N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 aprile 2009
Ordinanza del 3 aprile emessa dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile promosso da M. G. ed altro contro Sindaco del Comune di Venezia. Matrimonio - Richiesta di pubblicazione di matrimonio resa da nubendi dello stesso sesso - Rifiuto opposto dall'ufficiale dello stato civile in virtu' della ritenuta estraneita' all'ordinamento giuridico italiano dell'istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso e del contrasto della rigettata richiesta con fondamentali principi di ordine pubblico - Ricorso al tribunale avverso il rifiuto di procedere alla pubblicazione - Mancato riconoscimento alle persone di orientamento omosessuale della liberta' di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso - Ingiustificata compromissione dell'inviolabile e fondamentale diritto dell'uomo di contrarre matrimonio - Irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti omosessuali e transessuali in relazione all'accesso all'istituto del matrimonio e al rispetto dell'orientamento psicosessuale della persona - Denunciato contrasto del divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso con la tutela costituzionalmente garantita alla famiglia, quale societa' naturale fondata sul matrimonio - Asserita violazione dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, con particolare riferimento alla lesione dei diritti al rispetto della vita privata e familiare, al matrimonio, alla costituzione di una famiglia e alla non discriminazione, sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. - Codice civile, artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis. - Costituzione, artt. 2, 3, 29 e 117, primo comma; Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 8, 12 e 14; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, artt. 7, 9 e 21.(GU n.26 del 1-7-2009 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile iscritto al n. 2497/2008 R.G.V.G., promosso con ricorso depositato il giorno 17 ottobre 2008 da G. M. e S. G., rappresentati e difesi dall'avv. Francesco Bilotta del foro di Trieste e dall'avv. Margherita Salzer del foro di Venezia, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Venezia-Mestre, ricorrenti; Contro il sindaco di Venezia, nella sua qualita' di ufficiale di governo, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege, resistente, con l'intervento del pubblico ministero. Oggetto: ricorso avverso il rifiuto di pubblicazioni di matrimonio artt. 98 c.c. e art. 7 del d.P.R. n. 396/2000. M o t i v a z i o n e I ricorrenti hanno proposto ricorso avverso il provvedimento datato 3 luglio 2008 con il quale l'ufficiale dello stato civile del Comune di Venezia ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dagli stessi richiesta, ritenendo l'assoluta illegittimita' della pubblicazione «in forza del complesso normativo fondante l'ordinamento giuridico italiano e la contrarieta' all'ordine pubblico costituito da principi fondamentali di rango sia costituzionale che ordinario» cosi' motivando il diniego: «Considerato che la richiesta pubblicazione di matrimonio, intesa ad ottenere la celebrazione del matrimonio civile in questo comune, e' stata resa da due nubendi dello stesso sesso; Considerato che il fine della pubblicazione e' quello di dare pubblicita' al matrimonio per consentire eventuali opposizioni e, soprattutto, di verificare preventivamente la sussistenza delle condizioni richieste e la mancanza di impedimenti previsti dal codice civile, al fine di avere garanzia che il matrimonio, una volta celebrato, sara' pienamente valido ed efficace; Considerato che l'istituto del matrimonio, nell'ordinamento giuridico italiano e' inequivocabilmente incentrato sulla diversita' di sesso dei coniugi, desumibile dall'insieme delle disposizioni che disciplinano l'istituto del matrimonio, tanto che tale diversita' di sesso costituisce presupposto indispensabile, requisito fondamentale per la fattispecie del matrimonio, a tal punto che l'ipotesi contraria, relativa a persone dello stesso sesso, e' giuridicamente inesistente e certamente estranea alla definizione del matrimonio, almeno secondo l'insieme delle normative tuttora vigenti; Richiamato il decreto 10 giugno 2005 del Tribunale di Latina, relativo ad una richiesta di trascrizione di matrimonio, contratto all'estero, tra persone dello stesso sesso, nel quale viene specificato che: "...Alla luce di quanto precede deve allora concludersi che elemento essenziale per poter qualificare nel nostro ordinamento la fattispecie matrimonio e' la diversita' di sesso dei nubendi ed in tal senso si e' pronunciata la Corte di cassazione che nel distinguere in subjecta materia la categoria dell'inesistenza da quella della nullita', ha precisato che ricorre l'ipotesi dell'inesistenza quando manchi quella realta' fenomenica che costituisce la base naturalistica della fattispecie, individuandone i requisiti minimi essenziali nella manifestazione di volonta' matrimoniale resa da due persone di sesso diverso davanti ad un ufficiale celebrante (Cass. n. 7877/2000; 1304/1990; 1808/1976). D'altronde non e' senza ragione che, nel nostro codice civile, tra gli impedimenti al matrimonio (quali eta', capacita', liberta' di stato, parentela, delitto, artt. 84, 86, 87, 88 c.c.) non e' prevista la diversita' di sesso dei coniugi e cio' ovviamente non perche' tale condizione sia irrilevante, bensi' perche' essa, a differenza dei semplici impedimenti, incide sulla stessa identificazione della fattispecie civile che, nel nostro ordinamento, possa qualificarsi matrimonio". Visto il parere del Ministero dell'interno espresso con nota del 28 luglio 2004, prot. 04006451 - 15100/15952, nel quale viene specificato che: "... in merito alla possibilita' di trascrivere un atto di matrimonio contratto all'estero