N. 97 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 marzo 2017
Ordinanza del 30 marzo 2017 del Tribunale di Genova nel procedimento civile promosso da R. N. contro Prefettura di Genova. Circolazione stradale - Soggetti condannati per determinati reati (nella specie, reati in materia di stupefacenti) - Divieto di conseguire o rinnovare la patente di guida e revoca della patente di guida posseduta. - Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), art. 120, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).(GU n.28 del 12-7-2017 )
TRIBUNALE DI GENOVA Prima sezione Il Giudice dott. Roberto Braccialini, nella causa R. contro Prefettura Genova, Viste le note autorizzate, sentite le parti all'udienza decorsa, a scioglimento della riserva ivi assunta, rileva quanto segue. $1: le difese introduttive delle parti. Con comparsa notificata in data 6 luglio 2016 il sig. N. R. conveniva in giudizio presso questo Tribunale la Prefettura di Genova - in via di riassunzione dopo declinatoria di giurisdizione da parte del Tribunale amministrativo regionale Liguria e previa richiesta di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato - chiedendo, in via principale, di annullare il provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida disposto nei suoi confronti ai sensi dell'art. 120 Cod. strada con decreto n. 30947/15/Pat. del 23 luglio 2015; in via subordinata, di rinviare gli atti alla pubblica amministrazione competente al fine del riesame della propria posizione. Riferiva l'attore che il citato provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida era stato assunto sul presupposto che egli non fosse piu' in possesso dei requisiti morali previsti dall'art. 120 Cod. strada per mantenere la patente di guida: l'esponente era stato condannato con sentenza di patteggiamento del Gup di Genova (n. 1342/2014) per il reato dell'art. 73 comma 1-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 per fatti avvenuti nell'aprile del 2010. La sentenza di applicazione della sanzione suddetta aveva comminato una pena in continuazione con altra precedente sentenza di condanna (ovvero la n. 476/2012 di questo stesso Tribunale) per l'ipotesi delittuosa lieve di cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 quinto comma e si era limitata a statuire un minimo aumento della pena inflitta con quella precedente a fronte di un unico episodio criminoso. Le pene comminate con le due suddette condanne erano state entrambe condizionalmente sospese. Cio' premesso, il R. ripercorreva in maniera analitica i rapporti tra l'art. 120 del Cod. strada e gli articoli 73 e 74 testo unico Stupefacenti, in particolare alla luce delle riforme normative intervenute dal 2004 in avanti e tenendo conto della pronuncia della Corte costituzionale n. 32/2014, che avevano interessato la disciplina in questione. Veniva in sintesi osservato che il riferimento operato dall'art. 120 Cod. strada alle condanne irrogate in base all'art. art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 era stato introdotto con la legge n. 94/2009, ovvero quando la fattispecie in questione prevedeva un'unica figura di reato per le violazioni relative a tutti i tipi di sostanze stupefacenti: vi era infatti una tabella unitaria per le droghe «pesanti» e le droghe «leggere» e per i fatti di lieve entita' era prevista una circostanza attenuante. La successiva evoluzione normativa aveva invece determinato un radicale mutamento della disciplina dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, essendo in particolare stata reintrodotta la distinzione tra droghe «pesanti» e droghe «leggere» e resa autonoma la fattispecie di lieve entita', con propria pena edittale e senza differenziazione - in tale ipotesi - tra le diverse tipologie di sostanze. Sulla base del suddetto mutamento normativo, nonche' sulla base degli sviluppi giurisprudenziali inerenti la necessita' dare efficacia retroattiva alle disposizioni piu' favorevoli introdotte e piu' in generale in merito agli effetti in bonam partem derivati dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 32/2014, il R. affermava il superamento dell'automatismo previsto dall'art. 120 Cod. strada con riferimento alle ipotesi di reato investite dalle innovazioni normative (droghe leggere e fattispecie di lieve entita'). In particolare l'attore osservava che, venuto meno il carattere unitario della disciplina sanzionatoria penale prevista dall'art. 73 testo unico citato, le fattispecie richiamate non sarebbero piu' espressione di un pari disvalore penale ai fini della revoca della patente in sede amministrativa. Tale modifica si dovrebbe riflettere anche sull'art. 120 Cod. strada, il quale dovrebbe mantenere l'automatismo della revoca per le sole condanne relative alle droghe «pesanti». Diversamente, in caso di condanne per droghe «leggere» o quando sussista la fattispecie di lieve entita', l'Autorita' amministrativa sarebbe tenuta ad una valutazione in concreto della situazione che tenga conto anche della condotta successiva alla condanna e delle prospettive di reinserimento sociale della persona. Tale soluzione - sempre a detta dell'attore - risulterebbe in particolare confermata dalla disciplina di cui all'art. 