N. 113 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2017
Ordinanza del 17 marzo 2017 della Corte d'appello di Trieste nel procedimento penale a carico di C. M. J. F.. Reati e pene - Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope - Pena minima edittale di anni otto di reclusione in luogo di quella di anni sei, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale. - Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), art. 73, comma 1.(GU n.36 del 6-9-2017 )
CORTE D'APPELLO DI TRIESTE La Corte d'appello di Trieste, Prima sezione penale, riunita in Camera di consiglio in persona dei magistrati: dott. Igor Maria Rifiorati - Presidente dott.ssa Donatella Solinas - Consigliere dott.ssa Gloria Carlesso - Consigliere ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento promosso con appello di C. M. J. F., nato a ....... (Colombia) il ......, attualmente detenuto per questa causa presso la Casa circondariale di Udine - assistito dall'avv. Guido Galletti del Foro di Treviso, difensore di fiducia avverso la sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Udine del 3 giugno 2016 che, visti gli artt. 438 e ss., 533 e 535 c.p.p., ha dichiarato l'imputato colpevole del reato a lui ascritto e, riconosciute le attenuanti generiche, applicata la diminuente per il rito, lo ha condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed € 14.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere; ha dichiarato l'imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, ha disposto l'espulsione dell'imputato dal territorio dello Stato a pena espiata; ha disposto la confisca del denaro in sequestro e la confisca e distruzione dei rimanenti reperti in sequestro, ad eccezione della documentazione di cui ha ordinato l'acquisizione al fascicolo, e dei telefoni cellulari, di cui ha disposto la restituzione agli aventi diritto, se non gia' eseguita. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 3 giugno 2016 il G.U.P. presso il Tribunale di Udine ha dichiarato la penale responsabilita' dell'imputato per il reato di cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 - commesso in Udine il 12 agosto 2015 - per aver acquistato circa 100 grammi di cocaina (esattamente 104,10 grammi lordi e non 150 come indicato nell'imputazione) quantita' da cui era possibile ricavare 375 dosi medie singole, occultata all'interno di tre condensatori per computer, contenuti all'interno di un pacco proveniente dall'Argentina e indirizzato a tale C. R. in Udine, sostanza che, per quantita', appariva destinata alla cessione a terzi e lo ha condannato, in esito a giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro di reclusione ed € 14.000 multa, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e applicazione della diminuente per il rito; ha disposto la confisca del denaro e dello stupefacente in sequestro e la restituzione dei telefoni cellulari. Il Giudice ha ritenuto che, pur risultando l'imputato assuntore di stupefacenti, la sostanza doveva essere stata in misura prevalente destinata alla cessione a terzi, in relazione sia al contesto in cui era stata recuperata (un pacco proveniente dall'Argentina intercettato a Francoforte e nascosto dentro tre condensatori di computer), alla quantita' dello stupefacente (97,407 grammi netti di sostanza con percentuale media di principio attivo pari al 57,6%) e al rinvenimento, nell'abitazione che l'imputato condivideva con la compagna, di € 3.700 in contanti, verosimilmente non riconducibili ai guadagni e risparmi della coppia. Il Giudice ha escluso la possibilita' di inquadrare il fatto nell'ipotesi di lieve entita' di cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, valutati la quantita' della sostanza, il notevole grado di purezza, il frazionamento della stessa, le particolari modalita' di spedizione, l'inserimento dell'imputato in traffici di stupefacenti di carattere sovranazionale e la commissione del reato mentre lo stesso si trovava sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ad altro procedimento per analogo reato. Affermata la penale responsabilita', riconosciute le attenuanti generiche in considerazione del contegno processuale sostanzialmente ammissivo di responsabilita', applicata la diminuente per il rito, ha ritenuto congrua alla pena di anni quattro di reclusione ed € 14.000 di multa cosi' determinata: pena base anni otto di reclusione ed € 25.822 di multa, diminuita ad anni sei e 21.000 per le attenuanti generiche e ridotta infine per il rito; ha disposto la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque e la espulsione dell'imputato dal territorio nazionale a pena espiata, desumendo la sua pericolosita' sociale dalle modalita' di commissione del reato, dalla gravita' dello stesso, dalla pendenza di altro procedimento penale, dall'esistenza di contatti all'estero, dalla precarieta' delle condizioni economiche, elementi idonei a integrare il pericolo di reiterazione nel reato. 2. Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore di fiducia dell'imputato e, pur non contestando la responsabilita' penale per il fatto descritto nell'imputazione, ne ha chiesto la riqualificazione ai sensi dell'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990; a tal fine il difensore ha evidenziato che parte della sostanza era destinata a un uso personale del C. che, lungi dall'essere inserito in un contesto criminale internazionale, lo stesso si faceva recapitare la sostanza per soddisfare in parte i bisogni di altri secondo modalita' stabilite dallo stesso fornitore, rivelando l'assenza di modalita' professionali; ha ribadito che la somma rinvenuta nell'abitazione proveniva dall'attivita' lavorativa svolta dall'imputato e dalla sua fidanzata la cui posizione era stata percio' archiviata all'esito dell'interrogatorio; nessun contatto era poi emerso dall'analisi dei supporti telefonici degli indagati; ha escluso che il rifornimento dall'estero di stupefacenti potesse denotare un inserimento dell'imputato in un ambito criminale internazionale, anche considerando il fatto che egli aveva sempre avuto come referenti per gli acquisti di cocaina solo connazionali non dimoranti nel territorio di Udine, uno dei quali aveva sollecitato la spedizione da un fornitore estero. In via subordinata, permanendo la qualificazione giuridica del fatto di cui all'imputazione, il Difensore ha proposto una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, osservando che, all'esito di una tortuosa evoluzione normativa, l'art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (dapprima modificato con la legge n. 49/2006, c.d. Fini-Giovanardi, di conversione del decreto-legge n. 272/2005, dichiarata incostituzionale con sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale per violazione dell'art. 77 comma 2 Cost., che ha fatto rivivere i commi 1, 2, 3 e 4 dell'originario art. 73, introducendo una grave incoerenza sistematica con i commi 5 e 5-bis) prevede un trattamento sanzionatorio con limite edittale minimo di otto anni di reclusione, pari al doppio del massimo previsto per il reato minore; detto trattamento edittale e' «rivissuto per effetto dell'intervento della Corte costituzionale in un contesto normativo affatto diverso»; pertanto il difensore ha proposto, sulla scorta di analoghi argomenti gia' posti a sostegno della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale di Rovereto il 21 gennaio 2016, la questione di legittimita' costituzionale, chiedendo la sospensione del giudizio in attesa della decisione della Corte cui comunque ha sollecitato la trasmissione degli atti. In ogni caso ha lamentata, quanto alla pena, la mancata concessione delle attenuanti generiche nella loro estensione massima e, quanto alle statuizioni sanzionatorie, la necessita' di disporre la restituzione della somma confiscata e la revoca dell'espulsione, dovendo escludersi che si sia consolidato in capo all'imputato un quadro soggettivo compatibile con le esigenze di espulsione dal territorio dello Stato. Considerato in diritto Ritiene la Corte che sussistano i presupposti per sollevare la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 25, 3 e 27 Cost., dell'art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 nella parte in cui detta norma prevede - a seguito della sentenza n. 32 dell'11 febbraio 2014 della Corte costituzionale - la pena minima edittale di otto anni di reclusione in luogo di quella di anni sei di reclusione introdotta con l'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con mod. in legge 21 febbraio 2006, n. 49. La questione e' rilevante in quanto questa Corte ritiene di condividere la qualificazione giuridica del fatto data dal giudice di primo grado, corrispondente al reato di cui all'imputazione (art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990), non potendo inquadrarsi la condotta dell'imputato nel reato di cui all'art. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 come richiesto dal Difensore. Ed invero, dalle indagini e' emerso con certezza che C. M. J. F. mentre si trovava agli arresti domiciliari per reati concernenti il traffico di stupefacenti (a tal riguardo si ricorda che egli era stato arrestato in relazione all'acquisto di oltre 100 grammi di cocaina - fatto accertato in Venezia il 9 luglio 2015), stava attendendo dall'Argentina un pacco contenente 104,10 grammi lordi di cocaina suddivisa in tre involucri di plastica occultati all'interno di tre condensatori per computer; il pacco venne intercettato il 17 luglio 2015 da personale dell'Agenzia delle Dogane tedesca presso l'Aeroporto di Francoforte e, in cooperazione con l'Autorita' italiana, ne venne disposta la consegna «controllata» al fine di identificare il destinatario, che si rivelo' essere proprio l'odierno imputato. Il fatto non puo' essere considerato di «lieve entita'» per una serie di elementi: la quantita' di sostanza stupefacente (quasi cento grammi netti di