tra persone dello stesso sesso, si precisa che in Italia tale atto non e' trascrivibile in quanto nel nostro ordinamento non e' previsto il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso in quanto contrario all'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 18 del d.P.R. n. 396/2000". Visto la circolare del Ministero dell'interno n. 55 in data 18 ottobre 2007 prot. n. 15100/397/0009861, relativa ai matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, nella quale viene affermato che "...in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro ordinamento non ammette il matrimonio omosessuale e la richiesta di trascrizione di un simile atto compiuto all'estero deve essere rifiutata perche' in contrasto con l'ordine pubblico interno" escludendo categoricamente qualsiasi possibilita' di matrimonio tra persone dello stesso sesso; Ritenuto, pertanto, che la sopraindicata richiesta di pubblicazione riguarda ipotesi giuridicamente inesistente e non assimilabile all'istituto del matrimonio secondo la disciplina prevista dal nostro ordinamento» (doc. 1 del fascicolo attoreo). A sostegno del ricorso sono state svolte ampie argomentazioni in diritto, con le quali si e' rilevato che nel nostro ordinamento non esisterebbe una nozione di matrimonio, ne' un divieto espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso - non essendo previsto tra i requisiti per contrarlo la disparita' sexus (ex art. 84 c.c.) - che inoltre gli atti del Ministero degli interni citati nel provvedimento si riferirebbero all'ordine pubblico internazionale e non all'ordine pubblico internazionale e non all'ordine pubblico interno (che invece andrebbe richiamato nel caso di specie), che comunque tali atti sarebbero contrari alla Costituzione e alla Carta di Nizza e quindi da disapplicare, che in ogni caso l'interpretazione letterale delle norme codicistiche posta a fondamento dell'atto di diniego da parte del comune sarebbe contraria alla Costituzione italiana, ed in particolare agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13, 29. Sulla base di tali argomenti i ricorrenti hanno chiesto al tribunale, in via principale, di ordinare all'ufficiale di stato civile del Comune di Venezia di procedere alla pubblicazione del matrimonio rifiutata e, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimita' costituzionale - previa positiva valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza - degli artt. 107, 108, 143, 143-bis e156-bis c.c. rispetto agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13, 29 Cost., rimettendo gli atti alla Corte costituzionale. Con il ricorso in esame si chiede quindi che il Tribunale si pronunci in ordine al tema - assai dibattuto non solo fra i giuristi e non solo nel nostro Paese - relativo alla riconoscibilita' del diritto delle persone omosessuali di contrarre matrimonio con persone del proprio sesso. Nel nostro sistema il matrimonio tra persone dello stesso sesso non e' ne' previsto, ne' vietato espressamente. E' certo tuttavia che ne' il legislatore del 1942, ne' quello riformatore del 1975Legge 19 maggio 1975 n. 151 riforma del diritto di famiglia. si sono posti la questione del matrimonio omosessuale, all'epoca ancora non dibattuta, almeno nel nostro Paese. Pur non esistendo una norma definitoria espressa, l'istituto del matrimonio, cosi' come previsto nell'attuale ordinamento italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso. Se e' vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso fra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso e sospettate d'incostituzionalita', si riferiscono al marito e alla moglie come «attori» della celebrazione (107107. Forma della celebrazione. Nel giorno indicato dalle parti l'ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni...riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie... 108. Inopponibilita' di termini e condizioni. La dichiarazione degli sposi di prendersi rispettivamente in marito e moglie non puo' essere sottoposta ne' a termine ne' a condizione. e 108), protagonisti del rapporto coniugale (art. 143 e ss.143. Diritti e doveri reciproci dei coniugi. Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. 143-bis. Cognome della moglie. La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze. 156-bis. Cognome della moglie. Il giudice puo' vietare alla moglie l'uso del cognome del marito, quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole e puo' parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio. e autori della generazione (artt. 231 e ss.). Il marito e' il padre del figlio concepito durante il matrimonio (231 c.c.); l'adulterio della 1ª moglie o l'impotenza del marito consentono l'azione di disconoscimento (art. 235 c.c.). Reputa il tribunale che, proprio per il chiaro tenore delle norme sopra indicate, non sia possibile - allo stato della normativa vigente - operare un'estensione dell'istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso. Si tratterebbe di una forzatura non consentita ai giudici (diversi da quello costituzionale), a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna. D'altra parte, non si puo' ignorare il rapido trasformarsi della societa' e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si e' assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia normale, tradizionale e al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale e come quello mirano ad essere considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche all'evoluzione della cultura e della civilta', chiedono tutela, imponendo un'attenta meditazione sulla persistente compatibilita' dell'interpretazione tradizionale con i principi costituzionali. Il primo riferimento costituzionale con il quale confrontarsi, suggerito anche dai ricorrenti, e' sicuramente quello di cui all'art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili dell'uomo (diritti gia' proclamati dalla Costituzione ovvero individuati dalla Corte costituzionale) non solo nella sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella sua sfera sociale, ossia, secondo la formula della norma, «nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita», fra le quali indiscutibilmente la famiglia deve essere considerata la prima e fondamentale espressione. La famiglia e' infatti la formazione sociale primaria nella quale si esplica la personalita' dell'individuo e nella quale vengono quindi tutelati i suoi diritti inviolabili, conferendogli uno status (quello di persona coniugata) che assurge a segno caratteristico all'interno della societa' e che conferisce un insieme di diritti e di doveri del tutto peculiari e non sostituibili tramite l'esercizio dell'autonomia negoziale. Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona riconosciuto sia a livello sovranazionale (artt. 12 e 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, artt. 8 e 12 CEDU e ora all'artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000), sia dall'art. 2 della Costituzione. E' un diritto inteso sia nella sua accezione positiva di liberta' di contrarre matrimonio con la persona prescelta (cosi' anche Corte cost. n. 445/2002Con questa sentenza e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni che ponevano tra i requisiti per reclutamento nel corso della Guardia di Finanza l'essere celibe o nubile, vedovo o senza prole, ritenendo che le stesse incidessero «sul diritto di contrarre matrimonio, discendente dagli art. 2 e 29 della Costituzione», spiegando che «L'uso della discrezionalita' del legislatore nella determinazione dei requisiti per l'accesso ai pubblici uffici deve essere soggetto a scrutinio piu' stretto di costituzionalita' quando non e' in discussione solo la generica ragionevolezza delle scelte legislative, in relazione ai caratteri dell'ufficio, ma l'ammissibilita' di un requisito la cui imposizione si traduce, indirettamente, in una limitazione all'esercizio dei diritti fondamentali, quali nella specie, oltre al diritto di contrarre matrimonio, quello di non essere sottoposti ad interferenze illecite nella vita privata (art. 12 della Dichiarazione universale e nell'art. 8 della Convenzione europea; e vedi oggi anche l'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea».), sia in quella negativa di liberta' di non sposarsi e di convivere senza formalizzare l'unione (cosi' Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166). La liberta' di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell'autonomia e dell'individualita' ed e' quindi una scelta sulla quale lo Stato non puo' interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili; ora, nell'ipotesi in cui una persona intenda contrarre matrimonio con altra persona dello stesso sesso il tribunale non individua alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica.Tra l'altro, dal 1973 l'omosessualita' e' stata cancellata dal DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), il manuale che classifica i disturbi psichici, trasformandosi da patologia a caratteristiche della personalita'. L'unico importante diritto con il quale potrebbe eventualmente ipotizzarsi un contrasto e' quello dei figli di crescere in un ambiente familiare idoneo, diritto che corrisponde anche ad un indiscutibile interesse sociale. E'chiaro tuttavia che tale interesse potrebbe incidere esclusivamente sul diritto delle coppie omosessuali coniugate di avere figli adottivi, diritto che e' distinto, e non necessariamente connesso, rispetto a quello di contrarre matrimonio, tanto che alcuni ordinamenti stranieri, come si specifichera' piu' avanti, pur introducendo il matrimonio tra omosessuali, hanno espressamente escluso il diritto di adozione; in ogni caso, nell'attuale ordinamento italiano ogni adozione di minorenni presuppone la valutazione di idoneita' affettiva e di capacita' genitoriale della coppia (si veda l'art. 6.2 della legge n. 184/1983), evidentemente funzionale alla valutazione dell'interesse del minore adottando, essendo cosi' esclusa ogni automaticita' tra il matrimonio, la richiesta di adozione e la decisione del tribunale per i minorenni. Il secondo parametro di riferimento da prendere in esame, strettamente connesso al precedente, e' quello di cui all'art. 3 della Costituzione, che vieta ogni discriminazione irragionevole, conferendo a tutti i cittadini «...pari dignita' sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», impegnando lo Stato a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...». Essendo, per quanto sopra rilevato, il diritto di contrarre matrimonio un momento essenziale di espressione della dignita' umana, si ritiene che esso debba essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l'orientamento sessuale), con conseguente obbligo dello Stato d'intervenire in caso di impedimenti all'esercizio. Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all'art. 3 della Costituzione e' vietare irragionevoli disparita' di trattamento, la norma - implicita nel nostro sistema - che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, cosi' seguendo il proprio orientamento sessuale (ne' patologico, ne' illegale), non abbia alcuna giustificazione razionale, soprattutto se raffrontata con l'analoga situazione delle persone transessuali, che, ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione della legge 14 aprile 1982, n. 164, possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita. Al riguardo va rammentato che la coerenza con la Costituzione della legge n. 164/1982 e' stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 165 del 6 maggio 1985 e che le valutazioni espresse dalla Corte sulla norma sospettata d'incostituzionalita' confortano la tesi qui sostenuta, essendo stata riconosciuta