N. 51 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 1996

                                 N. 51
  Ordinanza emessa il 16 dicembre 1996 dal  pretore  di  Cagliari  nel
 procedimento penale a carico di Todde Pietro
 Pena  - Resistenza a pubblico ufficiale - Trattamento sanzionatorio -
    Previsione di una pena minima edittale di mesi sei di reclusione -
    Lamentata eccessiva afflittivita' - Ingiustificata  disparita'  di
    trattamento  rispetto  ad ipotesi analoghe - Lesione del principio
    della finalita' rieducativa della pena - Violazione del  principio
    di   buon   andamento   dell'amministrazione   della  giustizia  -
    Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 341/1994.
 (C.P., art. 337).
 (Cost., artt. 3, 27, terzo comma, e 97, primo comma).
(GU n.8 del 19-2-1997 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente  ordinanza  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Todde  Pietro,  imputato  del  delitto  previsto e punito
 dall'art.  337 del  codice penale.
   Premesso che il Todde e' stato citato dall'accusa  al  giudizio  di
 questo  pretore  "per  avere  usato  violenza,  consistita nell'avere
 ripetutamente spintonato l'appuntato Santolini Fernando",  e  che  in
 esito all'istruttoria dibattimentale (parzialmente) assunta, e' stato
 acquisito   quantomeno   un   principio   di  prova  in  ordine  alla
 realizzazione della condotta in riferimento alla quale il    pubblico
 ministero   ha   configurato   la  richiamata  imputazione  a  carico
 dell'imputato, cosicche' l'esame della  questione  di  compatibilita'
 costituzionale  prospettata  dalla  difesa  appare  rilevante ai fini
 della  decisione  in  quanto  attiene  alla  misura  del  trattamento
 sanzionatorio  irrogabile  per  effetto  della  norma  incriminatrice
 contestata al Todde dal p.m.
   Considera peraltro  di  dover  preliminarmente  evidenziare  questo
 giudice  la  peculiarita'  della fattispecie in esame, nella quale il
 delitto di resistenza  a  pubblico  ufficiale  e'  stato  individuato
 dall'accusa  in  una  condotta  di  gravita'  (certamente)  attenuata
 rispetto alle altre  in  cui  generalmente  si  manifesta  l'elemento
 materiale di tale reato, nella dupilce estrinsecazione dell'esercizio
 di una "violenza" o di una "minaccia" nei riguardi del medesimo p.u.
   Con  riferimento alle fattispecie "minimali" o comunque, per quelle
 nelle quali la lesione del bene protetto dalla  norma  incriminatrice
 de  qua  (che la giurisprudenza e la dottrina prevalenti identificano
 nell'interesse ad assicurare il normale  svolgimento  della  funzione
 amministrativa  nelle  sue varie forme ed esplicazioni da parte delle
 persone fisiche che vi sono preposte, estendendosi detta tutela anche
 ai soggetti cui debba  riconoscersi  la  qualifica  d'"incaricato  di
 pubblico   servizio"  ed  anche  ai  privati  richiesti  di  prestare
 assistenza ai predetti p.u. e incaricati,  nonche'  a  garantire  "il
 prestigio  della  pubbilca  amministrazione  in  senso  lato")  venga
 realizzata attraverso modalita' di condotta che non  manifestino  una
 significativa  "capacita'  a  delinquere" dell'autore, ritiene questo
 pretore  possa  configurarsi  anche  per  la  previsione  del  minimo
 edittale  della  pena  contenuta  nell'art. 337 c.p. (essendo fissato
 tale minimo in mesi sei  di  reclusione)  l'illegittimita'  sotto  il
 profilo  costituzionale  che  il  giudice  delle leggi ha statuito in
 riferimento alla previsione dell'analogo minimo edittale fissato  per
 il  delitto  di  oltraggio  a  pubblico  ufficiale dall'art. 341 c.p.
 (Corte costituzionale, sent. 25 luglio 1994 n.  341).
   Se  si  considera  infatti  che   la   "capacita'   a   delinquere"
 (espressamente  richiamata  dal  capoverso  dell'articolo  133  c.p.)
 concorre con l'altro parametro di  valutazione  della  "gravita'  del
 reato"  (desumibile, in particolare, dai "mezzi", ed in generale, "da
 ogni  altra  modalita'  dell'azione",  oltre  che "dalla gravita' del
 danno o del pericolo cagionato":    art.  133,  comma  primo),  quale
 limite   -   normativamente   fissato   -  all'esercizio  del  potere
 discrezionale attribuito al giudice  penale  nell'individuazione  del
 trattamento   sanzionatorio  irrogabile  all'imputato  nella  singola
 fattispecie concreta sottoposta all'esame dello  stesso  giudice,  la
 previsione di una pena edittale, nella fattispecie quella fissata nel
 minimo   in   mesi   sei   di   reclusione,   poiche'   condiziona  -
 ingiustificatamente, per le considerazioni che seguono -  l'esercizio
 del   richiamato   potere   discrezionale,   si   traduce   in  fatto
 nell'irrogazione di trattamenti  sanzionatori  i  quali,  per  essere
 sproporzionati   (in   eccesso)  alla  concreta  gravita'  del  fatto
 concretamente   realizzato,   certamente   snaturano   la   finalita'
 rieducativa  cui  e'  espressamente preordinata la sanzione penale, e
 specificamente quella  detentiva,  secondo  la  legge  costituzionale
 (art. 27, comma terzo, Costituzione).
   La  ritenuta  ingiustificatezza,  appare con piena evidenza - anche
 per la norma incriminatrice dell'art. 337 c.p. (come per  il  delitto
 p.  e  p. dall'art. 341  c.p.) - in relazione al trattamento punitivo
 riservato all'autore della  condotta  punita  nelle  (corrispondenti)
 fattispecie   "non   qualificate"     dalla  posizione  (di  pubblico
 ufficiale, o di incaricato di  un  pubblico  servizio)  del  soggetto
 passivo dell'attivita' materiale incriminata: il delitto di minaccia,
 che  nella fattispecie aggravata - per il contenuto o le modalita' di
 realizzazione della condotta incriminata (ovvero,  per  essere  stata
 attuata  tale  condotta  in  presenza  di  qualcuna  delle condizioni
 previste dall'art. 339  c.p.)    e'  sanzionata  con  la  pena  della
 reclusione  (dalla misura minima di giorni quindici, fissata dal'art.
 23 stesso codice) "fino a un anno" (art. 612 cpv. c.p.);
     l'altro di violenza privata, per il quale parimenti -  sia  nella
 fattispecie  comune,  che  nell'altra  aggravata (qualora la condotta
 delittuosa venga ancora attuata in presenza delle condizioni previste
 dallo stesso art. 339 c.p.) - la pena nella misura minima  deve  pure
 determinarsi  nel  limite  fissato  di giorni quindici dal richiamato
 art. 23 stesso codice, essendo stabilita per l'ipotesi non  aggravata
 la  sola  misura  massima  della medesima pena ("la reclusione fino a
 quattro anni": art. 610, comma primo, c.p.), con la previsione di  un
 mero  aumento  della  pena  edittale  -  quella  minima,  individuata
 attraverso  l'implicito  riferimento  al  limite  minimo  della  pena
 detentiva  per  i  delitti  fissata  dall'art. 23, e la massima sopra
 indicata - per la fattispecie  aggravata  (aumento  che  deve  essere
 dunque  determinato  nella  misura  massima  di un terzo sui predetti
 limiti della pena edittale, agli effetti dell'art. 64 c.p., cosicche'
 la pena minima irrogabile nell'ipotesi aggravata del delitto  de  quo
 si determina in giorni venti di reclusione: art. 610 cpv.);
     l'altro  delitto  di  percosse  - fattispecie, quest'ultima, alla
 quale  si  ritiene  possa  essere  assimilata  l'ipotesi   delittuosa
 contestata  all'imputato nel presente procedimento, in relazione alla
 condotta reallzzata mediante lo "spintonamento" attuato nei confronti
 dell'appuntato Santolini - per il quale e' pure fissata la pena nella
 sola misura massima ("la reclusione fino a sei mesi",  in alternativa
 con la pena pecuniaria della multa "fino a lire  seicentomila":  art.
 581,  comma  primo,  c.p.), cosicche' la misura minima edittale della
 medesima  pena  deve  essere  ancora  individuata in quella di giorni
 quindici di reclusione ai sensi del richiamato art. 23 stesso Codice:
 escludendosi   peraltro   espressamente    che    tale    fattispecie
 incriminatrice  concorra  con le altre nelle quali l'esercizio di una
 violenza  sia  considerato  dalla   legge   penale   "come   elemento
 costitutivo  o  come  circostanza aggravante di un altro reato" (cio'
 che si verifica, tipicamente, nel delitto p. e p. dall'art. 337  c.p.
 in  riferimento  al  quale  questo  pretore ritiene di dover proporre
 eccezione di illegittimita' costituzionale in ordine  al  trattamento
 sanzionatorio ivi previsto: art 581 cpv.);
     il  delitto  di  lesioni  personali  (volontarie) - che viceversa
 certamente concorre con l'altro p. e p. dall'art. 337  c.p.,  qualora
 la violenza concretamente esercitata dall'autore del reato abbia leso
 inoltre l'integrita' fisica del pubblico ufficiale (o dell'incaricato
 di  un  pubblico  servizio)  -  per  il  quale  i  limiti edittali si
 estendono "da tre mesi a tre anni" della pena  detentiva  (art.  582,
 comma primo, c.p.);
     ed ancora, per lo stesso delitto di oltraggio aggravato (dall'uso
 di  violenza  o  minaccia  nei  riguardi  del  pubblico  ufficiale  o
 dell'incaricato di un pubblico servizio: art. 341  pp.  ultimo  comma
 c.p.),  per  il  quale  la  pena  minima  edittale  - in virtu' della
 richiamata sentenza 25 luglio 1994 n. 341 del giudice delle  leggi  -
 deve  intendersi  fissata  in  quella  di  giorni venti di reclusione
 (determinata applicando l'aumento nella misura di un terzo  ai  sensi
 dell'art.  64  c.p.,  sul  minimo  edittale di giorni quindici per il
 delitto  di  oltraggio):   cosicche',   maggiormente   si   manifesta
 irragionevole   la   diversita'  del  trattamento  sanzionatorio  che
 consegue all'attuale previsione normativa per  il  delitto  p.  e  p.
 dall'art.  337    -  considerata  la  manifesta "sproporzione" fra il
 (nuovo) limite  minimo  edittale  del  delitto  di  oltraggio  (venti
 giorni, per la fattispecie aggravata dall'uso di violenza o minaccia)
 ed  il  limite  di  sei mesi di reclusione previsto per il delitto di
 resistenza,   considerata   inoltre   la   (sostanziale)    identita'
 dell'elemento   materiale   delle   due  fattispecie  (cosicche',  in
 concreto, la configurazione  dell'una  o  dell'altra  ai  fini  della
 contestazione  nei  riguardi  dell'autore  finisce per essere rimessa
 alla  personale  valutazione  dell'organo  requirente   all'atto   di
 formulare  l'imputazione,  piuttosto  che per un'effettiva diversita'
 della condotta).
   La  circostanza,  dunque,  che  tutte  le  richiamate   fattispecie
 incriminatrici  -  le  quali  potrebbero (astrattamente) configurarsi
 nella  condotta  realizzata  dal  soggetto  attivo  del  delitto   di
 resistenza  a  pubblico  ufficiale, qualora siano attuate in danno di
 soggetti che non rivestano tale qualifica - prevedano un limite della
 pena edittale  (nella  misura  minima)  ampiamente  inferiore  (anche
 nell'ipotesi   p.   e   p.   dal   richiamato   art.  582  c.p.,  che
 peraltrodovrebbe essere contestata quale  reato  concorrente  con  il
 delitto  de  quo come si e' rilevato) a quella individuata nell'altra
 p. e p. dall'art. 337 c.p., induce l'interprete  a  ritenere  che  la
 diversita'  del  trattamento  sanzionatorio nella misura minima della
 pena edittale - sensibilmente ridotto nelle  ipotesi  di  reato  "non
 qualificate"  - sia stata determinata (non dalla considerazione della
 obiettiva gravita' della condotta incriminata, ma piuttosto)  proprio
 dalla  qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubbilco
 servizio  rivestita  dal  soggetto  passivo  della medesima condotta:
 risentendo   dunque   anche   tale    previsione    dell'orientamento
 (storicamente ispirato alla chiara finalita' di realizzare una tutela
 penale  differenziata in favore dei rappresentanti dello Stato, quale
 espressione della concezione  "autoritaria"  dei  rapporti  fra  tali
 rappresentanti  ed  i  cittadini)  cui  e'  innegabilmente improntata
 l'intera  disciplina  sanzionatoria  contenuta  nel  "Capo  II"  (che
 individua  appunto  le  figure  "dei  delitti  dei  privati contro la
 pubblica amministrazione") del "Titolo II" del Libro  II  del  codice
 penale,  cosicche'  appare  anch'essa emanazione "...della concezione
 autoritaria e sacrale dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini
 tipica di quell'epoca storica e discendente dalla matrice  ideologica
 allora   dominante,   concezione   che  e'  estranea  alla  coscienza
 democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana, per la  quale
 il  rapporto  tra  amministrazione  e  societa' non e' un rapporto di
 imperio, ma un rapporto strumentale  alla  cura  degli  interessi  di
 quest'ultima",  osservando in ogni caso il remittente che comunque la
 tutela di tali interessi non puo' essere  perseguito  attraverso  una
 "sproporzionata"  (e  dunque,  irragionevole)  limitazione  di  altri
 interessi "costituzionalmente protetti".
   Infatti, anche per la previsione del minimo edittale  nella  misura
 di mesi sei per il delitto p. e p. dall'art. 337 c.p. si configura la
 violazione  del  principio  di  eguaglianza  (sotto  il profilo della
 sproporzione rilevabile nel trattamento sanzionatorio fissato per  la
 fattispecie  incriminatrice  de  qua  e  le  altre  "comuni", che non
 rinviene un'adeguata ragione differenziatrice nella diversita'  degli
 interessi tutelati: art. 3 della Carta costituzionale);
     dell'altro  principio  che assegna una finalita' rieducativa alla
 sanzione penale, ed in particolare alla pena detentiva (che  verrebbe
 compromesso,  nell'ipotesi  in cui la condotta realizzata dall'autore
 del delitto  di  resistenza  sia  caratterizzata  da  un'offensivita'
 minimale:  art. 27, comma terzo, Cost.);
     e dello stesso interesse al migliore funzionamento della funzione
 giudiziaria  (quale  esplicazione  di  attivita' amministrativa: art.
 97, comma primo, Cost.), in quanto l'entita' della pena minima  nella
 predetta  misura,  ostacola  la  definizione  del procedimento penale
 nella fase  pre-battimentale  (se  si  considera  che  l'applicazione
 dell'attuale   minimo   edittale,   attestando  la  pena  normalmente
 irrogabile per il delitto de quo in misura comunque superiore ai mesi
 tre di reclusione fissati dall'art. 5 d.-l. 14  giugno  1993  n.  187
 quale  limite  massimo  entro  il quale la pena detentiva puo' essere
 sostituita  con   la   corrispondente   pena   pecuniaria,   preclude
 all'imputato  di  concordare  col  p.m. la definizione anticipata del
 giudizio ai sensi dell'art. 444 c.p.p.  mediante l'applicazione della
 pena  sostitutiva  in  luogo  dell'altra  detentiva,   agli   effetti
 dell'art.  53 legge 24 novembre 1981 n. 689), determinando quindi per
 lo Stato-organizzazione un onere economico anch'esso "sproporzionato"
 - nelle fattispecie  minimali  -  rispetto  all'interesse  perseguito
 dalla previsione incriminatrice.
   Maggiormente,  poi, si appalesa la lesione dei richiamati interessi
 di rilevanza  costituzionale,  se  si  considera  che  l'orientamento
 giurisprudenziale  consolidato formatosi in riferimento al delitto di
 resistenza configura la sussistenza del delitto anche  nelle  ipotesi
 in  cui la condotta del soggetto attivi si realizzi con modalita' che
 rivelano una minima offensivita' (cfr.  Cass. Penale, II  sez., sent.
 20  ottobre  1971,  imp.  Valenti  e  altro,  in  "Cassazione  Penale
 Massimario", 1972, p.  226, sez. III, sent.  19  ottobre  1970,  imp.
 Vitali, ivi, 1971, m.  2463 p. 1652, e stessa sez., sent. 20 novembre
 1969,  imp.  Sanna, ibidem 1971, m. 2464, p. 1652 nelle quali la S.C.
 ha configurato la sussistenza della fattispecie incriminatrice  p.  e
 p.  dall'art.   337 c.p. nel "tentativo di divincolarsi" per sfuggire
 al fermo da parte della polizia giudiziaria; Cass.  penale,  sez.  I,
 sent.  19 gennaio 1970, imp. Ruoppolo, ivi, 1971, m. 1086; p. 787; in
 cui e' stato configurato il delitto proprio  nella  condotta  attuata
 con  "uno  spintone"  ad  un  agente in divisa, e le successive Cass.
 penale, sez VI, sent.   18 aprile 1980 n. 4929,  imp.  Cane,  che  ha
 esteso  la  configurabilita' della fattispecie sotto il profilo della
 c.d. "resistenza attiva" allo "sbracciarsi", Cass.  penale,  sez.  V,
 sent.  22  gennaio  1985 n.   715, imp. Lazzaroni, e la recente Cass.
 penale, sez. VI, sent. 8 febbraio 1994 n. 1464,   Granata,  le  quali
 hanno  ribadito la sussistenza del delitto de quo nell'ipotesi in cui
 l'agente di polizia venga spintonato, individuando in particolare  la
 S.C.  nell'ultima  pronuncia  citata  il requisito della violenza che
 integra l'elemento materiale della stessa fattispecie,  in  qualunque
 energia  fisica  esercitata  volutamente  per  impedire il compimento
 dell'atto da parte del pubblico ufficiale;  Cass.  penale,  sez.  VI,
 sent.  29  gennaio 1971, imp. Mannetti e altro, ivi, 1972, m. 202, p.
 226, che ha configurato il delitto di resistenza a p.u.  nell'ipotesi
 in  cui  l'energia fisica diretta ad impedire il compimento dell'atto
 da parte del p.u. venga esplicata non sulla persona di  quest'ultimo,
 bensi'  sulla  cosa  che  il  medesimo  p.u.   intendeva sottoporre a
 sequestro ed il soggetto attivo del reato intendeva invece  sottrarre
 al  sequestro;  Cass.  penale,  sez.   I, sent. 12 gennaio 1971, imp.
 Mancone,  ibidem,  m.  1211,  p.  897,  che  l'ha  configurato  anche
 nell'potesi  in  cui  la  violenza sia stata usata nei riguardi di un
 soggetto privato nell'atto in cui questi  procedeva  all'arresto  del
 soggetto   attivo   colto   in  flagranza  di  un  reato  procedibile
 d'ufficio).
    Pertanto, se la questione di costituzionalita'  sollevata  con  la
 presente   ordinanza  venisse  ritenuta  fondata,  l'a.g.  remittente
 potrebbe irrogare al Todde una  pena  latamente  inferiore  a  quella
 minima  edittale  fissata dall'art. 337 c.p. (sei mesi di reclusione,
 riducibile  a  quattro  mesi  col  riconoscimento  delle   attenuanti
 previste  dall'art.    62-bis c.p.), adeguando corrispondentemente la
 pena infliggenda al limitato disvalore del  fatto  per  il  quale  e'
 stata  esercitata l'azione penale, cosicche' si appalesa la rilevanza
 della medesima questione per la definizione del giudizio.
   Osserva  infine  il  rimettente  che  anche  per   la   fattispecie
 incriminatrice   denunciata   di   incostituzionalita'  nel  presente
 giudizio,  l'abolizione  del  richiamato  limite  minimo  della  pena
 edittale   eviterebbe   in   ogni   caso  -  attraverso  l'automatica
 applicazione anche al delitto di resistenza a p.u. (come e' stato per
 l'altro di  oltraggio,  in  conseguenza  della  citata  pronuncia  di
 incostituzionalita')  del  limite minimo previsto in via generale dal
 comma primo dell'art. 23 c.p. - lo sconfinamento  del  giudice  delle
 leggi nell'ambito della funzione legislativa.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante
 e  non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 27, comma
 terzo, e  97,  comma  primo,  della  Costituzione,  la  questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  337 del c.p. nella parte in cui prevede
 una pena edittale minima di mesi sei di reclusione;
   Sospende il giudizio penale in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti  della  Corte  costituzionale  in
 Roma;
   Ordina  che  la  presente  ordinanza venga notificata, a cura della
 Cancelleria,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri   e   sia
 comunicata  ai  Presidenti  delle  due Camere del Parlamento, e venga
 inoltre notificata - agli effetti del comma  quarto  della  legge  11
 marzo  1953  n.  87  -  all'imputato, al suo difensore ed al pubblico
 ministero.
     Cagliari, addi' 16 settembre 1996
                    Il pretore applicato: De Nicola
 97C0106