N. 274 SENTENZA 7 - 22 luglio 2010

Giudizio per conflitto di attribuzione tra Enti. 
 
Sicurezza  pubblica  -  Volontariato  -  Comuni,  Province  e  Citta'
  metropolitane - Decreto del Ministro dell'interno  attuativo  delle
  norme  statali  che  prevedono  il  possibile   coinvolgimento   di
  associazioni  di  cittadini  per  la   segnalazione   agli   organi
  competenti  di  situazioni  di  «disagio  sociale»  -  Ricorso  per
  conflitto di attribuzione della Regione Toscana -  Riconducibilita'
  della disciplina alla  materia  «servizi  sociali»,  di  competenza
  legislativa regionale  residuale  -  Conseguente  violazione  della
  potesta'  regolamentare  delle  Regioni  limitatamente  alla  parte
  riguardante l'attivita' di segnalazione di  situazioni  di  disagio
  sociale - Non spettanza allo Stato, in parte  qua,  della  potesta'
  esercitata  -  Conseguente  annullamento   parziale   del   decreto
  impugnato. 
- Decreto del Ministro dell'interno  8  agosto  2009,  attuativo  dei
  commi da 40 a 44 dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 117,  secondo  comma,  lett.  h),  120,  secondo
  comma, e 121; legge 5 giugno 2003, n. 131, artt. 8, commi 1, 4 e 5. 
(GU n.30 del 28-7-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nei giudizi per conflitti di attribuzione tra enti  sorti  a  seguito
del decreto del Ministro dell'interno dell'8  agosto  2009,  recante:
«Determinazione  degli  ambiti  operativi   delle   associazioni   di
osservatori  volontari,  requisiti   per   l'iscrizione   nell'elenco
prefettizio e modalita' di tenuta dei relativi  elenchi,  di  cui  ai
commi da 40 a 44 dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n.  94»,
promossi  dalle  Regioni  Toscana  ed  Emilia-Romagna   con   ricorsi
notificati il 5 ed il 7 ottobre 2009, depositati in  cancelleria  l'8
ed il 13 ottobre 2009 ed  iscritti  ai  nn.  10  e  11  del  registro
conflitti tra enti 2009. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 7 luglio 2010 il Giudice relatore
Giuseppe Frigo; 
    Uditi  gli  avvocati  Lucia  Bora   per   la   Regione   Toscana,
Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 5 ottobre  2009  e  depositato  il
successivo 8 ottobre (reg. confl. enti n. 10 del  2009),  la  Regione
Toscana ha proposto  conflitto  di  attribuzione  nei  confronti  del
Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione  al  decreto  del
Ministro  dell'interno  8  agosto  2009,  pubblicato  nella  Gazzetta
ufficiale della Repubblica, serie  generale,  n.  183  dell'8  agosto
2009,  recante   «Determinazione   degli   ambiti   operativi   delle
associazioni di osservatori  volontari,  requisiti  per  l'iscrizione
nell'elenco prefettizio e modalita' di tenuta dei  relativi  elenchi,
di cui ai commi da 40 a 44 dell'articolo  3  della  legge  15  luglio
2009,  n.  94»,  prospettando  la  violazione  dell'art.  117,  commi
secondo, lettera  h),  quarto  e  sesto,  della  Costituzione  e  del
principio di leale collaborazione. 
    La ricorrente espone che con il decreto impugnato e'  stata  data
attuazione ai commi da 40 a 44 dell'art.  3  della  legge  15  luglio
2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), i  quali
consentono  ai  sindaci  di   avvalersi   della   collaborazione   di
associazioni di cittadini ai fini della segnalazione  alle  Forze  di
polizia dello Stato o locali di eventi pericolosi  per  la  sicurezza
urbana ovvero di situazioni di disagio sociale. La ricorrente deduce,
altresi',  di  avere  gia'   proposto   questione   di   legittimita'
costituzionale in via principale nei confronti delle disposizioni  di
cui ai commi 40, 41, 42 e 43  del  citato  3,  per  contrasto  con  i
medesimi parametri dianzi indicati. 
    Come rilevato in tale sede,  dette  disposizioni  non  potrebbero
essere  infatti  inquadrate  nella   materia   «ordine   pubblico   e
sicurezza», nella quale lo Stato ha competenza legislativa  esclusiva
(art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.):  materia  da  intendere,
per consolidata giurisprudenza costituzionale, in senso  restrittivo,
e  cioe'  come  comprensiva  dei  soli  interventi  finalizzati  alla
prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso,
quest'ultimo, quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli
interessi pubblici primari sui  cui  si  regge  l'ordinata  e  civile
convivenza nella comunita' nazionale. 
