N. 12 SENTENZA 9 - 30 gennaio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Gestione speciale INPS per i  trattamenti  pensionistici
  dei  dipendenti  degli  enti  pubblici  creditizi  privatizzati   -
  Previsione, con norma di interpretazione autentica, che la quota  a
  carico  dell'INPS  va   determinata   con   esclusivo   riferimento
  all'importo   del    trattamento    pensionistico    effettivamente
  corrisposto dal fondo di provenienza, con  esclusione  della  quota
  eventualmente erogata ai pensionati in forma capitale. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98  (Disposizioni  urgenti  per  la
  stabilizzazione finanziaria) - convertito, con modificazioni, dalla
  legge 15 luglio 2011, n. 111 - art. 18, comma 10. 
-   
(GU n.6 del 7-2-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma
10, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti  per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso  dalla  Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, nel procedimento vertente  tra  l'Istituto  nazionale
della previdenza sociale (INPS) e il Fondo pensioni per il  personale
della ex Cassa di risparmio di Torino - Banca CRT spa, con  ordinanza
del 12 aprile 2016, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 2016  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  33,  prima
serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione dell'INPS e del Fondo pensioni per
il personale ex Cassa di risparmio di Torino - Banca CRT spa, nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  9  gennaio  2018  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Sergio Preden per l'INPS, Aurelio Gentili  per
il Fondo per il personale della ex Cassa di  risparmio  di  Torino  -
Banca CRT spa e l'avvocato dello  Stato  Gabriella  Palmieri  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 aprile 2016 (reg. ord. n. 135 del 2016),
la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in  riferimento
agli artt.  3,  24,  primo  comma,  102  e  117  della  Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma 10,  del  decreto-legge  6  luglio
2011,  n.   98   (Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111,  secondo  cui  «L'articolo  3,  comma  2,  del  decreto
legislativo 20 novembre 1990, n. 357, si interpreta nel senso che  la
quota a carico della gestione speciale dei trattamenti  pensionistici
in essere alla data di entrata in vigore della legge 30 luglio  1990,
n. 218, va determinata  con  esclusivo  riferimento  all'importo  del
trattamento pensionistico effettivamente  corrisposto  dal  fondo  di
provenienza  alla  predetta  data,   con   esclusione   della   quota
eventualmente erogata ai pensionati in  forma  capitale».  L'art.  3,
comma  2,  del  decreto  legislativo  20  novembre   1990,   n.   357
(Disposizioni sulla  previdenza  degli  enti  pubblici  creditizi)  -
interpretato dalla disposizione denunciata - stabilisce, a sua volta,
che «La gestione speciale [istituita, dall'art. 1 dello stesso d.lgs.
n. 357 del 1990, per i dipendenti degli enti creditizi  pubblici  dei
quali  era  prevista  la  trasformazione  in  societa'   per   azioni
precedentemente a  carico  di  forme  di  assicurazione  esclusive  o
esonerative]  assume  a  proprio  carico,  per  ciascun  titolare  di
trattamento pensionistico in essere all'entrata in vigore della legge
30 luglio 1990, n. 218, una quota del trattamento stesso  determinata
secondo le misure percentuali  indicate  nella  tabella  allegata  al
presente decreto. Per i titolari  di  trattamenti  pensionistici  con
decorrenza tra l'entrata in vigore della legge  30  luglio  1990,  n.
218, ed il 31  dicembre  1990,  la  quota  a  carico  della  gestione
speciale  e'  determinata  secondo  la  disciplina  in   vigore   per
l'assicurazione  generale  obbligatoria  ai  fini   del   diritto   e
dell'ammontare del trattamento stesso». 
    1.1.- La Corte di cassazione riferisce  in  punto  di  fatto:  di
essere investita del ricorso proposto dall'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS) nei confronti del  Fondo  pensioni  per  il
personale della ex Cassa di risparmio di Torino - Banca CRT  spa  (di
seguito anche: il Fondo) avverso la sentenza della Corte d'appello di
Torino 1° febbraio 2010, n.  82;  che  con  tale  sentenza  la  Corte
d'appello, confermando la decisione del Tribunale  di  Torino,  aveva
accolto la domanda del Fondo e aveva condannato  l'INPS  a  rifondere
allo stesso (nella misura percentuale prevista dalla Tabella allegata
al d.lgs. n. 357 del 1990) la quota del trattamento pensionistico  da
esso erogata, ai pensionati  che  lo  avessero  richiesto,  in  forma
capitale; che  tale  decisione  della  Corte  d'appello  aveva  fatto
proprio l'orientamento espresso dalla  Corte  di  cassazione  con  la
sentenza 20 gennaio  2006,  n.  1093  sulla  scorta  di  una  lettura
dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 357 del  1990  ritenuta  conforme
alla  legge  di  delegazione  30  luglio  1990,   n.   218,   recante
«Disposizioni  in  materia   di   ristrutturazione   e   integrazione
patrimoniale degli istituti  di  credito  di  diritto  pubblico»  (in
particolare, al criterio direttivo  dettato  dall'art.  3,  comma  3,
lettera a, di tale  legge,  secondo  cui  la  quota  di  pensione  di
pertinenza della gestione speciale dell'INPS andava  determinata  con
riferimento al  «trattamento  complessivamente  erogato»);  che,  con
l'unico motivo di ricorso per cassazione, l'INPS aveva  lamentato  la
violazione e la falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 218 del
1990 e dell'art. 3 del d.lgs. n. 357 del 1990, deducendo che, in base
alla lettera di quest'ultima disposizione - la' dove  fa  riferimento
al trattamento pensionistico «in essere» - il calcolo della quota  di
trattamento posta  a  carico  della  gestione  speciale  deve  essere
effettuato con  riguardo  alla  pensione  corrente,  cioe'  a  quella
concretamente erogata in  rendita,  non  comprensiva,  quindi,  della
quota capitalizzata; che, con memoria  ai  sensi  dell'art.  378  del
codice di procedura civile,  l'INPS  ha  chiesto  l'accoglimento  del
ricorso  sulla  base  della  sopravvenuta  norma  di  interpretazione
autentica di cui all'art. 18, comma 10, del d.l. n. 98 del 2011;  che
il Fondo ha sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
tale disposizione sotto due profili, in riferimento, rispettivamente,
agli artt. 3, 24, primo comma, e 102 Cost., e agli  artt.  24,  primo
comma, 102 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.  6  della
CEDU. 
    1.2.-  La   Corte   rimettente   ritiene   tali   questioni   non
manifestamente infondate. 
    1.2.1.-   Quanto   al   primo   dei   prospettati   profili    di
incostituzionalita', il giudice a quo afferma che,  data  l'esistenza
di un orientamento interpretativo giurisprudenziale di segno  opposto
rispetto a quello  fatto  proprio  dalla  censurata  disposizione  di
interpretazione  autentica,  difetta  «una  situazione  di  oggettiva
incertezza» e deve escludersi che tale  disposizione  «sia  valsa  ad
asseverare una possibile variante di senso del testo originario della
norma oggetto di interpretazione». 
