N. 33 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1997
N. 33 Ordinanza emessa il 21 ottobre 1997 dal Consiglio della magistratura militare nel procedimento disciplinare nei confronti di Roberti Benedetto Manlio Consiglio della magistratura militare - Procedimento disciplinare - Dedotta omessa previsione di apposita sezione disciplinare - Mancata previsione, altresi', al fine di assicurare l'invariabilita' numerica del collegio, di possibilita' di nomina dei componenti supplenti in caso di impedimento, astensione o ricusazione - Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per il Consiglio superiore della magistratura (art. 4, legge 24 marzo 1958, n. 195) - Lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge. (Legge 30 dicembre 1988, n. 561, art. 1, commi 3 e 4). (Cost., artt. 3 e 25, primo comma).(GU n.6 del 11-2-1998 )
IL CONSIGLIO DELLA MAGISTRATURA MILITARE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento disciplinare n. 5/1997 nei confronti del dott. Benedetto Manlio Roberti, in atto giudice per le indagini preliminari presso il tribunale militare di Torino. La difesa del dott. Benedetto Manlio Roberti ha sollevato preliminarmente questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi terzo e quarto, legge 30 dicembre 1988, n. 561, per contrasto con gli artt. 3, primo comma e 25, primo comma della Costituzione, nelle parti in cui: non escludono dalle deliberazioni disciplinari il presidente della Corte di cassazione e limitano l'esclusione della partecipazione del procuratore generale militare al solo momento deliberativo, senza estenderla alla fase degli atti preliminari al dibattimento; stabiliscono che, anche per le decisioni sulla responsabilita' disciplinare dei magistrati militari, il Consiglio deliberi a maggioranza con la presenza necessaria e sufficiente di almeno sei componenti (di cui tre elettivi) e con la prevalenza in caso di parita' di voti, del voto del presidente. La difesa, nell'articolare le proprie argomentazioni, ha dedotto che: il consiglio della magistratura militare "ha, per i magistrati militari, le stesse attribuzioni previste per il Consiglio superiore della magistratura, ivi comprese quelle concernenti i procedimenti disciplinari" e che "il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati militari e' regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari" (art. 1, comma terzo, legge 30 dicembre 1988, n. 561); "le deliberazioni del Consiglio sono adottate a maggioranza e per la loro validita' e' necessaria la presenza di almeno sei componenti, di cui tre elettivi. A parita' di voti prevale il voto del presidente" (art. 1, comma quarto, legge n. 561/1988); nessuna specifica disposizione e' dettata per la composizione e le deliberazioni del Consiglio della magistratura militare in sede disciplinare; secondo la legge istitutiva del Consiglio superiore della magistratura, "la cognizione dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati e' attribuita ad una sezione disciplinare, composta di nove componenti effettivi e di sei supplenti" (art. 4, comma primo, legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni ai sensi della legge 18 dicembre 1967, n. 1198, e 3 gennaio 1981, n. 1); la legge teste' richiamata differenzia le deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura in ambito extradisciplinare da quelle della sezione disciplinare dello stesso Consiglio, stabilendo per la validita' delle prime una regola generale (art. 5), paragonabile - mutatis mutandis - a quella prevista per tutte le deliberazioni del Consiglio della magistratura militare, e dettando per le seconde una disposizione speciale, volta ad assicurare il funzionamento della sezione come collegio perfetto, con particolare riguardo ai criteri di sostituzione dei componenti effettivi da parte dei componenti supplenti (art. 6); allo stato, il collegio giudicante della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura coincide con il plenum della sezione stessa (cfr. Cass., sez. un., 15 aprile 1978, n. 1779), la qual cosa e' coerente con la natura giurisdizionale del procedimento disciplinare a carico dei magistrati, ripetutamente