la legittimita' costituzionale non tanto sulla base del fatto che i soggetti abbiano compiuto e portato a termine un trattamento medico-chirurgico e che vi sia stato il provvedimento del tribunale (che tramite una sorta di fictio iuris attribuisce il sesso opposto), ma sulla base di argomenti di ben piu' ampio respiro. In particolare, la Corte ha definito l'orientamento del transessuale come «naturale modo di essere» sostenendo che la legge sospettata d'incostituzionalita', «si e' voluta dare carico di questi "diversi" ponendo una normativa intesa a consentire l'affermazione della loro personalita' e in tal modo ad aiutarli a superare l'isolamento, l'ostilita' e l'umiliazione che troppo spesso li accompagnano nella loro esistenza cosi' operando il legislatore italiano si e' allineato agli orientamenti legislativi, amministrativi e giurisprudenziali, gia' affermati in numerosi Stati, fatti propri, all'unanimita' dalla Commissione della Corte europea dei diritti dell'uomo (decisione 9 maggio 1978, nel caso Daniel OostenWijck Governo belga) e la cui adozione in tutti gli Stati membri della Comunita' e' stata caldeggiata con una proposta di risoluzione presentata al Parlamento europeo nel febbraio 1983 (...) la legge n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell'alveo di una civilta' giuridica in evoluzione, sempre piu' attenta ai valori, di liberta' e dignita', della persona umana». In tale pronuncia si coglie l'attenzione della Corte nell'evidenziare le illegittime discriminazioni subite in precedenza dalle persone transessuali, con affermazioni pienamente mutuabili anche per gli omosessuali. La Corte e' sembrata attenta a rispettare il principio secondo la quale il giudizio di costituzionalita' deve essere ancora piu' pregnante ove il sospetto riguardi categorie di persone che storicamente abbiano subito illegittime discriminazioni e che si debba presumere siano particolarmente suscettibili di subire ulteriori trattamenti ingiustificatamente sfavorevoliNella giurisprudenza statunitense si parla in questi casi di «suspect class» ossia di categoria in relazione alla quale ogni intervento dello Stato che operi una discriminazione sulla base dell'appartenenza ad essa deve presumersi sospetto, e incostituzionale fino a prova contraria. Invero la legge n. 164 del 1982 ha profondamente mutato i connotati dell'istituto del matrimonio civile consentendone la celebrazione tra soggetti dello stesso sesso biologico di incapaci di procreare, valorizzando cosi' l'orientamento psicosessuale della persona. Con riferimento all'assetto normativo sistematico delineato l'identita' di sesso biologico non puo' essere legittimamente invocata per escludere gli omosessuali dal matrimonio. Se e' vero, infatti, che fattore meritevole di tutela e' l'orientamento psicosessuale della persona, non appare in alcun modo giustificata la discriminazione tra coloro che hanno naturale orientamento psichico che li spinge ad una unione omosessuale, e non vogliono pertanto effettuare alcun interevento chirurgico di adattamento, ne' ottenere la rettificazione anagrafica per conseguire un'attribuzione di sesso contraria al sesso biologico, - ai quali e' precluso il matrimonio -, e i transessuali che sono ammessi al matrimonio pur appartenendo allo stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare. D'altro canto, le opinioni contrarie al riconoscimento alla liberta' matrimoniale tra persone dello stesso sesso, fatte proprie dall'Avvocatura dello Stato resistente, per giustificare la disparita' di trattamento invocano ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura. Si deve tuttavia obiettare che tali argomenti non sono idonei a soddisfare il rigore argomentativo richiesto dal giudizio di legittimita', non solo perche', come si e' gia' messo in luce, i costumi familiari si sono radicalmente trasformati, ma soprattutto perche' si tratta di tesi alquanto pericolose quando si discute di diritti fondamentali, posto che l'etica e la natura sono state troppo spesso utilizzate per difendere gravi discriminazioni poi riconosciute illegittime; si pensi alla disuguaglianza tra i coniugi nel diritto matrimoniale italiano preriforma e al divieto delle donne di svolgere alcune professioni, entrambi fondati sulla convinzione che le donne fossero naturalmente piu' deboli; ancora, nell'esperienza anche attuale di altri Paesi, vanno ricordati il divieto di contrarre matrimoni interrazziali o interreligiosi e la punizione di atti sessuali tra omosessuali anche se privati, giustificati con la contrarieta' all'etica, alla tradizioneLa Corte suprema del Sudafrica con la sentenza del 1° dicembre 2005 ha dichiarato incostituzionale il divieto di matrimonio omosessuale riconoscendo che «l'antichita' di un pregiudizio non e' una buona ragione per la sua sopravvivenza», notando che «quando le condizioni umane mutano e le idee di giustizia e di equita' si evolvono, anche le concezioni dei diritti assumono nuove trame e significato».o addirittura alla religione. A cio' si aggiunga che, come si approfondira' piu' avanti, per i diritti degli omosessuali, cosi' come per quelli dei transessuali, vi sono fortissime spinte, provenienti dal contesto europeo e sovranazionale, a superare le discriminazioni di ogni tipo, compresa quella che impedisce di formalizzare le unioni affettive. Tali sollecitazioni sono evidentemente tese a far si' che gli Stati introducano specifici supporti giuridici e non si limitino a mere affermazioni di principio; infatti, ogni difesa formale della liberta', priva di un reale supporto giuridico strutturale, e' debole e priva di effettivita', come insegna l'Osservazione del cammino compiuto da altre categorie per raggiungere un livello accettabile di realizzazione dei propri diritti. Basti pensare, nell'esperienza italiana, a quanto e' avvenuto per le