    Da cio' discenderebbe, sempre secondo  la  Corte  rimettente,  il
superamento  dei  limiti  all'efficacia   retroattiva   delle   leggi
individuati dalla Corte costituzionale e da essa ritenuti presidio di
fondamentali valori di civilta'  giuridica,  quali  il  principio  di
ragionevolezza, la tutela del legittimo affidamento, quale  principio
connaturato  allo  Stato  di  diritto,  la  coerenza  e  la  certezza
dell'ordinamento   giuridico   e   il   rispetto    delle    funzioni
costituzionalmente  riservate   al   potere   giudiziario,   con   la
conseguente violazione degli artt. 3, 24, primo comma, e 102 Cost. 
    1.2.2.-   Quanto   al   secondo   degli   eccepiti   profili   di
incostituzionalita', la Corte di cassazione  asserisce  che  l'ambito
soggettivo di efficacia della disposizione denunciata e'  «di  fatto»
limitato al Fondo, «difettando essa di portata generale», ed essendo,
quindi, diretta a  modificare  la  «condizione  giuridica  dell'unico
soggetto destinatario, per di piu' in  concomitanza  del  contenzioso
che oppone questo all'INPS», al fine, espressamente dichiarato  nella
relazione di accompagnamento «al progetto di  legge  presentato  alla
Camera  dei  Deputati»,  di  condizionare   l'esito   dello   stesso,
sollevando l'Istituto da un onere economico. 
    Per tali ragioni, il censurato art. 18, comma 10,  interferirebbe
con le funzioni costituzionalmente riservate al  potere  giudiziario,
in contrasto con il principio  dell'art.  6  della  CEDU,  che  vieta
l'ingerenza del legislatore nell'amministrazione della giustizia  per
influenzare  l'esito   di   particolari   controversie,   integrando,
pertanto, la violazione degli artt. 24, primo comma, 102 e 117  Cost.
(quest'ultimo in relazione al citato parametro convenzionale). 
    1.3.- Quanto alla rilevanza delle questioni, la Corte rimettente,
premessa la natura interpretativa e la conseguente retroattivita' del
denunciato art. 18, comma 10, afferma che, in  base  all'orientamento
da essa  gia'  espresso  con  la  sentenza  n.  1093  del  2006,  «la
declaratoria di illegittimita' costituzionale [...] comporterebbe  il
rigetto  del  ricorso  [...]   proposto   dall'INPS,   tenuto   conto
dell'assenza di altre decisioni di senso contrario e  della  coerenza
del testo normativo con i criteri posti dalla legge delega». 
    2.- Si e' costituito  nel  giudizio  il  Fondo  pensioni  per  il
personale della ex Cassa di risparmio di  Torino  -  Banca  CRT  spa,
resistente  nel  processo  principale,  chiedendo  che  le  questioni
sollevate siano dichiarate fondate. 
    2.1.- Il Fondo chiarisce anzitutto quale sia, alla luce dell'art.
12 delle disposizioni preliminari al codice  civile,  il  significato
dell'art. 3, comma 2, del  d.lgs.  n.  357  del  1990,  che,  con  la
locuzione «trattamento pensionistico in essere», non intendeva  certo
dare una definizione di trattamento pensionistico diversa  da  quella
utilizzata dalla legge di delegazione n. 218 del  1990,  ma  soltanto
differenziare, nei suoi  due  periodi,  in  relazione  alla  data  di
maturazione  del  diritto  alla  pensione,  le  modalita'   con   cui
determinare la quota del complessivo trattamento posta a carico della
gestione speciale. Il riferimento al «trattamento  [...]  in  essere»
attiene, pertanto, ai soggetti percettori della  pensione  e  non  al
credito da essi percepito. Tale lettura dell'art.  3,  comma  2,  del
d.lgs. n. 357 del 1990 sarebbe pure  coerente  con  l'istituto  della
capitalizzazione, per il quale anche la quota capitalizzata  continua
a costituire parte integrante della pensione in essere. 
    2.2.- Il Fondo prosegue asserendo che il  significato  attribuito
all'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 357 del  1990  dalla  disposizione
denunciata e' «semanticamente e tecnicamente escluso» in  quanto:  la
locuzione «trattamento in essere» indica il complesso del trattamento
pensionistico, del quale fanno parte  anche  le  eventuali  pregresse
capitalizzazioni;   e'   irrazionale   e   contraddittorio,   perche'
irragionevolmente escluderebbe anche i ratei di rendita futuri  e  le
pensioni   di   reversibilita'   che    venissero    a    maturazione
successivamente; contrasta con la legge di  delegazione  n.  218  del
1990; contraddice l'intento di bilanciamento degli oneri tra fondi  e
gestione speciale perseguito dalla legge n. 218 del 1990 e dal d.lgs.
n. 357 del 1990, facendo irragionevolmente variare l'onere del  Fondo
in ragione del fatto che il  pensionato  abbia  o  no  esercitato  la
facolta'  di  chiedere  la  capitalizzazione;   contrasta   «con   il
necessario impianto sistematico  della  materia  pensionistica»,  che
mostra come la quota di pensione capitalizzata  conservi  la  propria
rilevanza  ogni  qual  volta  si  debba  prendere  a  riferimento  il
trattamento pensionistico. 
    Il Fondo deduce poi che il denunciato art. 18, comma 10, abbia un
unico destinatario - costituendo, percio', una norma ad personam -  e
sia stato adottato  al  fine  di  influire  sull'esito  del  giudizio
principale, sottolineando che: la norma e' intervenuta a distanza  di
ventuno anni dalla disposizione da essa interpretata; in  precedenza,
quest'ultima aveva dato origine a un  unico  giudizio,  promosso  dal
Fondo pensioni per il personale della  Cassa  di  risparmio  Vittorio
Emanuele per le  province  siciliane  e  definito  con  la  ricordata
sentenza della Corte di cassazione n. 1093 del 2006; quella di cui al
giudizio principale e' l'unica ulteriore controversia con  lo  stesso
oggetto perche' non esistono altri enti con  fondi  gia'  esonerativi
che  prevedano  la  capitalizzazione  della  pensione;  lo  scopo  di
influire sull'esito del giudizio principale e' esplicito  negli  atti
parlamentari (e' citata, in particolare, la  scheda  di  lettura  del
d.l. n. 98 del 2011 redatta  dal  Servizio  studi  della  Camera  dei
deputati, nella quale, richiamando la Relazione tecnica,  si  afferma
che «la norma interpretativa [...] e' finalizzata ad evitare  che,  a
causa del contenzioso in atto, si determini una  maggiore  spesa  per
l'ente previdenziale (nell'ordine di oltre 45  milioni  di  euro,  in
riferimento al contenzioso in atto [...])» e che la «misura [indicata
nella Tabella allegata al d.lgs. n. 357  del  1990]  e',  per  quanto
riguarda la ex Cassa di risparmio di Torino, pari all'85 per cento»). 
