N. 85 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 ottobre 2006
Ordinanza emessa il 2 ottobre 2006 dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Comune di Comiso contro Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri Giustizia amministrativa - Controversie relative alla legittimita' delle ordinanze e dei conseguenziali provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - Competenza, in via esclusiva, in primo grado, attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - Irragionevole deroga al principio della competenza del Tribunale amministrativo regionale della Regione in cui il provvedimento e' destinato ad avere incidenza - Violazione del diritto di difesa e del principio del giudice naturale - Violazione del principio del decentramento territoriale della giurisdizione amministrativa - Violazione della norma statutaria che attribuisce al Tribunale amministrativo regionale Sicilia le controversie di interesse regionale. - Decreto legge 30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21. - Costituzione, artt. 3, 24, 25 e 125; Statuto della Regione Siciliana art. 23.(GU n.11 del 14-3-2007 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge n. 87/1953, sul ricorso 594/2006 proposto dal Comune di Comiso (Ragusa), rappresentato e difeso dall'avv. Claudia Virgadavola con domicilio eletto in Catania, via Vagliasindi, 53 (presso l'avv. Zizza Rossella) e relativi motivi aggiunti; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'interno, la Regione Siciliana, il Commissario delegato per l'emergenza idrica, l'A.T.O. Ragusa Ambiente S.p.A., la Provincia regionale di Ragusa, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore e tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, con domicilio eletto in Catania, via Vecchia Ognina, 149, presso la sua sede; per l'annullamento con il ricorso introduttivo: del decreto coinmissariale n. 69 del 23 gennaio 2006, pervenuto al Comune di Comiso il 30 gennaio 2006, avente ad oggetto la nomina del Commissario ad acta al fine di provvedere in via sostitutiva del Consiglio comunale di Comiso ad approvare, in applicazione del decreto presidenziale n. 209 del 7 agosto 2001 le modifiche apportate allo Statuto, all'atto costitutivo ed alla Convenzione di gestione del Servizio idrico integrato dell'ATO di Ragusa; Con i motivi aggiunti al ricorso introduttivo: della delibera n. 1 del 9 febbraio 2006 emanata dal Commissario ad acta, avente ad oggetto «ATO idrico n. 4 Ragusa. Revoca delibera di Consiglio comunale n. 94 del 28 novembre 2005. Approvazione modifiche schema Atto costitutivo - Statuto e Convenzione di gestione»; di qualsiasi altro atto precedente, susseguente o comunque collegato con il provvedimento impugnato, ivi compresa la diffida del 3 febbraio 2006, con la quale il Commissario ad acta diffidava il Consiglio comunale di Comiso a revocare la delibera consiliare n. 94 del 28 novembre 2004 e procedere all'approvazione delle modifiche apportate allo statuto, all'Atto costitutivo ed alla convenzione di gestione; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione nel giudizio dell'Avvocatura di Stato; Visti i motivi aggiunti al ricorso introduttivo; Visti gli atti tutti della causa; Udito nella Camera di consiglio dell'11 maggio 2006 il relatore, referendario dott. Salvatore Gatto Costantino; Uditi altresi' gli avvocati delle parti, come da relativo verbale; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue. In fatto Con ricorso notificato il 13 febbraio 2006 il Comune di Comiso impugnava il decreto commissariale n. 69 del 23 gennaio 2006, con il quale il Presidente della Regione Sicilia, n.q. di Commissario delegato per l'emergenza idrica, aveva nominato il dott. Pietro Fina come Commissario ad acta affinche', in sostituzione del Consiglio comunale del predetto Ente, provvedesse ad approvare le modifiche allo statuto, Atto costitutivo e convenzione di gestione del Servizio idrico integrato (S.I.I.) dell'ATO di Ragusa. Con i motivi aggiunti il comune impugnava, poi, l'atto commissariale di approvazione delle modifiche sopra indicate. Espone, a tale proposito, la parte ricorrente che alla conferenza dei sindaci del 15 settembre 2005 si era proposto di modificare l'atto costitutivo, lo statuto e la convenzione di gestione del S.I.I. a loro volta gia' approvati nella precedente conferenza del 20 dicembre 2002 ed in conformita', dalla delibera consiliare n. 83/2004. Il Comune di Comiso, con deliberazione consiliare n. 94 del 28 novembre 2005, deliberava di non ratificare tali proposte. Interveniva cosi' il commissariamento dell'Ente, ai fini della approvazione dei suddetti atti, con i provvedimenti in epigrafe contro i quali, ritenuti lesivi delle prerogative del Consiglio comunale, sono state sollevate (sia con il ricorso che con i motivi aggiunti) le seguenti censure: violazione ed errata applicazione dell'art. 9, comma 3, legge n. 36/1994 dell'art. 24, legge regionale n. 44/1991 - Eccesso di potere per travisamento dei fatti e sviamento dall'interesse pubblico; violazione dell'art. 24. legge regionale n. 44/1991 - Eccesso di potere. L'Avvocatura distrettuale, costituitasi con memoria depositata il 6 marzo 2006, oltre a resistere al ricorso ed ai motivi aggiunti, ha sollevato l'eccezione di incompetenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale adito in favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, a mente dell'art. 3 della legge 27 gennaio 2006, n. 21, trattandosi del ricorso rivolto contro atti e provvedimenti commissariali in una situazione di emergenza dichiarata a norma dell'art. 5, comma 1 della legge n. 225/1992. Nella Camera di consiglio dell'11 maggio 2006 la domanda cautelare e' stata trattenuta per la decisione. D i r i t t o La parte ricorrente lamenta la illegittimita' del commissariamento regionale e del conseguente provvedimento con il quale e' stata ratificata per il Comune di Comiso la modifica, della costituzione degli organi dell'ATO per l'affidamento del Servizio idrico integrato. I) Il ricorso e' rivolto avverso un provvedimento adottato all'esito di una procedura posta in essere dal Presidente della Regione Sicilia nell'esercizio dei poteri a questo conferiti in qualita' di Commissario delegato di protezione civile per l'emergenza idrica. Pertanto, il Collegio deve affrontare la questione relativa alla competenza inderogabile recentemente attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio per la cognizione di