N. 628 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 1999
N. 628 Ordinanza emessa il 23 settembre 1999 dal tribunale di Vallo della Lucania nel procedimento civile vertente tra Lavini Umberto e ferrovie dello Stato S.p.a. ed altro Ordinamento giudiziario - Indennita' dei giudici popolari - Determinazione, per i giudici popolari lavoratori autonomi o lavoratori dipendenti senza diritto alla retribuzione nei giorni di assenza dal lavoro per esercizio delle funzioni giurisdizionali, nella misura fissa di lire centomila - Mancata previsione della commisurazione dell'indennita' alla retribuzione non percepita - Violazione del principio di uguaglianza, della retribuzione proporzionata ed adeguata e di parita' nell'accesso ai pubblici uffici - Riproposizione della questione oggetto dell'ordinanza della Corte n. 256/1997 di manifesta inammissibilita' per difetto di motivazione sulla rilevanza. Legge 10 aprile 1951, n. 287, art. 36, secondo comma. Costituzione, artt. 3, primo comma, 36, primo comma, 51, primo comma.(GU n.46 del 17-11-1999 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato - in funzione di giudice del lavoro - la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 418/94, ruolo generale lavoro, pendente tra Lavini Umberto, da Salento, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Scarpa, giusta mandato a margine del ricorso introduttivo, ricorrente e Ferrovie dello Stato S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Feo in uno all'avv. Antonio Sofo di Reggio Calabria, giusta mandato in calce alla memoria difensiva, resistente; nonche' Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato come per legge presso l'Avvocatura dello Stato di Salerno, resistente; F a t t o Con ricorso depositato in cancelleria il 24 marzo 1994, Lavini Umberto esponeva di essere dipendente delle Ferrovie dello Stato e che, nel periodo compreso tra il 1 luglio e il 30 settembre del 1993, aveva prestato l'ufficio di giudice popolare. Per tali funzioni aveva ricevuto dal Ministero di grazia giustizia (Corte di appello di Salerno) la complessiva somma di L. 2.492.845, per indennita' di presenza giornaliera, indennita' di reperibilita', indennita' speciale ex legge 9 febbraio 1981 n. 27, rimborso delle spese di viaggio. Il 28 ottobre 1993 le Ferrovie dello Stato avevano disposto lo storno della somma di L. 1.985.000, pari allo stipendio del mese di agosto e, successivamente, con nota del 13 gennaio 1994 dell'ufficio amministrazione e controllo gestione di Reggio Calabria gli avevano comunicato la costituzione di un debito a suo carico per complessive L. 2.361.861 per recupero delle competenze fisse erroneamente percepite nel settembre del 1993 a causa delle funzioni di giudice popolare espletate a luglio del 1993. Tanto era avvenuto in base ad una circolare del 28 settembre 1993 dell'ufficio amministrazione e contabilita', la quale prevedeva che i giorni durante i quali i lavoratori delle FF.SS. avessero prestato le funzioni di giudice tutelare dovevano essere considerati come giorni di permesso non retribuito ai sensi dell'art. 53 del c.c.n.l. vigente. Il Lavini riteneva che per effetto della prestazione delle funzioni di giudice popolare, ricevuta dalla Corte di appello di Salerno la liquidazione della somma di L. 50.000 per udienza giusta il disposto dell'art. 36 della legge 10 aprile 1951, n. 287, aveva visto sensibilmente ridursi la sua retribuzione nei suddetti mesi, in violazione del diritto alla retribuzione costituzionalmente garantito. Chiedeva pertanto che il pretore, fissata l'udienza ex art. 420 c.p.c. volesse: dichiarare il suo diritto a percepire la retribuzione da parte delle Ferrovie dello Stato S.p.a.; condannare le Ferrovie dello Stato al pagamento dell'importo complessivo di L. 6.331.861 quale retribuzione relativa ai mesi di luglio, agosto e settembre del 1993, o, in caso di contestazione, di quella maggiore o minore che risultasse dovuta a mezzo di consulenza tecnica, oltre interessi e rivalutazione monetaria, oltre risarcimento del danno per la privazione della retribuzione per tali mesi, unica fonte di sostentamento per la sua famiglia. A tal fine articolava i mezzi di prova ed esibiva la documentazione indicata nel ricorso. Fissata l'udienza ex art. 420 c.p.c., si costituivano ritualmente in giudizio le Ferrovie dello Stato, rilevando che la retribuzione non era stata corrisposta perche' il Lavini doveva considerarsi come "assente senza diritto alla retribuzione" ai sensi dell'art. 53 del c.c.n.l. per i ferrovieri in vigore per il periodo 1990-1992, il quale fa salvo "il diritto dei dipendenti di richiedere, ove ne ricorrano le condizioni, i permessi previsti da specifiche disposizioni di legge, con il trattamento economico eventualmente previsto dalla stessa legge". Tale trattamento, giusta l'art. 36 della legge 287 del 1951, per i lavoratori non aventi diritto alla retribuzione nei giorni in cui esercitano le loro funzioni e' previsto in ragione di L. 100.000. Se dunque il Ministero di grazia e giustizia aveva errato nel liquidare al Lavini la somma di L. 50.000 al giorno, da cio' non poteva derivare alcun obbligo retributivo a carico delle Ferrovie dello Stato, trattandosi di un ufficio parificato all'esercizio delle funzioni pubbliche elettive (art.11, comma 1, legge citata), tant'e' che il relativo periodo viene considerato come figurativamente utile ai fini previdenziali, con onere gravante direttamente sugli Enti previdenziali erogatori delle relative prestazioni senza il normale corrispettivo dei contributi (in termini anche Cass. 4748 del 1987). Concludeva pertanto per il rigetto della domanda con vittoria delle spese del giudizio. Dopo alcuni rinvii di ufficio dovuti all'astensione dalla partecipazione alle udienze degli avvocati del Foro di Vallo negli anni 1994 e 1995, all'udienza dell'11 gennaio 1996 il giudicante, ai sensi dellart. 107 c.p.c., ordinava la chiamata in causa del Ministero di grazia e giustizia, posto che l'attore aveva chiesto, proponendo anche una domanda di risarcimento del danno, una pronunzia che affermasse il suo diritto a percepire l'integrale trattamento economico di cui avrebbe goduto se non fosse stato nominato giudice popolare, cosi' mettendo in questione anche la misura dell'indennita' dovuta ai giudici popolari, questione questa sicuramente comune al Ministero di grazia e giustizia, a cui peraltro le stesse Ferrovie dello Stato attribuivano l'erronea liquidazione dell'indennita' giornaliera di L. 50.000 anziche' 100.000. Costituitosi in giudizio il Ministero di grazia e giustizia, rilevava che al Lavini era stata corrisposta la complessiva somma di lire 2.492.845 per l'ufficio di giudice popolare svolto nella terza sessione dell'anno 1993, con riferimento alla misura dell'indennita' prevista per i giudici popolari aventi diritto alla retribuzione (L. 50.000), perche' l'attore non aveva comunicato all'Amministrazione di avere invece diritto all'indennita' nella misura prevista per coloro che, prestando tale ufficio, non avevano diritto alla retribuzione (L. 100.000). Ne' successivamente alla liquidazione l'attore aveva richiesto il pagamento della differenza. Pertanto risultava improponibile nei confronti dell'Amministrazione sia la domanda per conseguire il pagamento della retribuzione, sia quella per ottenere il risarcimento del maggior danno subito, mancando il presupposto dell'illiceita' del comportamento della pubblica amministrazione. Il pretore quindi, con ordinanza depositata il 26 giugno 1996, sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36, secondo comma, della legge 10 aprile 1951 n. 283, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 51, primo comma della Costituzione. La Corte costituzionale con ordinanza del 18 luglio 1997 dichiarava la manifesta inammissibilita' della questione, rilevando in proposito che: "l'ordinanza non precisa i criteri di liquidazione dell'indennita' con specifico riferimento alle diverse voci stabilite dalla norma in esame; che, inoltre, l'ordinanza non esplicita se nella sessione per la quale il ricorrente e' stato chiamato ad esercitare la funzione giurisdizionale siano stati o meno programmati i giorni di udienza e se, comunque, sussisteva l'eventuale possibilita' della convocazione anche per i giorni in cui non erano state fissate udienze; che il provvedimento neppure specifica se il predetto (Lavini Umberto - n. d.r.) sia stato informato di tali circostanze e, quindi, abbia avuto contezza dei giorni in cui eventualmente, non doveva garantire la reperibilita' e la disponibilita'; che proprio in relazione alla reperibilita' e alla disponibilita', l'ordinanza neppure chiarisce quali siano le mansioni del ricorrente e le modalita' di svolgimento del suo rapporto di lavoro ...". A seguito di detta ordinanza, il giudice chiedeva gli opportuni chiarimenti alla Corte di assise di Salerno, chiarimenti forniti in data 9 giugno 1998, ed ordinava altresi' alle Ferrovie della Stato la produzione di documentazione attestante le modalita' di svolgimento del rapporto di lavoro; sicche' oggi ritiene di poter riproporre la questione di legittimita' costituzionale, non essendosi la Consulta pronunziata sul merito della medesima per un difetto di motivazione sulla rilevanza, difetto di motivazione superabile con l'integrazione mediante le indicazioni richieste. D i r i t t o Su tali premesse in fatto e diritto ritiene il giudicante che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36 della della legge 10 aprile 1951, n. 287. Occorre rilevare come petitum sostanziale sia costituito dalla domanda di pagamento della retribuzione che sarebbe spettata al Lavini - svolgente le mansioni di capo stazione superiore della stazione di Vallo Scalo - nel periodo di partecipazione alla sessione della Corte di assise e dalla domanda di risarcimento del danno per la privazione della retribuzione nel medesimo periodo, nelle quali deve ritenersi compresa, trattandosi di un minus, anche la domanda di adeguamento della liquidata indennita', domande queste certamente comuni al convenuto Ministero di grazia e giustizia. In proposito la legge 10 aprile 1951, n. 287, all'art. 36, ha previsto la corresponsione ai giudici popolari di un'indennita' di L. 50.000 per ogni giorno di effettivo esercizio delle funzioni (primo comma), indennita' che sale a L. 100.000 al giorno per i giudici popolari che siano lavoratori autonomi o lavoratori dipendenti senza diritto alla retribuzione nei giorni in cui esercitano le funzioni. Sono poi previsti il rimborso delle spese di viaggio, l'indennita' di soggiorno e l'indennita' di reperibilita', in ragione di L. 20.000 per ogni giorno di durata della sessione in cui i giudici popolari non svolgono l'effettivo esercizio della funzione giurisdizionale. Al riguardo l'orientamento della Corte di cassazione e' nel senso che il lavoratore privato (e tale deve oggi considerarsi il dipendente delle Ferrovie dello Stato) chiamato a svolgere l'ufficio di giudice popolare, ha diritto, alla stregua della equiparazione di tale ufficio alle mansioni pubbliche elettive di cui all'art. 2-bis della legge 24 marzo 1978, n. 78 al computo dei giorni di assenza ai fini della anzianita' di servizio e della pensione, ma non anche, a differenza del dipendente pubblico al trattamento retributivo per i medesimi giorni, salvo diversa previsione di legge o di contratto, proprio in considerazione della previsione dell'aumento dell'indennita' giornaliera nel caso in cui tale previsione non esista (Cass. 4748 del 27 maggio 1987). Dalla norma, dunque, si ricava la conferma dell'inesistenza di un generalizzato diritto di ogni lavoratore dipendente alla retribuzione per il periodo in cui e' chiamato a svolgere le funzioni di giudice popolare. Infatti la suindicata norma, distinguendo tra lavoratori aventi diritto alla retribuzione per il periodo di espletamento delle funzioni di giudice popolare e lavoratori dipendenti non aventi tali diritto, e prevedendo per questi ultimi (come per i lavoratori autonomi) un aumento della indennita' giornaliera, viene a confermare, con una sorta d'interpretazione autentica, che non esiste un generalizzato diritto dei lavoratori dipendenti, chiamati ad esercitare la funzione di giudice popolare, alla corresponsione della retribuzione da parte del datore di lavoro. Non puo' dubitarsi, invero, che l'aumento dell'indennita' giornaliera abbia, nell'ipotesi prevista, funzione sostitutiva della retribuzione (Cass. 4748 cit. in motivazione). La ragione di cio' puo' essere individuata nel fatto che non sembra ragionevole porre a carico del datore di lavoro l'onere economico dell'espletamento di una funzione pubblica che deve gravare sullo Stato (art. 53 Cost.); peraltro, non prevedendo in linea generale il diritto alla retribuzione per il lavoratore dipendente chiamato alla funzione di giudice popolare, la legge non ha ne' favorito, ne' sfavorito una categoria di lavoratori rispetto ad un'altra (Cass. cit.). Il giudicante ritiene che le suddette argomentazioni meritino un ulteriore approfondimento, perche' se e' vero che non esiste un obbligo generalizzato del pagamento della retribuzione per i lavoratori dipendenti che prestino le funzioni di giudice popolare e quindi non si possono ipotizzare disparita' di trattamento in ordine alla retribuzione, cosi' non sembra in ordine all'entita' dei compensi che la legge stessa prevede. E infatti sembra chiaro che per coloro i quali mantengono il diritto alla retribuzione, prevede l'indennita' giornaliera e quella di disponibilita' si traducono questi in una sorta di gratifica in aggiunta alla retribuzione, per quanto da questa concettualmente diverse, mettendo il lavoratore in una condizione economica complessiva migliore di quella precedente all'assunzione dell'ufficio. Il lavoratore che non abbia diritto alla retribuzione si trova invece a percepire solo l'indennita' giornaliera raddoppiata e l'indennita' di reperibilita', venendosi a trovare in una condizione economica peggiore di quella anteriore all'espletamento delle funzioni di giudice popolare. La prova si ricava proprio dalla condizione in cui si e' venuto a trovare l'attore, avente la qualifica di capo stazione superiore di Vallo Scalo (SA) il quale per il periodo della sessione della Corte di assise compreso tra il 1 luglio e il 30 settembre del 1993 ha percepito, detratto il rimborso delle spese che non ha certo natura retributiva, la complessiva somma di L. 2.018.900, al lordo della ritenuta del 19%, (piu' precisamente L. 450.000 per indennita' di presenza per giorni nove, L. 1.420.000 per indennita' di reperibilita' per giorni settantuno, L. 184.500 per indennita' speciale ex legge 27/1981, L. 356.400 per indennita' di missione giornaliera per giorni nove), subendo detrazioni dalla retribuzione pari a L. 4.346.861 (1.985.000 + 2.361.861). Il Lavini era stato informato della necessita' di rendersi disponibile e reperibile per ogni giorno di durata della sessione e della possibilita' di convocazione; pertanto egli e' stato vincolato per tutta la durata della terza sessione dell'anno 1993, per la quale le udienze programmate da calendario erano per i giorni 1, 6, 7, 8, 14, 15, 16 e 22 luglio, ed ha percepito l'indennita' di L. 50.000 solo per i giorni di effettivo esercizio delle funzioni, mentre per gli altri giorni ha percepito quella di L. 20.000 prevista dall'ultimo comma dell'art. 36. Quanto alle modalita' di svolgimento del rapporto di lavoro, come noto, e come si evince dalla documentazione allegata - in particolare dal modello R27 -, esso era articolato in turni giornalieri, divisi in tre fasce, con alternanza per ogni dipendente tra ognuna di esse. In conclusione, risulta evidente che il lavoratore non avente diritto alla retribuzione nel periodo di svolgimento delle funzioni di giudice popolare si trova in una condizione economica peggiore di chi ha il diritto alla retribuzione e, oltre a questa riceve anche le indennita' per la funzione. Il solo raddoppio dell'indennita' di effettivo esercizio della funzione (L. 100.000 in luogo di L. 50.000) non e' idoneo a pareggiare lo svantaggio di non aver diritto alla retribuzione, soprattutto perche' collegato all'alea del numero delle udienze a cui il giudice popolare partecipa durante la sessione (nella specie nove in tre mesi). Si puo' dunque ipotizzare: 1) la violazione del principio di uguaglianza e di quello della sufficienza della retribuzione per l'esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia per il fatto che la indennita' per i giudici popolari non aventi diritto, quali lavoratori, alla retribuzione secondo le norme di legge o di contratto che regolano il loro rapporto, prevista dalla legge in misura fissa e non commisurata o parametrata all'entita' della retribuzione (che viene a sostituire), finendo per incidere negativamente per il periodo di svolgimento della funzione - che nella specie e' stato di non modesta durata - sulla soddisfazione delle esigenze primarie di vita e familiari del lavoratore; 2) la violazione dell'art. 3 della Costituzione per non essere razionale la parificazione, sotto il profilo economico, da detta norma attuata nei confronti di lavoratori aventi diverse retribuzioni e quindi anche diversi tenori di vita e complesso di bisogni a cui far fronte con la retribuzione, di fatto sostituta dal complesso delle suddette indennita'; 3) la violazione degli artt. 3 e 51, primo comma della Costituzione per la creazione di condizioni di disuguaglianza economica che costituiscono un ostacolo per l'accesso all'ufficio pubblico di giudice popolare da parte dei lavoratori non aventi diritto alla retribuzione, indubbiamente spinti a rinunziare all'ufficio per la mancanza di un compenso parametrato alla retribuzione. In riferimento ai profili di cui ai nn. 1) e 2) si e' a suo tempo espressa la Corte di cassazione (sentenza n. 6231 del 9 settembre 1987, in motivazione) in una vicenda in cui, a differenza di quella odierna, la questione non era rilevante. E' invece qui sicuro che a norma dell'art. 53 del c.c.n.l. per i ferrovieri vigente nel periodo in esame l'attore non aveva diritto alla retribuzione, ma solo alla aspettativa senza retribuzione e che, per effetto della mancata retribuzione da parte delle Ferrovie dello Stato e della corresponsione da parte del Ministero di grazia e giustizia della indennita' nella misura di L. 50.000 per giorno effettivo di funzioni si e' venuto a trovare in una deteriorata condizione economica alla quale puo' porre rimedio solo la richiesta dichiarazione di illegittimita' costituzionale, giacche' anche l'attribuzione della diversa indennita' di L. 100.000 al giorno comporterebbe solo un aumento complessivo del compenso di L. 450.000, lasciando intatta la condizione economica dell'attore.
P. Q. M. Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Visto l'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36, secondo comma, della legge 10 aprile 1951, n. 283, per contrasto, nei sensi di cui in motivazione con gli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 51, primo comma della Costituzione; Ordina alla cancelleria di provvedere alla notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Sospende il presente giudizio; Allega copia di risposta alla Corte di assise di Salerno del 9 giugno 1998, attestato della Corte di assise di Salerno di messa a disposizione dal 1 luglio 1993 al 30 settembre 1993, comunicazione di sospensione del pagamento dello stipendio, attestato del Monte dei Paschi di Siena di storno dal conto corrente dello stipendio, estratto conto con storno e bonifico, listino paga del sig. Lavini di settembre, ottobre e novembre 1993, ruolo paga e costituzione di debito per L. 2.361.861, documentazione attestante le modalita' di svolgimento del rapporto di lavoro del ricorrente. Vallo della Lucania, addi' 23 settembre 1999. Il giudice: Caporale 99C1125