persone detenute e per le persone affette da handicap: ci si riferisce, per i detenuti, alla c.d. riforma penitenziaria introdotta con la legge 26 luglio 1975, n. 354, con la quale il legislatore ha risposto con una normativa tra le piu' avanzate allo stimolo proveniente proprio da una storica sentenza della Corte costituzionale dell'anno precedente (n. 204/1974), e per i disabili alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 «Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate»). Un'ulteriore giustificazione per negare il matrimonio omosessuale e' spesso individuata nel disposto dell'art. 29, primo comma della Costituzione, laddove si afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come «societa' naturale fondata sul matrimonio» essendosi ritenuto che con tale espressione si sia inteso tutelare il solo nucleo legittimo di carattere tradizionale, ossia l'unione di un uomo ed una donna suggellata dal vincolo giuridico del matrimonio. In realta', il significato di tale espressione non e' quello di riconoscere il fondamento della famiglia in un non meglio definito «diritto naturale» quanto piuttosto di affermare la preesistenza e l'autonomia della famiglia - come comunita' originaria e pregiuridica - dallo Stato, cosi' imponendo dei limiti al potere del legislatore statale. Che questa fosse l'intenzione del legislatore storico e' messo ben in luce negli atti relativi al dibattito svolto in seno all'Assemblea costituente in relazione all'art. 29 Cost., come emerge dall'intervento dell'on. Aldo Moro nel corso della adunanza plenaria del 15 gennaio 1947. In particolare, in relazione alla formula «la famiglia e' una societa' naturale» egli sottolineo' che «...non e' affatto una definizione, anche se ne ha la forma esterna, in quanto si tratta in questo caso di definire la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana da' liberamente vita». Ed ancora: «Escluso che qui "naturale" abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuole dire con questa formula che la famiglia sia una societa' creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non e' un fatto, la famiglia, ma e' appunto un ordinamento giuridico e quindi qui "naturale" sta per ''razionale''. D'altra parte non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, ne' si vuole negare che vi sia sempre un piu' perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalita' nel corso della storia; ma quando si dice "societa' naturale" in questo momento storico si allude a quell'ordinamento che, perfezionato attraverso il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare. Quando si afferma che la famiglia e' una ''societa' naturale'', si intende qualche cosa di piu' dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come societa' naturale, la quale abbia le sue leggi ed i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attivita' legislativa, si deve inchinare». Era d'altra parte assai forte e recente il ricordo delle leggi razziali: il divieto di matrimonio di cittadini italiani di razza ariana con persone appartenenti ad altra razza, la subordinazione del matrimonio di cittadini italiani con persone di nazionalita' straniera al preventivo consenso del Ministero per l'interno, il divieto per gli ebrei di sposarsi in terra italiana, l'obbligo d'improntare l'istruzione e l'educazione familiare al sentimento nazionale fascista, tutte norme dirette a salvaguardare uno specifico concetto di famiglia imposto dallo Stato. Proprio ricordando gli abusi compiuti a difesa di una certa tipologia di famiglia, i Costituenti intesero marcare il confine tra autonomia familiare e sovranita' statale, circoscrivendo i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione. Regolamentazione che e' tuttavia consentita, rectius imposta, ai sensi del secondo comma dell'art. 29 Cost. e di quelli immediatamente seguenti, solo quando si rende necessario un intervento statale atto a garantire i valori, questi si' costituzionalizzati, dell'eguaglianza tra coniugi, dell'unita' familiare, del mantenimento, istruzione ed educazione dei figli. Il fatto che la tutela della tradizione non rientri nelle finalita' dell'art. 29 Cost. e che famiglia e matrimonio si presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni che necessariamente si verificano nella storia, e' poi indubitabilmente dimostrato dall'evoluzione che ha interessato la loro disciplina dal 1948 ad oggi. Il codice civile del 1942 recepiva un modello di famiglia basato su di un matrimonio indissolubile e su di una struttura gerarchica a subordinazione femminile; basti pensare al fatto che l'art. 143 parlava solo di obblighi reciproci e non di diritti, alla potesta' maritale dell'art. 144, al dovere del marito di proteggere la moglie di cui all'art 145, all'istituto della dote. Tale caratterizzazione autoritaria e gerarchica si traduceva, sul fronte penale, nella repressione del solo adulterio femminile, nella responsabilita' penale del marito solamente per abuso dei mezzi di correzione nei confronti della moglie, nella previsione del delitto d'onore, nell'estinzione del reato di violenza carnale a mezzo del matrimonio riparatore. Sono ben noti gli interventi della Corte costituzionale a tutela dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, fra cui la storica sentenza n. 126/1968Nella quale si legge: «il principio che il marito possa violare impunemente l'obbligo della fedelta' coniugale, mentre la moglie debba essere punita - piu' o meno severamente - rimonta ai tempi remoti nei quali la donna, considerata perfino giuridicamente incapace e privata di molti diritti, si trovava in stato di soggezione alla potesta' maritale. Da allora molto e' mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato pienezza di diritti e la sua partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e della intera