N. 326 SENTENZA 27 ottobre - 7 novembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo civile - Provvedimenti cautelari ante causam -  Giudice  che
 abbia  gia'  conosciuto  della causa in un altro grado e non anche in
 altra fase del processo - Obbligo di astensione -  Omessa  previsione
 Insussistenza,   nel  caso  in  esame,  di  un'anticipazione  di  una
 decisione nel merito - Non fondatezza.
 
 (C.P.C., art. 51).
 
 (Cost., art. 24).
 
(GU n.46 del 12-11-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 51  del  codice
 di  procedura  civile,  promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1997
 dal giudice istruttore presso il tribunale di Terni nel  procedimento
 civile vertente tra Angeli Franca ed altro e Italcem S.r.l. ed altri,
 iscritta  al  n.  229  del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  19,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  18  giugno  1997  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il giudice istruttore presso il tribunale di Terni - designato
 dal  Presidente  di  quel  tribunale  quale istruttore di un giudizio
 avente   ad   oggetto   l'illegittimita'   del   comportamento    dei
 rappresentanti  di  una  societa'  ed il conseguente risarcimento dei
 danni  -, avendo concesso ante causam agli attori un provvedimento di
 urgenza  con  cui  si  permetteva  loro  di  prendere  visione  delle
 scritture contabili della societa' al fine di esercitare il potere di
 controllo,  dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 51 del
 codice di procedura civile, nella parte in cui non  prevede,  in  tal
 caso, l'obbligo del giudice di astenersi.
   A  parere  del  rimettente,  la  previsione  di  siffatto  obbligo,
 limitata all'ipotesi di previa conoscenza della causa in altro grado,
 e non anche in altra fase del processo, risulterebbe lesiva dell'art.
 24, secondo comma, della  Costituzione,  per  la  possibile  mancanza
 d'imparzialita' del giudicante.
   Sulla scorta delle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale
 circa  la "forza della prevenzione", il giudice a quo osserva come il
 magistrato, che abbia provveduto in ordine  a  una  misura  cautelare
 "esprimendo una valutazione contenutistica relativamente ai fatti che
 hanno   rilevanza  con  il  merito  della  questione",  possa  essere
 condizionato  da  convinzioni  precostituite.  Infatti,  secondo   il
 rimettente,   sia  nel  processo  civile  che  in  quello  penale  la
 concessione del provvedimento cautelare, pur non  necessitando  della
 prova  piena,  non  puo'  prescindere  dall'esistenza  di  una  prova
 indiziaria; e parimenti l'accertamento del fumus boni iuris attiene a
 circostanze afferenti al merito della futura controversia.
   2. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 per l'inammissibilita' ovvero per l'infondatezza della questione.
   Rileva l'Avvocatura come, dalle sentenze rese dalla Corte  in  tema
 di  incompatibilita'  nel  processo  penale,  sarebbero estrapolabili
 alcuni principi-guida, e cioe':
      1) la necessita' di evitare che condizionamenti o  apparenze  di
 condizionamenti   derivanti  da  precedenti  valutazioni  -  compiute
 nell'a'mbito del medesimo procedimento - possano pregiudicare  o  far
 apparire pregiudicato il giudizio;
     2)  la  peculiare rilevanza da darsi alla intervenuta valutazione
 degli atti ai fini della decisione, la quale: a) deve ricadere  sulla
 medesima  res  judicanda, b) non deve essere formale ma di contenuto,
 c) dev'essere espressa in una fase diversa del processo.
   Nel caso in esame -  osserva  l'Avvocatura  generale  -  manca  una
 pregressa   valutazione  di  merito  sulla  medesima  res  judicanda,
 poiche', ai fini della concessione del provvedimento ex art. 700 cod.
 proc. civ., il giudice non esprime un giudizio di  contenuto,  attesa
 la  diversita'  tra l'oggetto del procedimento cautelare e quello del
 processo di merito, il primo essendo infatti meramente  accessorio  e
 strumentale   rispetto  al  secondo,  in  quanto  vo'lto  a  tutelare
 temporaneamente il diritto onde salvaguardarlo dal pregiudizio  grave
 ed irreparabile che lo minaccia.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  giudice istruttore presso il tribunale di Terni sospetta
 d'illegittimita' costituzionale l'art.  51  cod.  proc.  civ.,  nella
 parte  in  cui  non  impone  l'obbligo di astensione al giudice della
 causa di merito, che abbia concesso un provvedimento  d'urgenza  ante
 causam. A parere del giudice a quo, le considerazioni contenute nelle
 decisioni  di  questa  Corte  in  materia di processo penale circa la
 forza della prevenzione - con riguardo all'atteggiamento  psicologico
 del magistrato che abbia provveduto in ordine ad una misura cautelare
 -  giustificherebbero  il  dubbio  che la limitazione dell'obbligo di
 astensione alla sola ipotesi  di  conoscenza  della  causa  in  altro
 grado,  e  non  anche  in altra fase del processo, risulti lesiva del
 diritto  di  difesa  perche'  pregiudicherebbe  l'imparzialita'   del
 giudicante.
