N. 639 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 marzo 1997

                                N. 639
  Ordinanza emessa il 18 marzo 1997  dalla  Corte  di  cassazione  nel
 procedimento  civile vertente tra Buono Maria Rosaria e l'Enel S.p.a.
 - Compartimento di Napoli
 Lavoro (Tutela del) - Lavoratrici madri - Inizio  o  protrazione  del
    periodo   di   astensione   obbligatoria   dal   lavoro   dopo  la
    trasformazione del rapporto di lavoro da tempo  parziale  a  tempo
    pieno - Mancata previsione della determinazione dell'indennita' di
    maternita'  in  relazione alla retribuzione spettante in regime di
    tempo pieno - Irragionevolezza  -  Incidenza  sui  principi  della
    tutela  della maternita' e dell'infanzia e delle lavoratrici madri
    -  Riferimento  alla  sentenza  della  Corte   costituzionale   n.
    132/1991.
 (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 16, comma primo).
 (Cost., artt. 3, 31 e 37).
(GU n.40 del 1-10-1997 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Buono
 Maria Rosaria, elettivamente domiciliata in Roma,  via  Cicerone  28,
 presso  lo  studio  dell'avvocato  R.  Izzo,  rappresentata  e difesa
 dall'avvocato  Giuseppe  Ferraro,  giusta  delega  in  atti;   contro
 l'E.N.E.L.  S.p.a.   - Compartimento di Napoli, in persona del legale
 rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata  in  Roma,  via
 Giosue'  Borsi 16A, presso lo studio dell'avvocato Mario Miletto, che
 la rappresenta e difende unitamente agli  avvocati  Giancarlo  Bruno,
 Domenico  Calandrelli,  Giovanni  Paterno',  giusta  delega  in atti;
 controricorrente, avverso la sentenza n.  1318/94  del  tribunale  di
 Napoli, depositata il 16 maggio 1994 r.g.n. 16989/91;
   Udita  la  relazione della accusa svolta nella pubblica udienza del
 18 marzo 1997 dal relatore consigliere  dott. Sergio Mattone;
   Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore  generale  dott.
 Alberto Cinque che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
                       Svolgimento del processo
   Con  ricorso  al  pretore di Napoli Maria Rosaria Buono, dipendente
 dell'E.N.E.L., premesso che dal 1 gennaio 1988  il  suo  rapporto  di
 lavoro,  a  tempo  pieno,  era  stato trasformato in rapporto a tempo
 parziale e che tale trasformazione, dopo una proroga iniziale di  sei
 mesi,  era  venuta  a  cessare  nel marzo 1990, allorche' il rapporto
 aveva ripreso a svolgersi a tempo pieno, deduceva che  dal  l  aprile
 1990  si era assentata dal lavoro ai sensi dell'art. 5 della legge n.
 1204 del 1971 e che, nel corrisponderle l'indennita'  di  maternita',
 l'Enel  aveva  erroneamente  assunto  a  base  del  computo  di  tale
 prestazione la retribuzione da lei percepita durante  il  periodo  di
 lavoro  part-time, e non gia' quella riferibile al rapporto di lavoro
 a tempo  pieno.    Chiedeva,  pertanto,  che  l'ente  suddetto  fosse
 condannato  a  pagare  in  suo  favore  l'importo corrispondente alla
 differenza tra quanto percepito e quanto dovutole in  relazione  alla
 retribuzione correlata al tempo pieno.
   Accolta  la  domanda  dal pretore e proposto appello dall'Enel, con
 sentenza del 16 maggio 1994 il  tribunale  del  luogo  osservava  che
 l'art.  16  della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nel determinare la
 misura dell'indennita' istituita in favore delle donne lavoratrici in
 periodo di astensione antecedente e successiva  al  parto,  pone  una
 chiara   regola  di  proporzionalita'  del  beneficio  rispetto  alla
 retribuzione percepita nel periodo immediatamente precedente a quello
 nel corso del quale ha avuto luogo l'astensione, regola  dalla  quale
 il  pretore  si era discostato. Affermava che non poteva condividersi
 la tesi accolta dal primo giudice, secondo cui la  normativa  sancita
 dalla  legge  n.  1204/1971 non estende la sua previsione all'ipotesi
 specifica di mutamento di regime del rapporto di lavoro  in  costanza
 di  astensione,  in  quanto  il  meccanismo di computo previsto dalla
 disposizione  in  oggetto  e'  indifferente,   nella   sua   concreta
 applicazione,  ai  fenomeni  di disomogeneita' da quegli considerati.