cocaina), rivelatasi, ad analisi tossicologica, dotata di elevata percentuale di purezza (57%) e idonea al confezionamento di ben 375 dosi; le circostanze del traffico, involgente fornitori d'oltre oceano (il pacco proveniva dall'Argentina, paese diverso da quello di provenienza dell'imputato), con modalita' di trasferimento studiate per evitare il rinvenimento dello stupefacente; la condotta del C., che dopo essersi procurato, appena un mese prima, oltre cento grammi di cocaina (benche' di qualita' piu' scadente - principio attivo pari al 20%, circostanza che aveva pesato sul riconoscimento del comma 5 dell'art. 73, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 con determinazione della pena base pari al massimo edittale di quattro anni di reclusione - vds. sentenza G. I. P. Tribunale di Venezia del 16 giugno 2016, prodotta in questa sede dal Difensore), accettava di ricevere una nuova consistente fornitura, a suo dire comunque promessa in precedenza, ben consapevole di esserne il destinatario, sebbene, al momento della consegna, avesse voluto precisare che il pacco era diretto a sua cugina, indicando peraltro il nome di una persona inesistente; il rinvenimento di 3.700 euro in contanti nella sua abitazione, somma incompatibile con i risparmi di una coppia che vede la compagna dell'imputato lavorare come estetista per circa 1.000 euro al mese, pagare un affitto di 500 euro al mese, mentre l'imputato risulta disoccupato da quasi due mesi, percependo prima uno stipendio di circa 1.100 euro al mese; ne' puo' sfuggire che la coppia pochi giorni prima della perquisizione, ossia in data 4 agosto 2015, aveva inviato con separate distinte quasi tremila euro (928,10+970+979,41 euro, oltre alle commissioni pari rispettivamente a euro 18,55+19,40+19,59) a vari familiari in Colombia, come risulta dalle ricevute dei versamenti in sequestro, segno anche questo che il C. disponeva di entrate non riconducibili a redditi da lavoro ma verosimilmente al commercio di sostanze stupefacenti (valutazione che ha giustificato la confisca anche della somma in sequestro); per tutti gli elementi ora evidenziati, e' ravvisabile la sussistenza del reato di cui all'art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e, si palesa evidente la rilevanza nel caso di specie della questione di legittimita' costituzionale in relazione al trattamento sanzionatorio previsto per tale delitto, a seguito della pronuncia d'incostituzionalita' di cui alla sentenza Corte cost. n. 32 dell'11 febbraio 2014, dell'art. 4-bis decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con legge 21 febbraio 2006, n. 49, pronuncia a seguito della quale ha ripreso applicazione l'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 nel testo anteriore alle modifiche, con la distinta previsione di un trattamento sanzionatorio piu' mite per gli illeciti concernenti le «droghe leggere» (l'art. 73 comma 4 prevede la pena detentiva da due a sei anni di reclusione) e piu' severo per le cosiddette «droghe pesanti» (da otto a venti anni di reclusione), a differenza della pena (da sei a venti anni di reclusione) prevista, senza alcuna distinzione tra droghe «leggere» o «pesanti», dalle norme dichiarate costituzionalmente illegittime dalla pronuncia citata: nella dosimetria della pena, infatti, questa Corte d'appello dovrebbe considerare il limite edittale minimo di anni otto di reclusione (oltre alla pena pecuniaria, ridottasi pero' da 26.000 a 25.822 euro di multa) pena che, per i profili che ora verranno descritti, si ritiene incostituzionale. La questione si palesa non manifestamente infondata sotto distinti parametri costituzionali: 1. il primo riguarda il contrasto con il principio di riserva di legge in materia penale, profilo che la Corte di cassazione ha articolato in modo puntuale nell'ordinanza 1418/17 del 13 dicembre 2016, dep. il 12 gennaio 2017, con cui ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica 309/1990: la Corte di cassazione, infatti, ha osservato che la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimita' delle norme di cui agli artt. 4-bis decreto-legge n. 272/2005 con riferimento all'art. 77, comma secondo, Cost. sulla base di «un vizio procedurale» nella formazione della legge, attesa la rilevata eterogeneita' delle disposizioni aggiunte in sede di conversione in legge del citato decreto-legge rispetto al contenuto e alla finalita' del provvedimento d'urgenza, dunque in ragione del non corretto uso del potere legislativo di conversione facente capo al Parlamento; tuttavia l'esercizio della funzione legislativa ad opera della giustizia costituzionale (insito nelle sentenze manipolative del giudice delle leggi) incontra il limite della riserva di legge in materia penale sancita dall'art. 25, comma secondo, Cost. contenente il principio generale secondo il quale gli interventi in materia penale tesi ad ampliare l'area di un'incriminazione, ovvero a inasprirne le sanzioni, possono essere legittimamente