N. 561 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 luglio 1999

                                N. 561
  Ordinanza emessa il  7  luglio  1999  dal  tribunale  di  Parma  nel
 procedimento civile vertente tra Belli Olga e I.N.P.S.
 Previdenza   e   assistenza   sociale  -  Pensioni  INPS  -  Rimborsi
    conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn.  495/1993
    e  240/1994  -  Modalita'  di  pagamento  - Estinzione dei giudizi
    pendenti alla data di entrata in vigore della normativa  impugnata
    -  Incidenza  sul diritto di difesa, sui principi di eguaglianza e
    della  garanzia  previdenziale  -  Indebita   interferenza   sulla
    funzione  giurisdizionale - Riferimento alla ordinanza della Corte
    n. 31/1999 di restituzione atti per ius superveniens  di  analoghe
    questioni riferite alla precedente normativa.
 (Legge  23  dicembre  1996, n. 662, art. 1, comma 182, modificato dal
    d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con  modificazioni,  nella
    legge  28  maggio 1997, n. 140, sostituito dalla legge 23 dicembre
    1998, n. 448, art. 36).
 (Cost., artt. 3, 24, 38, secondo comma, 102 e 113).
(GU n.42 del 20-10-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   A scioglimento della riserva formulata nel procedimento n.  2100/94
 r.g.  all'udienza  del  20  aprile 1999, fra Belli Olga, avv. Luciano
 Petronio, ricorrente;
   Contro l'I.N.P.S., avv. Angelo Acquaviva + 1, convenuto;
   Ha pronunciato la presente ordinanza osservando quanto segue:
                            Fatto e diritto
   Con ricorso del 28 dicembre 1994 diretto al  pretore  di  Parma  in
 funzione  di  giudice  del  lavoro,  Belli Olga conveniva in giudizio
 l'I.N.P.S. e dopo aver premesso di essere titolare di pensione IO non
 integrata al minimo perche' titolare  anche  di  pensione  SO,  aveva
 chiesto    integrazione   al   minimo   della   prima   pensione   da
 "cristallizzarsi" sussistendo il requisito reddituale;
   Aggiungeva che l'I.N.P.S.  aveva  respinto  tale  domanda,  ma  che
 esiste   il   diritto   all'integrazione  come  sancito  dalla  Corte
 costituzionale n. 240/1994.
   Pertanto,  la  ricorrente  cosi'  concludeva:  "Voglia  il  pretore
 ill.mo,   contrariis   reiectis,   previa   ogni  pronuncia  ed  ogni
 accertamento, anche incidentale del caso e di legge,
     a)  dichiarare  tenuto  e  per  l'effetto  condannare  l'INPS   a
 riliquidare  in  favore  di  parte attrice, con decorrenza dalla data
 dalla quale e' sorto il relativo diritto, la pensione di cui al punto
 1) delle premesse di fatto  del  ricorso,  integrando  la  stessa  al
 trattamento minimo di tempo in tempo in vigore;
     b)  dichiarare operanti in favore di parte ricorrente il comma 7,
 dell'art.   6,   del   d.-l.    n.    638/1983,    con    conseguente
 ''cristallizzazione'' di quella delle pensioni menzionate in premesse
 non  piu'  integrabile al minimo nella misura percipienda de jure dal
 essa parte attrice alla data del 1 ottobre  1983  e  cio'  fino  alla
 operativita'  ex  art.    6  del  d.-l.  n.  638/1983  ed, ex lege n.
 140/1985,  od  in  forza   di   altra   normativa,   di   trattamenti
 pensionistici   complessivamente   piu'   favorevoli,  pure  essi  da
 liquidarsi, con applicazione, inoltre,  ricorrendone  le  condizioni,
 dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, come risultante dopo
 Corte  cost.  n.  495/1993, dal momento in cui il 60% del trattamento
 pensionistico minimo di tempo in tempo in  vigore  risulti  superiore
 all'importo  della  pensione  cristallizzata  (od  anche  di quella a
 calcolo, ove la cristallizzazione non sia ritenuta operante);
     c) condannare, conseguentemente, l'Inps a corrispondere  a  parte
 attrice,  tutte  le  differenze fra il trattamento pensionistico come
 sopra rideterminato e  quello  negli  anni  realmente  goduto;  oltre
 rivalutazione ed interessi, con la decorrenza di legge, fino al saldo
 effettivo; il tutto per la somma che risultera' in corso di giudizio,
 all'esito di apposita CTU.
   Con  vittoria  di  spese, diritti ed onorari, (oltre CPA ed IVA) da
 distrarsi in favore del procuratore  di  parte  attrice,  che  le  ha
 anticipate".
   Dopo  la  notificazione  del  ricorso  e  del  decreto,  l'Inps  si
 costituiva in giudizio a mezzo di memoria difensiva  ivi  concludendo
 per  la  declaratoria di estinzione-inammissibilita' del giudizio, ai
 sensi del d.-l. n.  166/1996.
   Dopo  alcuni  rinvii  in  attesa  della   decisione   della   Corte
 costituzionale  in  ordine  alla  legittimita'  della  normativa  che
 dispone l'estinzione d'ufficio  dei  giudizi  in  corso;  e  dopo  la
 pubblicazione  della ordinanza della Corte costituzionale n. 31/1999,
 venivano sollevate ancora "eccezioni di  legittimita'  costituzionale
 (di  cui  infra)  dell'art.    1,  comma 182, legge n. 662/1996; come
 modificato dal d.-l. n. 79/1997, convertito, con modificazioni, dalla
 legge n. 140/1997, e da ultimo dall'art. 36 della legge n. 448/1998.
   Ha controdedotto l'Inps, sostenendo la manifesta infondatezza delle
 sollevate eccezioni.
   Ritiene  il   giudicante   che   le   questioni   di   legittimita'
 costituzionale sollevate non sono manifestamente  infondate.
   Invero,  l'art. 1, comma 182, legge n. 662/1996, e l'art. 36, comma
 5, della legge n. 448/1998, hanno disposto l'estinzione d'ufficio con
 compensazione delle spese dei giudizi pendenti alla data  di  entrata
 in  vigore  delle  rispettive  leggi  e  hanno  privato  di effetti i
 provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato.
   Tale questione viene riproposta poiche' la Corte costituzionale non
 si e' pronunciata in  ordine  alla  stessa  con  la  citata  ord.  n.
 31/1999; ne' con le successive n. 76 e n. 221/1999.
   A  tal  riguardo, giova pregiudizialmente rilevare che la questione
 relativa  alla  dichiarazione  di  estinzione   dei   giudizi,   come
 legislativamente  disposta,  secondo la costante giurisprudenza della
 Corte   cost.,    assume    rilievo    preliminare    di    carattere
 logico-processuale  rispetto  ad  ogni  altra  possibile  censura  di
 incostituzionalita', in quanto costituente  precetto  ineludibile  da
 parte del giudice (v. sent. n. 103/1995).
   La normativa sopra menzionata si pone in contrasto con gli artt.  3
 e 24 della Costituzione, poiche' con la disposta estinzione d'ufficio
 dei  giudizi in corso viene sostanzialmente vanificato il diritto del
 cittadino alla tutela giurisdizionale.
   Infatti, con la presunta verificatasi cessazione della materia
 del contendere e' precluso l'esame di tutte le domande e le eccezioni
 proposte  (prescrizione  -  decadenza  -  limiti  reddituali,  ecc.);
 eccezioni  che  possono  poi riemergere in sede amministrativa, nella
 quale  pero'  il  pensionato  si  trovera'   privato   della   tutela
 giurisdizionale  e  non  piu' garantito del soddisfacimento delle sue
 pretese.
   Invero, il soddisfacimento integrale dei diritti del pensionato non
 puo' considerarsi essere un risultato del tutto scontato  sulla  base
 della  idoneita' della normativa sopravvenuta a soddisfare le ragioni
 degli aventi diritto fatte valere nei giudizi in relazione  ai  quali
 e' imposta l'estinzione ex lege.
   Ora,  come  ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n.
 103 del 31 marzo 1995 (in  Foro  It.,  1995,  I,  l731),  sotto  tali
 profili,    per    individuare    i   limiti   di   costituzionalita'
 dell'intervento del legislatore nel processo, quando di questo  venga
 definito  l'esito  attraverso  una  norma che ne imponga l'estinzione
 occorre valutare il rapporto fra siffatto intervento e  il  grado  di
 realizzazione  che  alla  pretesa azionata sia stato accordato per la
 via  legislativa.     E  allorche'  la   legge   sopravvenuta   abbia
 soddisfatto,  anche  se  non integralmente le ragioni fatte valere in
 giudizio, si e' esclusa  la  illegittimita'  costituzionale  di  tale
 ultima  previsione,  proprio  perche'  questa sarebbe coerente con il
 riconoscimento ex lege  del  diritto  fatto  valere.  E  invero,  per
 escludersi  la  menomazione  del  diritto  di azione, e' necessario e
 sufficiente che l'ambito delle  situazioni  giuridiche  di  cui  sono
 titolari  gli  interessati  risulti  comunque  "arricchito" a seguito
 della normativa che da' luogo alla estinzione dei giudizi.
   Cio' non verificandosi, come nel caso in cui  lo  ius  superveniens
 non  soddisfi  le richieste degli interessati e si ponga in contrasto
 con   l'interpretazione   giurisprudenziale   ad   essi   favorevole,
 stabilendo  l'estinzione  dei  processi in corso, e si operi cosi' da
 parte  del  legislatore  una  sostanziale  vanificazione  della   via
 giurisdizionale,  intesa  quale  mezzo  al fine dell'attuazione di un
 preesistente diritto, e' da ravvisarsi la violazione del  diritto  di
 azione,   di   cui  all'art.    24  della  Costituzione  (cfr.  Corte
 costituzionale n. 123/1987; n.   103/1995, cit.,  e  Cass.  2  maggio
 1996,  ord.  in  Gazzetta  Ufficiale  -  serie speciale - 18 dicembre
 1996).
   Infatti,  deve  essere  rilevato  che  l'art.  36  della  legge  n.
 448/1998,  sostituendo  il  comma  182  dell'art.  1  della  legge n.
 662/1996 ha disposto che sugli arretrati maturati al 31 dicembre 1995
 e' dovuta esclusivamente una somma pari al 5 per  cento  dell'importo
 maturato  a  tale  data;  contro  la  precedente  previsione  che non
 riconosceva alcunche' a titolo di interessi e rivalutazione.
   Come si vede, anche  la  nuova  situazione  normativa,  sotto  tale
 profilo,   peggiora   notevolmente   la   posizione   del   creditore
 previdenziale, poiche',  nell'ambito  della  prescrizione  decennale,
 sull'importo maturato alla data del 31 dicembre 1995 viene in effetti
 riconosciuta  solo una semplice maggiorazione (onnicomprensiva) dello
 0,5%  annuo,  in  sostituzione  degli  interessi.  La  disparita'  di
 trattamento,  anche  rispetto  ai crediti previdenziali in genere, e'
 considerevole, specie ove si tenga conto che  per  tutto  il  periodo
 anteriore  al  1  gennaio  1992  (entrata  in  vigore  della legge n.
 412/1991) sui crediti previdenziali erano dovuti interessi  legali  e
 rivalutazione,   come  da  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
 156/1991; considerato anche il saggio d'interesse  aumentato  al  10%
 nel periodo dal 1 gennaio 1991 al 31 dicembre 1996.
   Ora,   dal   necessario   raffronto  fra  i  dati  oggettivi  sopra
 menzionati,  emerge  chiaramente  che  il  riconoscimento  da  ultimo
 operato  dal legislatore e' solo formale e simbolico, dal momento che
 la maggiorazione prevista rapportata  a  L.  1.000.000  di  capitale,
 maturato, e' pari a L. 5.000, in ragione d'anno (per un periodo di 10
 anni).
   Tanto  e'  simbolico  tale  riconoscimento che si puo' ben dire che
 permane sostanzialmente la esclusione di  qualsiasi  accessorio  come
 era  nella  previsione  del  comma  182  dell'art.  1  della legge n.
 662/1996.
   Se  cosi'  e', non ci si puo' esimere dal richiamare, sul punto, la
 sentenza della stessa Corte costituzionale 23 dicembre 1998, n.  417,
 che ha dichiarato illegittimo,  per  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione  l'art.  7,  ultimo comma, della legge n. 463/1959, come
 modificato dall'art. 12, legge n. 613/1966, nella parte  in  cui  non
 prevede  la  corresponsione di interessi sui contributi indebitamente
 versati, da restituire. Ha affermato la Corte che  in  tal  caso,  il
 vulnus  recato  al  principio  di  eguaglianza  deriva non gia' dalla
 esclusione degli interessi legali, bensi' dalla totale esclusione  di
 interessi,  che  la  disciplina  impugnata  non  riconosce neanche in
 misura ridotta.
   E, pertanto, "legittimamente il legislatore,  nell'esercizio  della
 sua discrezionalita', potrebbe decidere di quantificare gli stessi in
 una diversa, purche' non simbolica misura".
   E  allora,  con  riferimento  alla  fattispecie,  non  si  puo' non
 convenire, con la difesa di parte  ricorrente,  quando  evidenzia  la
 circostanza  che  lo  ius  superveniens  non  ha certo determinato un
 arricchimento della situazione patrimoniale  dell'assicurata;  bensi'
 un  impoverimento  di  tale  situazione  attraverso il riconoscimento
 meramente simbolico e formale di una maggiorazione che,  per  la  sua
 entita',  esclude  la configurabilita' degli accessori di legge sulle
 somme maturate e come tale e' anche lesiva della dignita' umana.