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1.  -  La previsione contenuta nell'art. 51, numero 4, cod. proc.
 civ., secondo cui  il  giudice  ha  l'obbligo  di  astenersi  "se  ha
 conosciuto   (della   causa)  come  magistrato  in  altro  grado  del
 processo", trova remota origine nel Code Louis del  1667  (Ordonnance
 civile,  tit.  XXIV, art. 6), da cui, e' pervenuta, attraverso l'art.
 472, n. 8, del codice di procedura civile sardo e l'art. 116,  n.  9,
 di  quello  unitario  del  1865,  pressoche'  identica  nella vigente
 normativa.
   Essa, al pari di quella contenuta nell'art. 34, comma 1, cod. proc.
 pen., e' funzionale al  principio  di  imparzialita'-terzieta'  della
 giurisdizione,  che  ha pieno valore costituzionale con riferimento a
 qualunque  tipo  di  processo,  in  relazione  specifica  al   quale,
 peraltro, puo' e deve trovare attuazione.
   2.2.  -  Dunque  e' l'esigenza stessa di garanzia che sta alla base
 del concetto di revisio prioris instantiae, a  postulare  l'alterita'
 del  giudice  dell'impugnazione,  il  quale  si  trova  - per via del
 carattere devolutivo del mezzo di  gravame  -  a  dover  ripercorrere
 l'itinerario  logico  che  e'  stato  gia'  seguito onde pervenire al
 provvedimento impugnato.
   Ma codesta esigenza, mentre giustifica l'obbligo d'astensione  come
 sopra  disposto  dal  legislatore, non comporta affatto la necessita'
 costituzionale che esso sia esteso anche all'ipotesi prospettata  dal
 giudice rimettente.
   Ben   diversa,   infatti,   rispetto  a  quella  che  si  determina
 relativamente alla pluralita' di gradi del giudizio, si  presenta  la
 situazione   quando  l'iter  processuale  semplicemente  si  articoli
 attraverso  piu'  fasi  sequenziali  (necessarie  od  eventuali  poco
 importa),  nelle quali l'interesse posto a base della domanda - e che
 regge il giudizio - impone l'appagamento di esigenze, a  quest'ultimo
 connesse, di carattere conservativo, anticipatorio, istruttorio, ecc.
   In  tal caso, stante anche l'operativita' del principio dispositivo
 cui s'informa il rito civile, il provvedimento cautelare adottato dal
 giudice consegue alla dialettica dei contrapposti interessi, la quale
 di norma si svolge attraverso il contraddittorio fra le parti, su  un
 piano  di  "parita'  delle armi", in una continua funzione propulsiva
 che condiziona il proseguimento e la stessa conclusione del giudizio.
 Cosi' da non potersi negare che il  pieno  rendimento  dell'attivita'
 giurisdizionale,  alla stregua del principio di concentrazione, venga
 piu' agevolmente conseguito se e' sempre lo stesso giudice a condurre
 il processo (v. sentenza n. 158/1970); e neppure che il giudice  piu'
 adatto  a decidere del merito possa essere ritenuto, secondo ragione,
 appunto  quello  gia'  investito  di  una  cognizione  ante   causam,
 cautelare  o  piu'  genericamente  sommaria.  Del  resto,  proprio in
 coerenza con un tale avviso il legislatore  del  1990,  operando  una
 vera  e  propria  scelta  di  fondo  in  sede di riforma del processo
 civile, ha  attribuito  all'ufficio  giudiziario  competente  per  il
 merito  anche  la competenza ad emettere provvedimenti cautelari ante
 causam.
