N. 179 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 febbraio 2017
Ordinanza del 2 febbraio 2017 del Tribunale di Siracusa nel procedimento penale a carico di Caruso Angelo, Bona Sebastiana e Amara Piero. Reati e pene - Frode all'IVA - Prescrizione - Applicazione dell'art. 325 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come interpretato dalla Corte di giustizia europea, sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco, in riferimento agli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. - Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), art. 2.(GU n.50 del 13-12-2017 )
TRIBUNALE DI SIRACUSA Sezione Penale In sede di appello ex art. 322-bis del codice di procedura penale; Il Tribunale di Siracusa, Sezione Penale, composto dai magistrati: dott.ssa Giuseppina Storaci, Presidente; dott.ssa Venera Condorelli, Giudice estensore; dott. Mario Santoro, Giudice on.; Esaminato l'atto di appello proposto dal pubblico ministero presso il Tribunale di Siracusa avverso l'ordinanza emessa il 27 febbraio 2015 con cui il Tribunale di Siracusa ha disposto la revoca, limitatamente a Ferraro Alessandro, del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Siracusa in data 8 marzo 2012, nonche' del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Siracusa in data 4 giugno 2012 nei confronti di Bona Sebastiana e Amara Pietro; Letti gli atti del procedimento penale iscritto ai numeri 27/2016 T.L. Seq. e 10158/2010 R.G.N.R. a carico di: Caruso Angelo, nato a Pachino (SR) il 14 novembre 1946; Ferraro Alessandro, nato a Napoli il 10 aprile 1971; Bona Sebastiana, nata ad Augusta 22 agosto 1970; Amara Piero, nato ad Augusta il 24 aprile 1969; Imputati: Bona Sebastiana e Amara Piero. 1) Per il delitto previsto dagli articoli 110 codice penale, 2 del decreto legislativo 74/00 perche' - in concorso tra di loro, nella qualita' di amministratore di diritto (Bona) e di fatto (Amara) della GI.DA S.r.l. ed al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto - indicavano nel modello unico 2007 della stessa GI.DA S.r.l. elementi passivi fittizi utilizzando fatture per operazioni inesistenti provenienti dalla Comin S.r.l. e dalla Pegaso S.r.l. (per un imponibile complessivo di euro 400.000 con imposta evasa pari euro 212.000 oltre sanzioni. Nello specifico, utilizzavano le fatture: numeri 21 del 5 aprile 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 29 del 3 maggio 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 33 del 1° giugno 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 41 del 2 luglio 2007 (imponibile oltre IVA), 48 del 6 agosto 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA) emesse dalla Pegaso S.r.l.; numeri 13 del 17 aprile 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 19 del 30 maggio 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 28 del 28 giugno 2007 (imponibile oltre IVA), 35 del 27 luglio 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 40 del 27 agosto 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), emesse dalla Comin S.r.l.; fatture aventi ad oggetto acconti e saldo per la «progettazione esecutiva e analisi e indicazione in concreto dei costi dl realizzazione di n. 2 impianti fotovoltaici denominati GI.DA1 e GI.DA2» tutte emesse e saldate nel 2007 a fronte di una progettazione che veniva in realta' depositata parzialmente soltanto alla fine del 2008 e da soggetto diverso dalla Comin S.r.l. e dalla Pegaso S.r.l. (ing. Navanteri Marcello) al quale veniva, peraltro corrisposta dalla GI.DA. S.r.l. (e per l'intera progettazione) la complessiva somma di euro 30.720 tra il maggio ed il luglio del 2009. In Siracusa, nella dichiarazione dei redditi 2007 (presentata il 29 settembre 2008). Ferraro Alessandro e Caruso Angelo. 2) Per il delitto previsto dagli articoli 81, 110 c.p. e 8 del decreto legislativo 74/00 perche' - con piu' azioni esecutiva di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra di loro nella qualita': Ferraro Alessandro di amministratore di fatto della Comin S.r.l. e della Pegaso S.r.l.; Caruso Angelo di amministratore di diritto, della Comin S.r.l. e della Pegaso S.r.l.; ed al fine di consentire l'evasione delle imposte sui redditi (IRES e IRAP) e sul valore aggiunto. (IVA) alla GI.DA - emettevano e rilasciavano le fatture per operazioni inesistenti descritte nel capo di imputazione. che precede (per imponibile complessivo di euro 400.000). Con la recidiva reiterata, specifica per Caruso. Con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale per Ferraro. In Siracusa, dal 17 aprile 2007 (data della prima fattura emessa in favore della GI.DA S.r.l.) al 27 agosto 2007 (data dell'ultima fattura emessa in favore GI.DA S.r.l.). 3) Per il delitto previsto dagli articoli 110 codice penale e 4 del decreto legislativo 74/00 perche' - in concorso tra di loro nella qualita' di amministratore di fatto (Ferraro Alessandro) e di diritto (Caruso Angelo) della Comin S.r.l. al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto - indicavano nella dichiarazione dei redditi riferita all'anno 2007 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo e segnatamente omettevano di dichiarare ricavi per complessivi euro 1.478.091,39 (con IVA evasa pari ad euro 281.195,20) realizzando un'evasione d'imposta sul reddito di euro 342.067,16. In Siracusa, nel settembre del 2008. 4) Per il delitto previsto dagli articoli 81, 110 codice penale e 5 del decreto legislativo 74/00 perche' - con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra di loro nella qualita' di amministratore di fatto (Ferraro Alessandro) e di diritto (Caruso Angelo) della Comin S.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto - omettevano di presentare: qualunque dichiarazione per l'anno 2008 nonostante la realizzazione di ricavi per complessivi euro 2.990.018,56 (Imposta evasa con aliquota IRES al 27,30 ed al netto dei costi accertati euro 699.599,36; IVA evasa al netto delle operazioni passive pari ad euro 597.161,29); qualunque dichiarazione per l'anno 2009 nonostante la realizzazione di ricavi per complessivi euro 441.665,82 (Imposta evasa con aliquota IRES al 27,50 ed al netto dei costi accertati euro 121.458,10; IVA evasa al netto delle operazioni passive pari ad euro 88.333,16). In Siracusa, nel settembre 2009 e 2010. Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 13 ottobre 2016, ha emesso la seguente ordinanza (ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). 1. Bona Sebastiana e Amara Pietro, nelle rispettive qualita' di amministratore di diritto e di fatto della GI.DA S.r.l. sono chiamati a rispondere davanti al Tribunale di Siracusa del delitto di cui agli articoli 110 del codice penale, 2 del decreto legislativo n. 74/2000, come descritto al capo 1 della rubrica; nell'ambito dello stesso procedimento Ferraro Alessandro e Caruso Angelo sono chiamati a rispondere, nelle rispettive qualita' di amministratore di fatto e di diritto della Comin S.r.l. e della Pegaso S.r.l., del delitto di cui agli articoli 81, 110 del codice penale e 8 del decreto legislativo 74/2000 (capo n. 2 della rubrica); del delitto di cui agli articoli 110 del codice penale, 4 del decreto legislativo n. 74/2000 (capo n. 3 della rubrica); del delitto di cui agli articoli 8.1, 110 del codice penale, 5 del decreto legislativo n. 74/2000 (capo n. 4 della rubrica). Con provvedimento del 27 febbraio 2015 il Giudice procedente disponeva la revoca (limitatamente a Ferraro Alessandro) del decreto di sequestro preventivo (anche per equivalente) disposto dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa in data 8 marzo 2012, avente ad oggetto la somma di euro 2.129.814,26, nonche' del decreto di sequestro preventivo (anche per equivalente) emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa il 4 giugno 2016 nei confronti di Bona Sebastiana e Amara Pietro, avente ad oggetto la somma di euro 240.000 (poi ridotta ad euro 106.000). Detto provvedimento si fonda sugli esiti di una consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero in data 14 novembre 2014, ai sensi degli articoli 359 e 430 del codice di procedura penale. Con atto di appello proposto il 10 marzo 2015 il pubblico ministero impugnava la predetta ordinanza chiedendo il ripristino della misura cautelare del sequestro preventivo gia' disposta in forza dei decreti del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa dell' 8 marzo 2012 e del 4 giugno 2012. Il difensore di Ferraro Alessandro insisteva nella declaratoria di inammissibilita' dell'appello. Con ordinanza del 28 aprile 2015 il Tribunale dichiarava inammissibile l'appello, ritenendolo tardivo. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa proponeva ricorso per Cassazione avverso la citata ordinanza; la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, annullava il provvedimento, con rinvio al Tribunale di Siracusa affinche' esaminasse il merito il ricorso. All'udienza del 26 maggio 2016, il pubblico ministero rilevava l'avvenuta maturazione del termine di prescrizione con riferimento ai reati di cui ai capi n. 1 della rubrica limitatamente alle violazioni concernenti l'IRAP e l'IRES; relativamente alle violazioni concernenti l'IVA, chiedeva al collegio di disapplicare gli articoli 160 ultimo comma e 161, ultimo comma del codice penale nella parte in cui prevedono che il verificarsi di atti interruttivi della prescrizione non possa comportare l'aumento di piu' di un terzo del tempo necessario a prescrivere, per contrasto con agli articoli 4, par. 3 T.U.E. e 325 par. 1 e 2 T.F.U.E. (cfr. sent. C - 105/14 della CGUE, ric. Taricco dell'8 settembre 2015); in subordine, qualora il collegio ritenesse di non poter procedere alla disapplicazione per contrasto della disciplina eurounitaria con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, chiedevo di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, legge n. 130/2008 (questione gia' sollevata nel procedimento di merito, pendente innanzi al Tribunale di Siracusa, in composizione monocratica). Il pubblico ministero chiedeva altresi' la correzione del capitolo 3 della rubrica laddove, diversamente dal capo 2, non risultava contestata la recidiva agli imputi Ferraro e Caruso, ritenendo tale omissione frutto di errore materiale; in subordine procedeva a formale contestazione della recidiva. Il Tribunale riteneva priva di effetti la contestazione della recidiva operata per la prima volta in sede di appello cautelare, dopo lo spirare del termine di prescrizione del reato contestato, non ritenendo che l'omessa indicazione dell'aggravante in seno alla richiesta di rinvio a giudizio possa configurare un mero errore materiale, suscettibile di correzione, anche laddove tale contestazione sia stata effettuata con riferimento ad altri capi d'imputazione riferibili agli stessi imputati e disponeva un rinvio del procedimento. All'udienza del 13 ottobre 2016 il pubblico ministero insisteva nei motivi d'appello, la difesa dell'imputato Amara ne chiedeva il rigetto, come da verbale. 2. Tanto premesso in ordine allo svolgimento del processo, con riguardo alle violazioni tributarie contemplate dagli articoli 2, 4, 5 e 8 del decreto legislativo 74/2000 oggetto di contestazione, va ricordato che il termine di prescrizione e' quello ordinario di sei anni previsto dall'art. 157 codice penale; termine che, anche in presenza di atti interruttivi (ex art. 160 codice penale e 17, comma l, decreto legislativo 74/2000), non puo' mai superare il periodo complessivamente individuato dall'art. 161, comma 2 codice penale, non trovando applicazione, ratione temporis, il disposto di cui all'art. 17, comma 1-bis decreto legislativo 74/2000, introdotto dal decreto-legge 138/2011, convertito con modificazioni nella legge 14 settembre 2011, n. 148. Cio' detto, con riferimento alle ipotesi di reato sopra riportate ai numeri 1) e 3) del capo di imputazione, rispettivamente relative alla violazione dell'art. 2 del decreto legislativo 74/2000 da parte di Amara e Bona e dell'art. 4 del decreto legislativo 74/2000 da patte di Causo e Ferraro, facendo applicazione della disciplina codicistica, la prescrizione sarebbe maturata il 29 marzo 2016: entrambe le violazioni tributarie, infatti, sono state commesse il 29 settembre del 2008 (data della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno 2007), sicche' il termine complessivo di prescrizione, tenuto conto dell'aumento di un quarto previsto dall'art. 161, comma 2, codice penale, risulterebbe scaduto il 29 marzo 2016, in carenza di periodi di sospensione ex art. 159 codice penale. 