    2.3.- Ad avviso del Fondo,  il  denunciato  art.  18,  comma  10,
contrasterebbe con gli artt. 3, 24, primo comma, e 102 Cost., sia  se
«fosse  da  intendere  come  effettiva   norma   di   interpretazione
autentica»,  sia  se  «fosse  da  intendere  come  norma   innovativa
retroattiva». 
    2.3.1.- Con  riguardo  alla  prima  di  tali  ipotesi,  la  parte
costituita rappresenta che, nella  specie  non  vi  erano  incertezze
sull'applicazione    di    una     disposizione     ne'     contrasti
giurisprudenziali;  l'interpretazione  imposta  dal  legislatore  non
rientra  tra  le  possibili  varianti  di  senso  della  disposizione
interpretata; la chiarezza di questa e l'orientamento  unanime  della
giurisprudenza hanno creato un giustificato affidamento; si  viene  a
determinare un contrasto tra la legge di  delegazione  e  il  decreto
delegato;   l'interpretazione   imposta    dal    legislatore    crea
un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  con   i   casi   gia'
giudicati;  «l'ordinamento  giuridico  diverrebbe   incoerente»;   la
funzione giurisdizionale sarebbe turbata. 
    2.3.2.- Con riguardo al caso in  cui  la  disposizione  censurata
«fosse da intendere come  norma  innovativa  retroattiva»,  il  Fondo
sottolinea che «i limiti costituzionali si sganciano  dalla  (vera  o
falsa)   interpretazione   autentica   e    si    frappongono    alla
retroattivita'» e deduce  che,  nella  specie,  l'innovazione  recata
dall'art. 18, comma 10, del d.l. n. 98  del  2011,  determinando  una
contraddizione tra la legge di delegazione  e  il  decreto  delegato,
mina la coerenza e la certezza  dell'ordinamento  giuridico;  frustra
l'intento di bilanciamento degli oneri tra fondi e gestione  speciale
perseguito dalla legge n. 218 del 1990 e dal d.lgs. n. 357 del  1990;
discrimina irragionevolmente tra fondi; vanifica l'affidamento creato
nel  Fondo  circa  l'onere  da  sostenere;  decide  la   controversia
principale con una norma ad personam e in senso  opposto  alla  legge
vigente al tempo della domanda e al diritto vivente. 
    2.4.- Il Fondo deduce poi il contrasto dell'art.  18,  comma  10,
del d.l. n. 98 del 2011 con gli artt. 6 e 14  della  CEDU  e  con  il
«Protocollo n. 12», nonche' «[u]lteriori  ragioni  di  illegittimita'
costituzionale». 
    La parte ribadisce che la disposizione denunciata  e'  una  norma
innovativa ad personam - come confermato dal fatto che dai  «dati  di
carattere normativo [...] si evince  che  [...]  il  Fondo  [...]  e'
l'unico a trovarsi nella situazione su cui vuole  incidere  la  legge
sedicente interpretativa» - che ha lo  scopo  specifico,  esplicitato
anche dagli atti parlamentari, di  interferire  con  il  giudizio  in
corso. 
    Per tali ragioni, l'art. 18, comma 10, del d.l. n. 98  del  2011,
viola, per il tramite dell'art. 117 Cost., l'art. 6 della CEDU. 
    3.- Si  e'  costituito  anche  l'INPS,  ricorrente  nel  processo
principale, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate non
fondate. 
    3.1.-  Quanto  al  primo  dei  profili   di   incostituzionalita'
prospettati  dal  rimettente,  l'INPS  afferma   anzitutto   che   il
denunciato art. 18, comma 10, ha attribuito all'art. 3, comma 2,  del
d.lgs. n. 357 del  1990,  una  della  possibili  varianti  di  senso,
pienamente compatibile con il suo tenore letterale  nonche'  coerente
con le altre disposizioni dello stesso d.lgs.  n.  357  del  1990.  A
sostegno di tale assunto, l'Istituto deduce  che:  tale  decreto  non
contiene alcuna norma che  affermi  espressamente  che  la  quota  di
pensione a carico della  gestione  speciale  debba  essere  calcolata
sull'ammontare del trattamento inteso come  comprensivo  della  parte
eventualmente  gia'  erogata  in  capitale  e,  anzi,  la   locuzione
«trattamento pensionistico in  essere  all'entrata  in  vigore  della
legge 30 luglio 1990, n. 218», che figura nell'art. 3, comma  2,  ben
si presta a essere intesa come riferita all'ammontare  del  rateo  di
pensione in corso di pagamento alla suddetta data; l'art. 3, comma 1,
nell'includere   l'«ammontare   relativo   a   ciascuna    mensilita'
dell'ultimo anno» tra i dati che, per  ciascun  pensionato,  dovevano
essere forniti dai fondi all'INPS, utilizza il termine  «mensilita'»,
il quale corrobora il convincimento che il legislatore, ai  fini  del
calcolo della quota da porre a carico della gestione speciale,  abbia
voluto prendere a riferimento l'importo del rateo mensile in corso di
pagamento; l'art. 4, comma 2, prevede che  la  quota  di  pensione  a
carico della gestione speciale  e'  incrementata  per  effetto  della
«disciplina della perequazione automatica»,  cio'  che  puo'  trovare
spiegazione soltanto qualora tale quota sia stata  determinata  sulla
parte di pensione dovuta sotto forma di rendita; l'art.  6  contempla
dei «sistemi di conguaglio» tra le somme per prestazioni erogate  dai
fondi per conto dell'INPS e «i contributi allo stesso dovuti»,  cioe'
un meccanismo che «presuppone che oggetto delle  compensazioni  siano
somme in corso di pagamento»; l'art. 3, comma  1  (recte:  comma  3),
della legge n. 218 del 1990 delegava il  Governo  a  disciplinare  il
trattamento previdenziale dei dipendenti  degli  enti  creditizi  dei
quali era prevista la trasformazione in societa' per azioni  «secondo
le  norme  dell'assicurazione   generale   obbligatoria»,   finalita'
rispetto alla quale non sarebbe  «appieno  conforme»  accollare  alla
gestione speciale i costi di capitalizzazione della pensione. 
    Sempre  con  riguardo  al  primo  dei  prospettati   profili   di
incostituzionalita',  l'INPS  afferma,  in  secondo  luogo,  che   il
denunciato art. 18, comma 10, e' valso a risolvere «una situazione di
oggettiva incertezza». A sostegno della sussistenza di questa, l'INPS
deduce: da un canto, di avere immediatamente sostenuto, sin da subito
dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 357 del 1990 (con le circolari
19 aprile 1991, n. 104, e 28 dicembre 1991, n. 295), che la  quota  a
carico della gestione speciale  andava  determinata  al  netto  della
parte  di  pensione  eventualmente  gia'  corrisposta  dai  fondi  in
capitale; d'altro canto, che  l'opposto  orientamento  interpretativo
della Corte di cassazione era stato espresso in  un'unica  pronuncia,
resa in una causa nella quale l'esito dei due gradi  di  giudizio  di
merito era stato difforme, sicche' non potrebbe affermarsi  che  esso
era consolidato. 
