N. 603 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 febbraio 2007
Ordinanza emessa il 22 febbraio 2007 dalla Corte di appello di Venezia nel procedimento penale a carico di Muraro Pierluigi Processo penale - Appello - Modifiche normative - Giudizio abbreviato - Limiti all'appello - Facolta' del pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Esclusione - Inammissibilita' dell'appello proposto dal pubblico ministero prima dell'entrata in vigore della novella - Irragionevole lesione del principio di parita' tra le parti - Richiamo alla sentenza n. 26/2007 della Corte costituzionale. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, artt. 2 (modificativo dell'art. 443, comma 1, cod. proc. pen.) e 10. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.35 del 12-9-2007 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza. Rilevato che con sentenza in data 17 gennaio 2003 il Tribunale monocratico di Verona, procedendo con rito abbreviato, ha assolto Muraro Pierluigi dal reato di truffa contestato perche' il fatto non sussiste; che avverso tale sentenza il p.g. di Venezia ha proposto appello. che all'odierna udienza il p.m. ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 443, primo comma, codice di procedura penale, come modificato dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui esclude l'appello del p.m. contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel rito abbreviato, per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione. O s s e r v a La norma di cui viene eccepita l'incostituzionalita' e' quella di cui all'art. 443, primo comma, codice di procedura penale quale risulta dalla modifica apportata dall'art. 2 della legge n. 46/2006. Nella sua originaria formulazione tale norma escludeva la possibilita' per il p.m. e per l'imputato di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento nel giudizio abbreviato quando l'appello tendeva ad ottenere una formula diversa. Con l'entrata in vigore della legge sopraindicata il regime dell'appello nel giudizio abbreviato e' stato profondamente modificato, nel senso che, avendo l'art. 2 eliminato le parole «quando l'appello tende ad ottenere una diversa formula», e' esclusa la possibilita' per il p.m. e l'imputato di appellare qualsiasi sentenza di proscioglimento quale che sia il contenuto del gravame. Tale norma non e' stata toccata dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 2007 la quale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale soltanto degli artt. 1 e 10 della legge. Ritiene, peraltro, questa Corte di appello che dai principi enunciati nella sentenza sopraindicata emerga la contrarieta' alla Costituzione anche dell'art. 2 della legge n. 46/2006. Ha affermato la Corte costituzionale: il secondo comma dell'art. 111 Cost., inserito dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione) - nello stabilire che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita» - ha conferito veste autonoma ad un principio, quello di parita' delle parti, «pacificamente gia' insito nel pregresso sistema dei valori costituzionali» (ordinanze n. 110 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001); le diverse condizioni di operativita' ed i differenti interessi di cui il p.m. e l'imputato sono portatori (il primo organo pubblico che agisce nell'esercizio di un potere e a tutela di interessi collettivi, il secondo un soggetto privato che difende i propri diritti fondamentali) non impongono di ritenere che tale principio debba necessariamente tradursi in un'assoluta simmetria di poteri e facolta' in ogni fase processuale; alterazioni di tale simmetria - tanto nell'una che nell'altra direzione (ossia tanto a vantaggio della parte pubblica che di quella privata) - sono, peraltro, compatibili con il principio di parita', ad una duplice condizione e, cioe', che esse, per un verso, trovino un'adeguata ratio giustificatrice nel ruolo istituzionale del pubblico ministero, ovvero in esigenze di funzionale e corretta esplicazione della giustizia penale, anche in vista del completo sviluppo di finalita' esse pure costituzionalmente rilevanti; e, per un altro verso, risultino comunque contenute - anche in un'ottica di complessivo riequilibrio dei poteri, avuto riguardo alle disparita' di segno opposto riscontrabili in fasi del procedimento distinte da quelle in cui s'innesta la singola norma discriminatrice avuta di mira (si vedano le sentenze n. 115 del 2001 e n. 98 del 1994) - entro i limiti della ragionevolezza; tale vaglio di ragionevolezza va evidentemente condotto sulla base del rapporto comparativo tra la ratio che ispira, nel singolo caso, la norma generatrice della disparita' e l'ampiezza dello «scalino» da essa creato tra le posizioni delle parti, mirando segnatamente a verificare l'adeguatezza della ratio e la proporzionalita' dell'ampiezza di tale «scalino» rispetto a quest'ultima. Non si puo' ipotizzare, ad esempio, che la posizione di vantaggio di cui fisiologicamente fruisce l'organo dell'accusa nella fase delle indagini preliminari, sul piano della ricchezza degli strumenti investigativi abiliti di per se' sola il legislatore, in nome di un'esigenza di «riequilibrio», a qualsiasi deminutio, anche la piu' radicale, dei poteri del pubblico ministero nell'ambito di tutte le successive fasi; anche la disciplina delle impugnazioni, quale capitolo della complessiva regolamentazione del processo, si colloca entro l'ambito applicativo del principio di parita' delle parti; conseguentemente, se pur il potere di impugnazione nel merito della sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero presenta margini di «cedevolezza» piu' ampi rispetto a quelli che connotano il simmetrico potere dell'imputato, la norma di cui all'art. 1 racchiude una disimmetria radicale in quanto, a differenza dell'imputato, il pubblico ministero viene privato del potere di proporre doglianze di merito avverso la sentenza che lo veda totalmente soccombente negando integralmente la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere con l'azione intrapresa, in rapporto a qualsiasi categoria di reati. Ed il fatto che l'inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento sia sancita anche per l'imputato non incide sulla citata sperequazione per cui una sola delle parti, e non l'altra, e' ammessa a chiedere la revisione nel merito della sentenza a se' completamente sfavorevole. l'eliminazione del potere di appello del pubblico ministero non puo' ritenersi compensata dall'ampliamento dei motivi del ricorso per cassazione non solo perche' tale ampliamento e' sancito a favore di entrambe le parti ma soprattutto perche' il rimedio non attinge comunque alla pienezza del riesame del merito consentito dall'appello. in sostanza mentre il pubblico ministero totalmente soccombente in primo grado resta privo del potere di proporre appello, detto potere viene invece conservato dall'organo dell'accusa nel caso di soccombenza solo parziale vuoi in senso qualitativo (sentenza di condanna con mutamento del titolo del reato o con esclusione di circostanza aggravanti) vuoi in senso quantitativo (sentenza di condanna a pena ritenuta non congrua); pertanto, che la menomazione recata dalla disciplina impugnata ai poteri della parte pubblica, nel confronto con quelli speculari dell'imputato, eccede il limite di tollerabilita' costituzionale, in quanto non sorretta da una ratio adeguata in rapporto al carattere radicale, generale e «unilaterale» della menomazione stessa: oltre a risultare - per quanto dianzi osservato - intrinsecamente contraddittoria rispetto al mantenimento del potere di appello del pubblico ministero contro le sentenze di condanna. Ritiene questa Corte di appello che tali argomentazioni debbano trovare applicazione anche per quanto concerne la disposizione di cui all'art. 2 della legge n. 46/2002 che priva il p.m., totalmente soccombente in primo grado, del potere di proporre appello nel giudizio abbreviato, determinando in capo all'organo dell'accusa di fronte ad una sentenza di primo grado pronunciata col rito abbreviato, una condizione di paralisi praticamente totale, essendo la sua possibilita' di proporre appello limitata alla sola ipotesi, assolutamente marginale, di sentenza di condanna in cui sia stato modificato il titolo del reato. Ne', come ha gia' rilevato la Corte costituzionale, il fatto che l'inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento sia sancita anche per l'imputato incide sulla citata sperequazione per cui una sola delle parti, e non l'altra, e' ammessa a chiedere la revisione nel merito della sentenza a se' completamente sfavorevole. Si tratta di una sperequazione radicale tra le parti del processo che, a giudizio di questa Corte di appello, supera di gran lunga i limiti della ragionevolezza non potendo trovare giustificazione neppure nelle particolari esigenze di celerita' proprie del giudizio abbreviato e che sono state ritenute dalla Corte costituzionale, in precedenti, decisioni tali da giustificare la limitazione del potere di appello del p.m. sulle sentenze di condanna pronunciate nel giudizio abbreviato. Ragionevolezza che era stata affermata anche sotto il profilo che si trattava pur sempre di sentenze in cui, comunque, la pretesa punitiva fatta valere dall'organo dell'accusa aveva trovato soddisfazione. Nel caso che qui interessa, invece, le pur legittime esigenze di celerita' proprie del giudizio abbreviato non possono assumere una rilevanza talmente preponderante da giustificare l'eliminazione generalizzata ed unilaterale dell'appellabilita' da parte del p.m. di tutte sentenze di proscioglimento, eliminazione che comporta per tale organo l'impossibilita' di adempiere, in una fase fondamentale del processo, alla sua funzione istituzionale dell'esercizio di un potere a tutela degli interessi collettivi, alla quale e' pacificamente riconosciuta rilevanza costituzionale. Nella sostanza si deve ritenere che anche nel giudizio abbreviato la menomazione recata dalla disciplina impugnata ai poteri della parte pubblica, nel confronto con quelli speculari dell'imputato, ecceda il limite di tollerabilita' costituzionale, in quanto non sorretta da una ratio adeguata in rapporto al carattere radicale, generale e «unilaterale» della menomazione stessa e che, conseguentemente, la norma si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione. La rilevanza della questione nel presente processo e' di tutta evidenza posto che dal suo accoglimento dipende l'ammissibilita' dell'appello proposto dal p.g. e, quindi, la possibilita' per questa Corte di celebrare il giudizio di appello. Alla questione come sopra sollevata risulta legata quella dell'illegittimita' costituzionale della norma transitoria di cui all'art. 10 della legge che la Corte costituzionale con la sentenza sopra ricordata ha gia' riconosciuto «nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge e' dichiarata inammissibile». Ora poiche' tale illegittimita' e' stata dichiarata come conseguenza di quella dell'art. 1 ritiene questa Corte di appello che la pronuncia debba essere intesa come riferentesi esclusivamente agli appelli disciplinati da tale norma con la conseguenza che la norma transitoria sarebbe tuttora valida per quanto concerne gli appelli indicati nell'art. 2 della legge. E' poiche' l'illegittimita' costituzionale della norma transitoria costituisce diretta conseguenza di quella del citato art. 2 la questione deve essere sollevata.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, in relazione agli artt. 3 e 111 della Costituzione. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 111 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della stessa legge nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento pronunciata in sede di giudizio abbreviato prima della data di entrata in vigore della medesima legge e' dichiarata inammissibile. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e che venga comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Venezia, addi' 22 febbraio 2007 Il Presidente: Dodero 07C1091