N. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 2017
Ordinanza del 5 luglio 2017 della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Lombardia nel procedimento contabile Carcagnolo Salvatore contro INPS. Previdenza e assistenza - Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 - Esclusione per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, comma 25, [lett. e),] nel testo novellato dall'art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109. Previdenza e assistenza - Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per il periodo 2014-2016 - Esclusione della perequazione, per l'anno 2014, con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)"), art. 1, comma 483 [, lett. e)].(GU n.40 del 4-10-2017 )
CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia Nella persona del giudice monocratico Eugenio Musumeci, ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio pensionistico iscritto al n. 28565 del registro di segreteria della Sezione, proposto da Carcagnolo Salvatore, nato a Catania il 10 novembre 1948 e residente a Brescia in via Lamarmora n. 274, codice fiscale CRCSVT48S10C351P, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Camarda (del foro di Vicenza), nonche' elettivamente domiciliato a Vicenza in via fratelli Stuparich n. 70 presso lo studio del difensore stesso, contro Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Peco (iscritto nell'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati presso il Tribunale di Milano), nonche' elettivamente domiciliato a Milano in via Giuseppe Missori n. 8/10 presso l'Avvocatura distrettuale INPS. Fatto e diritto 1. Con ricorso notificato all'INPS il 7 luglio 2016, nonche' depositato presso questa Sezione il 27 del mese precedente, Salvatore Carcagnolo, titolare di una pensione (erogata dall'INPDAP anteriormente al 31 dicembre 2011 e dall'INPS poi) di importo pari a circa otto volte il trattamento minimo INPS, ha lamentato che per il biennio 2012-2013 l'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011) aveva introdotto un blocco alla perequazione per le pensioni superiori al triplo del trattamento minimo INPS, senza alcun recupero negli anni successivi: cosi' modificando radicalmente la pregressa disciplina, di cui all'art. 34, comma 1 della legge n. 448/1998. Ha altresi' evidenziato che, nonostante la declaratoria di illegittimita' costituzionale del predetto art. 24, comma 25 pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70/2015, l'art. 1, comma 1 del decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015) aveva mantenuto l'azzeramento di qualsiasi perequazione oltre la soglia del sestuplo del trattamento minimo INPS. Ed ha sottolineato, anzi, come anche per l'anno 2014 e per i successivi fosse stata esclusa qualsiasi perequazione per quella medesima fascia pensionistica. Pertanto il Carcagnolo ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, per contrasto con gli articoli 2, 3, 36 primo comma, 38 secondo comma, 117, 136 e 137 della Costituzione; ed ha altresi' sostenuto che la coerente applicazione dei principi enunciati dal giudice delle leggi, anche anteriormente alla citata sentenza n. 70/2015, imporrebbe una perequazione integrale per qualsiasi trattamento pensionistico. Conclusivamente ha domandato, previa rimessione alla Corte costituzionale della suddetta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, la condanna dell'INPS al pagamento del maggiori ratei pensionistici corrispondenti, sia per il triennio 2012-2014 che per il futuro, alla differenza: in via principale, tra una perequazione al 100% e quella sancita dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015; in via subordinata, tra la perequazione risultante dalla normativa previgente rispetto all'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011 e quella sancita dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015. 2. Con comparsa depositata il 4 ottobre 2016 si e' costituito l'INPS, eccependo in via preliminare il carattere non incidentale della questione di legittimita' costituzionale prospettata dal ricorrente; e contestando pure nel merito la fondatezza delle sue domande. All'udienza del 14 di quello stesso mese la causa e' stata discussa dalle parti e, infine, questo giudice l'ha trattenuta in decisione. 3. Innanzitutto si appalesa infondata l'eccezione pregiudiziale prospettata dall'INPS: perche' non si vede con quale diverso strumento processuale l'odierno ricorrente, nel momento in cui abbia nutrito perplessita' riguardo alla legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 in virtu' del quale (pur all'indomani della piu' volte ricordata sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale) gli veniva ulteriormente negata la perequazione della pensione, avrebbe potuto postulare altrimenti in sede giudiziale il dubbio a quel proposito. 