affermata dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione (cfr. Corte cost., 2 febbraio 1971, n. 12; 3 aprile 1969, n. 60; 2 luglio 1966, n. 83; Cass., sez. un., 3 marzo 1970, n. 506); anche al Consiglio della magistratura militare in sede disciplinare deve riconoscersi natura di organo giurisdizionale, dimostrata dall'esercizio delle funzioni requirenti attribuite al procuratore generale militare presso la Corte di cassazione e dalla esperibilita' del ricorso alle sezioni unite civili della suprema Corte contro le deliberazioni consiliari. Alla luce di tali premesse, la difesa, richiamandosi anche a precedenti sentenze della Corte costituzionale sulla composizione della sezione disciplinare del C.S.M., ha elencato una serie di diversita' di disciplina, che evidenzierebbero le carenze normative inerenti il funzionamento del C.M.M. in sede disciplinare. Tali diversita' si radicano nella circostanza che la cognizione di procedimenti disciplinari a carico dei magistrati militari e' attribuita, nel silenzio della legge, allo stesso plenum, con la sola, espressa esclusione del procuratore generale militare presso la Corte di cassazione (membro di diritto del Consiglio), il quale "esercita le funzioni di pubblico ministero e non partecipa alle deliberazioni" (art, 1, comma terzo, ultima parte, legge n. 561/1988). In teoria, quindi, il Consiglio della magistratura militare in sede disciplinarre dovrebbe giudicare con l'intervento di otto dei suoi nove componenti. In pratica, pero', sottolinea la difesa, questa cifra non puo' essere raggiunta, per la legittima assenza (dovuta ai piu' disparati impedimenti: malattia, gravi motivi di famiglia, astensione, ricusazione ecc.) di uno o piu' consiglieri; nel qual caso, soccorre la disposizione, dettata in generale per tutta l'attivita' del Consiglio, secondo cui le deliberazioni di esso sono prese a maggioranza, per la loro validita' e' necessaria (e sufficiente) la presenza di almeno sei componenti (tre dei quali elettivi) e a parita' di voti prevale il voto del presidente (art. 1, quarto comma, legge ult. cit.). Il differente trattamento concretamente riservato, in ambito disciplinare, ai magistrati militari rispetto ai magistrati ordinari sarebbe pertanto irragionevole, niente giustificando che nel procedimento disciplinare contro i magistrati militari: non sia stabilita l'esclusione dal collegio giudicante del presidente della Corte di cassazione, ossia di colui che presiede l'organo alle cui sezioni unite civili e' dato ricorso contro le sentenze del Consiglio della magistratura militare in sede disciplinare; non sia stabilita l'esclusione da tutta l'attivita' consiliare in materia disciplinare, comprensiva cioe' dei cosi' detti atti preliminari al dibattimento, invece che dalla sola fase deliberante, del procuratore generale militare presso la Corte di cassazione, che nel procedimento e' parte; non sia applicata la tradizionale regola nota come calcolus Minervae, secondo cui nel processo penale e nei procedimenti sul processo penale modellati prevale a parita' di voti, la soluzione piu' favorevole all'incolpato (cfr. art 597 terzo comma, c.p.p. 1988; art. 473, quarto comma, c.p.p. 1930), invece che la regola della prevalenza del voto del presidente, circostanza - quest'ultima - che ben puo' verificarsi davanti al Consiglio della magistratura militare allorquando questo giudichi con il concorso di un numero pari di componenti. L'anzidetta violazione del principio di eguaglianza, tuttavia, secondo la difesa, non e' che la conseguenza di altra, piu' evidente violazione di norma costituzionale: nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati militari, cosi' come sommariamente richiamato dall'art. 1 della legge istitutiva dell'organo di autogoverno, risulta manifestamente violato il principio della capacita' a giudicare soltanto del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione. Al magistrato militare incolpato, a differenza del magistrato ordinario, non e' dato infatti di conoscere, in anticipo, sulla base di norme di legge, quanti e quali (intesi non come persone fisiche ma come appartenenti alle categorie