3. Sulla disciplina della prescrizione dei reati tributati riguardanti le frodi all'imposta sul valore aggiunto e' recentemente intervenuta la Corte di Giustizia, con sentenza emessa in data 8 settembre 2015 (Grande Sezione), Taricco, causa C-105/14. La Corte di Giustizia chiamata a pronunciarsi a seguito di rinvio pregiudiziale proposto ai sensi dell'art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dal Tribunale di Cuneo sulla compatibilita' con il diritto dell'Unione europea della normativa italiana in materia di prescrizione del reato, previa individuazione del quadro normativo di riferimento, ha stabilito che: «Una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell'art. 160, ultimo comma, del codice penale, come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell'art. 161 di tale codice - normativa che prevedeva, all'epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l'alto interruttivo verificatosi nell'ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale - e' idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall'articolo 325, paragrafi l e 2, TFUE nell'ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione piu' lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea, circostanze che spetta di giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale e' tenuto a dare piena efficacia all'art. 325, paragrafi l e 2, Trattato sul funzionamento dell'Unione europea disapplicando, all'occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE»". Giova evidenziare che il contrasto con il diritto eurounitario non riguarda l'intera disciplina nazionale, della prescrizione bensi' attiene all'interruzione della prescrizione e, segnatamente, alla previsione contemplata negli articoli 160, comma 4 e 161, comma 2, codice penale secondo' cui, in caso di interruzione della prescrizione per una delle cause menzionate dall'art. 160 codice penale, il termine di prescrizione non possa essere prolungato oltre un quarto della durata iniziale, sull'assunto che detta disciplina rischi di «neutralizzare l'effetto temporale di una causa di interruzione della prescrizione» e, di conseguenza, di non rendere effettivi e dissuasivi gli strumenti di lotta contro le frodi in materia di IVA che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea: I giudici di Lussemburgo individuano due diverse situazioni di contrasto della disciplina nazionale sull'interruzione della prescrizione con il diritto dell'Unione, corrispondenti, rispettivamente alla violazione degli obblighi imposti dai due paragrafi dell'art. 325 del TFUE. Il primo contrasto deriva dall'accertamento che la normativa nazionale «impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea» la violazione riguarda l'art. 325, paragrafo 1 del TFUE, secondo cui: L'Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attivita' illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell'Unione» Al giudice nazionale e' dunque rimesso l'accertamento in ordine alla «gravita'» della frode in materia di IVA ed alla frequenza dei casi in cui, per effetto della disciplina nazionale in tema di prescrizione, dette frodi gravi restino sostanzialmente impunite. La seconda situazione di contrasto si verifica allorche' i termini di prescrizione nei reati che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro siano «piu' lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea»: in tal caso la violazione riguarda l'art. 325, paragrafo 2 del TFUE , a mente del quale «Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari». L'ipotesi di contrasto riguarda la constatazione fatta propria dalla Corte di Giustizia (paragrafo 48), secondo cui la regola generale dell'aumento di un quarto prevista dall'art. 161, comma 2, codice penale trova una sua deroga normativa espressa per i reati di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater codice di procedura penale, per i quali l'aumento della prescrizione per effetto dell'atto interruttivo non ha un limite diverso dalla scadenza dell'ordinario termine di prescrizione, che quindi riprende a decorrere per intero dopo ogni atto di interruzione. Tra i reati indicati nell'art. 51, comma 3-bis codice di procedura penale e' compreso il delitto previsto dall'art. 291-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973, che punisce l'associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, sicche' la prescrizione di quest'ultimo reato, non e' soggetta all'aumento massimo previsto dall'art. 161 codice penale per l'ipotesi di atto interruttivo della prescrizione. Consegue che, ad esempio, per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in tema di IVA il termine di prescrizione risulterebbe essere piu' breve rispetto a quello previsto dall'art. 291-quater citato, che tutela solo gli interessi finanziari nazionali. In entrambe le ipotesi di contrasto sopra delineate la Corte di Giustizia impone al giudice nazionale di disapplicare la disciplina nazionale di cui agli articoli 160 e 161 codice penale, al fine di dare piena efficacia ed attuazione all'art. 325 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Occorre precisare - come evidenziato da Cass. pen. n. 2210/2016 - che la Corte di Giustizia non pretende tout court la disapplicazione dei termini previsti dall'art. 157, codice penale; a dovere essere disapplicata e' soltanto l'ultima proposizione dell'ultimo comma, successiva al punto e virgola, ove si dispone che «in nessun caso i termini stabiliti nell'art. 157 possano essere prolungati oltre il termine di cui all'art. 161, comma 2, fatta eccezione per i reati di cui all'art. 51 codice di procedura penale,, commi 3-bis e 3-quater». Pertanto, come chiarito dalla Suprema Corte, a seguito dell'atto interruttivo, il termine ordinario di prescrizione comincera' nuovamente a decorrere anche al di fuori dei procedimenti attribuiti alla competenza della procura distrettuale, senza che possano operare i limiti massimi stabiliti dall'art. 161 codice penale 4. Le conseguenze derivanti dalla sentenza Taricco sull'ordinamento interno sono decisive. In virtu' dell'adesione all'ordinamento comunitario e della conseguente limitazione della sovranita' ex art. 11 Cost., dal contrasto della normativa interna con il diritto dell'Unione - per come interpretato dalla Corte di Giustizia - deriva la diretta non applicabilita' da parte del giudice nazionale della norma interna anteriore o successiva con essa confliggente, in base al principio del primato del diritto comunitario (Corte Cost., sentenze 170 /1984, 284/2007, 125/2009, 227 e 228/2010, 75/2012). La stessa Corte di Giustizia nel caso Taricco e' chiara nell'affermare che «Qualora il giudice nazionale giungesse alla conclusione che le disposizioni nazionali di cui trattasi non soddisfano gli obblighi del diritto dell'Unione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all'IVA, detto giudice sarebbe tenuto a garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione disapplicando, all'occorrenza, tali disposizioni e neutralizzando quindi la conseguenza rilevata al punto 46 della presente sentenza, senza che debba chiedere o attendere la previa rimozione di dette disposizioni in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in tal senso, sentenze Berlusconi e a., C-387/02, C-391/02 e C-403/02, EU:C:2005:270, punto 72 e giurisprudenza ivi citata, nonche' Kücükdeveci, C-555/07, EU:C:2010:21, punto 51 e giurisprudenza ivi citata)» (paragrafo 49). Il principio del primato del diritto europeo sul diritto nazionale trova l'unico limite nella difesa dei «controlimiti» desumibili dai principi fondamentali del nostro, ordinamento costituzionale o dai diritti inalienabili della persona umana (cfr Corte Cost, sentenze 98 del 1965, 183 del 1973.; da ultimo anche sentenze 348 e 349 del 2007). L'obbligo del giudice nazionale di disapplicare la normativa nazionale interna in favore del diritto dell'Unione, infatti, incontra un ostacolo nell'ipotesi in cui il diritto eurounitario si ponga in contrasto con quei principi caratterizzanti il nostro sistema costituzionale che non possono essere modificati neppure attraverso il procedimento aggravato di revisione costituzionale, dovendo in tal caso il giudice, nell'impossibilita' di risolvere il contrasto in via interpretativa, sollevare questione di legittimita' costituzionale. A seguito dell'emanazione della sentenza, Taricco la Corte di cassazione ha aderito all'impostazione dei giudici europei, in un primo caso disapplicando la normativa nazionale in tema di prescrizione (Cass. pen., sez. III 17 settembre 2015, 20 gennaio 2016 n. 2210) e, in un altro caso, non ravvisando i presupposti di operativita' del potere di disapplicazione (Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2016 - 26 febbraio 2016 n. 7914). E' noto, tuttavia, che, a fronte dei citati precedenti di legittimita', la Corte di Appello di Milano abbia attivato i c.d. «controlimiti», sollevando, questione di legittimita' costituzionale per contrasto' con l'art. 25, comma 2 Cost. (ord. 18 settembre 2013) e che la stessa terza sezione penale della Suprema Corte, in data 30 marzo 2016, abbia sollevato questione di costituzionalita', per contrasto con gli articoli 3, 25, comma 2, 27 comma 3, 101, comma, 27 Cost. (e si e', in attesa del deposito della motivazione). 5. Ritiene il collegio che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, con cui viene data esecuzione al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte in cui impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325, paragrafi 1 e 2, Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dalla quale - secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, ultimo comma e 161, comma 2 codice penale, per contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento sanciti nell'art. 25, comma 2, in relazione agli articoli 24 e 111 della Costituzione. 6. La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante. 6.1 Nel presente processo viene contestata agli imputati una frode tributaria relativa, tra le altre, all'imposta sul valore aggiunto, realizzata mediante l'utilizzo e l'emissione di fatture per operazioni inesistenti. La prospettazione accusatoria prevede la sussistenza di una frode IVA posta in essere dagli imputati mediante la fraudolenta dichiarazione di elementi passivi fittizi utilizzando fatture per operazioni inesistenti nell'anno di imposta 2007 per la GI.DA S.r.l. (capo n. 1), nonche', per converso, l'emissione da parte di Pegaso S.r.l. e di Comin S.r.l. di fatture per operazioni inesistenti, al fine di consentire alla GI.DA S.r.l. di evadere le imposte (capo n. 2); inoltre, agli imputati Ferrara e Caruso viene contestata l'omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi 2007 di ricavi inferiori a quelli effettivi, con un IVA evasa per euro 281.195,20 (capo n. 3) e, infine, l'omessa presentazione di qualunque dichiarazione per gli anni 2008 e 2009 (capo n. 4). Osserva il giudice che, nel caso di specie, si sia in presenza di una frode IVA a cui risultino applicabili i principi delineati nella sentenza Taricco. Esclusa la violazione dell'art. 325, paragrafo 2 - la quale riguarda, come detto, l'ipotesi in cui sia contestata l'associazione finalizzata alla commissione di reati in tema di IVA - nel caso in esame ricorre la prima delle due situazioni di contrasto individuate dalla Corte di Giustizia, concernente le frodi «gravi» in materia di IVA. Fermo restando quanto a breve si dira' in ordine alla non manifesta infondatezza, si ritiene, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli imputati, che la frode in questione debba essere considerata grave, secondo i principi affermati dalla Corte di Giustizia. Ed invero, pur avendo la' Grande Camera demandato al giudice nazionale il compito di disapplicare la disciplina sulla interruzione della prescrizione nel caso in cui l'applicazione della stessa comporti «in un numero considerevole di casi, l'impunita' penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave», e' la medesima Corte che, nell'individuazione del quadro normativo, richiama l'art. 2, par. 