    In assenza di ogni indicazione limitativa in tale  direzione,  il
concetto di «sicurezza urbana» abbraccerebbe, infatti,  anche  misure
volte a contrastare il degrado delle citta' e a  favorire  l'ordinato
sviluppo delle relazioni socio-economiche, riconducibili alla materia
«polizia amministrativa locale», di  competenza  regionale  esclusiva
(art. 117, comma secondo, lettera h, e quarto, Cost.). A  sua  volta,
l'espressione  «disagio   sociale»   comprenderebbe   situazioni   di
difficolta'  di  integrazione  dell'individuo  nel  tessuto   sociale
derivanti dalle piu' varie cause, evocative, come tali, di interventi
rientranti nella materia «politiche sociali», anch'essa di competenza
regionale residuale: competenza che la  ricorrente  ha,  in  effetti,
esercitato con la legge regionale 24 febbraio 2005,  n.  41  (Sistema
integrato di interventi e  servizi  per  la  tutela  dei  diritti  di
cittadinanza  sociale),  il  cui  art.  58   prevede   specificamente
l'adozione di «politiche per  le  persone  a  rischio  di  esclusione
sociale». 
    Tali considerazioni  varrebbero  anche  in  rapporto  al  decreto
ministeriale attuativo su cui si fonda l'odierno  conflitto.  I  suoi
primi sette articoli devolvono, infatti, al prefetto -  cioe'  ad  un
rappresentante territoriale del Governo - senza alcun  coinvolgimento
delle Regioni, tutte le funzioni  e  le  competenze:  in  specie,  la
tenuta dell'elenco delle associazioni di  osservatori  (art.  1),  la
definizione del contenuto delle convenzioni  che  i  sindaci  possono
stipulare con le associazioni stesse (art. 4,  comma  2),  la  revoca
delle iscrizioni (art. 6) e la  revisione  degli  elenchi  (art.  7);
realizzando,  con  cio',  una   inammissibile   intromissione   nelle
attribuzioni regionali in materia di «polizia amministrativa  locale»
e di «politiche sociali». Meramente eventuale e del  tutto  marginale
sarebbe,  d'altronde,  la  forma  di  partecipazione  delle   Regioni
prefigurata dall'art. 8 del decreto, concernente l'organizzazione  di
corsi di formazione e di aggiornamento per gli osservatori volontari. 
    Risulterebbe violato, di conseguenza,  anche  l'art.  117,  sesto
comma, Cost., in forza del quale lo Stato puo' esercitare la potesta'
regolamentare  solo  nelle  materie  di  sua  competenza  legislativa
esclusiva: violazione tanto piu' evidente ove  si  consideri  che  la
ricorrente ha gia' disciplinato la materia con la legge  regionale  3
aprile  2006,  n.  12  (Norme  in  materia  di  polizia  comunale   e
provinciale), il cui art. 7 prevede specificamente che i comuni e  le
province  possano  stipulare  convenzioni  con  le  associazioni   di
volontariato  iscritte  nel  registro  regionale,   «per   realizzare
collaborazioni tra queste ultime e le  strutture  di  polizia  locale
rivolte a favorire l'educazione alla convivenza, al senso civico e al
rispetto della legalita'». 
    Particolarmente lesiva, per questo verso, risulterebbe  la  norma
transitoria di cui all'art. 9  del  decreto  impugnato,  la  quale  -
incidendo  sulla  citata  disciplina  regionale   -   consente   alle
associazioni che  gia'  collaboravano  con  le  autorita'  locali  di
continuare ad esercitare l'attivita' solo per un limitato periodo  di
tempo, dovendo  indi  uniformarsi  a  quanto  stabilito  dal  decreto
censurato e, dunque, passare sotto la vigilanza del prefetto. 
    Da ultimo, l'atto impugnato risulterebbe lesivo del principio  di
leale collaborazione, giacche', disciplinando  ambiti  di  competenza
regionale,  avrebbe  dovuto  prevedere  quantomeno  l'intesa  con  le
Regioni interessate o, comunque, adeguate forme di concertazione  con
queste ultime. 
    Per le  ragioni  esposte,  la  ricorrente  chiede  che  la  Corte
dichiari che  il  decreto  ministeriale  censurato  e'  lesivo  delle
attribuzioni regionali e, per l'effetto, lo annulli. 
    2.  -  Avverso  il  medesimo  decreto  ministeriale  ha  proposto
conflitto di attribuzione anche la Regione Emilia-Romagna con ricorso
notificato il 7 ottobre 2009 e depositato il  successivo  13  ottobre
(reg. confl. enti n. 11 del 2009), denunciando  la  violazione  degli
artt. 117, secondo, quarto e sesto comma, e 118  Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione. 
    Premesso di avere anch'essa proposto  questione  di  legittimita'
costituzionale  in  via  principale   nei   confronti   delle   norme
legislative statali attuate  dal  decreto  impugnato,  la  ricorrente
rileva  come   l'accoglimento   di   tale   questione   comporterebbe
automaticamente l'illegittimita' del decreto attuativo,  per  lesione
delle prerogative costituzionali della Regione: in  particolare,  per
avere disciplinato materie quali la «polizia amministrativa  locale»,
la  «sicurezza  urbana»  (in  quanto   materia   ulteriore   rispetto
all'«ordine pubblico e sicurezza») e il «disagio sociale», che l'art.