    3.2.-  Quanto  al  secondo  dei  profili  di  incostituzionalita'
prospettati  dal  rimettente,  l'INPS  deduce  anzitutto,  sul  piano
generale, che, secondo l'orientamento della Corte costituzionale, per
un verso, non esisterebbe un  principio  secondo  cui  la  necessaria
incidenza delle norme retroattive sui giudizi in  corso  si  porrebbe
automaticamente in contrasto con la CEDU e, per altro verso,  sarebbe
legittimo  un  intervento  normativo  che,  per   porre   rimedio   a
un'imperfezione tecnica della legge  interpretata,  ne  ristabilisca,
con   legge    retroattiva,    un'interpretazione    piu'    aderente
all'originaria volonta' del legislatore. 
    Nel  caso  di  specie,  sarebbe  proprio   l'argomentata   natura
realmente interpretativa della disposizione denunciata  a  confortare
«ancor di piu'» il convincimento dell'insussistenza di una violazione
del diritto a un giusto processo. Infatti,  posta  la  compatibilita'
letterale  e  logica  di  tale  disposizione  con  quella   da   essa
interpretata, non sarebbe possibile addebitare all'art. 18, comma 10,
del d.l. n.  98  del  2011  di  avere  interferito  con  la  funzione
giurisdizionale, risultando, viceversa, palese che  l'intervento  con
esso operato era ispirato esclusivamente dall'intento di  ristabilire
l'autentica  volonta'  del  legislatore,   considerata   l'imperfetta
formulazione dell'interpretato art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 357 del
1990, che,  infatti,  si  prestava  ad  almeno  due  opposte  opzioni
esegetiche, entrambe plausibili. 
    L'INPS conclude affermando che il principio del giusto  processo,
previsto  dall'art.  6   della   CEDU,   non   e'   violato   perche'
l'interpretazione autentica sancita dal denunciato art. 18, comma 10,
non costituisce un'imprevedibile alterazione  o  modificazione  della
disposizione interpretata ma rappresenta,  piuttosto,  un  definitivo
avallo di un'opzione esegetica agevolmente ricavabile da essa. 
    Tale  conclusione  non  sarebbe  smentita  dall'osservazione  del
giudice a  quo  secondo  cui  la  relazione  di  accompagnamento  «al
progetto di legge presentato alla  Camera  dei  Deputati»  renderebbe
esplicito che il fine dell'art. 18, comma 10, del d.l. n. 98 del 2011
era quello di condizionare l'esito del contenzioso che coinvolgeva il
Fondo. Tale argomentazione sarebbe  infatti  destinata  a  cedere  di
fronte  all'argomentata   genuina   funzione   interpretativa   della
disposizione denunciata. 
    Neppure varrebbe a fondare l'illegittimita' dell'art.  18,  comma
10, del d.l. n.  98  del  2011  l'ulteriore  asserzione  della  Corte
rimettente secondo cui esso non avrebbe portata generale  ma  avrebbe
come  unico  destinatario  il  Fondo.  Ad  avviso   dell'INPS,   tale
affermazione sarebbe erronea  in  quanto  la  disposizione  censurata
riguarda tutti  gli  enti  creditizi,  in  numero  totale  di  dieci,
contemplati nell'allegato al d.lgs. n. 357 del 1990, e ha, quindi, un
ambito soggettivo di  applicazione  che  coincide  con  quello  della
disposizione interpretata. La  circostanza  che,  fra  i  dieci  enti
menzionati, il censurato art. 18, comma 10, «finisce per  riguardare»
solo quelli i cui fondi pensionistici prevedevano la possibilita'  di
chiedere l'erogazione di una  quota  di  pensione  in  capitale,  non
toglie che la stessa disposizione «sia destinata a  trovare  astratta
applicazione nei confronti di tutti i Fondi che tale capitalizzazione
prevedevano». 
    Non  avrebbe,  infine,  «decisivo  rilievo»  il  fatto  che,  nei
confronti  di  uno  dei  fondi  che   prevedevano   la   possibilita'
dell'erogazione in capitale di una quota di pensione, sia intervenuta
sentenza passata in giudicato. 
    4.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili o infondate. 
    4.1.- Quanto al primo profilo di censura sollevato dalla Corte di
cassazione,  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   afferma
anzitutto che la pendenza del giudizio principale  dimostra,  di  per
se', l'esistenza di un contenzioso tra l'INPS e i fondi pensionistici
per i dipendenti degli enti creditizi e che  l'orientamento  espresso
da un'unica sentenza di  legittimita'  non  puo'  essere  considerato
espressivo  ne'  di  una  linea  interpretativa  univoca  ne'  di  un
orientamento giurisprudenziale consolidato. 
    L'interveniente afferma che l'interpretazione dell'art. 3,  comma
2, del d.lgs. n. 357 del 1990, fornita dall'INPS con la circolare  n.
295 del 1991,  si  fondava  sul  fatto  che  tale  disposizione,  col
prevedere l'assunzione, da parte  della  gestione  speciale,  di  una
quota  del  trattamento  pensionistico  «in  essere»,  non   sembrava
riferibile agli importi gia' erogati a  titolo  di  capitalizzazione.
Cio' sarebbe confermato dall'art. 3, comma 3, del d.lgs. n.  357  del
1990, secondo cui le quote a  carico  della  gestione  speciale  sono
assoggettate alla disciplina della perequazione automatica. 
    Il censurato art. 18, comma 10, non sarebbe dunque  irragionevole
perche' si limita ad assegnare all'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 357
del 1990 un significato gia' in esso contenuto. 
    4.2.- Quanto al secondo profilo di censura sollevato dalla  Corte
di cassazione, il Presidente del Consiglio dei ministri nega  che  la
disposizione denunciata contrasti con l'art. 6 della CEDU atteso  che
essa e' motivata dall'intento non di assicurare allo Stato  un  esito
favorevole dei giudizi in cui esso era parte ma di sciogliere i dubbi
interpretativi manifestatisi in sede  di  applicazione  dell'art.  3,
comma 2, del d.lgs. n. 357 del 1990. 
    L'interveniente ribadisce che il censurato art. 18, comma 10, pur
avendo efficacia retroattiva, non e' innovativo perche' e' rivolto  a
chiarire la portata di una disposizione precedente, esplicitando  uno
dei significati a essa  ragionevolmente  ascrivibili,  sicche',  alla
luce della giurisprudenza  costituzionale,  sfugge  alle  censure  di
illegittimita' costituzionale. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  sottolinea  ancora  che
neppure la Corte EDU ha affermato un divieto assoluto  di  interventi
legislativi retroattivi e afferma che la retroattivita' non e' di per
se'   causa    di    illegittimita'    costituzionale    in    quanto
l'interpretazione   autentica,   se   assegna    alla    disposizione
interpretata un  significato  che  costituisce  una  delle  possibili
letture della stessa, non viola ne' il canone  della  ragionevolezza,
ne' il principio dell'affidamento ne', infine, l'art. 6 della CEDU. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  deduce  ancora  che  il
denunciato art. 18,  comma  10,  da  un  lato,  assicura  coerenza  e
razionalita'  al  sistema,  dall'altro,  tiene  conto,  nella  giusta
misura, dell'esigenza di garantire l'equilibrio tra mezzi disponibili
e prestazioni previdenziali erogate, in ossequio sia all'art. 3 Cost.