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunita' europee (Convenzione PIF) attinente alle frodi gravi, secondo cui ogni Stato membro prende le misure necessarie affinche' le condotte di cui all'articolo 1 nonche' la complicita', l'istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all'articolo 1, paragrafo 1, siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frode grave, pene privative della liberta' che possono comportare l'estradizione, rimanendo inteso che deve essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non puo' essere superiore a [EUR] 50 000 (...). La disciplina convenzionale consente di ritenere grave una frode che superi l'importo di cinquantamila euro (stabilito quale tetto della soglia minima di gravita'). Essa, sebbene rivolta ai singoli Stati membri, e' richiamata nella sentenza Taricco nell'ambito del quadro normativo di riferimento e, su questa base normativa, la Corte sviluppa il proprio ragionamento argomentativo. In tal Modo, siffatto richiamo costituisce parametro per orientare il giudice nazionale nella individuazione della soglia di gravita'. Non pare, pertanto, a questo giudice che la gravita' della frode possa necessariamente coincidere con la contestazione del danno di rilevante gravita' - come affermato da Cass. pen. n. 7914/2016 nel caso sottoposto al suo esame - sia per quanto appena detto sia perche', gia' sul piano letterale, le circostanze che possono giustificare la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 7 codice penale presuppongono la «rilevante» gravita' del danno patrimoniale arrecato e, dunque, un quid pluris rispetto alla mera gravita' della frode. Sotto altro profilo non convince la tesi sostenuta con vigore dagli imputati secondo cui il parametro della gravita' della frode debba essere valutato sulla base dell'aliquota uniforme dell'imponibile IVA che ciascuno Stato membro e' tenuto a versare al bilancio dell'Unione europea a base alla decisione 2007/436/CE. E' pacifico infatti, sia nella giurisprudenza di legittimita' sia nella sentenza Taricco, che il requisito della gravita' della frode riguardi l'importo dell'IVA evasa nel territorio nazionale, costituendo la lesione degli interessi finanziari dell'Unione un effetto riflesso derivante dall'iscrizione a bilancio dell'Unione dell'imposta in esame: Del resto dalla Convenzione PIF sopra menzionata emerge che il requisito della gravita' della frode debba essere valutato alla stregua dell'imposta complessivamente evasa all'interno dello Stato membro (cfr: art. 2 convenzione), posto che sono gli Stati membri a dovere adottare tutte le misure necessarie a rendere effettive e dissuasive le sanzioni adottate contro le frodi verificatesi al loro interno. 6.2 Operate le superiori premesse, deve ritenersi che la frode asseritamente posta in essere dagli odierni imputati abbia i connotati della gravita', atteso che l'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto evasa e' sempre superiore al limite di 50.000 euro. In relazione alla violazione degli articoli 2 e 4, di cui ai capi numeri 1) e 2) di imputazione, infatti, l'ammontare dell'IVA asseritamente evasa risulta pari ad 80.000 euro (venti percento di 400.000 euro); in relazione al reato di cui all'art. 4 contestato a Caruso e Ferraro (capo n. 3), invece, l'imposta sul valore aggiunto evasa risulta pari ad euro 281.195,20, mentre, con riguardo al reato di cui all'art. 5 (capo n. 4), l'IVA evasa, al netto delle operazioni passive, risulta pari ad euro 597.161,29 per l'anno 2009 ed euro 88.333,16 per il 2010. Chiarita l'applicabilita' dei principi enunciati nella sentenza Taricco al caso in esame, la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale e' comprovata dalla circostanza per cui la disapplicazione della disciplina codicistica in tema di interruzione della prescrizione, per come imposto dai giudici europei, impedisce di dichiarare la prescrizione dei reati di cui ai capi numeri 1) e 3) di imputazione, per i quali, come detto, in base agli articoli 160, ultimo comma e 161, secondo comma codice penale, il 29 marzo 2016 sarebbe maturato il relativo termine. Facendo applicazione dell'art. 325, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per come interpretato dalla Corte di Giustizia nel caso Taricco, il termine di prescrizione non sarebbe ancora maturato limitatamente all'evasione dell'IVA, atteso che, disapplicando l'art. 160, ultimo comma codice penale nella parte in cui prevede che «in nessun caso i termini stabiliti nell'art. 157 possono essere prolungati oltre termine di cui all'art 161, comma 2, fatta eccezione per i reati di cui all'art. 51 codice di procedura penale, commi 3-bis e 3-quater», il termine ordinario di prescrizione previsto dall'art. 157 codice penale decorrerebbe nuovamente dall'ultimo atto interruttivo, coincidente con l'emissione del decreto che dispone il giudizio (30 maggio 2014), con la conseguenza che i reati di, cui ai numeri 1) e 3) del capo di imputazione, limitatamente alla violazione dell'IVA, si prescriverebbero decorsi sei anni dal 30 maggio 2014 e, quindi, il 30 maggio 2020. In sostanza, dall'applicazione o disapplicazione degli articoli 160, ultimo comma e 161, secondo comma codice penale discenderebbero due conseguenze differenti nel presente giudizio: disapplicando la normativa nazionale, le frodi IVA contestate agli imputati si prescriverebbero il 30 maggio 2020; applicando, invece, gli articoli 160 e 161 codice penale, l'appello del pubblico ministero dovrebbe essere rigettato, non sussistendo il fumus del reato contestato, nei confronti di Amara e Bona in relazione al reato di cui al capo n. 1) di imputazione, nonche' nei confronti di Ferraro in relazione al reato di cui al capo n. 3) di imputazione. In cio' si sostanzia il nesso, di stretta pregiudizialita' sussistente tra il presente giudizio e quello davanti alla Corte costituzionale che rende concreta ed attuale la rilevanza della questione. 7. La questione di legittimita' costituzionale non e' manifestamente infondata. Ritiene il collegio che l'applicazione dei principi richiamati nella sentenza Taricco si ponga in contrasto con il principio di legalita' in materia penale (art. 25, comma 2 Cost.), anche in relazione agli articoli 111 e 24 Cost., quale principi fondamentali dell'ordine costituzionale. 