collettivita' e' diventata molto piu' intensa, fino a raggiungere piena parita' con l'uomo; mentre il trattamento differenziato in tema di adulterio e' rimasto immutato, nonostante che in alcuni stati di avanzata civilta' sia prevalso il principio della non ingerenza del legislatore nella delicata materia».che, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 559, comma 1 e 2 c.p. che puniva il solo adulterio della moglie, ha sottolineato proprio il mutamento della societa', superando cosi' il proprio orientamento precedente solo di pochi anni, con il quale, richiamandosi al «tradizionale concetto della famiglia, quale tuttora vive nella coscienza del popolo» aveva dichiarato non fondata la medesima questione (sentenza n. 64/1961). Anche in questo caso e' stata proprio la Corte costituzionale ad aprire la strada ad una riforma del diritto di famiglia, attuata con la legge del 1975, effettivamente in linea con i principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, superando la tradizione ultramillenaria secondo la quale la donna nell'ambito della famiglia doveva rivestire un ruolo subordinato. Ancora, vanno menzionati la mancata costituzionalizzazione dell'indissolubilita' del matrimonio e la conseguente introduzione legislativa del divorzio, nonche' la progressiva attuazione per via legislativa (da ultimo con la legge n. 54/2006) del principio costituzionale di eguaglianza tra figli legittimi e figli naturali: tutti esempi che dimostrano come l'accezione costituzionale di famiglia, lungi dall'essere ancorata ad una conformazione tipica ed inalterabile, si sia al contrario dimostrata permeabile ai mutamenti sociali, con le relative ripercussioni sul regime giuridico familiare. Le considerazioni che precedono sul significato dell'espressione «societa' naturale» sull'estraneita' della tutela del «matrimonio tradizionale» alle finalita' dell'art. 29 Cost. portano a ritenere prive di fondamento quelle tesi che giustificano l'implicito divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti correlati alla capacita' procreativa della coppia ed alla tutela della procreazione. Al riguardo sarebbe, peraltro, sufficiente sottolineare come ne' la Costituzione, ne' il diritto civile prevedano la capacita' di avere figli come condizione per contrarre matrimonio, ovvero l'assenza di tale capacita' come condizione di invalidita' o causa di scioglimento del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione istituti nettamente distinti. Una volta escluso che sulla disposizione dell'art. 29 Cost. possa trovare fondamento il trattamento differenziato delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali, si ritiene che tale norma, proprio nel momento in cui attribuisce tutela costituzionale alla famiglia legittima - contribuendo essa, grazie alla stabilita' del quadro delle relazioni sociali, affettive ed economiche che comporta, alla realizzazione della personalita' dei coniugi - lungi dal costituire un ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, possa assurgere ad ulteriore parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, in base al quale valutare la costituzionalita' del divieto. Ulteriore riferimento costituzionale che rileva nella questione in esame e', piu' che quello di cui all'art. 10, secondo comma (suggerito dai ricorrenti) che riguarda la condizione giuridica dello straniero, quello di cui all'art. 117, primo comma Cost., che vincola il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Vengono in rilievo al riguardo, quali norme interposte, innanzitutto gli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 12 (diritto al matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione per la salvaguardia dei fitti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Con riferimento in particolare all'art. 8, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto una nozione di «vita privata» e di tutela dell'identita' personale in essa insita, non limitata alla sfera individuale, bensi' estesa alla vita di relazione, arrivando a configurare un dovere di positivo intervento degli Stati di rimediare alle lacune suscettibili di impedire la piena realizzazione personale. Sempre in relazione al medesimo articolo, nel caso Goodwin contro Regno unito, 17 luglio 2002, la Corte di Strasburgo ha dichiarato contrario alla Convenzione il divieto di matrimonio del transessuale con persona del suo stesso sesso originario, per violazione del principio di rispetto della vita privata, superando il proprio precedente orientamento con il quale aveva ritenuto che il diritto di sposarsi garantito dall'art. 12 CEDU potesse essere riferito solo a persone di sesso biologico opposto (Rees contro Regno Unito, 17 ottobre 1986). Va evidenziato come, nel cambiare il proprio orientamento, la Corte abbia fatto riferimento a quello che ha definito come «the very essence of the right to marry» e all'artificiosita' dell'idea che i soggetti transessuali, dopo l'operazione, non sarebbero privati del diritto di sposarsi, potendo comunque sposare una persona del sesso opposto a quello loro originario. In altre parole, la Corte ha riconosciuto che non ha senso essere titolari di un diritto al matrimonio, se poi non si puo' scegliere con chi sposarsi. Richiamando e ampliando quanto sopra sostenuto relativamente al valore di quanto affermato nella sentenza n. 161/1985 della Corte costituzionale, va ribadito che sono evidenti le analogie esistenti tra la fattispecie in merito alla quale la Corte europea e' stata chiamata ad esprimersi e quella del matrimonio omosessuale: anche le persone omosessuali non sono, formalmente, private del diritto di sposarsi con una persona del sesso opposto, ma e' chiaro che non e' a questo tipo di matrimonio al quale ambiscono al fine di realizzare la propria personalita'. Sempre con riguardo all'art. 117, primo