4. Nel merito, dal cedolino pensionistico di' giugno 2012 (allegato 7 al ricorso), si evince che all'epoca la pensione lorda mensile del Carcagnolo, ammontando a 3.802,65 euro, eccedeva largamente il sestuplo del trattamento minimo INPS: minimo che, come ricordato dal resistente stesso (a pag. 3 della sua comparsa difensiva), per il 2012 era di 481 euro mensili; e che, negli anni successivi, e' lievitato fino a superare leggermente i 500 euro. Oltre quel limite del sestuplo il comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, quale novellato (all'indomani della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale) dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, continua ad escludere qualsiasi perequazione relativamente al biennio 2012-2013; e lo stesso dicasi, per l'annualita' 2014, in virtu' della lettera e del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013. Ulteriore conferma dell'assenza di qualsiasi perequazione per la pensione dell'odierno ricorrente, addirittura nel quinquennio tra il 2012 e il 2016, la si trae dalle tabelle di cui ai paragrafi 1.1, 1.2 e 1.3 del messaggio INPS n. 4993 del 27 luglio 2015 (allegato 2 alla comparsa INPS). Se dunque e' indubbia la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della novella che quella norma ha apportato al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, quel medesimo requisito sussiste anche in riferimento alla su menzionata lettera e del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013: a cui quella questione va percio' estesa, atteso che l'odierna domanda attorea riguarda appunto il triennio 2012-2014. 5. D'altro canto detta questione, riferita ad ambo le norme teste' richiamate, va reputata non manifestamente infondata, in riferimento sia al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, sia agli articoli 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione. Infatti, in argomento, il principio affermato dalla Corte costituzionale e' quello secondo cui «la proporzionalita' e l'adeguatezza devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurati anche nel prosieguo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta» (sentenza n. 173/1986). Inoltre, anche se «l'art. 38 Cost. non esige che l'adeguamento delle prestazioni previdenziali ai mutamenti del potere di acquisto della moneta proceda mediante meccanismi automatici ...», potendo invece esso «... avvenire anche con interventi legislativi periodici ...» (sentenza n. 337/1992), in se' e per se' tale adeguamento risulta indispensabile: ossia senza eccezioni che abbiano riguardo all'entita' della pensione stessa. Tanto cio' e' vero che, con la sentenza n. 316/2010, il giudice delle leggi ha ribadito come anche «le pensioni ... di maggiore consistenza ... » debbano «... essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta»: valendo a minare tale difesa «... la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo ...». 6. Se dunque si va a verificare la misura di tale adeguamento delle pensioni al costo della vita, occorre allora ricordare come sul piano generale l'aumento definitivo di perequazione automatica sia stato fissato: per il 2012, al 2,7% (decreto MEF 16 novembre 2012, nella Gazzetta Ufficiale 27 novembre 2012); per il 2013, al 3% (decreto MEF 20 novembre 2013, nella Gazzetta Ufficiale 29 novembre 2012); per il 2014, all'1,1% (decreto MEF 20 novembre 2014, nella Gazzetta Ufficiale 2 dicembre 2014); per il 2015, allo 0,2% (decreto MEF 19 novembre 2015, nella Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2015); per il 2016, allo 0%, in via previsionale (decreto MEF 19 novembre 2015 cit.). Inoltre, poiche' aritmeticamente tali aumenti si compongono tra loro (anziche' addizionarsi), ne scaturisce per esempio una variazione del 5,78% per il biennio 2012-2013 e del 6,94% per il triennio 2012-2014. Dopodiche' la dinamica inflattiva si e' pressoche' azzerata nel biennio 2015-2016; ma e' notorio come il tasso di inflazione che l'Unione europea considera ottimale sia pari al 2% annuo. Il che equivale a dire che, in assenza di quell'adeguamento che gia' da un lustro viene completamente negato al Carcagnolo (avendogli fatto cosi' ridurre il potere d'acquisto della sua pensione, come s'e' appena visto, di quasi il 6% nel biennio 2012-2013 e di poco meno del 7% nel triennio 2012-2014) in virtu' della normativa qui censurata, il non condivisibile principio ad essa sotteso ridurrebbe in misura rilevantissima il valore della sua pensione (per esempio di circa un terzo nei vent'anni successivi al 2012, ossia in un normale arco temporale di godimento del trattamento di quiescenza stesso). Dunque va senz'altro condiviso il gia' ricordato insegnamento della Corte costituzionale secondo cui la protezione dell'inflazione, in misura non simbolica (quale, nella fattispecie, neppure si riscontra), risulta necessaria quale che sia la misura della pensione. E si appalesa, invece, la totale irragionevolezza delle norme qui censurate. 7. A quest'ultimo proposito quelle medesime esigenze finanziarie, le quali benche' invocate gia' nel decreto-legge n. 201/2011 non hanno impedito alla Corte costituzionale di reputare ivi «... valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalita' ...» (sentenza n. 70/2015), ad avviso di questo giudice non hanno indotto il legislatore, a dispetto del loro nuovo richiamo nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 65/2015, ad esercitare in quest'ultimo, pur asseritamente attuativo della teste' menzionata pronuncia costituzionale, quel «... corretto bilanciamento ...» ivi auspicato dal giudice delle leggi. Tale dubbio sussiste in riferimento non soltanto al decreto-legge n. 65/2015; ma anche alla lettera e) del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013, antecedente a quella medesima pronuncia. Percio' i timori di insufficiente protezione delle pensioni dall'inflazione, gia' palesati dall'originario comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, per una pensione ultra sestuplum risultano pienamente confermati dalla successiva legislazione qui censurata. Conseguentemente appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 e della lettera e) del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013: questione che va sollevata in riferimento non soltanto al principio di ragionevolezza, ma anche a quei medesimi parametri costituzionali (ossia il primo comma dell'art. 36 ed il secondo comma dell'art. 38) che, ad avviso della Consulta stessa, gia' non informavano l'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011. Invero il rispetto di tali parametri, tanto piu' ove dipendesse dallo specifico quantum di adeguamento alla dinamica inflattiva apprestato (per ciascuna fascia di pensioni) con il decreto-legge n. 65/2015 e con la lettera e) del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013, evidentemente compete alla Corte costituzionale stessa stabilire se vi sia stato o meno: cio' che peraltro questo giudice esclude, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, per quanto possa rilevare rispetto al vaglio di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale qui delineata. 8. E' infine appena il caso di osservare come le argomentazioni difensive dell'INPS varrebbero, a ben vedere, a dimostrare gia' la legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011: talche' oggi esse appaiono palesemente finalizzate ad ottenere un inammissibile secundum iudicium della Consulta, stavolta in riferimento al decreto-legge n. 65/2015, ancorche' quest'ultimo abbia pienamente reiterato, per le pensioni ultra sestuplum, un quadro normativo gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo.
P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, non definitivamente pronunciando in relazione al giudizio n. 28565, dichiara rilevante nel giudizio stesso e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale: del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011), quale novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), nella parte in cui prevede che «la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, ... e) non e' riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi»; del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013, nella parte in cui prevede che «per il triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ... e) ... per il solo anno 2014, non e' riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS»; e per l'effetto: 1) solleva la questione di legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011), quale novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), e del comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147/2013, in riferimento agli articoli 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione; 2) dispone l'immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale; 3) sospende il giudizio stesso sino alla comunicazione della decisione adottanda dalla Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale teste' sollevata; 4) dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; 5) dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso a Milano nella camera di consiglio del 2 dicembre 2016. Il Giudice: Musumeci