compiuti soltanto ad opera del legislatore. L'argomento speso dalla Corte di cassazione viene qui condiviso, osservando che la Corte costituzionale con la sentenza n. 32/2014 ha rimesso alla prudente valutazione del giudice di merito la scelta dell'applicazione della norma secondo il principio del favor rei, che informa le norme sulla successione delle leggi penali nel tempo, per i reati commessi prima dell'intervento del giudice delle leggi; ma per i fatti commessi dopo il giudice non puo' che applicare la norma attualmente vigente, vale a dire l'art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 nella formulazione adottata prima della modifica legislativa dichiarata costituzionalmente illegittima, e nonostante il legislatore avesse riconsiderato i reati in materia di stupefacenti, in ragione di una evoluzione normativa che l'intervento della Corte costituzionale ha rimosso. 2. Il secondo motivo di incostituzionalita' deriva dal difetto di ragionevolezza del trattamento sanzionatorio emergente dal (ri)pristinato art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, soprattutto laddove lo si raffronti, da un lato, con la pena prevista per il fatto di lieve entita' (da sei mesi a quattro anni di reclusione) di cui all'art. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e, dall'altro, con la pena prevista per le c.d «droghe leggere» (da due a sei anni di reclusione) di cui al (ri)pristinato art. 73 comma 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, che ha reintrodotto una differenziazione per le ipotesi ordinarie, superando quel trattamento sanzionatorio unitario per due categorie di sostanze, che il legislatore del 2005 aveva introdotto, e che il legislatore del 2014 ha mantenuto solo per le ipotesi «lievi» del comma 5 dell'art. 73. Come gia' evidenziato nell'ordinanza n. 1418/17 della Corte di cassazione citata, mentre la linea di demarcazione «naturalistica» fra le fattispecie «ordinaria» e «lieve» e' talvolta non netta (si pensi alle condotte concernenti quantitativi non particolarmente cospicui, ma non minimi, ovvero connotate da modalita' esecutive caratterizzate da una certa, ma non rilevante pericolosita' quanto al rischio di diffusione della sostanza, suscettibili di escludere comunque la sussumibilita' della fattispecie concreta nell'art. 73, comma 5), il «confine sanzionatorio» dell'una e dell'altra incriminazione e' invece estremamente - ed irragionevolmente - distante (intercorrendo ben quattro anni di pena detentiva fra il massimo dell'una e il minimo dell'altra). Il che, nella prassi, spesso induce i giudici a forzature interpretative, tese a rimediare - mediante l'ampliamento dell'ambito applicativo dell'ipotesi «lieve» - l'ingiustificato dislivello edittale tra le due fattispecie incriminatrici. L'argomento viene condiviso da questa Corte d'appello osservando che le fattispecie concrete presentano talora un confine sfumato tra il fatto di lieve entita' che meriti il massimo della sanzione edittale prevista dall'art. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (quattro anni di reclusione) e il fatto «non lieve» che meriti pero' il minimo della pena prevista dall'art. 73 comma 1 (otto anni); il peso che il giudice di merito e' chiamato a dare a ogni elemento per una corretta qualificazione giuridica del caso concreto non giustifica pero', il trattamento sanzionatorio sensibilmente diverso tra le c.d. «fattispecie di confine» che non si pone in ragionevole rapporto con il disvalore della condotta. 3. Il terzo motivo di incostituzionalita', strettamente connesso al precedente, riguarda il contrasto dell'attuale trattamento sanzionatorio con il principio di proporzionalita' e il principio di colpevolezza e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, riconducibile al disposto degli artt. 3 e 27 Cost. Il contrasto, in particolare, si rivela evidente proprio considerando la successione di condanne subite in primo grado dall'imputato C. M. J. F. per fatti che i giudici di prima istanza hanno collocato al confine, rispettivamente superiore e inferiore, delle fattispecie previste dal quinto e dal primo comma dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990: ed invero, il fatto, commesso dal C. a Venezia il 9 luglio 2015, di aver acquistato, a fini di spaccio, oltre centro grammi di cocaina (20% di principio attivo, corrispondenti a 140 dosi singole) e' stato giudicato sub art 73 comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e ha comportato la condanna, senza attenuanti generiche, alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed € 6.000 di multa con sentenza del G.U.P. Tribunale di Venezia del 16 giugno 2016 (pena base corrispondente al massimo della pena edittale, anni quattro di reclusione, ridotta di un terzo per il rito abbreviato); il fatto sub iudice, commesso dal C. a Udine il 12 agosto 2015, di aver ricevuto 104 grammi lordi di cocaina (57% principio attivo, 375 dosi singole) e' stato giudicato sub art. 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e ha comportato la condanna alla pena di anni quattro di reclusione ed € 14.000 di multa (con la concessione di attenuanti generiche, partendo dalla pena base di anni otto di reclusione, corrispondente al minimo di quella edittale) con sentenza del 3 giugno 2016 del G.U.P. del Tribunale di Udine (la sentenza oggetto dell'odierna impugnazione). La differenza fattuale tra le due condotte non giustifica l'inquadramento in fattispecie penali cui corrispondono cosi' diversi trattamenti sanzionatori, per adattare i quali il giudice di merito si e' trovato «costretto» a forzature, relative ora alla valutazione del fatto, ora alla concessione delle attenuanti generiche. La Corte costituzionale si e' mostrata costantemente sensibile al valore della proporzionalita' della pena, ribadendo anche nella recente sentenza n. 236 del 10 novembre 2016, che l'art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali (...). E ricordando, in questa prospettiva, anche l'art. 49, numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell'art. 6, comma 1, del Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 - a tenore del quale «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». La pena per dirsi giusta va adeguata alla effettiva responsabilita' penale, cosi' potendo svolgere anche la funzione rieducativa di cui all'art. 27 Cost. che richiede a propria volta, un costante principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra (Corte cost. n. 251 del 2012 e Corte cost. n. 341 del 1994): se invece la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perche' alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entita' spropositata, non ne potra' che discendere una compromissione ab initio del processo rieducativo, processo al quale il reo tendera' a non prestare adesione, gia' solo per la percezione di subire una condanna profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68 del 2012), del tutto svincolata dalla gravita' della propria condotta e dal disvalore da essa espressa (in tal senso Corte cost. n. 236/2016), vieppiu' quando, in materia di stupefacenti, il fatto si collochi al confine con la fattispecie di lieve entita' punita in modo sensibilmente inferiore: si ritiene dunque, mutuando nuovamente le parole del Giudice delle leggi (Corte cost. n. 236/2016) che, una particolare asprezza della risposta sanzionatoria determini percio' una violazione congiunta degli artt. 3 e 27 Cost. essendo lesi sia il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del fatto commesso, sia quello della finalita' rieducativa della pena (sentenza n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 de/1994 e n. 343 de/1993). La pronuncia citata consente di delineare e ben chiarire anche l'intervento che questo giudice di appello richiede alla Corte costituzionale: non di sovrapporre la propria discrezionalita' a quella del Parlamento in materia sanzionatoria penale, bensi' di emendare le scelte del legislatore in riferimento a grandezze gia' rinvenibili nell'ordinamento» (sentenze n. 148 del 2016 e n. 22 del 2007) riconducendo a coerenza le scelte gia' delineate nella repressione dei reati concernenti gli stupefacenti e procedendo all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze: in tal senso, il controllo sulla sproporzione manifestamente irragionevole tra quantita' di sanzioni, da una parte, e gravita' delle condotte, dall'altra, viene proposto proprio attraverso la valutazione relazionale tra fattispecie simili da farsi per intero all'interno della disciplina del medesimo art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990. Si ritiene allora che la soluzione conforme ai parametri costituzionali sia quella di ripristinare il trattamento sanzionatorio gia' introdotto nel 2006, riducendo il minimo edittale da otto a sei anni di reclusione. Questa Corte ritiene, infine, che dando seguito alla eccezione sollevata dalla Difesa, senza limitarsi a un mero rinvio del giudizio in attesa della definizione di analoghe questioni gia' pendenti davanti alla Corte costituzionale, si siano rispettati i diritti di difesa e il principio del contraddittorio, anche considerando che l'imputato e' attualmente sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per questa causa, la durata della quale viene sospesa;
P. Q. M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 309/1990 come risultante a seguito della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale, quanto alla pena minima edittale, per contrasto con articoli 25, 3 e 27 Cost., Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso, nonche' i termini di durata della custodia cautelare in atto. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Procuratore generale, all'imputato, al suo difensore, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere. Cosi' deciso in Trieste 6 marzo 2017 Il Presidente: Rifiorati Il consigliere estensore: Carlesso