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 laddove, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 79/2014, le sanzioni amministrative collegate all'uso personale degli stupefacenti (tra cui la sospensione della patente di guida) sono modulate diversamente a seconda del tipo di sostanza. Cio' dimostrerebbe che in relazione alla patente di guida le condanne per reati riguardanti gli stupefacenti non sono piu' considerate dall'ordinamento come un elemento monolitico, cui associare un'identica sanzione amministrativa. Alla luce di queste argomentazioni, l'attore sosteneva quindi l'obbligo per la Prefettura di procedere ad una valutazione in concreto della propria posizione, considerando in particolare: che i fatti commessi risalivano al 2010; che all'esito del giudizio era stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, sulla base di una prognosi positiva di astensione dalla commissione di ulteriori reati; che l'esponente aveva svolto volontariamente sei mesi di lavori socialmente utili e che dal 2011 aveva tenuto un comportamento immune da qualsivoglia censura. Tali elementi, secondo il R. escludevano una sua qualche pericolosita' sociale ed un'indegnita' morale ostative al mantenimento della patente di guida. Gli argomenti esposti dimostravano inoltre - secondo l'esponente - la sussistenza del fumus bonis iuris per ottenere in via cautelare la sospensione del provvedimento impugnato. Sospensione che veniva giustificata, quanto al periculum in mora, con il fatto che l'attore, che gia' in precedenza svolgeva attivita' artigiana in proprio, avesse necessita' della patente di guida per poter svolgere autonomamente compiti attinenti alla sua attivita' lavorativa, come l'approvvigionamento delle materie e le consegne a domicilio, senza dover ricorrere a onerose collaborazioni esterne; oltre che per esigenze della vita di relazione ed in particolare per esigenze di cura dei prossimi congiunti. Si costituiva in giudizio la Prefettura di Genova chiedendo il rigetto delle domande proposte in base al rilievo che, nonostante gli interventi legislativi intervenuti sul decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, e' rimasta ferma la revoca vincolata della patente di guida prevista dall'art. 120 Cod. strada in caso di condanna per alcuno dei reati di cui agli articoli 73 e 74 del TU stupefacenti. L'Amministrazione convenuta, in particolare, contestava la fondatezza dell'interpretazione «adeguatrice» dell'art. 120 Cod. strada fornita dall'attore e negava la possibilita' di configurare - a fronte del chiaro tenore della norma predetta - un potere di revoca discrezionale prefettizio circa la durata della revoca della patente. Si osservava, inoltre, che la disciplina specifica prevista dall'art. 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 - volta a regolare il trattamento dell'infrazione amministrativa della detenzione per uso personale - nulla ha a che vedere con il trattamento sanzionatorio complessivo che discende dalla condanna per il reato di cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 e che comunque diverse sono le ragioni di sospensione ex art. 75 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 e di revoca ex art. 120 comma 2 Cod. strada dei titoli abilitativi. La Prefettura faceva notare che la circostanza che il legislatore fosse intervenuto nel 2014 sulla disciplina dell'art. 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 senza modificare l'art. 120 Cod. strada dimostrava, al contrario, la volonta' di mantenere la revoca vincolata in caso di condanne per i reati di cui agli articoli 73 e 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90. Infine la convenuta richiamava alcune recenti pronunce che avevano espressamente escluso la ricostruzione interpretativa dell'art. 120 Cod. strada fornita da parte attrice, confermando il carattere «automatico» del provvedimento di revoca ivi previsto. Nel corso del successivo seguito procedimentale - in cui e' stata affrontata in termini cautelari la richiesta di sospensione del provvedimento prefettizio, accolta dallo scrivente e attualmente soggetta a reclamo - stata trattata con apposite note autorizzate la problematica della compatibilita' costituzionale della normativa di riferimento con i precetti della Carta costituzionale. Nella memoria autorizzata a tali fini l'attore ha ripreso le argomentazioni gia' svolte nel proprio atto introduttivo, sottolineando come la fornita lettura «adeguatrice» dell'art. 120 Cod. strada fosse la sola costituzionalmente orientata. Veniva infatti prospettata dall'esponente una lesione dei principi di cui agli articoli 3, 16, 25 e 11 della Costituzione ove non fossero esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 120 Cod. strada i soggetti condannati ai sensi dell'art. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, indipendentemente da una valutazione circa l'effettiva pericolosita' sociale e la mancanza, dei requisiti morali. Inoltre il R. faceva notare come la revoca automatica in caso di condanna ai sensi dell'art. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 si presentasse problematica anche nelle ipotesi di concessione della sospensione condizionale della pena e come tale beneficio (la cui ratio sembrerebbe di per se' incompatibile con quella dell'art. 120 Cod. strada e la cui concessione renderebbe ancora piu' evidente la violazione del principio di uguaglianza) ponesse sullo stesso piano soggetti destinatari di provvedimenti del tutto distinti, sia sotto il profilo della pericolosita' sociale, sia in considerazione del disvalore della condotta penalmente sanzionata. Infine, la difesa dell'attore prospettava il contrasto dell'art. 120 Cod. strada con i principi costituzionali suddetti anche nella parte in cui la norma in questione non esclude dal proprio ambito di applicazione le sentenze emesse a seguito di richieste di applicazione pena ex art. 