rappresentate nel Consiglio: membri di diritto, elettivi e di nomina parlamentare) saranno i suoi giudici. Infatti il numero di costoro puo' variare da un minimo di sei ad un massimo di otto, senza alcuna preventiva garanzia che esso sia sempre di sei, di sette o di otto; e senza alcuna preventiva garanzia circa la rappresentanza, nel collegio, della componente di estrazione politica (essendo stabilita solamente la partecipazione di tre membri elettivi) e la non presenza del presidente della Corte di cassazione. La difesa ascrive inoltre la paradossale situazione del Consiglio della magistratura militare in sede disciplinare - paragonabile, con le dovute differenze, a quella di un tribunale o di una Corte di assise che si accinga a giudicare, rispettivamente, con meno di tre o con meno di otto elementi - al fatto che la legge istitutiva tratta le deliberazioni relative ai procedimenti disciplinari (aventi natura giurisdizionale) alla stregua delle deliberazioni che vengono assunte nei normali procedimenti amministrativi e non appresta alcun meccanismo volto ad assicurare il funzionamento del collegio come perfetto, attraverso la previsione di un numero indefettibile di giudicanti merce' la sostituzione dei componenti effettivi eventualmente impediti da parte dei componenti supplenti. Per tali ragioni, la difesa ha concluso con la richiesta che venga ritenuta fondata e rilevante la questione della illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi terzo e quarto, legge n. 561/1988 in relazione: 1) al disposto dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, per le minori garanzie apprestate ai magistrati militari incolpati in procedimenti disciplinari rispetto alle garanzie di cui godono, nelle stesse identiche condizioni, i magistrati ordinari; 2) al disposto dell'art. 25, primo comma, della Costituzione, per la omessa predeterminazione dei criteri di composizione e di funzionamento del collegio giudicante in materia di responsabilita' disciplinare dei magistrati militari. Il procuratore generale ha chiesto il rigetto di tutte le prospettate questioni di illegittimita' costituzionale perche' manifestamente infondate ed irrilevanti. Ritenuto 1. - Appare manifestamente infondata ed irrilevante la questione prospettata dalla difesa con riferimento alla partecipazione al collegio in seduta disciplinare del presidente della Corte di cassazione, in relazione alla circostanza che egli presiede l'organo alle cui sezioni unite civili e' rimesso il ricorso avverso le decisioni del C.M.M. in sede disciplinare. Nel corso della discussione orale la difesa ha precisato, che la questione trova il suo fondamento nella circostanza che sarebbe proprio il presidente della Corte di cassazione a determinare la composizione ed il calendario delle udienze delle sezioni unite civili potendo con cio' interferire sulla composizione del Collegio competente sul ricorso avverso le decisioni del C.M.M. in sede disciplinare. La questione e' impostata sulla base di una premessa. che non tiene conto della circostanza che la composizione dei Collegi delle sezioni unite e' stabilita con largo anticipo rispetto all'assegnazione dei singoli ricorsi a ciascuna udienza delle predette sezioni, cosicche' non corrisponde alla realta' l'ipotesi della possibile formazione di un Collegio ad hoc per la decisione di un ricorso avverso una sentenza del C.M.M. in sede disciplinare. Si aggiunga che il primo presidente, in fatto, non partecipa alle udienze in cui si discutono ricorsi in materia disciplinare relativi ai magistrati militari; mentre, ove cio' non facesse soccorrerebbe l'istituto della ricusazione. Sotto questi profili la questione deve ritenersi manifestamente infondata. La questione e' inoltre non rilevante poiche' essa potrebbe semmai ricorrendone i presupposti, essere sollevata se e nel momento in cui al collegio delle sezioni unite che giudica sul ricorso avverso una decisione del C.M.M. in sede disciplinare dovesse partecipare il presidente della Corte di cassazione che ha gia' partecipato al giudizio disciplinare. 2. - Appare altresi' manifestamente infondata ed irrilevante la questione prospettata dalla difesa in relazione alla partecipazione del Procuratore generale militare presso la Corte di cassazione ai cosiddetti atti preliminari al dibattimento, nonostante la sua posizione di parte nel procedimento. Il procuratore generale non partecipa infatti ad alcuna delle fasi deliberative che connotano l'attivita' del C.M.M. in sede disciplinare, essendo demandato in via esclusiva al presidente del Consiglio della magistratura militare il potere di fissare, su richiesta del procuratore generale presso la Corte di appello militare, la data per la discussione orale del procedimento: a cio' egli provvede senza la presenza dei componenti del comitato di presidenza. Inoltre il procuratore generale non svolge alcuna attivita', consistente nell'adozione di provvedimenti, nella fase dei c.d. atti preliminari al dibattimento. 3. - E' altresi' basata sua una errata ricostruzione normativa l'argomentazione della difesa, secondo cui, nel giudizio innanzi il C.M.M. in sede disciplinare si applicherebbe la regola della prevalenza del voto desidente. Al giudizio disciplinare nei confronti di magistrati militari si applicano invece, cosi' come al giudizio disciplinare per i magistrati ordinari, stante il richiamo operato dall'art. 1, terzo comma, legge n. 561/1988, le norme del codice di procedura penale, ivi compresa la disposizione dell'art. 473, quarto comma c.p.p. 1930, che prevede - alla stessa stregua dell'art. 527, comma terzo, c.p.p. 1988 - la regola della prevalenza della soluzione piu' favorevole all'imputato. 4. - E' invece non manifestamente infondata e rilevante la questione inerente la disparita' di trattamento normativo di analoghe situazioni - magistratura ordinaria e magistratura militare nei procedimenti disciplinari - sia per gli aspetti di irragionevolezza gia' sottolineati ed evidenziati nella precedente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale (C.M.M. in sede disciplinare in data 2 giugno 1997), sia per gli aspetti nuovi, oggi valutati, di violazione del principio di precostituzione per legge del giudice naturale. Ed infatti: a) quanto alla rilevanza, il Consiglio fa propria l'osservazione, gia' richiamata nella citata ordinanza, che la questione sollevata investe la stessa fonte normativa da cui discende la composizione dell'odierno giudice del procedimento disciplinare e la legittimazione a conoscere e decidere in ordine ai fatti oggetto di incolpazione. Non v'e' dubbio, infatti, che ove la questione dovesse risultare fondata e dovesse pertanto ritenersi che il C.M.M. in sede disciplinare, alla stessa stregua della Sezione disciplinare del C.S.M.. debba essere composto da un numero invariabile e predeterminato di soggetti (tra titolari e sostituti) il Collegio nella composizione odierna sarebbe irregolarmente costituito, per la assenza di un componente; b) quanto alla non manifesta infondatezza, il Consiglio fa ancora una volta proprie le considerazioni svolte nella gia' richiamata ordinanza, per l'aspetto inerente l'art. 3, primo comma, della Costituzione, che possono essere sinteticamente articolate nelle seguenti argomentazioni: la sentenza della Corte costituzionale n. 71/1995 ha riconosciuto natura giurisdizionale alla funzione disciplinare del C.M.M., proprio a causa dell'equiparazione alla funzione disciplinare del C.S.M.; l'art. 1, comma 3 legge n. 561/1988, pur espressamente prevedendo che "il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati militari e' regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari", non da' attuazione a tale principio, poiche' non prevede l'istituzione di una sezione disciplinare e non configura la possibilita' di intervento di membri supplenti, come accade invece, per i magistrati ordinari, ai sensi dell'art. 4 legge n. 195/1958; tale disparita' di trattamento appare irragionevole, poiche' la comune natura giurisdizionale dei due procedimenti disciplinari discende dalla comune esigenza di dare la massima effettivita' al principio di indipendenza della magistratura proclamato per le giurisdizioni speciali dall'art. 108 della Costituzione, che deve trovare la piu' completa attuazione proprio nel procedimento disciplinare in cui si applicano provvedimenti di natura sanzionatoria, destinati ad incidere sullo stato della persona e sulla sfera lavorativa del magistrato; la mancata previsione di una sezione disciplinare e di meccanismi che garantiscano l'invariabilita' numerica del Collegio nel procedimento disciplinare nei confronti di magistrati militari altera l'equilibrio del sistema, prevedendo una diversa disciplina per situazioni la cui eguaglianza deve invece essere assicurata per garantire l'indipendenza di ogni magistrato, ordinario o militare che sia. A tali argomentazioni deve aggiungersi che la rilevata disparita' di trattamento evidenzia ancor piu' la sua consistenza in relazione al principio di precostituzione del giudice naturale. Tale principio e' stato oggetto di una copiosa ed approfondita analisi dottrinale e giurisprudenziale, nell'ambito della quale - pur con una serie di contrasti ed oscillazioni sulla coincidenza o meno tra il concetto di precostituzione ed il concetto di naturalita' del giudice - e' emersa comunque l'esigenza che la scelta del giudice competente a decidere sia previamente determinata rispetto a fattispecie astratte, sia sottratta a criteri di discrezionalita', sia coperta da riserva assoluta di legge, e che la costituzione degli organi giudicanti non abbia luogo in vista del singolo processo (cosi', tra le altre, Corte costituzionale 13 giugno 1983, n. 164; Corte costituzionale 14 novembre 1979, n. 127; Corte costituzionale (ord.), 5 aprile 1984, n. 100; Corte costituzionale 3 maggio 1963, n. 50; Corte costituzionale 12 maggio 1997, n. 77; Corte costituzionale 13 dicembre 1963, n. 156). Nel caso del C.M.M. in sede disciplinare, se e' vero che la composizione dell'organo, coincidendo sostanzialmente - salva l'esclusione del procuratore generale militare presso la Corte di cassazione - con quella del plenum e' prevista dalla legge, e' altrettanto vero che la sua effettiva composizione per il singolo procedimento puo' essere variata in relazione a situazioni contingenti. La mancata previsione, da parte della legge, di una apposita sezione disciplinare, formata da un numero di membri non variabile, la cui stabilita' numerica sia assicurata dalla figura dei supplenti, e' fonte di un possibile contrasto con i principi costituzionali. Per un verso, infatti, tale mancata previsione rappresenta un ulteriore parametro di disparita' di trattamento, la cui irragionevolezza puo' essere desunta proprio dal contrasto con l'art. 25 della Costituzione. Per altro verso essa puo' assumere autonoma rilevanza, laddove si ritenga che la garanzia di precostituzione per legge del giudice naturale attenga alla predeterminazione normativa non solo del tipo di collegio che dovra' svolgere una attivita' giurisdizionale, ma anche del numero invariabile di componenti che, assicurandone la stabilita' funzionale, garantisce che lo svolgimento di attivita' giurisdizionale non sia soggetto a cambiamenti contingenti e legati al singolo procedimento.
P. Q. M. Letto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara manifestamente infondata e irrilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi terzo e quarto, legge 30 dicembre 1988, n. 561, con riferimento alla presenza nel Consiglio in sede disciplinare del primo presidente della Corte di cassazione in relazione agli artt. 3 e 25, comma primo, della Costituzione; Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi terzo e quarto, legge 30 dicembre 1988, n. 561, con riferimento alla presenza nelConsiglio del procuratore generale militare presso la Corte di cassazione, in relazione agli artt. 3 e 25, comma primo, della Costituzione; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi terzo e quarto, legge 30 dicembre 1988, n. 561, con riferimento alla composizione del Consiglio della magistratura militare in sede disciplinare, in relazione agli artt. 3 e 25, comma primo, della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e l'invio degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che l'ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti di Camera e Senato. Roma, addi' 21 ottobre 1997 Il presidente: (firma illeggibile) 98C0073