comma Cost., e specificamente in relazione all'obbligo per il legislatore statale e regionale di rispettare i vincoli posti dall'ordinamento comunitario, si deve ricordare come anche la Carta di Nizza sancisca i diritti al rispetto della vita privata e familiare (art. 7), a sposarsi ed a costituire una famiglia (art. 9) e a non essere discriminati (art. 21) fra i diritti fondamentali dell'Unione europea. E' interessante, peraltro, notare come l'art. 9 non contenga (deliberatamente secondo quanto affermato nelle «spiegazioni» della stessa Carta), a differenza dell'art. 12 CEDU, alcun riferimento «l'uomo e la donna». Ora, e' vero che la Carta di Nizza non assume valore vincolante, non essendo stato ratificato il Trattato di Lisbona nell'ambito del quale era stata inserita, tuttavia, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, anche costituzionale, essa ha «carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei» (Corte cost., sentenza n. 135/2002) e costituisce nella prassi un importante punto di riferimento sia per le istituzioni europee che per l'attivita' interpretativa dei giudici europei. Non si devono dimenticare in quest'ambito nemmeno gli atti delle Istituzioni europee che da tempo invitano gli Stati a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al matrimonio di coppie omosessuali ovvero al riconoscimento di istituti giuridici equivalenti, atti che rappresentano, indipendentemente dal loro valore giuridico, la presa di posizione a favore del riconoscimento del diritto al matrimonio, o comunque, in termini piu' generali, alla unificazione legislativa, nell'ambito degli Stati membri, della disciplina dettata per la famiglia legittima da estendersi alle unioni omosessuali. Fin dal 1981, con la raccomandazione n. 924 del 1° ottobre 1981, 1'Assemblea parlamentare del Consiglio d'europa aveva sentito la necessita' di garantire la liberta' di scelta dell'orientamento sessuale di ciascun individuo nonche' la dignita' delle coppie omosessuali all'interno della Comunita'. Sono seguite poi la Risoluzione sulla parita' dei diritti delle persone omosessuali nella Comunita' europea in data 8 febbraio 1994 con la quale il Parlamento europeo ha apertamente individuato come obiettivo delle azioni comunitarie la rimozione degli «ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni» la Risoluzione sul rispetto dei diritti umani nell'Unione europea del 16 marzo 2000 con cui il Parlamento europeo ha chiesto «agli Stati membri di garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parita' di diritti rispetto alle coppie sposate e alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali». Da ultimo, merita menzione anche la recentissima risoluzione del 14 gennaio 2009 sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea 2004-2008 che ha invitato gli Stati membri che si sono dotati di una legislazione relativa alle coppie dello stesso sesso a riconoscere le norme adottate da altri Stati membri e aventi effetti analoghi, ha esortato la Commissione a presentare proposte che garantiscano l'applicazione, da parte degli Stati membri, del principio di riconoscimento reciproco per le coppie omosessuali, sposate o legate da un'unione civile registrata, nella fattispecie quando esercitano il loro diritto alla libera circolazione previsto dal diritto dell'Unione europeaAttualmente in Paesi come il nostro, invocando clausole di salvaguardia come l'ordine pubblico, non vengono riconosciuti i matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso, con l'effetto di limitare grandemente la liberta' di circolazione, il principio di reciproca fiducia fra Stati membri e l'insorgenza del fenomeno dei c.d. matrimoni claudicanti, validi o meno a seconda del Paese nel quale si trovino i coniugi. e ha invitato gli Stati membri che non l'abbiano ancora fatto, in ottemperanza al principio di parita', ad adottare iniziative legislative per eliminare le discriminazioni cui sono confrontate alcune coppie in ragione del loro orientamento sessuale (par. 75-77). Infine, si deve prendere atto di come, in linea con tali risoluzioni del Parlamento Europeo e a conferma degli ormai consolidati mutamenti dei modelli e dei costumi familiari, nel diritto di molte nazioni di civilta' giuridica affine alla nostra, si stia delineando una nozione di relazioni familiari tale da includere le coppie omosessuali. In Olanda (legge 1° aprile 2001), Belgio (legge 1° giugno 2003) e Spagna (legge 30 giugno 2005) e' stato rimosso tout court il divieto di sposare una persona dello stesso sesso; altri Paesi prevedono un istituto riservato alle unioni omosessuali (ci si riferisce alle Lebenspartnerschaft tedesche e alle registered partnership inglesi) con disciplina analoga a quella del matrimonio, o al quale e' stata semplicemente estesa la disciplina matrimoniale, con l'esclusione, talvolta, delle disposizioni inerenti la potesta' sui figli e l'adozione (Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Islanda). Fra i Paesi che ancora non hanno introdotto il matrimonio o forme di tutela paramatrimoniali, molti comunque prevedono forme di registrazione pubblica delle famiglie di fatto, comprese quelle omosessuali (Francia, Lussemburgo, Repubblica Ceca). E' sulla base di tutte le considerazioni esposte che il Tribunale e' giunto al convincimento della non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale, pur parzialmente modificando i parametri di riferimento rispetto a quelli indicati dai ricorrenti, delle norme di cui agli artt. 