagliare al canone di locazione
 di un alloggio in condizioni abitative medie  "determinato  ai  sensi
 della  legge  n. 392 del 1978", e dunque ad un parametro avulso dalla
 realta' giuridica ed economica, e ormai  incapace  di  riflettere  le
 condizioni  effettive  del  mercato locativo e l'andamento dei canoni
 correnti.
   Basti considerare che la  regione  Lombardia,  come  risulta  dalle
 tabelle  prodotte  dal  comune  (doc. 14) ha determinato il canone di
 locazione di un alloggio  medio,  per  un  nucleo  familiare  di  due
 persone,  nell'ambito  di  comuni con popolazione superiore a 400.000
 abitanti, in misura pari  a:  L.  1.611.675  (per  l'anno  1994);  L.
 1.661.423  (anno  1995); L. 1.742.294 (anno 1996); L. 1.799.740 (anno
 1997); L. 1.823.916 (anno 1998).
   Si tratta di importi palesemente e  notoriamente  "fuori  mercato",
 del  tutto  insufficienti  ad  assicurare  un'abitazione ad un nucleo
 familiare di due persone in un comune di grandi dimensioni e ad  alta
 tensione abitativa.
   Sebbene  poi  lo scrutinio di costituzionalita' investa il criterio
 astratto a prescindere  dalla  varieta'  dei  casi  concreti,  merita
 riflettere  sulla  circostanza  che  neppure  i  redditi  immobiliari
 dichiarati dal ricorrente e dal coniuge (L. 1.876.000 per il 1994; L.
 2.222.000 per il 1996), di poco superiori all'equo canone  ipotetico,
 sono  tali da rendere attendibile la possibilita' di un loro proficuo
 reimpiego nella locazione di un alloggio sul libero mercato.
   A diverse conclusioni si potrebbe pervenire se la  legge  regionale
 ponesse  a confronto il valore locativo complessivo degli immobili in
 proprieta' (come del resto disponeva la  delibera  CIPE  19  novembre
 1981,  punto  3,  lettera  d))  col  valore  locativo  di un alloggio
 adeguato alle  esigenze  del  nucleo  familiare,  riferendo  l'uno  e
 l'altro valore alle reali condizioni del mercato.
   Ma  cosi'  non  e'.  L'art.  2, primo comma, lettera d) della legge
 regionale  n.  91/83  pone  a  confronto   il   reddito   immobiliare
 dichiarato, anche quando coincide con la mera rendita catastale (come
 nel  caso  di specie), e l'equo canone di un alloggio "adeguato": due
 valori non omogenei e per giunta estranei alla realta' del mercato.
   5.4. - Un'ultima riflessione e'  suggerita  dal  raffronto  tra  la
 causa di decadenza collegata a redditi immobiliari e quella derivante
 dal  possesso  di  altri  redditi.  Mentre  il  titolare  di  redditi
 immobiliari decade dall'assegnazione qualora tale reddito  superi  il
 limite  stabilito  in  base  alla legge n. 392/1978, il percettore di
 redditi di altra natura incorre nella decadenza solo  qualora  questi
 superino   il   doppio   del   limite   per   l'accesso  all'edilizia
 sovvenzionata (cfr. art. 22, comma primo, lettera f) legge  regionale
 n. 91/1983).
   Dunque  la  legge  regionale,  pur  prendendo  in considerazione la
 proprieta'  di  immobili,  o  la  titolarita'  di  diritti  reali  di
 godimento   sugli   stessi,  esclusivamente  in  ragione  della  loro
 redditivita' (e non in quanto suscettibili di soddisfare direttamente
 le esigenze abitative dell'interessato  come  avviene  nella  diversa
 ipotesi  contemplata  dalla  lettera  c)  dello  stesso  art. 2 legge
 regionale n. 91/1983, non rilevante nel presente caso),  finisce  poi
 per   discriminare  quel  reddito  rispetto  agli  altri  di  diversa
 provenienza, con il risultato che a parita' di reddito complessivo la
 relativa   composizione   si   rivela   determinante  ai  fini  della
 estromissione dell'assegnatario.
   6. - Le considerazioni esposte  inducono  il  collegio  a  ritenere
 irragionevole   e  discriminatoria  la  considerazione  separata  dei
 redditi  immobiliari  rispetto  agli  altri   cespiti   e   la   loro
 valorizzazione  secondo  criteri  tuttora  collegati  alla  legge  n.
 392/1978.
   Su tali premesse, si deve sospendere il giudizio e  rimettere  alla
 Corte  costituzionale,  in  quanto  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione,  la  questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lettera d) e
 dell'art.  22,  primo  comma,  lettera e) della legge regionale della
 Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenuta rilevante e non  manifestamente  infondata,  in  relazione
 all'art.   3   della   Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, primo comma, lettera d), e dell'art.  22,
 primo  comma,  lettera  e),  della  legge regionale della Lombardia 5
 dicembre 1983, n. 91;
   Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli  atti
 alla Corte costituzionale;
   Ordina  che,  a  cura  della  segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata  alle  parti  in  causa  ed  al  presidente  della  giunta
 regionale  e  comunicata  al Presidente del Consiglio regionale della
 Lombardia.
   Cosi' deciso in Milano, nella camera di consiglio del  17  febbraio
 1999.  Il presidente: Barbieri Il consigliere estensore: Spadavecchia
 99C0818