- che impone il rispetto dell'eguaglianza formale e sostanziale - sia
al vincolo imposto dall'art. 81,  quarto  comma,  Cost.  Da  cio'  il
rispetto  dell'art.  6  della  CEDU,   sussistendo   quelle   ragioni
imperative d'interesse generale che legittimano,  ai  sensi  di  tale
parametro interposto, interventi interpretativi e retroattivi. 
    L'interveniente conclude che la disposizione censurata  e'  stata
adottata al fine di  escludere  effetti  onerosi,  di  entita'  molto
rilevante, tali da compromettere gli equilibri di finanza pubblica  e
gli impegni assunti dall'Italia con l'Unione europea  in  materia  di
contenimento della spesa pensionistica. 
    5.- In prossimita' dell'udienza pubblica, sia il  Fondo  pensioni
per il personale della ex Cassa di risparmio di Torino  -  Banca  CRT
spa che l'INPS hanno depositato memorie, con le quali,  nel  ribadire
le  argomentazioni  e  le  conclusioni  gia'  rassegnate,  replicano,
altresi', alle deduzioni avversarie. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,  dubita  -   in
riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102 e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848  -  della
legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 10, del decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111,  con  il  quale  il  legislatore  ha  (dichiaratamente)
interpretato  autenticamente  l'art.  3,   comma   2,   del   decreto
legislativo 20 novembre 1990, n. 357 (Disposizioni  sulla  previdenza
degli enti pubblici creditizi). 
    1.1.- Per  comprendere  le  ragioni  delle  censure  della  Corte
rimettente,  e'  necessario  ricostruire  preliminarmente  il  quadro
normativo e giurisprudenziale in cui esse si inseriscono. 
    Nell'ambito - e in conseguenza - della cosiddetta privatizzazione
degli enti pubblici creditizi,  la  legge  30  luglio  1990,  n.  218
(Disposizioni  in  materia   di   ristrutturazione   e   integrazione
patrimoniale degli istituti di credito  di  diritto  pubblico),  agli
artt. 3, comma 3, e 6, delego'  il  Governo  a  emanare  decreti  con
valore di legge  ordinaria  diretti,  tra  l'altro,  a  disciplinare,
secondo  le  norme  dell'assicurazione  generale   obbligatoria   per
l'invalidita',  la  vecchiaia  e   i   superstiti,   il   trattamento
previdenziale dei dipendenti in servizio e in quiescenza  degli  enti
pubblici creditizi che, alla data di entrata in vigore  della  stessa
legge,  erano  esclusi  o  esonerati   dall'obbligo   di   iscrizione
all'assicurazione  generale  obbligatoria,  in  quanto  la   relativa
materia era disciplinata, rispettivamente, dall'allegato  T  all'art.
39 della legge 8 agosto 1895, n.  486  (Legge  sui  provvedimenti  di
finanza e di tesoro) e dall'art. 15 della legge 20 febbraio 1958,  n.
55 (Estensione del trattamento di riversibilita' ed altre provvidenze
in favore  dei  pensionati  dell'assicurazione  obbligatoria  per  la
invalidita',  la  vecchiaia  ed  i  superstiti).  Si   trattava,   in
particolare, da un lato, del Banco di Napoli e del Banco  di  Sicilia
e, dall'altro, di altri  otto  enti  pubblici  creditizi  (l'Istituto
bancario San Paolo di Torino, la Cassa di  risparmio  delle  province
lombarde, il Monte dei Paschi di Siena,  la  Cassa  di  risparmio  di
Torino, la Cassa di risparmio  di  Firenze,  la  Cassa  di  risparmio
Vittorio Emanuele per le province siciliane, la Cassa di risparmio di
Padova e Rovigo e la Cassa di risparmio di Asti). 
    Il d.lgs. n. 357 del 1990 - con cui la  delega  fu  esercitata  -
stabili'  la  soppressione  dei  regimi  pensionistici  esclusivi   o
esonerativi dei menzionati enti pubblici creditizi (art. 5, comma  1)
e  la  riconduzione  dei  loro  dipendenti  (attuali,  futuri  e   in
quiescenza), a decorrere dal periodo di paga in corso al  1°  gennaio
1991,   nell'ambito   dell'assicurazione    generale    obbligatoria,
attraverso l'iscrizione degli stessi  in  una  neoistituita  gestione
speciale dell'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS)
(art. 1, commi 1 e 2). Stabili' inoltre la contestuale trasformazione
dei fondi o casse degli ex  regimi  esonerati  in  fondi  integrativi
dell'assicurazione generale obbligatoria, con affidamento agli stessi
- o, nel caso degli ex regimi esclusivi, direttamente  ai  datori  di
lavoro - della funzione di  garantire  il  trattamento  previdenziale
complessivo di maggior favore gia' goduto dai dipendenti in  servizio
o in pensione al 31 dicembre 1990 (rispettivamente, art. 5, comma  2,
e art. 4). 
    In particolare, con  riguardo  ai  dipendenti  gia'  titolari  di
trattamento pensionistico in essere all'entrata in vigore della legge
n. 218 del 1990 (cioe' al 21 agosto 1990), e' stato previsto che:  la
gestione  speciale  assumesse  a  proprio  carico   una   quota   del
trattamento, determinata secondo le misure percentuali indicate,  per
ciascuno dei regimi soppressi, nella tabella allegata  al  d.lgs.  n.
357 del 1990 (art. 3, comma 2, primo periodo); i fondi integrativi  o
i datori di lavoro assumessero a proprio  carico  la  differenza  tra
tale  quota  -  incrementata  per  effetto  della  disciplina   della
perequazione  automatica  dell'assicurazione  generale   obbligatoria
(art. 3, comma 3) - e il  trattamento  previdenziale  complessivo  di
maggior favore cui i pensionati avrebbero avuto diritto  in  base  ai
soppressi regimi esclusivi o esonerativi (artt.  3,  comma  4,  e  4,
comma 2). 
    L'art. 3, comma 2, del d.lgs. n.  357  del  1990,  oggetto  della
denunciata   norma   di    interpretazione    autentica,    stabili',
testualmente, che «La gestione speciale assume a proprio carico,  per
ciascun titolare di trattamento pensionistico in  essere  all'entrata
in vigore  della  legge  30  luglio  1990,  n.  218,  una  quota  del
trattamento stesso determinata secondo le misure percentuali indicate
nella tabella  allegata  al  presente  decreto.  Per  i  titolari  di
trattamenti pensionistici con  decorrenza  tra  l'entrata  in  vigore
della legge 30 luglio 1990, n. 218, ed il 31 dicembre 1990, la  quota
a carico della gestione speciale e' determinata secondo la disciplina
in vigore per  l'assicurazione  generale  obbligatoria  ai  fini  del
diritto e dell'ammontare del trattamento stesso». 