7.1 La violazione del principio di legalita' di cui all'art. 25, comma 2, Cost. investe in primo luogo l'effetto in malam partem derivante dalla disapplicazione della disciplina della, prescrizione. E' noto che la Corte di Giustizia, nell'enunciare il dovere di disapplicazione da parte del giudice nazionale, non abbia ravvisato alcun contrasto con l'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sancisce il principio di legalita' e proporzionalita' dei reati e delle pene, e con l'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle liberta' fondamentali. Secondo i giudici europei la disapplicazione avrebbe l'effetto di non abbreviare il termine di prescrizione generale nell'ambito di un procedimento penale pendente di consentire un effettivo perseguimento dei fatti incriminati ma non comporterebbe la violazione dell'art. 49, non derivando da essa una condanna degli imputati per un fatto che, nel momento in cui e' stato commesso, non costituiva reato. La Corte di cassazione, nella sentenza n. 2210/2016, condividendo l'impostazione della sentenza Taricco, ha escluso la violazione dei controlimiti, affermando che la disciplina degli articoli 160 e 161 codice penale non sia dotata di copertura costituzionale, tenuto conto, altresi della natura dichiarativa (e non costitutiva) delle sentenze della Corte di Giustizia; impostazione, questa pienamente condivisa dal pubblico ministero, che ha ampiamente motivato; in ordine alla insussistenza della violazione il principio di irretroattivita' della legge penale sfavorevole. Cio' detto ritiene questo collegio - condividendo argomentazioni indicate dalla Corte di appello di Milano nell'analoga ordinanza di rimessione - che non possa prescindersi dall'affermazione della natura sostanziale della disciplina prescrizione. La Corte costituzionale, discostandosi sul punto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (sentenza Coeme c., Belgio e Scoppola c. Italia) e dalla Corte di Giustizia (sentenza Niselli, C-457/02), ha da sempre affermato la natura sostanziale della disciplina della prescrizione e l'assoggettamento della stessa al principio del nullum crimen sine lege. Con la sentenza n. 394/2006, la Corte costituzionale ha affermato: secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, all'adozione di pronunce in malam partem osta non gia' una ragione meramente processuale - di irrilevanza, nel senso che l'eventuale decisione di accoglimento non potrebbe trovare comunque applicazione nel giudizio a quo - ma una ragione sostanziale, intimamente connessa al principio della riserva di legge sancita dall'art. 25, secondo comma Cost, in base al quale «nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso» (ex plurimis, tra le ultime, sentenze n 161 del 2004 e n. 49 del 2002, n. 508 del 2000; ordinanze n. 187 del 2005, n. 580 del 2000 e n. 392 del 1998; con particolare riguardo alla materia elettorale, ordinanza n. 132 del 1995): Rimettendo al legislatore - e segnatamente al «soggetto-Parlamento», in quanto rappresentativo dell'intera collettivita' nazionale (sentenza n. 487 del 1989) - la riserva sulla scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, detto principio impedisce alla Corte sia di creare nuove fattispecie criminose o di estendere quelle esistenti a casi non previsti; sia di incidere in peius sulla risposta, punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilita' (e cosi', ad esempio, sulla disciplina della prescrizione e dei relativi atti interruttivi o sospensivi: ex plurimis, ordinanze n. 317 del 2000 e n. 337 del 1999); principio ribadito con la sentenza n. 324/2008, secondo la quale: «E' pacifico, infatti, che la prescrizione, quale istituto di diritto sostanziale, e' soggetta alla disciplina di cui all'art. 2, quarto comma, codice penale che prevede la regola generale della retroattivita' della norma piu' favorevole, in quanto "il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilita' in se' e per se', nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva" (sentenza n. 393 del 2006)». La giurisprudenza costituzionale, pertanto, e' consolidata nel riconoscere che la prescrizione sia coperta dal principio di legalita', la quale incide non soltanto sulla fattispecie incriminatrice e sulla pena ma, altresi', sugli aspetti inerenti la punibilita'. Non sembra, contrariamente a quanto affermato da Cassazione n. 2210/2016, che assuma valenza decisiva la circostanza per cui la Corte costituzionale, con la sentenza n. 236/2011, abbia ritenuto irrilevante, la questione inerente la natura sostanziale o processuale della prescrizione, posto che, come da piu' parti evidenziato, l'ipotesi sottoposta all'attenzione della consulta riguardava il diverso principio di retroattivita' della disposizione penale piu' favorevole. La natura sostanziale della disciplina della prescrizione, estesa alle disposizioni contenute negli articoli 160 e 161 codice penale, implica l'assoggettamento dell'intera disciplina al principio di legalita' di cui all'art. 25, comma 2 Cost., secondo cui nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Non vi e' dubbio che il principio di legalita' sia uno dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, la cui violazione impone l'attivazione dei controlimiti la legalita' intesa in senso formale segna il passaggio dallo stato assoluto allo stato di diritto moderno e si sostanzia nella necessaria salvaguardia della liberta' del singolo individuo, certo di non potere essere punito per fatti che, sebbene antisociali o pericolosi, non integrino la fattispecie di reato al momento della loro commissione. Il favor libertatis connota il principio di legalita' a cui tutti gli ordinamenti penali moderni si inspirano. Il principio di legalita' risulta violato, altresi', in relazione agli articoli 24, e 111 della Costituzione. Invero, anche a volere prescindere dalla natura sostanziale della prescrizione, si osserva che il regime della prescrizione a cui risultino assoggettate le frodi gravi lesive degli interessi finanziari dell'Unione europea sia radicalmente mutato per effetto dell'interpretazione fornita dalla sentenza Taricco. E' certo, infatti, che l'obbligo di disapplicazione della disciplina sulla interruzione della prescrizione imposta dalla sentenza Taricco abbia modificato il termine di prescrizione dei reati finanziari lesivi degli interessi dell'Unione e che siffatta modifica sia conseguenza dell'interpretazione offerta dai giudici europei. Sotto il profilo intertemporale, pertanto, occorre chiedersi se la disapplicazione, della disciplina nazionale possa trovare applicazione in relazione ai processi in corso, nei quali il termine di prescrizione sia, maturato dopo l'emanazione della sentenza Taricco. E' noto che, al