vicende quale quella in esame, come sollevata dall'Avvocatura di Stato. Tale competenza sorge per effetto della norma di cui alla legge n. 21/2006, pubbl. nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: ... omissis... «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'articolo 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'articolo 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il Collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il potere amministrativo posto in essere da parte del Presidente della Regione Sicilia e del commissario ad acta da questi nominato e' esercitato come delegato dell'emergenza idrica, rientrante nel novero delle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e proprio l'esercizio di tale potere ed i suoi limiti costituiscono l'oggetto principale del ricorso. Il collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altra fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma (cfr. Tribunale amministrativo regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006). I) La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa sopravvenuta - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il Giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e cio' per espressa disposizione della nuova disciplina che ne prescrive l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per il procedimento odierno, trattenuto in decisione dopo l'entrata in vigore della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2006 ed e' entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione). Non vale a mutare la superiore considerazione il fatto che il giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in Camera di consiglio per la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle disposizioni in esame non lascia adito a dubbi e, per effetto del combinato disposto di cui all'art. 21 e 26 della legge Tribunale amministrativo regionale ivi richiamato, anche in sede di trattazione cautelare il Collegio dovrebbe con sentenza breve dichiarare la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere il giudizio, salva la riassunzione di esso di fronte al Tribunale amministrativo regionale competente, normativamente prevista. II) Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il collegio che la normativa introdotta dal legislatore con l'art.3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa («Nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica» che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5, comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». III) Anzi, sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, lett. a) e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2, lett. b). Quindi, il sistema della Protezione civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Sicche' per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizione delle competenze delineata dagli artt. 2 e ss. della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge n. 225/1992, posto che assegna la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio (e quindi spinge l'interprete a dover ritenere che il Legislatore abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale di qualsiasi questione, inerente la Protezione civile, richieda interventi extra ordinem). Vengono cosi' attratte alla competenza funzionale dell'unico giudice nazionale, anche tutte le questioni di entita' ed effetti manifestamente circoscritti alla sola parte di territorio regionale interessata dall'emergenza locale, specialmente quando si verte in ordine a provvedimenti commissariali applicativi o esecutivi dell'ordinanza che dichiara l'emergenza ai sensi del piu' volte citato art. 5, senza alcuna logica o esigenza reale che imponga una valutazione «accentrata» di esse. Il problema acquista uno spessore considerevole se solo si riflette sul fatto che, «ordinariamente», tali provvedimenti extra ordinem delegano quali commissari per l'emergenza il presidente della regione o altri organi locali gia' titolari di poteri propri in quella materia; in tal senso, spesso non fanno altro che «istituire» poteri e programmi di emergenza affidandoli quindi (per nomina o delega), a quegli stessi organismi regionali o comunque locali che con i poteri ordinari loro conferiti dall'Ordinamento non hanno saputo fare fronte alle cause che hanno determinato l'emergenza (come il caso dell'emergenza rifiuti o dell'emergenza idrica, o dell'emergenza traffico). Pertanto, l'effetto di tale prassi e' essenzialmente quello di rendere i provvedimenti degli organi regionali «rafforzati» sotto il profilo della capacita' di derogare a norme dell'ordinamento; a tale gia' rilevante «alterazione» dell'Ordinamento medesimo, si aggiunge quindi una ulteriore «tutela» giurisdizionale, sottraendo la cognizione della lite ai Tribunale amministrativo regionale regionali su provvedimenti che sono e restano a tutti gli effetti locali per provenienza soggettiva oltre che per effetti, per affidarla ad un unico giudice nazionale con il quale essi non hanno alcun collegamento «naturale». Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: con l'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico; l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale; queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' stata ritenute dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la Corte ha dichiarato illegittimo l'articolo 4, comma 4, della legge della Regione Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005). Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107, comma 1, lettere b) e c), d.lgs. n. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. IV) Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. Cio' vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti trasmigrano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale La Corte ha ritenuto, in un caso in cui il legislatore aveva disposto l'estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10, primo comma, legge n. 425/1984), che siffatta disposizione, in quanto «preclude al giudice la decisione di merito imponendogli di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta», percio' stesso «viola il valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1987). Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del collegio, e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso presente, che chi abbia gia' un giudizio pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria, addirittura (se ne parlera' piu' diffusamente infra) rimanendo esposto ad una seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccombente davanti al giudice adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione. V) Altro profilo di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre, nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione. Nelle precedenti ordinanze della Sezione, sollevate in ricorsi introdotti prima della legge in esame, si e' rilevato che la norma costituzionale ora citata, stabilendo che «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», esclude, come la stessa Corte costituzionale afferma, «che vi possa essere una designazione tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»; il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte ha insegnato, perche' tale principio possa considerarsi rispettato occorre che «... la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di principio del giudice naturale per rilevare che e' proprio la preesistenza della regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale in base al quale sono state valutate le questioni sollevate. Tale profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente, ad avviso del Collegio, anche nel caso in cui il giudizio sia insorto - come nel caso di specie - dopo la entrata in vigore della norma in esame. Infatti, come detto sopra, la ripartizione regionale del giudice amministrativo e' espressamente contemplata dalla Costituzione, all'art. 125. Tale previsione consente di ritenere valorizzato a livello costituzionale il principio del giudice naturale su base «regionale» per le controversie inerenti la giurisdizione amministrativa di primo grado e dunque una legge ordinaria che sottragga a tale previsione la cognizione di una o piu' materie, per concentrarle presso un unico giudice «nazionale» di primo grado senza che sussista una effettiva e ragionevole necessita', in tal senso, costituisce sicura violazione del principio del giudice naturale per come cosi' precostituito. Ricorrono palesemente, dunque, le medesime considerazioni che, precisamente, la sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2006 afferma, anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando sentenze precedenti in termini), che «alla nozione del giudice naturale precostituito per legge non e' affatto estranea "la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio" (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)» con l'ovvia precisazione che per normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio si deve intendere non solo quella della legge ordinaria, ma anche (ed a maggior ragione) quella costituzionale. VI) Da ultimo, si rileva un aspetto diverso che si riconnette ancora al tema del giudice naturale, e che deriva in via immediata e diretta dall'analisi appena esposta. La norma in esame, infatti, viola l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della Regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del d.lgs 6 maggio 1948 n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della regione». Osserva il Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975 n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte, le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946 n. 455, comprendendosi in tale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella regione siciliana» (Consiglio Stato, sezione VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 21/2006, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello Statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, riserva al Consiglio di giustizia amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. Se le controversie quali quella in esame fossero sottratte alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, in primo grado e, affidate alla cognizione dal Tribunale amministrativo regionale Lazio, fossero decise da quest'ultimo, si radicherebbe, per tale motivo, la cognizione sulla lite in appello del Consiglio di Stato e non della sua Sezione costituita dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, avente competenza funzionale sulle liti rientranti nella previsione statutaria siciliana appena citata. Per mero scrupolo espositivo, si deve rilevare che in proposito non potrebbe obiettarsi che la norma «sposta» solo la cognizione della lite nel primo grado di giudizio, facendo salva quella d'appello: se cosi' fosse, per la Regione Sicilia, la norma dovrebbe essere ulteriormente tacciata di irragionevolezza e contraddittorieta' perche' la medesima questione, decisa in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Lazio, quindi «concentrata» in capo all'«unico giudice» per la sua (cristallizzata dal Legislatore) rilevanza nazionale, tornerebbe ad essere poi decisa in appello da una articolazione regionale del giudice di secondo grado, senza quindi che abbia piu' valenza alcuna la ritenuta «centralita» della vicenda, con evidenti ed incomprensibili «trasmigrazioni» giudiziarie «vettoriali» della lite dalla Sicilia a Roma (per il primo grado) e da Roma a Palermo (per il secondo grado). Intuitivamente, dunque, questa ipotetica obiezione presterebbe il fianco ad ulteriori argomenti di censura anche sotto il profilo della effettivita' della tutela del diritto alla difesa gia' trattato prima (nel senso di obbligo di non aggravamento) e, quindi, anche del giusto processo ex art. 111 Cost. in termini di tempi decisionali ed adempimenti del processo. VII) Per tute le esposte considerazioni, deve sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia. Deve pertanto essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della predetta questione di legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio, sia cautelare che di merito, instaurato con il ricorso in epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte della medesima Corte.
P. Q. M. Solleva, ritenutala rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125, 24 e 25 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia. Dispone, a norma dell'art. 23/2, legge n. 87/1953, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Il giudizio, sia cautelare che di merito, resta sospeso sino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale. Manda alla segreteria di notificare copia della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Catania, in Camera di consiglio, in data 11 maggio 2006. Il Presidente: Zingales L'estensore: Gatto Costantino 07C0260