    Tale disposizione pose un problema interpretativo  riguardante  i
casi in  cui  i  titolari  di  trattamento  pensionistico  in  essere
all'entrata in vigore della legge n. 218 del 1990 si fossero  avvalsi
della facolta' - prevista da alcuni dei soppressi regimi esclusivi  o
esonerativi - di capitalizzare  parte  della  pensione  all'atto  del
collocamento a riposo. In particolare, sorse il dubbio  se,  in  tali
casi, la quota posta a carico della gestione speciale dovesse  essere
determinata applicando le percentuali indicate nella tabella allegata
al d.lgs. n. 357 del 1990 all'importo del  trattamento  pensionistico
effettivamente  erogato  dal  regime  esclusivo  o   esonerativo   di
provenienza al momento dell'entrata in vigore della legge n. 218  del
1990 (senza considerare, quindi, quanto gia'  capitalizzato),  oppure
all'importo, "ideale" o  "teorico",  che  sarebbe  stato  corrisposto
dallo stesso regime se l'interessato non avesse, a suo tempo, chiesto
e ottenuto la capitalizzazione. 
    Una interpretazione - piu' favorevole all'INPS poiche'  escludeva
che la gestione speciale si dovesse  fare  carico,  nelle  menzionate
misure percentuali, anche della parte del  trattamento  previdenziale
dei  dipendenti  degli  enti  pubblici  creditizi   che   era   stata
precedentemente capitalizzata - fu sostenuta dall'Istituto  gia'  con
la circolare 19 aprile 1991, n. 104, e fu successivamente  confermata
con la circolare 28 dicembre 1991, n. 295. 
    A favore di un'altra interpretazione si e'  pronunciata,  diversi
anni dopo, la Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 20
gennaio 2006, n. 1093. Sulla scorta di una lettura ritenuta  conforme
alla legge di delegazione n.  218  del  1990  -  in  particolare,  al
criterio direttivo per cui la quota di pensione di  pertinenza  della
gestione speciale dell'INPS andava  determinata  con  riferimento  al
«trattamento complessivamente erogato» (art. 3, comma 3, lettera a) -
essa ha tratto dall'art. 3, comma 2,  del  d.lgs.  n.  357  del  1990
l'opposta regola secondo  cui  la  gestione  speciale  e'  tenuta  ad
assumere a proprio carico, nella prevista misura  percentuale,  anche
la parte dei trattamenti pensionistici eventualmente  gia'  liquidata
in   forma   capitale   (in   quanto   compresa   nel    «trattamento
complessivamente erogato»). 
    Il censurato art. 18, comma 10,  del  d.l.  n.  98  del  2011  si
colloca  in  questo  quadro  di  riferimento.  In   senso   contrario
all'orientamento espresso dalla Corte di cassazione con  la  sentenza
n. 1093 del 2006, esso ha stabilito che «L'articolo 3, comma  2,  del
decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, si interpreta nel senso
che la  quota  a  carico  della  gestione  speciale  dei  trattamenti
pensionistici in essere alla data di entrata in vigore della legge 30
luglio  1990,  n.  218,  va  determinata  con  esclusivo  riferimento
all'importo del trattamento pensionistico effettivamente  corrisposto
dal fondo di provenienza alla predetta  data,  con  esclusione  della
quota eventualmente erogata ai pensionati in forma capitale». 
    1.2.- Nel sollevare le questioni di  legittimita'  costituzionale
di tale disposizione, la  Corte  di  cassazione  premette  di  essere
chiamata a pronunciarsi sul  ricorso  proposto  dall'INPS  contro  il
Fondo pensioni per il personale della ex Cassa di risparmio di Torino
- Banca CRT spa (di seguito anche il Fondo) avverso la sentenza n. 82
della Corte d'appello di Torino, depositata il 1° febbraio 2010,  con
la quale tale giudice, nel rigettare l'appello dell'INPS, ritenne  di
dare   continuita'   all'orientamento   espresso   dalla   Corte   di
legittimita' con la sentenza  n.  1093  del  2006  e  di  confermare,
pertanto,  la  decisione  del  Tribunale  di   Torino   di   condanna
dell'Istituto  a  rimborsare  al   Fondo   (deve   ritenersi,   nella
percentuale prevista dalla tabella allegata  al  d.lgs.  n.  357  del
1990)  la  parte  di  pensione  da   esso   erogata,   all'atto   del
pensionamento, in forma capitale. 
    La Corte rimettente reputa le questioni rilevanti nel giudizio  a
quo in quanto,  posta  la  natura  interpretativa  e  la  conseguente
retroattivita' dell'art. 18, comma 10, del d.l.  n.  98  del  2011  -
intervenuto  nelle  more  del  giudizio  di  cassazione  -  in   base
all'orientamento da essa gia' espresso con la sentenza  n.  1093  del
2006,  «la  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale   [dello
stesso]  comporterebbe  il  rigetto  del   ricorso   [...]   proposto
dall'INPS, tenuto conto dell'assenza  di  altre  decisioni  di  senso
contrario e della coerenza del testo normativo con  i  criteri  posti
dalla legge delega». 
    Secondo lo stesso giudice a quo, il denunciato art. 18, comma 10,
sarebbe incostituzionale sotto due profili. 
    Esso violerebbe, in primo luogo, gli artt. 3, 24, primo comma,  e
102 Cost., perche', in presenza di un orientamento  giurisprudenziale
di segno opposto, dovrebbe escludersi che sia valso a  risolvere  una
situazione  di  incertezza   sull'applicazione   della   disposizione
interpretata o ad asseverare una possibile variante di senso del  suo
testo originario. Si supererebbero, dunque,  i  limiti  all'efficacia
retroattiva delle leggi individuati da questa Corte e attinenti  alla
salvaguardia di fondamentali valori di civilta' giuridica,  quali  il
principio di ragionevolezza, la tutela del legittimo affidamento,  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico e il rispetto delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. 
    La disposizione denunciata  violerebbe,  in  secondo  luogo,  gli
artt. 24, primo comma, 102 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della CEDU, perche', avendo un ambito soggettivo
di efficacia «di fatto» limitato al Fondo pensioni per  il  personale
della ex Cassa di risparmio di Torino - Banca  CRT  spa  ed  essendo,
quindi, diretto a modificare la «condizione giuridica [di tale] unico
[...] destinatario, per di piu' in concomitanza del  contenzioso  che
oppone questo all'INPS», con  lo  scopo  -  espressamente  dichiarato
nella «relazione di accompagnamento al progetto di  legge  presentato
alla Camera dei  Deputati»  -  di  condizionarne  l'esito  sollevando
l'Istituto  dal  relativo  onere  economico,  interferirebbe  con  le
funzioni  costituzionalmente   riservate   al   potere   giudiziario,
ingerendosi  nell'amministrazione  della   giustizia   al   fine   di
influenzare l'esito di una particolare controversia. 