   Sotto i profili, teste' enunciati, e' possibile anche  ritenere  la
 sussistenza   della   violazione   dell'art.   38,   comma  2,  della
 Costituzione, poiche'  la  disciplina  in  esame  viene  ad  incidere
 sfavorevolmente  nel  patrimonio di soggetti che appartengono a fasce
 sociali fra le piu' svantaggiate, avendo l'integrazione al minimo  ma
 anche gli accessori sugli arretrati della prestazione, la funzione di
 integrare  la pensione quando risulti inferiore ad un minimo ritenuto
 necessario a soddisfare le esigenze della vita, in assenza  di  altri
 redditi (v. Corte costituzionale n. 240/1994).
   Gli  accessori,  infatti,  come  la  pensione costituiscono credito
 previdenziale, quali componenti essenziali del credito principale (v.
 Corte costituzionale n. 156/1991).
   Sotto altro profilo, il  dubbio  di  costituzionalita'  investe  la
 normativa censurata per quanto concerne ancora la disposta estinzione
 dei giudizi cui deve conseguire la compensazione delle spese.
   Il  contrasto si pone non solo con riguardo agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione;  ma  anche  rispetto  agli  artt.  102  e   113   della
 Costituzione,  poiche'  l'automatica  estinzione  di  tutti i giudizi
 pendenti con la compensazione delle spese, senza che il giudice possa
 accertare se effettivamente, nel caso di  specie  sottoposto  al  suo
 esame,  si  sia  verificata,  anche se per riconoscimento ex lege, la
 cessazione della materia del  contendere,  realizza  una  illegittima
 interferenza  del potere legislativo nella sfera della giurisdizione;
 posto che, per le  considerazioni  sopra  svolte,  non  e'  possibile
 ravvisare,  nella  generale  e  astratta  soluzione prospettata dalla
 legge, per  i  soggetti  interessati,  quel  vantaggio  tale  da  far
 presumere  in punto di fatto soddisfatti, anche se in misura ridotta,
 ma pur sempre apprezzabile, i diritti azionati  nelle  singole  cause
 soggette ad estinzione.
   Inoltre,  e'  a  dire  che  il  vulnus all'esercizio del diritto di
 azione e  di  difesa  e  l'indebita  ingerenza  nell'esercizio  della
 giurisdizione   e'   palese   anche   con   riguardo   alla  disposta
 compensazione delle spese del giudizio, poiche' - da  un  lato  -  si
 sottrae  al  giudice  la cognizione di tale componente accessoria, ma
 necessaria della controversia,  non  potendo  neanche  accertare  pur
 sotto   il  profilo  della  soccombenza  virtuale,  se  sussistono  i
 presupposti  per  la  relativa  declaratoria,  tenuto  conto  che  la
 dichiarazione di estinzione del giudizio per cessazione della materia
 del  contendere  e'  un  fenomeno  di  carattere  sostanziale  e  non
 meramente processuale che il giudice deve poter valutare anche  sotto
 il profilo della soccombenza virtuale.
   D'altro lato, non potendo il giudice decidere sulle spese, la legge
 finisce col sopprimere il diritto dell'interessato, anche per il caso
 di  fondatezza  della  sua  domanda,  a  vedersi  tenuto  indenne dal
 pagamento, al proprio difensore, delle spese  processuali  sostenute,
 anche  se  anticipate all'avvocato, con la conseguente violazione del
 principio che le  spese  non  possano  gravare  sulla  parte  che  ha
 ragione,  (come  nel  caso  delle spese gia' anticipate) e che non ha
 dato causa al giudizio.
   Per quanto sopra, non sembra lecito dubitare che  la  questione  di
 legittimita'  come  sollevata e' rilevante nel presente giudizio, sul
 quale e' destinata ad operare direttamente, avendo  l'Inps  richiesto
 di dichiararlo estinto a spese compensate.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23, legge il marzo 1953, n. 87;
   Dichiara non manifestamente infondata e rilevante per contrasto con
 gli  artt.  3,  24,  38, secondo comma, 102, 113, della Costituzione,
 dell'art. 1, comma 182, della legge 23 dicembre 1996, come modificata
 dal d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni,  dalla
 legge  28  maggio  1997, n. 140, e come sostituito dall'art. 36 della
 legge 23 dicembre 1998, n. 448;
   Dispone la sospensione del presente giudizio e dispone  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti e al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso, in Parma il 7 luglio 1999.
                     Il giudice estensore: Ferrau'
 99C1012