 Rilevava, infine, che, se negli  anni  70  -  come  sottolineato  dal
 pretore  -  il  lavoro  a  tempo  parziale  non era stato codificato,
 risultava gia' nota, tuttavia, la realta' di  prestazioni  ad  orario
 ridotto  (di cui era menzione, ad esempio, nella legislazione in tema
 di  ricorrenze  festive).  Ed  in  riforma  dell'impugnata  sentenza,
 rigettava la domanda proposta dalla Buono.
   Avverso  tale  sentenza  costei  propone  ricorso  per  cassazione,
 affidato ad un unico motivo, illustrato  da  memoria  difensiva,  cui
 resiste l'Enel mediante controricorso.
                        Motivi della decisione
   1.   -   Con  l'unico,  complesso  motivo  la  ricorrente  denuncia
 violazione e falsa applicazione degli artt. 15, 16 e 17  della  legge
 30 dicembre 1971, n. 1204, nonche' degli artt. 31 e 37 Cost.; erronea
 applicazione  delle norme di interpretazione dei contratti collettivi
 di cui agli artt. 1362 c.c., in relazione all'art.  10  dell'allegato
 al  c.c.n.l.    elettrici;  insufficiente,  erronea e contraddittoria
 motivazione.
   Premesso  che  il  rapporto  a  tempo  parziale,   secondo   quanto
 concordato  tra le parti, sarebbe andato a scadere definitivamente il
 31 marzo 1990 e che ella, dal 1 al  17  aprile  1990,  aveva  infatti
 ripreso  a  lavorare  a  tempo  pieno, per poi sospendere il lavoro a
 causa di complicazioni del processo gravidico, assume  la  ricorrente
 che  e'  in  materia  fondamentale  l'art. 15 della legge n. 1204 del
 1971, il quale sancisce il diritto ad un'indennita' commisurata  alla
 retribuzione  perduta  per  il  periodo  di  astensione obbligatoria;
 laddove l'art. 16, sul quale ha fatto leva il  tribunale,  stabilisce
 semplicemente  come  si determina tale retribuzione in una situazione
 di normalita' (nella quale non vi sia, cioe', una modifica del regime
 degli orari di lavoro),  ma  non  deroga  al  principio  secondo  cui
 l'indennita' deve essere correlata strettamente alla retribuzione che
 sarebbe spettata nel periodo di astensione obbligatoria. Principio al
 quale si e' ispirata del resto la Corte costituzionale nella sentenza
 n. 132 del 29 marzo 1991.
   Osserva che appare, pertanto, corretta la tesi accolta dal pretore,
 il   quale  e'  partito  dalla  premessa  che,  tra  varie  soluzioni
 ermeneutiche,     l'interprete     deve      privilegiare      quella
 costituzionalmente  corretta; ed ha altresi' sottolineato che, quando
 era stata posta in essere la normativa in esame, non era stato ancora
 codificato il rapporto part-time, si'  che  essa  non  poteva  essere
 estesa  tout  court a fattispecie del tutto diversificate intervenute
 in tempi successivi.
   Rileva, infine, la  ricorrente  che  il  tribunale  e'  incorso  in
 erronea motivazione allorquando ha osservato che i rapporti di lavoro
 a  tempo  parziale,  benche' non espressamente disciplinati, potevano
 essere stipulati anche prima dell'entrata in vigore  della  legge  n.
 863  del 1984: anche ad ammettere che cio' sia vero, essi non avevano
 ad ogni modo alcuna rilevanza ai fini dei trattamenti assicurativi  e
 previdenziali,  ne' prima del 1984 era comunque consentito modificare
 l'orario di lavoro da tempo  pieno  a  tempo  parziale  e  viceversa,
 laddove  e' proprio tale variabilita' dell'orario nel tempo che rende
 necessario un adeguamento della legislazione  richiamata  alla  nuova
 realta'  normativa,  salvo  ad  affrontare  la  via dell'eccezione di
 costituzionalita'.
   2. - In linea preliminare va  rilevato  che  nel  controricorso  il
 resistente osserva che la ricorrente ha dedotto per la prima volta in
 questa  sede  di  aver  ripreso  a lavorare a tempo pieno dal 1 al 17
 aprile 1990, per poi sospendere il lavoro dal giorno 18  a  causa  di
 complicazioni    nel    processo   gravidico,   laddove   -   secondo
 l'accertamento compiuto dal pretore, non modificato dal  tribunale  -
 costei  si era in realta' assentata dal lavoro, in virtu' della legge
 n. 1204/1971, fin dal 18 gennaio 1990 (quando  si  trovava  cioe'  in
 regime  di  part-time);  e la sospensione del rapporto era proseguita
 senza soluzione di continuita' oltre la data del 1  aprile  1990  (in
 cui  era  prevista  la  scadenza  del  regime  suddetto) e sino al 19
 gennaio 1991.
   Ora, sembra alla Corte che tali discordanti  circostanze  di  fatto
 non  siano tali da modificare i termini della controversia, nel senso
 che, una volta che e' incontestato che era stato  concordato  tra  le
 parti  che  il rapporto di lavoro a tempo parziale sarebbe cessato il
 31 marzo 1990, con la conseguente  instaurazione  di  un  rapporto  a
 tempo  pieno  a  far  tempo dal 1 aprile 1990, l'interrogativo che si
 pone e' pur sempre quello di stabilire  l'entita'  della  prestazione
 dovuta  alla  Buono  in relazione al periodo di interdizione in epoca
 successiva alla data da ultimo indicata.
   3. - Al riguardo il tribunale  ha  considerato  infondata  la  tesi
 sostenuta  dalla  attuale ricorrente alla stregua dell'art. 16, comma
 primo, della legge 30 dicembre 1971, n.  1204,  il  quale  stabilisce
 che,  agli effetti della determinazione della misura delle indennita'
 previste dall'art. 15 (pari,  per  tutto  il  periodo  di  astensione
 obbligatoria   dal   lavoro,   all'80%   della   retribuzione),  "per
 retribuzione  si  intende  la  retribuzione media globale giornaliera
 percepita nel periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto  ed
 immediatamente  precedente  a  quello  nel  corso  del quale ha avuto
 inizio  l'astensione  obbligatoria  del   lavoro   per   maternita'".
 Disposizione  che  il giudice di appello ha ritenuto insuperabile per
 il  suo  "inequivocabile  tenore  letterale"  e  preordinata  in  via
 esclusiva  ad  un  meccanismo di computo della indennita', articolata
 nei suoi meri contenuti aritmetici e  contabili,  tale  da  risultare
 indifferente  ai fenomeni di disomogeneita' valorizzati viceversa dal
 primo giudice.
   In effetti,  la  chiara  formulazione  della  disposizione  di  cui
 all'art.   16 non pare consentire una diversa conclusione dal momento
 che essa fa esplicito riferimento alla retribuzione  percepita  dalla
 lavoratrice  nel  periodo  che ha preceduto l'astensione dal lavoro e
 non  lascerebbe,  quindi,  all'interprete  alcun   margine   per   la
 introduzione    di   correttivi   in   relazione   alle   fattispecie
 caratterizzate da incisive  variazioni  del  regime  degli  orari  di
 lavoro,  quali quelle consistenti nella trasformazione di un rapporto
 parziale in rapporto a tempo pieno, e viceversa; fattispecie che sono
 state compiutamente disciplinate (con  la  legge  n.  863  del  1984)
 soltanto  in  epoca  successiva  a  quella in cui e' stata emanata la
 normativa in discussione, la quale non ha potuto, pertanto, prenderle
 in  considerazione,  stante  anche  la  diffusione  all'epoca  ancora
 modesta di tali tipologie contrattuali.
   Tuttavia,  non  vanno  trascurati  nel  caso  in  esame  i  rilievi
 formulati dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  132  del  29
 marzo  1991  -  richiamata  anche dalla ricorrente -, con la quale e'
 stato dichiarato illegittimo l'art. 17, secondo comma, della legge n.
 1204 del 1971 nella parte in cui esclude dal diritto alla  percezione
 dell'indennita'   giornaliera   di   maternita'  le  lavoratrici  con
 contratto di lavoro  part-time  di  tipo  verticale  su  base  annua,
 allorche'  il  loro  rapporto  di  lavoro  all'inizio  del periodo di
 astensione obbligatoria sia sospeso da oltre 60 giorni.
   Per quanto qui in particolare interessa,  ha  invero  affermato  il
 giudice   delle   leggi  che  l'indennita'  di  maternita'  serve  ad
 assicurare alla madre lavoratrice la possibilita'  di  vivere  questa
 fase  della  sua esistenza senza una radicale riduzione del tenore di
 vita "che il suo  lavoro  le  ha  consentito  di  raggiungere"  e  ad
 evitare,  quindi,  che  alla  maternita'  si  ricolleghi uno stato di
 bisogno economico, pregiudizievole per l'interesse della donna e  del
 bambino che sta per nascere o che e' nei suoi primi mesi di vita.
   La  funzione  di indennizzare la donna lavoratrice dalla perdita di
 reddito lavorativo che altrimenti ella subirebbe  per  effetto  della
 maternita'  -  ha proseguito la Corte - e' propria dell'indennita' in
 esame anche nelle varie ipotesi in cui, a norma  dell'art.  17  della
 legge,  l'indennita'  stessa viene riconosciuta pur in mancanza di un
 lavoro in atto al momento in cui  inizia  il  periodo  di  astensione
 obbligatoria:  in  tali  casi,  infatti, l'indennita' non muta la sua
 natura (per assumere il carattere di un mero sussidio o  premio  alla
 maternita'),   ma   e'   diretta  invece  ad  indennizzare  la  donna
 lavoratrice per la perdita della retribuzione ricavabile  dal  lavoro
 che  essa  avrebbe potuto presumibilmente trovare o riprendere se non
 ne fosse stata impedita dalla maternita' e dal periodo di  astensione
 obbligatoria che essa comporta.
   Questa  essendo  la  funzione che e' propria dell'istituto e che fa
 dovuta attuazione del dettato costituzionale - ha concluso sul  punto
 la  Corte  -  e' chiaro che, rispetto ad essa, costituisce una palese
 incoerenza, tale da  determinare  un'ingiustificabile  disparita'  di
 trattamento, l'esclusione del diritto all'indennita' nei casi e nella
 misura  in  cui,  nei  rapporti a tempo parziale annuo, il periodo di
 astensione obbligatoria, pur iniziato dopo piu' di  60  giorni  dalla
 fine  della  precedente  fase  di  lavoro, "venga a coincidere con la
 prevista successiva fase di  ripresa  dell'attivita'  lavorativa.  In
 siffatta  ipotesi,  infatti,  la  lavoratrice  viene  a  perdere  una
 retribuzione di cui avrebbe certamente - e non solo  probabilmente  -
 goduto  se non si fosse dovuta astenere dal lavoro in ragione del suo
 stato".
   Nonostante  la  diversita'  dell'ipotesi  considerata  dalla  Corte
 rispetto  a  quella  in  esame,  i  significativi  principii  da essa
 enunciati  sembrano,  peraltro,   idonei   a   suscitare   dubbi   di
 legittimita' costituzionale anche in ordine all'art. 16, primo comma,
 cit., nell'interpretazione accolta dal Tribunale. Pure nella presente
 controversia,   invero,   il   periodo   di  astensione  obbligatoria
 dell'attuale ricorrente viene a  coprire,  quantomeno  in  parte,  un
 periodo  in cui ella avrebbe prestato servizio a tempo pieno, per cui
 non appare coerente con la funzione dell'indennita' di maternita' che
 questa debba essere ragguagliata  alla  retribuzione  dovuta  per  il
 regime  part-time  per  avere questo preceduto la fase immediatamente
 anteriore alla trasformazione del rapporto. In effetti,  se  in  tali
 vicende   la   retribuzione   segue  le  sorti  del  rapporto,  e  se
 l'indennita' di maternita' - come l'art.   15 l.cit.  fa  chiaramente
 intendere  - deve essere a sua volta proporzionata alla retribuzione,
 e' da ritenersi incongruo che, ove il  rapporto  stesso  subisca  una
 trasformazione  nei  termini  indicati,  venga  a cadere il nesso tra
 retribuzione ed  indennita',  restando  quest'ultima  insensibile  al
 regime in atto.
   Vi   e'   motivo,   quindi,   per   dubitare   della   legittimita'
 costituzionale dell'art.  16,  comma  primo,  cit.,  in  riferimento,
 anzitutto,  all'art.   3, comma primo, Cost., sembrando irragionevole
 la disparita' di trattamento che viene realizzarsi tra la lavoratrice
 che, prestando servizio costantemente a tempo pieno,  nell'assentarsi
 dal  lavoro  percepisca un'indennita' di maternita' ragguagliata alla
 sua ordinaria retribuzione e chi, come l'attuale ricorrente, sol  per
 avere in precedenza lavorato a tempo parziale, riceva, nel periodo di
 astensione  coincidente con il regime a tempo pieno, una retribuzione
 riferita al part-time.
   Il dubbio di costituzionalita'  e'  legittimo,  inoltre,  anche  in
 relazione  agli  artt.  31  e  37, primo comma, Cost.: sotto il primo
 profilo,  perche'  una  indebita  decurtazione   dell'indennita'   di
 maternita'  inciderebbe,  sul  piano  sia materiale che morale, sulla
 tutela  economica  della  famiglia  e  sugli  obblighi  relativi   al
 mantenimento   della   prole;  e,  sotto  il  secondo,  perche'  tale
 trattamento  penalizzante  comprimerebbe  il  diritto   della   donna
 lavoratrice di essere madre, senza che tale sua liberta' sia di fatto
 condizionata  dalla  prospettiva  di  una perdita del proprio reddito
 lavorativo quale conseguenza della maternita'.
   In  conclusione, poiche' la questione e' all'evidenza rilevante per
 la decisione della controversia, a norma dell'art. 23 della legge  11
 marzo  1953,  n.  87,  va  sollevata  questione  di costituzionalita'
 dell'art. 16, comma primo, della legge n. 1204 del 1971, nei  termini
 precisati  in  dispositivo,  sospendendosi il presente procedimento e
 disponendosi la trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale,
 con i conseguenti adempimenti da parte della cancelleria.
                               P. Q. M.
   La  Corte,  visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo 1953, n. 87,
 dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione  agli
 artt.    3, primo comma, 31 e 37, primo comma, della Costituzione, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16,  primo  comma,
 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui non prevede
 che,  nell'ipotesi  di  trasformazione del rapporto di lavoro a tempo
 parziale in rapporto di lavoro a tempo pieno, nel quale ultimo  abbia
 inizio  o  venga  comunque  a  protrarsi  il  periodo  di  astensione
 obbligatoria della  lavoratrice,  l'indennita'  di  maternita'  debba
 essere  determinata  con  riferimento alla retribuzione che sarebbe a
 costei spettata in relazione al regime a tempo pieno;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale e la sospensione del presente procedimento;
   Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al procuratore
 generale della Corte di cassazione e comunicata ai  Presidenti  delle
 due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso a Roma, il 18 marzo 1997
                          Il presidente: Nuovo
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