    2.-  Va  preliminarmente  rilevato  che,  nel  proprio  atto   di
costituzione in giudizio, il Fondo pensioni per il personale della ex
Cassa di risparmio di Torino - Banca CRT spa ha dedotto la violazione
di parametri ulteriori rispetto a quelli indicati  nell'ordinanza  di
rimessione, in particolare, dell'art. 14 della CEDU e del «Protocollo
n. 12». 
    Tali censure si traducono in questioni non sollevate dal  giudice
rimettente e sono, pertanto, inammissibili.  In  base  alla  costante
giurisprudenza  di  questa  Corte,   «l'oggetto   del   giudizio   di
legittimita' costituzionale  in  via  incidentale  e'  limitato  alle
disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze  di  rimessione;
non possono, pertanto, essere presi in considerazione, oltre i limiti
in queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalita'
dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice  a
quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto
delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 96 del 2016; n.  231
e n. 83 del 2015)» (sentenza n. 29  del  2017;  nello  stesso  senso,
sentenza n. 250 del 2017). 
    3.- La mancanza di un rapporto di priorita' logico-giuridica  tra
le  questioni  sollevate  consente  a  questa  Corte   di   esaminare
preliminarmente la seconda di esse, quella con cui il giudice  a  quo
ha lamentato che il denunciato art. 18, comma 10, del d.l. n. 98  del
2011 ha interferito con le funzioni costituzionalmente  riservate  al
potere giudiziario, ingerendosi nell'amministrazione della  giustizia
al fine di influenzare l'esito di una particolare controversia. 
    Tale questione e' fondata. 
    3.1.- Questa Corte ha costantemente affermato che, ancorche'  non
sia vietato al legislatore (salva la  tutela  privilegiata  riservata
alla materia penale dall'art. 25, secondo comma, Cost.) emanare norme
retroattive  -  siano  esse  di  interpretazione   autentica   oppure
innovative con efficacia retroattiva - con riferimento alla  funzione
giurisdizionale, non puo' essere consentito  di  «risolvere,  con  la
forma della legge, specifiche controversie [...], violando i principi
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere  giurisdizionale
e concernenti la tutela dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi»
(sentenza n. 94 del 2009, punto 7.6 del Considerato  in  diritto;  in
senso conforme, sentenze n. 85 del 2013 e n. 374 del 2000). 
    Sempre  a  proposito  del  rapporto  tra  leggi  retroattive   ed
esercizio della funzione giurisdizionale, questa  Corte  ha  altresi'
osservato che il principio costituzionale della parita'  delle  parti
e' violato «quando il legislatore  statale  immette  nell'ordinamento
una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento  fra
le due posizioni in gioco» (sentenza n. 191 del  2014,  punto  4  del
Considerato in diritto; in senso conforme, sentenza n. 186 del 2013). 
    3.2.- Con riguardo al sindacato sulle leggi  retroattive,  questa
Corte ha  ripetutamente  affermato  la  corrispondenza  tra  principi
costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU (ex  plurimis,
sentenza n. 191 del 2014). La Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
(Corte EDU), chiamata a decidere se, attraverso leggi retroattive, lo
Stato avesse violato il diritto dei ricorrenti a un processo equo, ha
costantemente ritenuto che, in linea di principio, non e' precluso al
potere  legislativo  regolamentare  in  materia  civile,  con   nuove
disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti  da  leggi
in vigore. Essa ha precisato che «il principio della  preminenza  del
diritto e il concetto di processo equo sanciti  dall'art.  6  ostano,
salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza
del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia  al  fine
di influenzare l'esito giudiziario di una controversia» e ha aggiunto
che «l'esigenza della parita'  fra  le  parti  implica  l'obbligo  di
offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilita'  di  presentare
la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio
rispetto alla controparte» (ex  plurimis,  sentenze  25  marzo  2014,
Biasucci e altri  contro  Italia,  paragrafo  47;  14  gennaio  2014,
Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011, Agrati e
altri contro Italia, paragrafo 58). 
    Al fine di verificare la compatibilita' di norme retroattive  con
l'art. 6 della CEDU,  la  Corte  EDU  e'  solita  valorizzare  alcuni
elementi,  ritenuti  sintomatici  dell'uso  distorto  della  funzione
legislativa. Essi attengono al metodo e alla tempistica  seguiti  dal
legislatore (ex plurimis, sentenza 11 dicembre  2012,  Tarbuk  contro
Croazia,  paragrafo  40).  Puo'  dunque  rilevare  che  lo  Stato   o
un'amministrazione pubblica sia  parte  del  processo  (ex  plurimis,
sentenza 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi  sas  e  altri
contro Italia, paragrafo 77). Puo' anche rilevare  la  prevedibilita'
dell'intervento legislativo (ex plurimis, sentenze  24  giugno  2014,
Cataldo e altri contro Italia, paragrafo 50; Tarbuk  contro  Croazia,
paragrafo 53; 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC St. Pie X
et Blanche de Castille e  altri  contro  Francia,  paragrafo  72;  23
ottobre 1997, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent
Building Society e Yorkshire Building  Society  contro  Regno  Unito,
paragrafo 112). La Corte EDU si sofferma, inoltre,  sull'adozione  di
norme in concomitanza con un determinato andamento della lite, tenuto
conto anche del suo stato (ex plurimis, sentenze  sui  casi:  Azienda
agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 77; Tarbuk
contro Croazia, paragrafo 54).  Ugualmente  sintomatico  e'  il  dato
temporale che attiene al trascorrere  di  molti  anni  prima  che  il
legislatore scelga di intervenire (ex plurimis,  sentenza  15  aprile
2014, Stefanetti e altri contro Italia, paragrafo 42). 
    3.3.- Nel caso in esame,  l'intervento  legislativo  operato  dal
Governo con l'art. 18, comma 10, del d.l. n. 98 del  2011,  ancorche'
attuato mediante una regola formalmente astratta, risulta chiaramente
diretto a determinare l'esito della  controversia  in  corso  tra  il
Fondo pensioni per il personale della ex Cassa di risparmio di Torino
- Banca CRT spa e l'INPS, in senso favorevole a  tale  ente  pubblico
previdenziale. 
    L'intento del legislatore di  interferire  sull'esito  di  questa
specifica controversia e' confermato da piu' elementi. 
    La   tempistica   dell'intervento   legislativo   di   dichiarata
interpretazione  autentica  rivela  che,   nonostante   il   problema
interpretativo dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 357 del 1990 fosse
insorto immediatamente dopo la sua entrata in vigore,  il  denunciato
art. 18, comma 10, del d.l. n. 98 del  2011  e'  stato  adottato  dal
Governo a distanza di  quasi  ventuno  anni  dalla  stessa.  In  quel
frangente, pendeva il ricorso per cassazione proposto  dall'INPS  nel
2010 avverso la sentenza con la quale la Corte  d'appello  di  Torino
aveva  confermato  la  decisione   di   primo   grado   di   condanna
dell'Istituto,  sulla  base  dell'unico  menzionato   precedente   di
legittimita'. Quest'ultimo, se ribadito, avrebbe condotto a un  esito
della lite definitivamente sfavorevole all'ente previdenziale. 