riguardo, la Suprema Corte abbia affrontato la questione della disapplicazione in relazione a quei fatti di reato per cui la prescrizione fosse gia' maturata, concludendo per la sussistenza di una sorta di diritto quesito dell'imputato all'estinzione del reato per il quale fosse gia' scaduto il termine di prescrizione «per effetto di una forma atipica di ius superveniens come quella introdotta dalla Corte lussemburghese. In tale senso appare ragionevole sostenere che la disapplicazione degli articoli 160 e 161 codice penale per assicurare la tenuta dei principi ispiratori del sistema penale nazionale (a cominciare dall'art. 25, comma 2 Cost.) e al tempo stesso il rispetto dell'ordinamento dell'Unione europea (art. 117; comma 1, Cost.), debba valutarsi rispetto ai fatti non ancora prescritti alla data della pubblicazione della sentenza Taricco (3 settembre 2015), tra i quali rientra il caso in esame» (Cass. pen. n. 7914/2016). Ritiene questo collegio che il principio summenzionato, enunciato dalla Corte di cassazione, debba estendersi anche a quei reati commessi anteriormente alla sentenza della Grande Camera rispetto ai quali la prescrizione sia successivamente maturata a processo in corso. Ed infatti, in disparte la questione concernente la natura dichiarativa (e non costitutiva) delle sentenze della Corte di Giustizia, le quali si limitano ad interpretare una norma comunitaria gia' esistente nell'ordinamento, e' indubbio che l'obbligo di disapplicazione della disciplina sulla interruzione della prescrizione sia conseguenza di un interpretazione sopravvenuta e «dirompente» dell'art. 325 TFUE operata dalla Corte di Giustizia, innovativa rispetto al quadro giurisprudenziale pacifico precedente, secondo il quale, in siffatta materia, la prescrizione andava calcolata secondo la disciplina generale di cui agli articoli 160 e 161 codice penale. L'effetto della pronuncia della Corte, pertanto, non puo' che incidere negativamente sulle prerogative dell'imputato, costituzionalmente tutelate, ad un processo «giusto» in quanto regolato dalla legge (art. 111 Cost.) ed all'esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.). La sopravvenuta modifica del regime prescrizionale conseguente alla sentenza Taricco, pertanto, irrompendo nei giudizi in corso altera il corso della prescrizione ed incide sulla stessa punibilita' dei reati con effetto retroattivo, vulnerando la legittima aspettativa dell'imputato, che non intenda rinunciare alla prescrizione, ad ottenere una pronuncia di proscioglimento sulla base della legge regolativa del fatto. Per quanto sopra, l'obbligo discendente dall'art. 325 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per come interpretato dalla sentenza Taricco, di disapplicare la normativa nazionale in tema di interruzione della prescrizione, in ipotesi di frodi gravi lesive degli interessi finanziati dell'Unione europea, si pone in contrasto con il principio di legalita' in se' ed in relazione agli articoli 111 e 24 Cost., dal momento che, alla disapplicazione imposta dalla Corte di Giustizia, conseguirebbe l'effetto in malam partem del prolungamento dei termini di prescrizione del reato a processo in corso. Per quanto sopra, si chiede che la Corte costituzionale valuti l'opponibilita' dei controlimiti all'applicazione dell'att. 325 TFUE, per comme interpretato dalla Corte di Giustizia. 7.2 La disapplicazione della disciplina nazionale in tema di interruzione della prescrizione, ad avviso di questo Tribunale, si pone in contrasto anche con il principio di tassativita' o determinatezza della fattispecie incriminatrice, quale corollario del principio di legalita'. La Corte di Giustizia ha affidato al giudice nazionale il compito di disapplicare la disciplina sulla interruzione della prescrizione nel caso in cui l'applicazione della stessa comporti «in un numero considerevole di casi, l'impunita' penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave». La violazione del principio di tassativita' non attiene tanto al requisito della gravita' della frode, quanto piuttosto all'accertamento, demandato al giudice nazionale, che l'applicazione degli articoli 160 e 161 codice penale comporti l'impunita' penale in un numero considerevole di casi. Con riguardo al parametro della gravita', infatti, va rilevato che si tratta un elemento elastico della fattispecie penale che consente al giudice un margine di apprezzamento rispondente comunque al canone della tassativita'. Del resto, si e' gia' detto che, in qualche misura, la Corte di Giustizia, nel richiamare la Convezione PIF, fornisca un parametro quantitativo di riferimento rappresentato dal superamento della soglia di 50.000 euro. In siffatto contesto sembra potersi escludere la violazione del principio di tassativita' nell'affermazione della gravita' della frode, quale requisito necessario per la disapplicazione della disciplina nazionale in tema di interruzione della prescrizione. Maggiori perplessita', sul piano costituzionale, desta invece il richiamo alla locuzione in un numero considerevole di casi. Dalla lettura della sentenza Taricco emerge che il giudice nazionale e chiamato ad operare una doppia valutazione: accertato che la frode abbia superato la soglia della gravita', e' necessario che egli pervenga alla conclusione che l'applicazione delle disposizioni nazionali in tema di interruzione della prescrizione comporti l'impunita' penale in un numero considerevole di casi (cfr. paragrafo 47 della sentenza). La locuzione in esame, pertanto, lungi dal costituire una mera formula di stile ovvero un elemento estraneo all'area della offensivita' del fatto, rappresenta essa stessa il fondamento dell'accertamento che il giudice nazionale e' chiamato ad operare, ben potendosi presentare l'ipotesi in cui questi, pur constatando la gravita della frode, concluda nel senso che non sussista un pericolo di impunita' perche' trattasi di casi che possono considerarsi isolati. Il riferimento alla frequenza dei casi in cui l'applicazione della disciplina nazionale della prescrizione incida sulla effettivita' e dissuasivita' della risposta sanzionatoria costituisce, tuttavia, un elemento incerto ed indeterminato, nella misura in cui si demanda al giudice nazionale il compito di operare valutazioni di tipo «statistico» estranee al processo e che prendono spunto da una personale verifica relativa ad analoghe fattispecie di reato sottoposte alla sua cognizione. Al giudice, in sostanza, non viene chiesto di applicare la legge e di interpretare il diritto ma di valutare la congruita' e la funzionalita' sistemica della disciplina in relazione all'effettivita' e dissuasivita' della risposta sanzionatoria: valutazioni, pertanto, di politica sanzionatoria che spettano al legislatore, secondo l'attuale assetto costituzionale fondato sul principio della separazione dei poteri. Appare evidente che un simile accertamento, collida con il nostro sistema costituzionale di soggezione del giudice alla legge e di stretta legalita' del reato e della pena e, soprattutto, con il principio di tassativita' della fattispecie penale, che impone, sotto il profilo della tecnica di redazione della fattispecie incriminatrice, che la stessa presenti un adeguato tasso di determinatezza a garanzia della liberta' del cittadino. Il ricorso «statistico» richiesto dai giudici eurounitari, nei termini sopra richiamati, viola il principio di conoscibilita' e prevedibilita' delle sanzioni penali, introducendo incertezza nell'imputato, il quale non conosce se il reato da lui commesso sia assoggettato ad un regime di prescrizione piuttosto che ad un altro. Alla luce delle superiori considerazioni, l'obbligo di disapplicazione degli articoli 169 e 161 codece penale, ad avviso di questo collegio, si pone in conflitto con il principio di tassativita'; principio che, trovando fondamento nell'ordinamento nell'art. 25, comma 2 Cost., assurge a principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale, la cui violazione impone a questo giudice di sollevare questione di legittimita' costituzionale per la necessaria difesa dei controlimiti alla limitazione di sovranita' derivante dall'adesione dell'Italia all'ordinamento dell'Unione europea, ai sensi dell'art. 11 Cost. 8. Le superiori considerazioni hanno trovato conferma nell'ordinanza n. 24/2017, con cui la Corte costituzionale ha disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, al fine di chiarire l'esatta portata dei principi affermati dalla Corte con la sentenza «Taricco». Nel corpo della motivazione la Corte ha ribadito che il principio di legalita' in materia penale, sancito dall'art. 25, comma 2, Cost., esprime un principio supremo dell'ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell'individuo; per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva. Conseguentemente ha affermato che laddove l'applicazione dell'art. 325 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dovesse comportare l'ingresso nell'ordinamento giuridico di una regola contraria al principio di legalita' in materia penale si imporrebbe la declaratoria di illegittimita' costituzionale della legge nazionale che ha autorizzato la ratifica e reso esecutivi i trattati, per la sola parte in cui essa consente che la violazione si realizzi. Nel corpo della motivazione la Corte ha ribadito che nell'ordinamento giuridico nazionale il regime legale della prescrizione e' soggetto al principio di legalita' in materia penale, sancito dall'art. 25, comma 2, Cost. (cfr. Corte Cost. n. 143/2014) ed e' percio' necessario che esso sia analiticamente descritto, al pari del reato e della pena, da una norma che vige al tempo di commissione del fatto; alla luce di tale inquadramento dogmatico (che impone l'applicazione dell'art. 7 CEDU), ha ritenuto che la persona non potesse ragionevolmente pensare, prima della sentenza resa in causa Taricco, che l'art. 325 del TFUE prescrivesse al giudice di non applicare gli articoli 160, ultimo comma, e 161, secondo comma codice penale ove ne fosse derivata l'impunita' di gravi frodi fiscali in danno dell'Unione in un numero considerevole di casi, ovvero la violazione del principio di assimilazione. La Corte ha inoltre chiarito come al giudice non possano spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale: in particolare, il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell'applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate; in caso contrario, il contenuto di queste regole sarebbe deciso dal Tribunale caso per caso, cosa vietata dal principio di separazione dei poteri di cui l'art. 25, secondo comma, Cost. declina una versione particolarmente rigida in materia penale. Pertanto, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza, va sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 con cui viene data esecuzione al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte in cui impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325, paragrafi 1 e 2, Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dalla quale - secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, ultimo comma e 161, comma 2 codice penale, per contrasto con il principio fondamentale dell'ordinamento sancito) nell'art. 25, comma 2, della Costituzione, anche in relazione agli articoli 24 e 111 Cost. In considerazione delle esigenze di celerita' sottese al presente procedimento cautelare, il collegio ha disposto la separazione degli atti relativamente all'impugnazione del provvedimento di revoca del sequestro emesso in data 8 marzo 2012 nei confronti di Ferraro Alessandro, in relazione al capo d'imputazione n. 4, per il quale non e' ancora decorso il termine di prescrizione.
P. Q. M. Il Tribunale di Siracusa, Sezione penale, in sede di appello ex art 322-bis del codice di procedura penale; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, con cui viene data esecuzione al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte in cui impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325, paragrafi 1 e 2, Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dalla quale - secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, ultimo comma e 161, comma 2 del codice penale, per contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento sanciti negli articoli 25, comma 2, della Costituzione, anche in relazione agli articoli 24 e 111 della Costituzione; Dispone, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Dispone che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Siracusa, 2 febbraio 2017 Il Presidente: Storaci Il Giudice rel./est.: Condorelli