   2.3.  -  Quanto da ultimo chiarito vale a far intendere che neppure
 possono valere per il processo civile tutte le considerazioni  svolte
 dalla  Corte, nelle sentenze cui il giudice a quo fa riferimento, con
 riguardo  al  processo  penale,  che  e'  finalizzato  essenzialmente
 all'accertamento  del  fatto  ascritto all'imputato, la cui posizione
 viene costantemente assistita dal favor rei. Qui, infatti,  l'obbligo
 di  astensione  e'  costruito in modo separato dalla incompatibilita'
 determinata da atti compiuti nel procedimento (pur se finisce poi con
 l'operarsi una sorta di  recupero  unificante,  attraverso  la  norma
 dell'art.  36,  lettera  g),  cod.  proc.  pen.); e la presunzione di
 un'apprezzabile influenza sul  meccanismo  psicologico  che  presiede
 alla   formazione  del  convincimento  del  giudice  non  subisce  la
 mediazione dell'impulso paritario delle parti.
   La netta distinzione fra gli atti del processo penale e quelli  del
 processo  civile  trova  conferma  proprio  nella  materia cautelare,
 relativamente alla  quale  solo  la  suggestione  lessicale  potrebbe
 indurre  a  ravvisare  il  parallelismo  supposto  dal rimettente. Ed
 infatti l'applicazione di una misura  cautelare  personale  a  carico
 dell'imputato  e le conseguenze tratte in termini di incompatibilita'
 dalle sentenze n. 432 del 1995, n. 131 e n. 155 del  1996,  investono
 aspetti   certamente  non  paragonabili  ai  provvedimenti  cautelari
 civili.
   2.3.1. - Con la sentenza n. 432 del 1995 questa Corte  ha,  invero,
 ritenuto  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  34,  comma 2, cod.
 proc. pen.,  ravvisando  una  situazione  d'incompatibilita'  tra  il
 giudice  che  abbia  applicato  una  misura  cautelare personale e il
 giudice componente del  collegio  per  il  dibattimento,  sulla  base
 essenzialmente di queste due concorrenti argomentazioni:
     1)  l'applicazione  di  detta  misura  presuppone,  in  luogo dei
 "sufficienti indizi" richiesti dall'art. 252 del previgente codice di
 procedura penale, "gravi indizi di colpevolezza" (art. 273, comma  1,
 cod.  proc.  pen.), la cui esistenza "postula un'obiettiva precisione
 dei singoli elementi indizianti che, nel loro  complesso,  consentono
 di pervenire logicamente ad un giudizio che, pur senza raggiungere il
 grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilita'
 dell'esistenza del reato e della sua attribuibilita' all'indagato";
     2) il giudice deve esporre con adeguata motivazione codesti gravi
 indizi  giustificanti  in  concreto  la  misura  applicata (art. 292,
 lettera  c))  e  dare  una  valutazione  negativa,  non  solo   circa
 l'esistenza  di  cause  di  proscioglimento  ex art. 273, comma 2, ma
 anche "in ordine alla possibilita' di ottenere con la  sentenza  (che
 evidentemente  si  ritiene  di  condanna) la sospensione condizionale
 della pena (art.   275, comma 2-bis,  introdotto  dall'art.  4  della
 legge 8 agosto 1995, n. 332)".
   E  dunque  puo' dirsi che a base della conclusione cui e' pervenuta
 detta  sentenza,  in   armonia   peraltro   con   i   principi   gia'
 precedentemente  enunciati dalla Corte (v. sentenze nn. 124 e 186 del
 1992, n. 439 del 1993 e n. 455 del 1994), sta l'avviso che condizione
 necessaria per ritenere  un'incompatibilita'  endoprocessuale  e'  la
 preesistenza  di valutazioni che cadono pressoche' sulla medesima res
 judicanda, o, piu' esattamente, e' la "duplicazione di giudizi  della
 medesima  natura  presso  lo  stesso  giudice"  (cosi'  la successiva
 sentenza  n.    131  del  1996).  Una  convinzione,   questa,   quasi
 coincidente  con quella espressa - in relazione al disposto dell'art.
 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
 liberta' fondamentali - dalla Corte europea di Strasburgo,  la  quale
 ha  precisato  appunto che il rischio di un effettivo condizionamento
 del giudice esiste solo ove l'a'mbito della precedente  cognizione  e
 quello della successiva sia il medesimo.
   2.3.2. - Discorso diverso vale invece per i provvedimenti cautelari
 adottati dal giudice civile.
   Questi  fondamentalmente  costituiscono  espressione  del principio
 secondo cui ogni situazione  giuridica  deve  poter  trovare  un  suo
 momento  cautelare,  che  va  raffigurato  come componente essenziale
 della stessa tutela giurisdizionale. Mentre il giudizio di merito non
 e'  descrivibile  quale  valutazione  operata  sulla   medesima   res
 judicanda,  i'  da  dover  ravvisare nel precedente giudizio espresso
 sulla domanda cautelare  la  ragione  degli  assenti  condizionamenti
 suscettibili di minare l'imparzialita' del giudicante.
   La   concessione  della  misura  ante  causam  si  fonda  solo  sui
 presupposti del pregiudizio irreparabile e del fumus boni iuris. Ora,
 ferma l'estraneita' del primo alla  presente  questione,  il  secondo
 deve   risultare   da   un   semplice  giudizio  di  verosimiglianza,
 concretizzantesi in una valutazione  probabilistica  circa  le  buone
 ragioni dell'attore, le quali vanno preservate dal rischio di restare
 irreversibilmente  compromesse  durante  il  tempo necessario a farle
 valere in via ordinaria. Di qui il carattere strumentale (rispetto  -
 va   sottolineato   -   non   al  merito  della  causa,  bensi'  alla
 realizzazione del diritto da accertare  in  tale  sede)  assunto  dal
 provvedimento  cautelare,  e  la  connessa  struttura  sommaria della
 cognizione.
   Quest'ultima, nel disegno legislativo, lungi dall'identificarsi con
 una normale istruzione probatoria, si  configura  semplicemente  come
 assunzione, "nel modo che (il giudice) ritiene piu' opportuno", degli
 atti istruttori "indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini
 del  provvedimento  richiesto" (art. 669-sexies, applicabile anche ai
 provvedimenti ex art. 700  cod.  proc.  civ.,  cui  si  riferisce  la
 concreta  fattispecie  all'esame  del  giudice  istruttore  presso il
 tribunale  di  Terni).  Essa  quindi  non  porta  ad  esprimere   una
 "valutazione  contenutistica"  su  fatti che hanno rilevanza rispetto
 alla causa di  merito,  come  asserisce  il  rimettente;  ma  e',  al
 contrario,   finalizzata   alla  semplice  verifica  dei  presupposti
 anzidetti e non puo', per definizione, interferire con la  cognizione
 piena,  al  cui  esito  soltanto  matura  la decisione del merito. Il
 materiale  probatorio  raccolto  ante  causam  non  e'  di  per   se'
 destinato, appunto in ragione delle diverse finalita' istruttorie, ad
 assumere  una  sua evidenza nel successivo giudizio, rilevando semmai
 come mero argomento di prova. Sicche' e' la stessa logica secondo  la
 quale  il  procedimento si struttura, a garantire l'imparzialita' del
 giudice,  in  conseguenza  della   diversa   ottica   in   cui   egli
 necessariamente si pone.
   La  cognizione  che  il  codice  di procedura civile attribuisce al
 giudice in sede di provvedimenti cautelari ante causam lascia  dunque
 assolutamente  irrisolto il quesito circa l'esito finale del giudizio
 e non "anticipa" affatto la decisione  del  merito,  mirando  solo  a
 tutelare  temporaneamente  un preteso diritto onde salvaguardarlo dal
 pregiudizio  grave  e  irreparabile,  ravvisato  sulla  base  di  una
 valutazione provvisoria e di semplice verosimiglianza.
   L'ipotizzabile  coinvolgimento  in  concreto di quel giudice, al di
 la' di quanto richiesto dalle esigenze della decisione cautelare, nel
 merito della causa - che potrebbe indurre,  in  alcuna  delle  parti,
 dubbi  sulla sua disponibilita' incondizionata a conoscere della lite
 in modo scevro da prevenzioni - rappresenta un'eventualita' anormale,
 che puo' essere effetto soltanto di un marcato  allontanamento  dalla
 struttura   codicistica  del  processo  cautelare  e  dalla  funzione
 essenziale di questo. Ma gli inconvenienti riportabili  ad  una  tale
 evenienza,  siccome  estranei  al  paradigma  legale, non possono dar
 fondamento all'assenta incostituzionalita' della denunciata norma, in
 parallelo con quanto ritenuto da questa Corte a  proposito  dell'art.
 34,  comma  2, cod. proc. pen. (peraltro, cfr. anche sentenze n. 306,
 n. 307 e n. 308 del 1997). In casi del genere, piuttosto,  e'  dovere
 del  giudice di valutare, nel concreto, se "esistono gravi ragioni di
 convenienza" per "richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad
 astenersi", secondo quanto gia' previsto dal capoverso  dello  stesso
 art. 51 cod. proc. civ.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  51  del  codice  di  procedura   civile,   sollevata,   in
 riferimento  all'art.  24  della Costituzione, dal giudice istruttore
 presso il tribunale di Terni, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 7 novembre 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 97C1270