    L'intento del legislatore di influenzare  l'esito  di  tale  lite
trova decisiva conferma nelle affermazioni contenute nella  Relazione
tecnica al disegno di legge di conversione in legge del  d.l.  n.  98
del 2011 (S. 2814). Dalla sentenza della Corte  d'appello  di  Torino
impugnata nel giudizio  principale,  risulta  che  l'INPS  era  stato
condannato al pagamento di una somma in favore del Fondo pensioni per
il personale della ex Cassa di risparmio di Torino - Banca  CRT  spa.
Nella gia' menzionata  Relazione  si  afferma  espressamente  che  la
disposizione   interpretativa    e'    finalizzata    a    confermare
l'interpretazione adottata dalla prassi amministrativa dell'INPS.  La
norma interpretativa relativa alla  determinazione  della  quota  del
«trattamento  pensionistico  in  essere»  a  carico  della   gestione
speciale dell'INPS, fornita da tale  disposizione,  si  proponeva  di
evitare che, a causa del contenzioso in  atto,  si  determinasse  una
maggiore spesa per  l'ente  previdenziale  nella  misura  esattamente
corrispondente alla predetta somma, non considerata  negli  andamenti
di finanza pubblica a normativa vigente. A questo si puo'  aggiungere
che il Fondo pensioni per il personale della ex Cassa di risparmio di
Torino - Banca CRT spa e' l'unico citato nella Relazione tecnica. 
    Le   asserzioni   contenute   in   tale   Relazione    confermano
inequivocabilmente che l'art. 18, comma 10, del d.l. n. 98  del  2011
non solo determina  a  favore  dell'INPS  -  salvi,  ovviamente,  gli
effetti  della  decisione  di  questa  Corte   sulle   questioni   di
legittimita' costituzionale - l'esito della controversia in corso fra
l'Istituto medesimo e il Fondo pensioni per  il  personale  della  ex
Cassa di risparmio di Torino - Banca CRT spa, ma che  l'influenza  su
tale specifico giudizio ne costituiva, in realta', lo scopo precipuo. 
    Gli elementi qui enucleati servono anche a  smentire  la  tesi  -
sostenuta sia dall'INPS sia dal Presidente del Consiglio dei ministri
- che il denunciato art. 18, comma 10, del d.l. n. 98 del 2011  possa
trovare   giustificazione    nella    necessita'    di    ristabilire
un'interpretazione  piu'   aderente   all'originaria   volonta'   del
legislatore e porre, in tal modo, rimedio a una imperfezione  tecnica
dell'interpretato art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 357 del 1990. 
    Con riguardo al profilo di  censura  in  esame,  sia  l'INPS  sia
l'Avvocatura  generale  dello   Stato   hanno   anche   dedotto   che
l'intenzione di  determinare  l'esito  del  giudizio  a  quo  sarebbe
esclusa dal fatto che il denunciato art. 18, comma 10, nel chiarire i
criteri di determinazione della quota  di  pensione  a  carico  della
gestione speciale di cui all'art. 3  del  d.lgs.  n.  357  del  1990,
detterebbe una disciplina generale e astratta, riguardante «tutti gli
enti creditizi (in  totale  10)  contemplati  nell'allegato»  a  tale
decreto e «destinata a trovare applicazione nei confronti di tutti  i
Fondi che [prevedevano la] capitalizzazione  [...],  senza  eccezione
alcuna»  (cosi'  l'atto  di  costituzione  dell'INPS).  Tuttavia,  la
posizione  del  Fondo  pensioni  per  il  personale  della  Cassa  di
risparmio Vittorio  Emanuele  per  le  province  siciliane  e'  stata
definita dalla sentenza della Corte di cassazione n. 1093  del  2006.
Ne' l'INPS ne' l'Avvocatura generale hanno indicato fondi  (o  casse)
degli ex regimi esonerativi, ulteriori rispetto al Fondo pensioni per
il personale della ex Cassa di risparmio di Torino - Banca  CRT  spa,
che, prevedendo la facolta' di capitalizzare  parte  della  pensione,
abbiano un contenzioso in corso con l'INPS al  fine  di  ottenere  la
rifusione della percentuale stabilita dall'allegato al d.lgs. n.  357
del 1990. Si deve dunque confermare che l'art. 18, comma 10, del d.l.
n. 98 del 2011, ancorche'  detti  una  regola  formalmente  astratta,
risponde all'intento non di risolvere un piu' ampio  contenzioso,  ma
di determinare, in senso favorevole all'INPS, l'esito della specifica
controversia che oppone l'Istituto al Fondo pensioni per il personale
della ex Cassa di risparmio di Torino - Banca CRT spa. 
    L'Avvocatura generale  afferma  che  la  disposizione  denunciata
mirerebbe  a  «garantire  l'equilibrio  tra   mezzi   disponibili   e
prestazioni previdenziali erogate, in ossequio sia all'art.  3  Cost.
[...] sia al vincolo imposto dall'art. 81, quarto comma, Cost.» ed e'
stata adottata «al [...] fine di escludere [...] effetti onerosi,  di
entita' molto rilevante,  tali  da  compromettere  gli  equilibri  di
finanza pubblica e  gli  impegni  assunti  dall'Italia  con  l'Unione
europea in materia di contenimento  della  spesa  pensionistica».  E'
pero' da rilevare che i costi del contenzioso con il  Fondo  pensioni
per il personale della ex Cassa di risparmio di Torino  -  Banca  CRT
spa - sia di quello in atto, relativo al periodo dal 1° gennaio  1991
al 31 dicembre 2007 (pari a circa 45 milioni di euro, come si  evince
dalla sentenza della Corte d'appello di Torino), sia  di  quello  che
potrebbe essere instaurato dal Fondo per il periodo successivo -  non
risultano tali da incidere in modo significativo sulla sostenibilita'
del sistema previdenziale e sugli equilibri della  finanza  pubblica.
D'altro canto, la Corte EDU ha escluso che una  misura  di  carattere
finanziario  possa  integrare  un  motivo  imperativo  di   interesse
generale quando il suo impatto sia di  scarsa  entita'  (sentenza  11
aprile 2006, Cabourdin contro Francia, paragrafi 37 e 38). 
    3.4.- Sotto il profilo in esame sussiste dunque,  in  riferimento
ai parametri costituzionali e a quello convenzionale  interposto,  la
prospettata lesione dei principi  relativi  ai  rapporti  tra  potere
legislativo e potere giurisdizionale nonche' delle  disposizioni  che
assicurano a tutti  l'effettiva  tutela  giurisdizionale  dei  propri
diritti. 
    4.-  Va,  pertanto,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 18, comma 10, del d.l. n. 98 del 2011, in riferimento  agli
artt. 24, primo comma, 102 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della CEDU. 
    5.- L'ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale  dedotto
dalla Corte rimettente resta assorbito. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma  10,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA