N. 119 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile 2019
Ordinanza del 2 aprile 2019 del G.I.P. del Tribunale di Napoli sull'istanza proposta da P.V.. Ordinamento penitenziario - Modifiche all'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 - Inserimento di determinati reati contro la pubblica amministrazione tra i reati ostativi alla concessione di alcuni benefici penitenziari - Mancata previsione di un regime transitorio. - Legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), art. 6, comma 1, lettera b) [recte: art. 1, comma 6, lettera b)], modificativo dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta').(GU n.36 del 4-9-2019 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI NAPOLI sezione del giudice per le indagini preliminari Questione di legittimita' costituzionale (art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87). Il giudice dell'esecuzione, dott. Saverio Vertuccio, letti gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato, nei confronti di: P.V., nato a ... il ..., difeso di fiducia dall'avv. Carmine Ippolito del Foro di Napoli, con studio ivi alla via A. Poerio n. 32; attualmente detenuto presso la Casa circondariale di Napoli-Poggioreale, in esecuzione della sentenza del giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, emessa in data 15 ottobre 2010, confermata dalla sentenza n. 407/2015 emessa in data 20 gennaio 2015 dalla Corte d'appello di Napoli, sezione II, divenuta irrevocabile in data 1° giugno 2018 a seguito della decisione n. Reg. Gen. 23835/2017 della Corte di cassazione con cui e' stato dichiarato inammissibile il ricorso; Osserva Con istanza presentata ai sensi dell'art. 666 del codice di procedura penale, depositata in data 11 marzo 2019, il difensore del condannato P.V., come sopra generalizzato, chiedeva a questo giudice, in qualita' di giudice competente per l'esecuzione, l'invalidazione dell'ordine di esecuzione per la carcerazione recante il n. 2953/2018 SIEP (art. 670 del codice di procedura penale) emesso in data 11 febbraio 2019 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti del proprio assistito. E' opportuno rappresentare che P.V. e' stato riconosciuto colpevole dei reati p. e p. ex articoli 110, 81, comma 2, 112 n. 1, 319, 320, 321 del codice penale, commessi in Napoli, dal novembre 2007 al febbraio 2008, e condannato ad anni uno di reclusione. Preliminarmente, deve essere affermata la competenza di questo giudice ex art. 665, comma 2°, del codice di procedura penale, perche' il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo e' la sentenza n. 24455/2010 Reg. Sent., resa da questo ufficio in data 15 ottobre 2010, confermata dalla sentenza n. 407/2015 della Corte d'appello di Napoli in data 20 gennaio 2015, divenuta irrevocabile in data 1° giugno 2018. Lo scrivente, pertanto, fissava l'udienza camerale per il 1° aprile 2019. Nel corso dell'udienza, l'avv. Carmine Ippolito, unico presente, reiterava l'istanza, riportandosi integralmente ai motivi gia' esposti per iscritto, ribandendo in particolare la manifesta fondatezza dei motivi di illegittimita' costituzionale ivi rappresentati, anche alla luce della sentenza della Cassazione, sezione penale sesta, n. 12541/2019. Per quanto riguarda il merito della questione, il condannato muove doglianza nei confronti dell'ordine di carcerazione, sul presupposto che erroneamente lo stesso non sia stato sospeso ai sensi dell'art. 656 del codice di procedura penale, invocando una illegittima applicazione retroattiva della legge n. 3/2019 in violazione dell'art. 2 del codice penale. All'uopo, giova evidenziare che detta riforma, tra le varie novita' introdotte, ha ampliato il novero delle fattispecie criminose rientranti nella clausola di cui all'art. 4-bis della legge n. 354/1975, ostativa alla concessione dei benefici indicati dal comma 1 della norma, attraendo nel suo campo di applicazione numerosi reati contro la pubblica amministrazione, tra cui quelli in ordine ai quali P.V. e' stato riconosciuto colpevole. Orbene, tenuto conto del fatto che la legge n. 3/2019 e' entrata in vigore il 31 gennaio 2019, mentre l'ordine di carcerazione e' stato emesso nei confronti del condannato in data 11 febbraio 2019, nella fattispecie si pone un problema di successione nel tempo di leggi, imponendosi un accertamento relativo natura delle norme sulle quali ha inciso la riforma e che devono essere applicate al caso concreto. Difatti, dalla natura processuale o sostanziale della norma in esame, ne discende l'operativita' del principio «tempus regit actum» e, quindi, della nuova formulazione - piu' restrittiva - dell'art. 4-bis della legge n. 354/1975, cosi' come modificato dalla legge n. 3/2019; oppure l'efficacia del principio del «favor rei», con conseguente applicazione della disciplina antecedente in materia di accesso alle misure alternative, imponendosi la revoca dell'ordine di carcerazione non sospeso oggetto dell'odierna richiesta. Tanto premesso, in questa sede e' appena il caso di evidenziare che, in ossequio ad una costante e pacifica giurisprudenza, le norme previste dalla legge n. 354/1975 rientrano nell'alveo delle norme aventi natura processuale, considerato che esse non attengono al profilo sostanziale della pena, ma esclusivamente alle modalita' della sua esecuzione. Tale conclusione comporta necessariamente l'inapplicabilita', nella materia de qua, delle disposizioni che regolano la successione nel tempo delle leggi penali di cui all'art. 2 del codice penale e, piu' in generale, dell'art. 25 della Costituzione. E' bene ricordare che la giurisprudenza di legittimita' si e' piu' volte espressa in tal senso, ribadendo che «le regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo non si applicano alle disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, giacche' queste attengono all'esecuzione e non all'irrogazione della pena e sono percio' sottoposte al principio tempus regit actum» (ex multis Cass. Pen. 11580/2013). Attesa la doverosa premessa sul merito che si e' chiamati a decidere, con riferimento ai dubbi di costituzionalita' prospettati dall'istante, si ritiene che sia degna di rilievo, in quanto non affetta da manifesta infondatezza, e vada pertanto in questa sede sollevata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3, in particolare con riferimento all'art. 117 della Costituzione, integrato dal parametro offerto dall'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui, ampliando il novero dei reati «ostativi» ai sensi dell'art. 4-bis della legge n. 354/1975, includendovi i reati contro la pubblica amministrazione, ha mancato di prevedere un regime intertemporale. In proposito si fa rilevare che, dovendo aderire all'orientamento giurisprudenziale prevalente, come sopra richiamato, circa la natura processuale della novella peggiorativa, si determini un'implicita retroattivita' della stessa, a fronte della carente previsione di una norma transitoria che ne imponga la vigenza solo per il futuro, con conseguente applicabilita' immediata della nuova disciplina anche ai fatti commessi prima della entrata in vigore della legge n. 3 del 2019. Non puo' revocarsi in dubbio che tale impostazione appare in stridente contrasto con l'interpretazione che nel tempo la Corte europea dei diritti dell'uomo ha adottato con riguardo ad istituti implicanti, come nel caso di specie, variazioni delle modalita' esecutive della pena. In particolare, si cita la decisione assunta dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo in data 21 dicembre 2013, nel caso Del Rio Prada contro Spagna, con la quale - ravvisandosi una violazione dell'art. 7, seconda parte, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ai sensi del quale «...non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso», con riferimento alla misura della «redencion de penar por trabajo» (che consentiva uno sconto di pena di un giorno ogni due giorni di lavoro intramurario) (abrogato con l'introduzione del nuovo codice penale del 1995 ma mantenuto in via transitoria per i soggetti condannati sulla base del codice previgente), assimilabile quindi alla liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento - concludeva assoggettando al principio di irretroattivita' i trattamenti esecutivi sfavorevoli, abdicando a qualsivoglia approccio esasperatamente formalistico. A supportare il dato di non manifesta infondatezza della invocata questione soccorre la recentissima sentenza della Corte di cassazione, sesta sezione penale, n. 12541 del 14 marzo 2019. Sul punto la Suprema Corte, pronunciandosi su di un caso simile a quello che occupa lo scrivente, vagliando analoga questione di costituzionalita' sollevata con riferimento all'art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 3/2019, la' dove ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli «ostativi» ai sensi dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, senza prevedere un regime intertemporale, ha sancito che «l'omessa previsione di una disciplina transitoria circa l'applicabilita' della disposizione (come novellata) possa suscitare fondati dubbi di incostituzionalita' in relazione ai riverberi processuali sull'ordine di esecuzione, in quanto non piu' suscettibile di sospensione in forza della previsione dell'art. 656, comma 9, del codice di procedura penale. Va difatti considerato come, secondo il disposto della lettera a) del comma 9 dell'art. 656, la sospensione dell'ordine di esecuzione della sentenza di condanna ad una pena detentiva non superiore a quattro anni (giusta anche la declaratoria d'incostituzionalita' con sentenza della Corte costituzionale 2 marzo 2018, n. 41) per il termine di trenta giorni al fine di consentire al condannato in stato di liberta' di avanzare istanza di concessione di una delle misure alternative previste dalla legge n. 354 del 1975 - sospensione prevista dal comma 5 dello stesso articolo - non possa essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui al citato art. 4-bis. Orbene, avuto riguardo al "diritto vivente", quale si connota alla luce del diritto positivo e della lettura giurisprudenziale fino ad ora consolidata a seguito della decisione delle sezioni unite del 2006, le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalita' esecutive della stessa, sono considerate norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette - in assenza di una specifica disciplina transitoria - al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 del codice penale e dall'art. 25 della Costituzione (sezione U, n. 24561 del 30 maggio 2006, P.M. in proc. A., Rv. 233976; sezione 1, n. 46649 dell'11 novembre 2009, Nazar, Rv. 245511; sezione 1, n. 11580 del 5 febbraio 2013, Schirato, Rv. 255310). In applicazione di tale interpretazione, con riferimento al reati ascritti al ricorrente, non sarebbe piu' possibile disporre la sospensione dell'esecuzione ai sensi del combinato disposto dell'art. 656, comma 9, del codice di procedura penale in base all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario (come novellato nel gennaio 2019). 6.2. D'altra parte, non e' revocabile in dubbio che, nella piu' recente giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo, ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena abbiano assunto una connotazione "antiformalista" e "sostanzialista", privilegiandosi alla qualificazione formale data dall'ordinamento (all'"etichetta" assegnata), la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonche' alle modalita' di esecuzione della sanzione o della misura imposta. Significativa in tale senso e' la pronuncia resa nel caso Del Rio Prada contro Spagna (del 21 ottobre 2013), la' dove la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel ravvisare una violazione dell'art. 7 della Convenzione, ha riconosciuto rilevanza anche al mutamento giurisprudenziale in tema di un istituto riportabile alla liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento in quanto suscettibile di comportare effetti peggiorativi, giungendo dunque ad affermare che, ai fini del rispetto del "principio dell'affidamento" del consociato circa la "prevedibilita' della sanzione penale", occorre avere riguardo non solo alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione (sebbene - in quel caso - l'istituto avesse diretto riverbero sulla durata della pena da scontare). 6.3. Alla luce di tale approdo della giurisprudenza di Strasburgo, non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l'avere legislatore cambiato in itinere le "carte in tavola" senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformita' con l'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e, quindi, con l'art. 117 della Costituzione, la' dove si traduce, per il Ferraresi, nel passaggio - "a sorpresa" e dunque non prevedibile - da una sanzione patteggiata "senza assaggio di pena" ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il gia' rilevato operare del combinato disposto degli articoli 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, e 4-bis dell'ordinamento penitenziario. D'altronde, in precedenza, il legislatore aveva adottato disposizioni transitorie finalizzate a temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, quali quelle contenute nell'art. 4 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, e nell'art. 4, comma 1, della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (che inseriva i reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale nell'art. 4-bis citato), limitandone l'applicabilita' ai soli reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge». Alla luce di tale recente assunto della Suprema Corte, si ritiene che la questione sollevata dal difensore dell'istante, nei limiti sopra rappresentati, suscitando i descritti dubbi di costituzionalita' della novella legislativa, vada condivisa. La sopra esposta questione di legittimita' costituzionale si ritiene, altresi', ai sensi dell'art. 23, comma 2°, della legge n. 87/1953, che abbia una concreta influenza sul caso in esame. Ed invero, se la norma impugnata contenesse una disposizione transitoria che - temperando il principio di immediata applicazione delle modifiche introdotte dall'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario - ne stabilisse la vigenza solo per i reati commessi successivamente alla sua entrata in vigore, imporrebbe a questo giudice un automatico accoglimento del ricorso.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3, nella parte in cui, ampliando il novero dei reati «ostativi» ai sensi dell'art. 4-bis della legge n. 354/1975, includendovi i reati contro la pubblica amministrazione, ha mancato di prevedere un regime intertemporale, perche' in contrasto con gli articoli 3, 24, 25, 27, 111, 117 della Costituzione (quest'ultimo integrato dal parametro di cui all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali) e, per l'effetto, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti in causa, al pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone l'allegazione della presente ordinanza al verbale di udienza. Napoli, 2 aprile 2019 Il Giudice: Vertuccio