444 del codice di procedura penale, stante il disposto dell'art. 445 comma 1-bis del codice di procedura penale secondo cui «Salvo quanto previsto dall'art. 653, la sentenza prevista dall'art. 444 comma 2, anche quando e' pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi» e mancando una disposizione speciale atta a derogare a tale regola generale. Nella sua memoria di replica, l'Amministrazione convenuta ha per parte sua ribadito le considerazioni gia' svolte in merito alla natura vincolata dei provvedimenti prefettizi previsti dall'art. 120 del Codice stradale. La Prefettura ha sottolineato come il R. avrebbe dovuto considerare, nella scelta del rito alternativo del patteggiamento, anche le conseguenze in tema di estinzione del reato (tra cui le tempistiche per ottenere successivamente il rilascio della patente). Venivano inoltre richiamati recenti precedenti giurisprudenziali i quali avevano in sintesi sostenuto che il rinvio indistinto operato dall'art. 120 Cod. strada all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 riguarda tutte le condotte illecite ivi previste e, in base ad una scelta insindacabile del legislatore, senza distinzione tra una maggiore o minore gravita' delle stesse. Cio' dimostrerebbe il chiaro intento legislativo di penalizzare la violazione dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 a prescindere dalla gravita' della pena edittale attinente al reato commesso a tutela dell'incolumita' della sicurezza pubblica in relazione alla circolazione stradale. $II: inquadramento normativo e conseguenze applicative. Prima di dare seguito alla questione di costituzionalita', che lo scrivente ritiene di dover sollevare d'ufficio in via incidentale, si ritiene utile procedere ad un breve inquadramento della normativa che nel tempo si e' avvicendata sia in tema di sanzioni per il consumo/lo smercio di stupefacenti, sia in termini di requisiti per il conseguimento o il mantenimento della patente di guida. In un terzo passaggio, si esamineranno le conseguenze delle condanne riportate (ed a tali fini, e' indifferente che trattisi o meno di pene applicate a richiesta, per l'equiparazione normativa alle condanne) sul titolo abilitativo alla guida. a) Modifiche all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90. Le modifiche normative che hanno interessato la disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope possono essere riassunte come segue. Il testo originario dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 (cd. legge Iervolino-Vassalli, prima delle modifiche apportate dal decreto-legge n. 272/2005, convertito dalla legge n. 49/2006) era caratterizzato da una netta distinzione della risposta sanzionatoria a seconda che i reati ivi previsti avessero avuto ad oggetto sostanze inserite nelle tabelle I e III (cd. «droghe pesanti»), ovvero le sostanze inserite nelle tabelle II e IV (cd. «droghe leggere»). Anche per i fatti di lieve entita', per cui il comma 5 dell'art. 73 prevedeva una circostanza attenuante ad effetto speciale, vi era una diversa cornice edittale a seconda della tipologia di sostanza trattata. La riforma operata con la cd. legge Fini-Giovanardi (decreto-legge n. 272 del 2005 convertito nella legge n. 49/2006) ha previsto solo due tabelle (tabella I unitaria per droghe leggere e pesanti, tabella II per medicinali e barbiturici con effetti corrispondenti) e, con riguardo al trattamento sanzionatorio, ha introdotto cornici edittali unitarie a prescindere dal tipo di sostanza per tutte le condotte di cui all'art. 73, ivi compresa la fattispecie circostanziata di cui al comma 5. La disciplina in materia di stupefacenti ha successivamente subito un profondo mutamento a seguito della declaratoria di incostituzionalita' (con la sentenza n. 32/2014) degli articoli 4-bis e 4-vicies del decreto-legge n. 272/05, quali inserito, in sede di conversione, nella legge n. 49/2006. Tale pronuncia ha determinato la «reviviscenza» dell'art. 73 e delle relative tabelle, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni caducate. In tale contesto normativo e' infine intervenuto il decreto-legge n. 36 del 2014, convertito nella legge n. 79/2014, a seguito del quale l'assetto attuale della disciplina prevede un trattamento sanzionatorio differenziato per droghe «pesanti» e droghe «leggere», conformemente alle indicazioni discendenti dalla riferita declaratoria di incostituzionalita'. Inoltre l'art. 73 comma 5 configura attualmente una fattispecie autonoma di reato, e non piu' una circostanza attenuante ad efficacia speciale, con unificazione del trattamento sanzionatorio a prescindere dal tipo di sostanza. b) Modifiche all'art. 120 Cod. strada. In base alla sua formulazione originaria, uno dei presupposti dei provvedimenti previsti dall'art. 120 Cod. strada era individuato nelle condanne alla pena detentiva non inferiore a tre anni, qualora l'utilizzazione del documento di guida potesse agevolare la commissione di reati della stessa natura per i quali era stata inflitta la condanna. La modifica dell'art. 120 Cod. strada, introdotta dall'art. 3, comma 52 legge n. 94/2009, ha eliminato il riferimento alle sentenze di condanna superiori ai tre anni e al suddetto «nesso di strumentalita'» ed ha inserito nell'elenco di soggetti che non possono conseguire la patente di guida (ovvero, ai quali deve essere revocata, se ne sono gia' in possesso), oltre i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, anche te persone condannate per i reati di cui agli artt. 73 e 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, nonche' quelle destinatarie dei divieti di cui agli articoli 75 comma 1 lettera a) e 75-bis comma 1 lettera f) del medesimo TU. e) Conseguenze applicative. L'art. 120 Cod. strada prevede in oggi un trattamento differenziato a seconda che la persona non in possesso dei requisiti morali richiesti (per quanto qui di interesse, a seguito di condanna per il reato di cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90) sia destinataria di un provvedimento di «diniego al rilascio del titolo abilitativo alla guida», in quanto non era mai stata titolare della patente di guida; oppure di un provvedimento di «revoca del titolo abilitativo alla guida», in quanto la condanna sia intervenuta in momento successivo al rilascio della patente. Nel primo caso (disciplinato dall'art. 120 comma 1 Cod. strada) e' infatti previsto il divieto di conseguire la patente di guida «fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi». La riabilitazione - oltre a richiedere di per se' un vaglio giudiziario, con i tempi che quest'ultimo gia' di per se' implica - puo' intervenire nei termini di cui all'art. 179 codice penale, per il quale di regola se ne prevede la possibile concessione decorsi 3 anni dall'estinzione del reato. E' appena il caso di rilevare, a questo proposito, che i termini e le modalita' di estinzione dei reati previsti dall'ordinamento sono molteplici, con cio' determinandosi ulteriori profili di differenziazione che saranno in appresso considerati. E' possibile, a titolo esemplificativo, ricordare il caso di una persona condannata con sentenza di «patteggiamento», la quale dovra' attendere per la riabilitazione 8 anni (5 anni per l'estinzione ai sensi dell'art. 445 comma 2 del codice di procedura penale e 3 anni per la concessione della riabilitazione), rispetto al caso del soggetto ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 168-bis del codice penale (nei cui limiti edittali rientra oggi la fattispecie lieve dell'art. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90), il quale potra' ottenere la riabilitazione dopo soli 3 anni dall'esito positivo della prova: la quale estingue il reato. Regole specifiche sono poi dettate dall'art. 179 del codice penale con riguardo ai casi in cui la pena sia stata condizionalmente sospesa. In particolare il comma 4 della predetta norma prevede che: «Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art 163 primo, secondo e terzo comma, il termine di cui al primo comma [ovvero il termine a partire dal quale puo' essere concessa la riabilitazione] decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena». A questo proposito la giurisprudenza e' pacifica nel ritenere che «in caso di condanna a pena condizionalmente sospesa, per determinare la decorrenza del termine allo spirare del quale, a norma dell'art. 179 c.p., puo' essere presa in esame la richiesta, occorre fare riferimento al momento in cui risulta passata in giudicato la sentenza di condanna, e non al termine stabilito per l'estinzione del reato» (tra le molte, Cassaz. Pen. n. 44934/2005; in termini Cassaz. Pen. n. 24084/2009). Ed ancora: «L'istanza di riabilitazione puo' essere presentata, pur nel caso di condanna a pena condizionalmente sospesa, quando siano decorsi almeno tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza, senza che occorra attendere il decorso del termine di cinque anni per l'operativita' dell'effetto estintivo della pena, correlato alla sospensione condizionale» (cosi', Cassaz. Pen. n. 15147/2009). Altra questione riguarda la possibilita' di considerare inclusa, nell'inciso «fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi di cui all'art 120 Cod. strada, l'ipotesi contemplata dall'art. 445 comma 2 codice di procedura penale, in base alla quale: «Il reato e' estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore ai due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se e' stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non e' comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena». In tale caso «l'effetto riabilitativo», al fine di poter conseguire la patente di guida, si produrrebbe decorsi 5 anni dal passaggio in giudicato dalla sentenza, non sospesa; concessa la sospensione della pena, sarebbe invece piu' favorevole la disciplina specifica dell'art. 179 comma 4 c.p. Nel secondo caso, ovvero in caso di revoca del titolo abilitativo alla guida (disciplinato dall'art. 120 commi 2 e 3 Cod. strada), e' previsto che possa essere conseguita una nuova patente di guida semplicemente decorsi 3 anni (si ritiene, dallo stesso provvedimento di revoca). d) Conseguenze nel caso concreto. Nella vicenda in esame, bisogna preliminarmente ricordare che entrambe le condanne applicate al R. sono state emesse e seguito di sentenze di «patteggiamento» ex art. 445 del codice di procedura penale; entrambe hanno previsto una pena inferiore ai due anni di reclusione; entrambe sono state condizionalmente sospese. Per la precisione, il R. e' stato condannato con sentenza di patteggiamento n. 1342/14, (per fatti risalenti ad aprile 2010), divenuta irrevocabile in data 12 gennaio 2015 ed il provvedimento di revoca della patente e' del 23 luglio 2015: ai sensi dell'art 120 Cod. strada, l'attore potrebbe ottenere una nuova patente decorsi tre anni dalla revoca, quindi il 23 luglio 2018. Ove ritenuto applicabile l'art. 179 comma 4 (tre anni dal passaggio in giudicato), il termine sarebbe il 12 gennaio 2018. $III: le questioni di costituzionalita' gia' sollevate e pendenti. Con ordinanza del 17 dicembre 2015 il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, sul ricorso proposto da C.G. contro Ministero dell'interno, ha prospettato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), con provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1ª Serie speciale - Corte costituzionale n. 6 del 10 febbraio 2016. Il giudice amministrativo dubita della legittimita' costituzionale dell'automatismo del ritiro della patente in presenza di una condanna per i reati concernenti gli stupefacenti, dopo le modifiche all'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 prodotte sulla base del decreto-legge n. 36 del 2014 convertito nella legge n. 79 del 2014, con la distinzione tra reati di grave entita' e di modesta entita'. Nello scenario aperto dalla sentenza costituzionale n. 32/2014 e dalla nuova formulazione della fattispecie di lieve entita' ex art. 73 comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, sembra al tribunale amministrativo regionale friulano che l'ordinamento contenga ora elementi sufficienti a far ritenere incostituzionale il citato automatismo per la violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto vengono trattate in modo eguale ipotesi attualmente differenziate dalla legge penale. Secondo il Collegio, viene altresi' violato l'art. 27 della Costituzione che mira a una riabilitazione del condannato e al suo reinserimento nella societa', norma che non puo' non avere ripercussioni anche in sede di provvedimenti amministrativi in qualche modo collegati alla vicenda penale stessa. Non avrebbe senso, infatti, prevedere nell'ambito dell'esecuzione della pena un percorso riabilitativo per il soggetto condannato e nel contempo non prevedere che - anche in sede di provvedimenti amministrativi correlati si debba tener conto della possibilita' di intraprendere tale percorso virtuoso. Conclude il tribunale amministrativo regionale che e' necessario che l'amministrazione possa tener conto delle circostanze concrete e dei comportammo del soggetto coinvolto, sia nella commissione del reato sia in momenti successivi, nonche' dell'attivita' lavorativa svolta dal condannato, in relazione alla quale il possesso di una patente di guida puo' risultare essenziale per lo svolgimento stesso del lavoro. In data 16 giugno 2016 n. 210 il Tribunale di Genova, sul reclamo proposto dal Ministero dell'interno e dal Ministero delle infrastrutture contro B.D., ha a sua volta sollevato - ritenutane la natura sanzionatoria questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120 Cod. strada nella parte in cui prevede la revoca, da parte del prefetto, della patente di guida in caso di condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, con riferimento agli articoli 3, 16, 25 e 111 della Costituzione. In particolare, questo Tribunale ha ritenuto irragionevole la previsione di una revoca della patente disposta in via amministrativa ed automatica per tutti i casi di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, laddove la normativa speciale (art. 85 del medesimo TU) prevede il potere discrezionale del giudice penale in merito all'applicazione della - meno grave - pena accessoria del ritiro della patente, peraltro con possibilita' di graduarne la durata entro limite di tre anni. Alla luce di cio' appare irragionevole che, nei casi in cui il giudice penale abbia deciso di non applicare la pena accessoria del ritiro della patente (escludendo in concreto una particolare pericolosita' sociale del condannato, un nesso di strumentalita'/occasionalita' tra la conduzione dei veicoli e i delitti commessi o la possibilita' che il mantenimento della patente agevoli la commissione di nuovi reati), la revoca della patente - di per se piu' grave del ritiro - intervenga obbligatoriamente in ogni caso, peraltro nella misura fissa di 3 anni. Questi profili di irragionevolezza e di conseguente disparita' di trattamento rilevano, secondo l'ordinanza di remissione, sia per l'incidenza sulle liberta' tutelate dall'art. 16 della Costituzione, sia dal punto di vista della sottrazione del reo al giudice naturale e ad un giusto processo, non apparendo rispettosa di tali principi una disposizione normativa secondo la quale la previsione di un'applicazione automatica di una misura sostanzialmente analoga (ed anzi assai piu' afflittiva), da parte di un'autorita' amministrativa, senza le garanzie processuali penali, si sovrappone alla stessa decisione penale. $IV: nuove questioni di costituzionalita' - Rilevanza e non manifesta infondatezza. La rilevanza della questione che di seguito si prospetta d'ufficio e' manifesta: in applicazione dell'art. 120 Codice della strada l'Autorita' prefettizia ha proceduto a revoca della patente di guida, di cui il R. era titolare, inibendogli in tal modo l'impiego del proprio veicolo fino non prima del febbraio 2018 e dunque impedendogli gli spostamenti con tale mezzo di trasporto per le imprescindibili esigenze di vita, che non possono essere soddisfatte solo mediante la rete dei servizi pubblici: attese anche le concrete condizioni di vita e professionali dell'attore, che di un proprio veicolo ha necessita' per gli spostamenti lavorativi e per le esigenze famigliari, come messo in luce nell'istruttoria orale espletata all'udienza del 15 marzo 2017 attraverso l'esame della convivente del R. Costei ha confermato la necessita' dell'impiego di veicolo per spostamenti del nucleo famigliare e del titolare della patente per ragioni di lavoro e di salute proprie del R., della convivente stessa (in attesa di un figlio) ed anche della cerchia dei prossimi congiunti, in particolare per le necessita' di cura del padre dell'attore, periodicamente sottoposto a dialisi. Circa la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita', si e' appena detto che gia' il Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia dubita della compatibilita' della nuova normativa con gli articoli 3 e 27 della Carta costituzionale sia per il rigido meccanismo determinativo della limitazione per la circolazione discendente dalla norma, sia per il contrasto che si determina con l'art. 27 della nostra Legge fondamentale rispetto al percorso di risocializzazione del reo. Anche questo tribunale, in composizione collegiale, ha manifestato perplessita' in riferimento alla diversa modulazione del trattamento sanzionatorio in sede penale e per le sue ricadute amministrative. E' opinione dello scrivente che tutti i profili di incostituzionalita' evidenziati dai predetti giudici remittenti abbiano appropriato fondamento e possano essere fatti propri da questo giudice, che intende solo aggiungere a tali dubbi gia' palesati - e prospettare alla Corte - ulteriori coronari sui profili di incompatibilita' dell'art. 120 in questione con i principi costituzionali messi in luce nei due richiamati provvedimenti dei Tribunali remittenti, muovendo da una duplice premessa. La prima premessa - cui si accenna nell'ordinanza del Collegio genovese - e' che, a dispetto della rubrica, le limitazioni previste nel nuovo testo dell'art. 120 Codice strada e consistenti, rispettivamente, nel divieto di accedere all'esame abilitativo per il rilascio del titolo di guida (per quanti non muniti di patente) o nella revoca della stessa (se gia' patentati), non costituiscano «qualita' morali» ostative al rilascio o al mantenimento della patente, ma vere e proprie «sanzioni» limitative di una liberta' riconosciuta a livello costituzionale e ancorata all'art. 16 della Carta. Se non fossero ritenuti adeguatamente persuasivi i rilievi del Collegio genovese, sviluppati sulla precisa trama delineata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (cd. «Engels' criteria»), allora si deve necessariamente aggiungere un argomento di conferma di tali assunti, che potrebbe assumere la consistenza di una «prova del nove» rispetto all'esatta natura delle limitazioni in esame. Non si comprende infatti come sia possibile che le qualita' morali di un soggetto, condannato per una determinata tipologia di reati, possano improvvisamente riacquistare la loro piena dignita' per effetto della riabilitazione penale: l'istituto previsto dal sistema punitivo per la rimozione di tutti gli «effetti penali» delle condanne. Difficile, se non con artifici verbali non compatibili con il giusto rigore della giurisprudenza Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sui criteri identificativi delle «sanzioni», negare la reale natura afflittivo/sanzionatoria di limitazioni alle patenti di guida, che vengono rimosse (per i «patentandi») solo ed esclusivamente con gli stessi istituti che riguardano la totale cancellazione degli effetti delle condanne penali. Per questo, non puo' negarsi che le limitazioni qui in discussione sono esse stesse «effetti penali» delle condanne, inflitte da organi amministrativi in esito a condanne della magistratura penale: delle quali condanne, tali conseguenze afflittive seguono il percorso estintivo/riabilitativo. Una precisa conferma di tale impostazione pare ravvisabile nella stessa giurisprudenza costituzionale, pur se e' vero che diversi interpreti trovano in quest'ultima - ed in particolare nelle decisioni collegate al venir meno delle cariche pubbliche per determinati reati contro la pubblica amministrazione - un'identita' di «ratio» con il meccanismo di inabilitazione/decadenza previsto dall'art. 120 Codice strada, che renderebbe irrilevante i dubbi sotto palesati. Per vero, nello stesso compendio interpretativo costituzionale spicca, per la sua pertinenza rispetto al caso qui in esame, la sentenza n. 281 del 2013 in tema di rapporto tra l'articolo in esame e l'applicazione di pena a richiesta. In essa, la Corte adita ha ritenuto l'incostituzionalita' dell'applicazione retroattiva della novella intervenuta nel 2009 a fatti delittuosi consumati prima dell'entrata in vigore della riforma dell'art. 120 Cod. strada sul rilievo che il postulato di certezza e stabilita' del quadro normativo, che fa da sfondo alla scelta dell'imputato, precluda che successive modifiche legislative vengano ad alterare in pejus effetti salienti dell'accordo suggellato con la sentenza di patteggiamento. E' tuttavia difficile non leggere, in tale pronuncia, il riconoscimento implicito del presupposto di base di ogni argomentazione censoria relativa all'art. 120 Cod. strada: il fatto cioe' che si stia discutendo proprio di «sanzioni» o pene «aggiuntive», piu' che di «rinunce», che il reo non poteva immaginare che sarebbero state applicate retroattivamente, nel momento stesso in cui andava a negoziare la pena principale con la parte pubblica. La seconda premessa da cui muovere e' la relativa insindacabilita' della decisione politica di aggiungere sanzioni di tipo civile alla commissione di determinate tipologie di reati, anch'essa esplicitata nell'ordinanza del Tribunale di Genova. Da tale angolo visuale, secondo questo remittente, le tesi della parte attrice circa l'automatica obliterazione dell'art. 120 del Codice della strada per effetto del travagliato iter normativo che ha riguardato le sanzioni in materia di stupefacenti, ricordato nei precedenti paragrafi; ovvero la questione subordinata di legittimita' costituzionale perche' la norma in discussione non sarebbe stata modificata, dopo la diversificazione del trattamento sanzionatorio in base alle diverse qualita' degli stupefacenti, ovvero per la trasformazione dell'illecito attenuato in titolo autonomo di reato, non sembrano avere spazio di accoglimento. La disposizione introdotta nel 2009 e non piu' modificata dopo la recente revisione del TU 309 del 1990 continua a sanzionare, ai fini del rilascio o della revoca delle patenti di guida, non solo i fatti delittuosi, piu' o meno gravi, ma anche il consumo personale di stupefacenti che, non punibile penalmente, rimane pero' produttivo di conseguenze limitative di una certa consistenza. Da tale rilievo, discende che e' possibile ricostruire una (non illegittima) determinazione del legislatore, anche dopo il 2009, di conservare un'appendice sanzionatoria riguardante i titoli di guida per tutte le situazioni antigiuridiche che comportano la manipolazione degli stupefacenti. Questa appendice sanzionatoria pare insindacabile allo scrivente, salvo che il piu' incisivo quadro punitivo discendente dall'art. 120 in questione determini esiti irrazionali e non compatibili con il quadro costituzionale delle liberta' fondamentali e della parita' di trattamento. Ad integrazione dei profili di incostituzionalita' evidenziati dal Giudice amministrativo, ed alla puntuale sottolineatura da parte del Collegio genovese circa l'irragionevole «rigidita'» dell'inabilitazione amministrativa rispetto all'evoluzione del precetto penale ed alle concrete statuizioni assunte in sede penale, possono aggiungersi le seguenti considerazioni. Se - si diceva poc'anzi - non e' censurabile la scelta di aggravare il trattamento sanzionatorio per tutti i reati concernenti gli stupefacenti, meno comprensibile e' che la disposizione censurata realizzi effetti penalizzanti diversi, come durata applicativa, nei confronti di soggetti condannati per lo stesso titolo di reato, introducendo una significativa diversificazione sanzionatoria a seconda della precedente titolarita' o meno del titolo abilitativo, come pure a seconda dei diversi percorsi processuali prescelti. Non si vede infatti come le qualita' morali di un soggetto possano essere modificate da accidenti che non riguardano per nulla la caratura morale del condannato, ma che si atteggiano a variabili del tutto estranee alla condotta dequalificante. In primo luogo, e' percepibile la differenza che riguarda condannati gia' titolari di abilitazione alla guida e condannati che ancora debbano sostenere l'esame abilitativo. Non si comprende perche' i primi possano essere ammessi al nuovo esame di guida per il semplice decorso di un triennio dalla revoca amministrativa (cosi' pare da intendersi l'inciso del terzo comma: «La persona destinataria del provvedimento di revoca di cui al comma 2 non puo' conseguire una nuova patente prima che siano trascorsi almeno tre anni»); mentre secondi debbano munirsi del provvedimento riabilitativo in sede penale che pertanto, salvo i casi di sospensione condizionale della pena sotto esaminati, sara' decisamente piu' lungo per questa seconda categoria di condannati i quali, in base al combinato disposto degli articoli 178 e 179 cod. penale, dovranno aggiungere un triennio (uguale alla durata della revoca predetta) all'espiazione della pena principale riportata. In tale prospettiva, si realizza quindi una disparita' di trattamento che non ha la minima giustificazione con la tipologia di condanna comminata o con le qualita' morali dei condannati: questi ultimi, in una logica punitiva razionale, se condannati per lo stesso fatto/reato, dovrebbero quindi patire le medesime conseguenze sanzionatorie derivanti dall'identico delitto e dal conseguente medesimo discredito morale. La revoca o inibitoria all'esame di guida, senza modulazione di durata e senza sospensione, realizza poi un autentico macigno difficilmente valicabile sul percorso riabilitativo dei condannati per fatti di stupefacenti che abbiano fruito della sospensione condizionale della pena. Piu' precisamente, si realizza in prima battuta un apprezzabile «vulnus» all'impianto strutturale dell'art. 27 della Costituzione, e poi una seconda disparita' di trattamento con le altre persone condannate per altre tipologia delittuose che abbiano anch'esse fruito del medesimo istituto penale premiale, prima sospensivo e poi estintivo. Per un primo aspetto, l'impossibilita' di spostamenti con proprio veicolo si pone come ostacolo alla piena e progressiva risocializzazione del soggetto, ritenuto non ulteriormente pericoloso dal giudice penale, realizzando in tal modo l'unica sanzione realmente applicata in presenza di sospensione condizionale della pena (e nemmeno dal giudice penale), con il concreto rischio di pregiudicare le relazioni personali e lavorative che fungono da adeguata «controspinta» rispetto alla progettazione di attivita' illecite. Sul secondo versante considerato, esempio paradigmatico dell'irragionevole trattamento sanzionatorio piu' sfavorevole che viene riservato ai soli condannati per fatti di stupefacenti, cui sia stata sospesa la pena, e' dato dal confronto tra l'art. 120 Cod. strada e la regola dell'art. 166 codice penale, la quale fa divieto di procedere a dichiarazioni di decadenza di autorizzazioni amministrative per chi fruisca di sospensione condizionale della pena. Si tratta, con tutta evidenza, di una disposizione in tutto coerente con la funzione rieducativa della pena e con il percorso socio riabilitativo delineato dall'art. 163 codice penale per le condanne meno gravi. Tale percorso, pero', per effetto della novella del 2009, non trova applicazione per i soli reati previsti dall'art. 120 Cod. strada, il che si stenta a comprendere perche': a) e' dubbio che le qualita' morali di una persona condannata per violazione del TU 309 del 1990 siano piu' riprovevoli di' quelle dei condannati a pene per fatti di maggiore allarme sociale, compresi i delitti contro l'incolumita' personale; b) nella misura in cui si e' deciso di non far scontare la sanzione principale ai condannati a pene lievi entro il biennio di pena detentiva in concreto comminata, non vi, e' alcuna differenza in termini di pericolosita' sociale tra condannati, articolata per titolo di reato; c) se il legislatore ha previsto la sospensione della pena principale e di quelle accessorie, non si comprende perche' debbano sopravvivere i soli effetti penali sfavorevoli relativi alla patente senza che il giudice possa concretamente graduarne - quando non disapplicarne ex art. 166 del codice penale - gli altri effetti limitativi. La disposizione in esame introduce quindi anche una diversificazione degli esiti delle condanne penali tra condannati per fatti di reato collegati al TU n. 309/1990, cui sia stata applicata la sospensione condizionale della pena, e tutti gli altri condannati con sanzione principale di uguale durata ed ugualmente sospesa. Di tale incongrua distinzione e' chiara la portata negativa rispetto, al principio-cardine della funzione riabilitativa della pena, nonche' la valenza discriminatoria e contrastante con le finalita' dell'art. 27 Costituzione, quali rese pratiche e concrete sul terreno esecutivo - dall'art. 166 c.p. Da ultimo, contingenze del tutto imprevedibili incidono in concreto sulla materiale durata delle inabilitazioni in esame a seconda della celerita' decisionale e del carico di lavoro delle strutture amministrative o dei tribunali di sorveglianza coinvolti nella gestione delle sanzioni in esame. Cosi', di fronte all'apparente «vantaggio» che hanno i condannati con pena sospesa cui sia stata revocata la patente, dato che per essi e' previsto un termine triennale di durata della revoca, sta l'incognita dei tempi prefettizi nell'applicazione della revoca stessa. Per contro, all'apparente miglior trattamento riservato ai «patendandi» con pena sospesa, che lucrano l'effetto estintivo dopo un triennio dal giudicato e da tale momento possono avanzare istanza di riabilitazione al Tribunale di sorveglianza, sta l'incognita dei tempi decisionali di questi ultimi, prima di ottenere la completa rimozione degli effetti penali. E' quindi facilmente immaginabile la situazione di un «patentato» e di un «patentando» che, condannati per la medesima vicenda delittuosa ad identica pena per violazione del testo unico Stupefacenti e ritenuti entrambi meritevoli della sospensione condizionale, vedano nei fatti diversamente commisurata l'inabilitazione discendente dall'art. 120 Cod. strada per le casualita' applicative appena evidenziate: le quali non riflettono minimamente un diverso disvalore delle condotte apprezzate dal giudice penale e tanto meno una diversa qualificazione morale dei condannati. Conclusivamente, stanti i profili di contrarieta' alle disposizioni costituzioni evidenziate dalle due richiamate ordinanze di rimessione ante citate e gli ulteriori spunti censori evidenziati con il presente provvedimento, vengono di seguito adottate le statuizioni richieste dall'art. 23 legge n. 53 del 1957 e dalla delibera 16 marzo 1956 per la sospensione del procedimento in epigrafe e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per il vaglio di conformita' dell'art. 120 Codice della strada ai precetti costituzionali sopra evidenziati, con le modalita' di cui al dispositivo.
P.Q.M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale (proposta in via incidentale) della disposizione dell'art. 120 Codice della strada, nel testo modificato con legge n. 94 del 2009, nella parte in cui: 1) non consente una valutazione discrezionale della durata dell'inibitoria o revoca del titolo abilitativo alla guida, commisurata alla gravita' dei fatti per cui e' stata inflitta condanna e delle pene in concreto comminate; 2) prevede l'applicazione delle limitazioni al rilascio o uso del titolo abilitativo alla guida anche nei confronti dei condannati per l'art. 73 TU n. 309/90 a cui sia stata applicata la sospensione condizionale della pena, determinando ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ad ogni altra categoria di condannati con pena sospesa; 3) prevede diversa decorrenza e durata del divieto di conseguimento della patente, o della durata della revoca, tra condannati per fatti di stupefacenti che richiedano l'ammissione all'esame abilitativo e condannati gia' titolari di patente di guida; 4) prevede diversa decorrenza e durata del divieto di conseguimento della patente, o della durata della revoca, tra condannati per fatti di stupefacenti (con pena sospesa) che richiedano l'ammissione all'esame abilitativo, e condannati (con pena sospesa) gia' titolari di patente di guida; Dispone conseguentemente: la sospensione del presente procedimento fino alla pronuncia della Corte costituzionale; la notificazione dell'odierna ordinanza alle parti del giudizio ed alla Presidenza del Consiglio del ministri; la comunicazione del presente provvedimento ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; la trasmissione degli atti, una volta completate notifiche e comunicazioni, alla cancelleria della Corte costituzionale in Roma. Genova, 30 marzo 2017 Il Giudice u. des.: Braccialini