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231 c.c. laddove, sistematicamente interpretate, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso; valutera' la Corte, qualora ritenesse la questione fondata, se vi sia la necessita' di estendere la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative interessate in via di consequenzialita' ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953. In punto di rilevanza, si osserva che l'applicazione delle norme indicate e' evidentemente ineliminabile nell'iter logico-giuridico che questo remittente deve percorrere per la decisione: infatti, in caso di dichiarazione di fondatezza della questione cosi' come sollevata, il rifiuto alle pubblicazioni - la cui richiesta dimostra inequivocabilmente la volonta' di contrarre matrimonio - dovrebbe ritenersi, in assenza di altra causa di rifiuto, illegittima, mentre, in caso di non accoglimento, l'attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto del ricorso. Per completezza si osserva che, a fronte del rifiuto alla pubblicazione da parte dell'ufficiale dello stato civile, essendo la pubblicazione una formalita' necessaria per poter procedere alla celebrazione del matrimonio, non e' individuabile alcun altro procedimento nell'ambito del quale valutare la questione. (1) Legge 19 maggio 1975 n. 151 riforma del diritto di famiglia. (2) 107. Forma della celebrazione. Nel giorno indicato dalle parti l'ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni...riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie... 108. Inopponibilita' di termini e condizioni. La dichiarazione degli sposi di prendersi rispettivamente in marito e moglie non puo' essere sottoposta ne' a termine ne' a condizione. (3) 143. Diritti e doveri reciproci dei coniugi. Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. 143-bis. Cognome della moglie. La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze. 156-bis. Cognome della moglie. Il giudice puo' vietare alla moglie l'uso del cognome del marito, quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole e puo' parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio. (4) Il marito e' il padre del figlio concepito durante il matrimonio (231 c.c.); l'adulterio della 1ª moglie o l'impotenza del marito consentono l'azione di disconoscimento (art. 235 c.c.). (5) Con questa sentenza e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni che ponevano tra i requisiti per reclutamento nel corso della Guardia di Finanza l'essere celibe o nubile, vedovo o senza prole, ritenendo che le stesse incidessero «sul diritto di contrarre matrimonio, discendente dagli art. 2 e 29 della Costituzione», spiegando che «L'uso della discrezionalita' del legislatore nella determinazione dei requisiti per l'accesso ai pubblici uffici deve essere soggetto a scrutinio piu' stretto di costituzionalita' quando non e' in discussione solo la generica ragionevolezza delle scelte legislative, in relazione ai caratteri dell'ufficio, ma l'ammissibilita' di un requisito la cui imposizione si traduce, indirettamente, in una limitazione all'esercizio dei diritti fondamentali, quali nella specie, oltre al diritto di contrarre matrimonio, quello di non essere sottoposti ad interferenze illecite nella vita privata (art. 12 della Dichiarazione universale e nell'art. 8 della Convenzione europea; e vedi oggi anche l'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea». (6) Tra l'altro, dal 1973 l'omosessualita' e' stata cancellata dal DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), il manuale che classifica i disturbi psichici, trasformandosi da patologia a caratteristiche della personalita'. (7) Nella giurisprudenza statunitense si parla in questi casi di «suspect class» ossia di categoria in relazione alla quale ogni intervento dello Stato che operi una discriminazione sulla base dell'appartenenza ad essa deve presumersi sospetto, e incostituzionale fino a prova contraria. (8) La Corte suprema del Sudafrica con la sentenza del 1° dicembre 2005 ha dichiarato incostituzionale il divieto di matrimonio omosessuale riconoscendo che «l'antichita' di un pregiudizio non e' una buona ragione per la sua sopravvivenza», notando che «quando le condizioni umane mutano e le idee di giustizia e di equita' si evolvono, anche le concezioni dei diritti assumono nuove trame e significato». (9) Nella quale si legge: «il principio che il marito possa violare impunemente l'obbligo della fedelta' coniugale, mentre la moglie debba essere punita - piu' o meno severamente - rimonta ai tempi remoti nei quali la donna, considerata perfino giuridicamente incapace e privata di molti diritti, si trovava in stato di soggezione alla potesta' maritale. Da allora molto e' mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato pienezza di diritti e la sua partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e della intera collettivita' e' diventata molto piu' intensa, fino a raggiungere piena parita' con l'uomo; mentre il trattamento differenziato in tema di adulterio e' rimasto immutato, nonostante che in alcuni stati di avanzata civilta' sia prevalso il principio della non ingerenza del legislatore nella delicata materia». (10) Attualmente in Paesi come il nostro, invocando clausole di salvaguardia come l'ordine pubblico, non vengono riconosciuti i matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso, con l'effetto di limitare grandemente la liberta' di circolazione, il principio di reciproca fiducia fra Stati membri e l'insorgenza del fenomeno dei c.d. matrimoni claudicanti, validi o meno a seconda del Paese nel quale si trovino i coniugi.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Costituzione della Repubblica, 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis, nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, per contrasto con agli artt. 2, 3, 29 e 117, primo comma della Costituzione, Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il procedimento in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri, e che ne sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Venezia, addi' 4 febbraio 2009 Il Presidente: Gionfrida Il giudice estensore: Guerra