117, secondo  e  quarto  comma,  Cost.,  riserverebbe  alla  potesta'
legislativa regionale. 
    Il decreto impugnato risulterebbe emesso anche in violazione  del
sesto comma dell'art. 117 Cost., che limita la potesta' regolamentare
dello Stato alle  materie  di  cui  al  secondo  comma  dello  stesso
articolo. 
    Passando  quindi  analiticamente  in  rassegna  i  contenuti  del
decreto, la ricorrente rileva come ne resti avvalorata la conclusione
che esso disciplina l'attivita' dei volontari in relazione ai servizi
di  polizia  amministrativa  locale:   attivita'   che   la   Regione
Emilia-Romagna ha regolato con  la  legge  4  dicembre  2003,  n.  24
(Disciplina della polizia amministrativa locale e  promozione  di  un
sistema integrato di sicurezza). 
    Rimarchevole sarebbe la circostanza che, malgrado cio', non venga
riconosciuto alcun ruolo alle Regioni,  fatta  eccezione  per  quanto
previsto  dall'art.  8,  in  tema  di  organizzazione  di  corsi   di
formazione   e   aggiornamento   per   gli   osservatori   volontari:
disposizione da considerare,  peraltro,  anch'essa  illegittima,  non
spettando al regolamento statale prevedere e disciplinare l'attivita'
regionale di formazione. 
    Anche la Regione Emilia-Romagna  ravvisa,  d'altro  canto,  nella
disposizione transitoria dell'art. 9 -  concernente  le  associazioni
che   gia'   svolgevano   attivita'   di    volontariato    «comunque
riconducibili» alle previsioni dell'art. 3, comma 40, della legge  n.
94 del 2009 - una palese interferenza  con  la  disciplina  regionale
gia' in vigore, dettata, nella specie, dalla citata legge n.  24  del
2003. 
    La  ricorrente  assume,  inoltre,  che  talune  disposizioni  del
decreto, tra cui quelle  da  ultimo  indicate,  andrebbero  oltre  la
stessa previsione dell'art. 3, comma 43, della legge n. 94 del  2009,
secondo la  quale  il  Ministro  dell'interno  era  chiamato  solo  a
determinare gli ambiti operativi delle  associazioni  di  osservatori
volontari, i requisiti per la loro iscrizione negli appositi  elenchi
e le modalita' di tenuta di questi. Per tale parte, l'atto  impugnato
sarebbe  dunque  illegittimo  in  via  autonoma,  e  non  gia'   come
conseguenza dell'incostituzionalita' delle norme legislative attuate. 
    In  via  subordinata,  e  per  l'ipotesi  in  cui  si   ritenesse
sussistente una esigenza di disciplina unitaria  delle  attivita'  di
volontariato in relazione alle materie «ordine pubblico e  sicurezza»
e «polizia amministrativa locale», la Regione Emilia-Romagna  lamenta
che, in violazione del principio di leale collaborazione, il  decreto
impugnato sia stato emanato senza la previa intesa con la  Conferenza
Stato-Regioni, ovvero, in via di  ulteriore  subordine,  senza  avere
sentito tale Conferenza (o la Conferenza unificata), rimarcando  come
la previsione di  «forme  di  coordinamento»  con  le  Regioni  nella
materia «ordine pubblico e sicurezza»  risulti  doverosa  anche  alla
luce dello specifico disposto dell'art. 118, terzo comma, Cost. 
    Alla luce di tali considerazioni, la ricorrente  chiede,  quindi,
che la Corte dichiari che non spettava allo Stato adottare,  a  mezzo
del Ministro dell'interno, l'atto impugnato e,  conseguentemente,  lo
annulli. 
    3. - Si e' costituito, in entrambi i giudizi, il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi. 
    Ad avviso della difesa dello Stato, l'attivita' degli osservatori
volontari  sarebbe,  in  realta',  integralmente  riconducibile  alla
materia «ordine pubblico e sicurezza»: e cio'  quantomeno  alla  luce
del   criterio   della   prevalenza,   di   cui   la   giurisprudenza
costituzionale ha gia' fatto specifica  applicazione  in  rapporto  a
situazioni di  astratto  concorso  con  la  competenza  regionale  in
materia di «polizia amministrativa locale». 
    Quanto, infatti, al concetto di «sicurezza urbana»,  la  relativa
definizione, offerta dal decreto del Ministro dell'interno  5  agosto
2008, e' gia' passata al vaglio della Corte costituzionale, che,  con
la sentenza n. 196 del 2009 - emessa a seguito  di  un  conflitto  di
attribuzione proposto  dalla  Provincia  autonoma  di  Bolzano  -  ha
ritenuto che detto decreto concerna esclusivamente  la  tutela  della
sicurezza  pubblica,  intesa  come   attivita'   di   prevenzione   e
repressione dei reati. 
    Neppure il  riferimento  alle  «situazioni  di  disagio  sociale»
intaccherebbe  le  competenze  regionali,  e  in  particolare  quella
relativa  ai  «servizi  sociali».  Gli  osservatori   volontari   non
sarebbero, infatti, chiamati ad erogare tali servizi, ma  soltanto  a
segnalare situazioni critiche riscontrate nel corso del loro operato. 
    Parimenti infondate risulterebbero le censure di  violazione  del
principio di leale collaborazione. La  piena  competenza  statale  in
materia  renderebbe,  infatti,  del  tutto  legittimi  i   meccanismi
configurati dal legislatore  per  le  predisposizione  degli  elenchi
delle associazioni, la disciplina degli iscritti e il controllo sugli
stessi. Ne' potrebbero invocarsi  forme  di  coordinamento  ulteriori
rispetto a  quelle  insite  nel  previsto  coinvolgimento,  in  forma
consultiva, del comitato provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza
pubblica, alle cui sedute possono essere  chiamati  a  partecipare  i
responsabili degli enti locali. 
    4. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica,  entrambe  le  Regioni
ricorrenti hanno depositato memorie illustrative, volte a  contestare
le tesi della difesa dello Stato. 
    Le ricorrenti rilevano, in particolare, come la definizione della
«sicurezza urbana» offerta dal  decreto  ministeriale  del  2008  sia
stata ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla  Corte  sulla
base di specifici argomenti esegetici, non riproponibili in  rapporto
al decreto oggi impugnato. Ne' - secondo la Regione Toscana - sarebbe
comunque possibile una lettura delle disposizioni censurate che eviti
la lesione delle competenze regionali, perche'  cio'  significherebbe
affidare a privati cittadini una  funzione  necessariamente  pubblica
(quale  quella  della  prevenzione  dei  reati  e  del   mantenimento
dell'ordine pubblico). 
    Quanto,  poi,  alle  situazioni  di  «disagio   sociale»,   anche
l'attivita'  di  mera  segnalazione  rientrerebbe  nella   competenza
regionale in materia di «politiche sociali», non essendo ipotizzabile
che alle Regioni spetti solo il compito di  intervenire  ex  post   -
quando, cioe', le situazioni di disagio sono gia' insorte - lasciando
allo   Stato   la   determinazione   della   disciplina   applicabile
all'attivita' di prevenzione. 
    Ne',  d'altro  canto,  la  competenza  statale  potrebbe   essere
affermata sulla base del criterio della prevalenza, giacche', a tacer
d'altro,  mancherebbe  il  relativo  presupposto  di  applicabilita',
rappresentato dall'identita' di ratio delle disposizioni  oggetto  di
censura. 
    Del  tutto  inidoneo  a  soddisfare   il   principio   di   leale
collaborazione sarebbe, infine, il previsto intervento  del  comitato
provinciale per  l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica  (circoscritto,
peraltro, alla formulazione di un parere circa il possesso, da  parte
delle associazioni, dei requisiti necessari ai  fini  dell'iscrizione
nell'elenco), anche perche' in tale organo possono essere coinvolti i
responsabili degli enti locali, ma non  anche  quelli  della  Regione
interessata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Le  Regioni  Toscana  ed  Emilia-Romagna  hanno   proposto
conflitti di attribuzione nei confronti del Presidente del  Consiglio
dei ministri, in relazione al decreto  del  Ministro  dell'interno  8
agosto 2009, recante disposizioni attuative dei  commi  da  40  a  44
dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  i  quali  prevedono  che  i  sindaci
possano avvalersi, alle condizioni e con le modalita' ivi  stabilite,
della collaborazione di associazioni di cittadini non armati al  fine
di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali  «eventi  che
possano arrecare danno alla sicurezza  urbana  ovvero  situazioni  di
disagio sociale». 
    Premesso di avere  proposto  questioni  di  legittimita'  in  via
principale  nei  confronti  delle  norme  legislative   attuate,   le
ricorrenti deducono che, per le medesime ragioni  esposte  in  quella
sede, anche la disciplina recata dal decreto  attuativo  risulterebbe
lesiva delle attribuzioni  regionali.  Essa  esorbiterebbe,  infatti,
dall'ambito  della  materia  «ordine  pubblico   e   sicurezza»,   di
competenza esclusiva statale (art. 117,  secondo  comma,  lettera  h,
Cost.):  materia  da  intendere,   per   consolidata   giurisprudenza
costituzionale, in senso restrittivo, ossia come comprensiva dei soli
interventi finalizzati alla prevenzione dei reati o  al  mantenimento
dell'ordine pubblico. 
    Il concetto di «sicurezza urbana» abbraccerebbe,  infatti,  anche
misure volte a contrastare il  degrado  delle  citta'  e  a  favorire
l'ordinato  sviluppo  della  convivenza  civile,  riconducibili  alla
materia «polizia  amministrativa  locale»,  di  competenza  regionale
esclusiva, ai sensi dei commi secondo, lettera h), e quarto dell'art.
117  Cost.;  mentre  la  formula  «disagio  sociale»   comprenderebbe
situazioni di emarginazione della piu' varia origine, da fronteggiare
con  interventi  rientranti  nella   materia   «politiche   sociali»,
anch'essa di competenza regionale residuale. 
    Sarebbe quindi violato anche il sesto comma dell'art. 117  Cost.,
avendo lo Stato esercitato una potesta' regolamentare in materia  non
di   propria    competenza    legislativa    esclusiva:    violazione
particolarmente  apprezzabile  in  rapporto  alla  norma  transitoria
dell'art.  9  del  decreto,   che   impone   alle   associazioni   di
volontariato, gia' operanti  in  ambiti  «comunque  riconducibili»  a
quelli considerati, di uniformarsi - dopo un breve lasso di  tempo  -
alle previsioni del decreto stesso, con conseguente  interferenza  su
rapporti regolati da leggi regionali in vigore. 
    Le ricorrenti censurano, per altro verso, che il decreto  demandi
al prefetto ogni competenza - segnatamente in  rapporto  alla  tenuta
dell'elenco delle associazioni, alla definizione del contenuto  delle
convenzioni  stipulate  con  esse  dai  sindaci,  alla  revoca  delle
iscrizioni e alla revisione degli elenchi - senza contemplare  alcuna
forma di coinvolgimento delle Regioni, fatta  eccezione  per  quella,
del   tutto   marginale,   prefigurata    all'art.    8,    attinente
all'organizzazione  di  corsi  di  formazione  e  aggiornamento   dei
volontari: donde - secondo la Regione Toscana - anche  la  violazione
del principio di leale collaborazione. 
    In via subordinata, la Regione Emilia-Romagna lamenta - sotto  il
profilo della violazione del medesimo principio - che il decreto  sia
stato emanato senza la previa intesa con la Conferenza  Stato-Regioni
o, in via di ulteriore subordine, senza avere sentito tale Conferenza
(o la Conferenza unificata), rimarcando come la previsione di  «forme
di coordinamento» con le Regioni nella materia dell'ordine pubblico e
sicurezza debba ritenersi doverosa anche alla  luce  dello  specifico
disposto dell'art. 118, terzo comma, Cost., che risulterebbe, dunque,
esso pure violato. 
    2. - I ricorsi sollevano  conflitti  di  attribuzione  aventi  ad
oggetto il medesimo atto e basati su censure in larga parte analoghe,
sicche' i relativi giudizi vanno  riuniti  per  essere  definiti  con
unica decisione. 
    3. - In via preliminare, va rilevato  che,  successivamente  alla
proposizione dei ricorsi, il decreto ministeriale impugnato e'  stato
oggetto di modifica ad opera del decreto del Ministro dell'interno  4
febbraio 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica,
serie generale, n. 30 del 6 febbraio 2010. 
    Si e' trattato, peraltro, di  modifiche  marginali  (soppressione
del divieto, per gli osservatori volontari,  di  avvalersi  di  mezzi
motorizzati; proroga del termine entro il quale le associazioni  gia'
operanti possono continuare  l'attivita'  in  difetto  di  iscrizione
nell'elenco), manifestamente prive di incidenza sul thema decidendum. 
    4. - Nel merito, i ricorsi  sono  parzialmente  fondati,  secondo
quanto di seguito specificato. 
    4.1. - Nelle more del giudizio, questa Corte si  e'  pronunciata,
con la sentenza n. 226 del  2010,  sulle  questioni  di  legittimita'
costituzionale proposte dalle ricorrenti, aventi ad oggetto le  norme
legislative  cui  si  e'  proposto  di  dare  attuazione  il  decreto
ministeriale impugnato (art. 3, commi 40, 41, 42 e 43, della legge n.
94 del 2009). 
    Nell'occasione, la Corte ha  preliminarmente  rimarcato  come  la
normativa concernente  gli  osservatori  volontari  venisse  vagliata
nella sola prospettiva  della  verifica  della  denunciata  invasione
delle competenze regionali, avuto riguardo, in specie, alla spettanza
del potere di stabilire le condizioni alle  quali  i  Comuni  possono
avvalersi della collaborazione di  associazioni  di  privati  per  il
controllo  del  territorio;  mentre  restava  affatto  estraneo  allo
scrutinio - e dunque impregiudicato, ai  sensi  dell'art.  18,  primo
comma, Cost. - il diritto di associazione dei cittadini ai fini dello
svolgimento   dell'attivita'   di   segnalazione   descritta    dalle
disposizioni censurate. Questo rilievo vale evidentemente  anche  con
riferimento al giudizio odierno. 
    Cio' premesso, si e' osservato, nella citata sentenza n. 226  del
2010, come il problema nodale posto dai quesiti di  costituzionalita'
attenesse alla valenza delle formule «sicurezza urbana» e «situazioni
di  disagio  sociale»,  impiegate  nel  comma  40  dell'art.  3   per
identificare i compiti di segnalazione degli osservatori volontari, e
segnatamente alla loro  riconducibilita'  o  meno  alla  materia,  di
competenza statale esclusiva, «ordine pubblico e sicurezza» (all'art.
117,  secondo  comma,  lettera  h,   Cost.):   materia   che   -   in
contrapposizione  alla  «polizia  amministrativa  locale»,  da   essa
espressamente  esclusa  -  va  intesa  restrittivamente,  ossia  come
relativa alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati e  alla
tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l'ordinata e
civile convivenza della comunita' nazionale (ex plurimis, sentenze n.
129 del 2009, n. 237 e 222 del 2006, n. 383 e n. 95 del 2005, n.  428
del 204). 
    All'interrogativo si e' data una risposta differenziata. 
    Quanto al concetto di «sicurezza urbana», il dettato della  norma
impugnata  e'  stato  ritenuto  non  in  contrasto  con  il   riparto
costituzionale delle competenze. Si e' reputata difatti valevole,  al
riguardo, la conclusione gia' raggiunta in rapporto  al  decreto  del
Ministro dell'interno 5  agosto  2008,  recante  la  definizione  del
suddetto concetto agli effetti del potere di ordinanza dei sindaci di
cui all'art. 54, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000,  n.  267  (Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali): e, cioe',  che
esso ha ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica,
intesa  come  attivita'  di  prevenzione  e  repressione  dei   reati
(sentenza n. 196 del 2009). La titolazione della legge n. 94 del 2009
(che richiama anch'essa la  «sicurezza  pubblica»);  il  collegamento
sistematico tra la norma impugnata e il citato art. 54, comma 4,  del
d.lgs. n. 267 del 2000; i richiami  a  tale  articolo  e  al  decreto
ministeriale del 2008 contenuti del decreto attuativo oggi impugnato;
la complessiva disciplina dettata dai commi 40-43 dell'art.  3  della
legge n. 94 del 2009  (coerente  con  una  lettura  del  concetto  di
«sicurezza pubblica» evocativa dei soli interventi di  prevenzione  e
repressione  delle  attivita'  criminose)  sono  tutti  elementi  che
convergono nella direzione dianzi indicata. 
    Si e' negata,  inoltre,  validita'  alla  tesi  della  ricorrente
Regione Toscana - oggi riproposta -  secondo  cui  detta  conclusione
comporterebbe un inammissibile affidamento a privati di una  funzione
pubblica, quale appunto quella di prevenzione dei reati. A tale  tesi
va, infatti, obiettato che i volontari  svolgono  attivita'  di  mera
osservazione e segnalazione e che qualsiasi  privato  cittadino  puo'
denunciare i reati, perseguibili d'ufficio, di cui venga a conoscenza
(art. 333 del  codice  di  procedura  penale)  e  finanche  procedere
all'arresto in flagranza (art. 383 cod. proc. pen.); mentre lo stesso
art. 24 della  legge  1°  aprile  1981,  n.  181  (Nuovo  ordinamento
dell'Amministrazione della pubblica  sicurezza»),  nel  descrivere  i
compiti istituzionali della Polizia di Stato, prevede che essa  debba
sollecitare la collaborazione dei cittadini. 
    Il riferimento alternativo al «disagio sociale» non e' stato, per
converso, reputato suscettibile  di  una  lettura  costituzionalmente
conforme, in base  alla  quale  detta  formula  evocherebbe  le  sole
situazioni implicanti un concreto pericolo di  commissione  di  fatti
penalmente illeciti: trattandosi di lettura che -  in  contrasto  con
l'impiego da parte  del  legislatore  della  disgiuntiva  «ovvero»  -
ricondurrebbe interamente  la  nozione  considerata  nel  preliminare
richiamo agli eventi pericolosi per la sicurezza  urbana,  rendendola
pleonastica. Nella sua genericita', la formula «disagio  sociale»  si
presta  dunque  ad  abbracciare  un  vasto  ambito  di   ipotesi   di
emarginazione o di  difficolta'  di  inserimento  dell'individuo  nel
tessuto  sociale,  derivanti  dalle  piu'  varie  cause   (condizioni
economiche, di salute, eta', rapporti familiari e cosi' via dicendo):
situazioni che reclamano interventi ispirati a finalita' di  politica
sociale,  riconducibili  alla  materia  dei  «servizi  sociali»,   di
competenza legislativa regionale residuale. Ne' a questo fine  rileva
che gli osservatori si limitino a mere  segnalazioni,  senza  erogare
servizi. Il monitoraggio  delle  «situazioni  critiche»  rappresenta,
infatti, la necessaria premessa conoscitiva degli  interventi  intesi
alla rimozione e  al  superamento  del  «disagio  sociale»:  onde  la
determinazione delle condizioni e delle  modalita'  con  le  quali  i
comuni possono avvalersi, per tale attivita', dell'ausilio di privati
volontari  rientra  anch'essa  nelle   competenze   del   legislatore
regionale. 
    Da ultimo, si e' negato che la competenza  statale  possa  essere
affermata sulla base  del  criterio  della  prevalenza,  mancando  il
presupposto  di  applicabilita'  di  tale   criterio,   rappresentato
dall'esistenza di una disciplina che, collocandosi alla confluenza di
un  insieme  di  materie,   sia   espressione   di   un'esigenza   di
regolamentazione unitaria. Il riferimento alle «situazioni di disagio
sociale» si presenta, infatti, come un elemento «spurio ed eccentrico
rispetto alla ratio ispiratrice delle norme impugnate»,  che  finisce
«per  rendere  incongrua  la  stessa  disciplina  da  esse   dettata»
(sentenza n. 226 del 2010). 
    Il comma 40 dell'art. 3 della legge  n.  94  del  2009  e'  stato
dichiarato,  di  conseguenza,  costituzionalmente  illegittimo,   per
contrasto con l'art. 117, quarto  comma,  Cost.,  limitatamente  alle
parole «ovvero situazioni di disagio sociale». 
    Derivando la lesione del riparto costituzionale delle  competenze
esclusivamente dalla eccessiva ampiezza della  previsione  del  comma
40,  sono  state  dichiarate  non  fondate  le  restanti   questioni,
concernenti i commi 41, 42  e  43,  che,  rispettivamente,  prevedono
l'iscrizione delle  associazioni  di  volontari  in  apposito  elenco
tenuto dal prefetto, stabiliscono criteri di scelta tra le  stesse  e
demandano al Ministro dell'interno il  compito  di  determinare,  con
decreto da adottare entro  sessanta  giorni  dall'entrata  in  vigore
della legge, «gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi
40 e  41,  i  requisiti  per  l'iscrizione  nell'elenco  e  [...]  le
modalita'   di   tenuta   dei   relativi   elenchi»    (disposizione,
quest'ultima,  in  base  alla  quale  e'  stato  emanato  l'atto  qui
impugnato). 
    4.2. - La decisione sugli odierni ricorsi non puo'  evidentemente
che orientarsi nella medesima direzione, consistendo  le  censure  di
fondo delle Regioni ricorrenti (cosi' come le difese  dell'Avvocatura
generale dello Stato) in una mera replica delle  argomentazioni  gia'
svolte  in  sede  di  impugnazione  in  via  principale  delle  norme
legislative attuate. 
    Premesso che l'atto impugnato richiama,  quanto  al  concetto  di
«sicurezza urbana», la definizione offerta dal  d.m.  5  agosto  2008
(art. 1, comma 2), mentre non fornisce alcuna precisazione in  ordine
alla valenza del concetto alternativo di «disagio sociale»,  si  deve
concludere che - per le ragioni gia' indicate nella  citata  sentenza
n. 226 del 2010 e dianzi ricordate - la tesi delle ricorrenti non  e'
fondata in rapporto alla  prima  delle  due  formule,  mentre  lo  e'
rispetto  alla  seconda,  in   quanto   comprensiva   di   interventi
riconducibili  alla  materia   «servizi   sociali»,   di   competenza
legislativa regionale residuale (art. 117, quarto comma, Cost.). 
    Ne deriva che, per la parte  in  cui  disciplina  l'attivita'  di
segnalazione di «situazioni di  disagio  sociale»,  l'atto  impugnato
viola anche il sesto comma dell'art. 117 Cost.,  che  circoscrive  la
potesta'  regolamentare  dello  Stato  alle  sole  materie   di   sua
competenza legislativa  esclusiva.  Il  presupposto,  non  contestato
dalla difesa dello Stato, da cui muovono le ricorrenti  -  e,  cioe',
che l'atto impugnato, pur non recando formalmente tale denominazione,
abbia natura di regolamento  -  corrisponde,  infatti,  ai  contenuti
sostanziali dell'atto, il quale detta norme intese a disciplinare, in
via generale e astratta,  i  requisiti  delle  associazioni  e  degli
osservatori  volontari  ad  esse  appartenenti,  il  loro  ambito  di
operativita' e i procedimenti amministrativi connessi, vincolando con
cio' i  comportamenti  dei  diversi  soggetti,  pubblici  e  privati,
coinvolti nell'attivita' in questione (lo stesso art. 9  del  decreto
reca, del resto, la rubrica «norme transitorie»).  Eventuali  profili
di illegittimita' dell'atto conseguenti a tale qualificazione, legati
segnatamente alla mancata osservanza della procedura di cui  all'art.
17,  comma  4,  della  legge  23  agosto  1988,  n.  400  (Disciplina
dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento  della   Presidenza   del
Consiglio dei ministri), esulano dal tema del presente giudizio. 
    Al fine di  eliminare  la  rilevata  lesione  delle  attribuzioni
regionali e' sufficiente,  peraltro,  rimuovere  i  riferimenti  alle
«situazioni di disagio  sociale»  che  compaiono  nei  commi  1  e  2
dell'art. 1 e nel comma 1 dell'art.  2  del  decreto  impugnato,  con
riguardo,   rispettivamente,   all'elenco   delle   associazioni   di
osservatori volontari, agli scopi e ai compiti di queste (l'ulteriore
riferimento  che  figura  nel  quarto  capoverso  del  preambolo   ha
carattere meramente descrittivo dei contenuti  delle  norme  primarie
attuate). 
    Anche in questo caso, va  esclusa  la  necessita'  di  interventi
sulle  restanti  previsioni  del  decreto  (ivi  compresa  la   norma
transitoria di cui all'art. 9, sulla quale  in  modo  particolare  si
appuntano  le  censure  delle  ricorrenti).  Una  volta  circoscritta
l'attivita'  degli  osservatori  volontari  alla  segnalazione  degli
eventi pericolosi per la «sicurezza urbana» - e, dunque, in un ambito
riconducibile alla  prevenzione  e  repressione  dei  reati  -  dette
previsioni perdono, infatti, automaticamente ogni carattere  invasivo
delle competenze regionali. 
    Il discorso vale anche in rapporto alla lesione del «principio di
legalita'», denunciata dalla Regione Emilia-Romagna sull'assunto  che
il decreto ministeriale  impugnato,  in  alcune  sue  parti,  avrebbe
travalicato l'ambito di intervento assegnatogli  dall'art.  3,  comma
43,  della  legge  n.  94  del  2009.  Tale  ipotizzato  profilo   di
illegittimita' dell'atto resta, infatti, irrilevante in questa  sede,
qualora non ridondi in una lesione delle attribuzioni  costituzionali
della Regione. 
    Con riguardo, poi, alle  censure  formulate  in  via  subordinata
dalla  medesima  Regione  Emilia-Romagna,  va  escluso   che   l'atto
impugnato sia tenuto comunque a prevedere forme di coordinamento  con
le Regioni, anche qualora  l'attivita'  degli  osservatori  volontari
rimanga ristretta nell'ambito  dell'«ordine  pubblico  e  sicurezza».
Come gia' rilevato da questa Corte, infatti, l'art. 118, terzo comma,
Cost., nel prevedere una riserva  di  legge  statale  ai  fini  della
disciplina di forme  di  coordinamento  fra  Stato  e  Regioni  nelle
materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma  dell'art.  117
Cost.  (immigrazione,  ordine  pubblico  e  sicurezza),  non  impegna
indefettibilmente lo Stato a prevedere un simile  coordinamento  ogni
qualvolta  rechi  disposizioni  riferibili  alle   suddette   materie
(sentenza n. 226 del 2010). 
    Neppure, da  ultimo,  richiede  una  soluzione  differenziata  la
disposizione dell'art. 8 del  decreto,  attinente  all'organizzazione
dei corsi di formazione  e  di  aggiornamento,  avuto  riguardo  alla
censura della Regione Emilia-Romagna, secondo la quale il regolamento
statale non potrebbe comunque prevedere  e  disciplinare  l'attivita'
regionale di formazione. Al riguardo, e' sufficiente considerare  che
l'organizzazione dei suddetti corsi e' configurata dalla  norma  come
una mera facolta' delle Regioni e degli enti locali  che  vi  abbiano
interesse  («Le  regioni  e  gli  enti  locali  interessati   possono
organizzare corsi di formazione e  aggiornamento  ...»),  circostanza
che esclude in ogni caso l'attitudine lesiva della previsione. 
    5. - Va, dunque, dichiarato che non spettava allo  Stato  e,  per
esso,  al  Ministro  dell'interno  adottare  il  decreto   impugnato,
limitatamente  alla  parte   in   cui   disciplina   l'attivita'   di
segnalazione di situazioni di disagio sociale. 
    Il medesimo decreto deve  essere  conseguentemente  annullato  in
tale parte, secondo quanto in precedenza specificato. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara che non spettava allo Stato e,  per  esso,  al  Ministro
dell'interno,  adottare   il   decreto   8   agosto   2009,   recante
«Determinazione  degli  ambiti  operativi   delle   associazioni   di
osservatori  volontari,  requisiti   per   l'iscrizione   nell'elenco
prefettizio e modalita' di tenuta dei relativi  elenchi,  di  cui  ai
commi da 40 a 44 dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n.  94»,
nella  parte  in  cui  disciplina  l'attivita'  di  segnalazione   di
situazioni di disagio sociale; 
    Annulla, per l'effetto, l'art. 1,  comma  1,  limitatamente  alle
parole «ovvero situazioni di disagio sociale»,  l'art.  1,  comma  2,
limitatamente alle parole «ovvero del disagio sociale,» e  l'art.  2,
comma 1, limitatamente alle parole «, ovvero  situazioni  di  disagio
sociale», del citato decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2009. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il il 7 luglio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola