N. 157 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 giugno 2019
Ordinanza del 7 giugno 2019 del Tribunale di sorveglianza di Taranto nel procedimento di sorveglianza nei confronti di L.S. R.B.. Ordinamento penitenziario - Modifiche all'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 - Inserimento di determinati reati contro la pubblica amministrazione, in particolare del reato di cui all'art. 314, primo comma, del codice penale, tra i reati ostativi alla concessione di alcuni benefici penitenziari - Mancata previsione di un regime transitorio che dichiari applicabile la nuova norma ai soli fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della novella. - Legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), art. 1, comma 6, lettera b), modificativo dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta').(GU n.41 del 9-10-2019 )
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI TARANTO Il Tribunale di sorveglianza Taranto, costituito dai sigg.: dott.ssa Valeria Ingenito, Presidente rel.; dott.ssa Carolina Manna, magistrato di sorveglianza; dott.ssa Tiziana Adami, esperto; dott.ssa Federica Saracino, esperto. Riunito in Camera di consiglio per decidere sull'istanza ex articoli 47-ter o.p. proposta nell'interesse di L. S. R. B., nato a ... il ..., detenuto nella casa circondariale di Taranto, raggiunto dall'ordine di carcerazione n. 61/2019 SIEP emesso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Lecce di Taranto in relazione alla pena residua di anni tre, mesi dieci e giorni due di reclusione derivante dalla sentenza di condanna alla pena di anni sette e giorni venticinque di reclusione emessa dalla Corte di appello di Lecce in data 28 ottobre 2016, irrevocabile il 1° febbraio 2019 per i delitti di peculato continuato commessi sino al 25 marzo 2002 (decorrenza pena 4 marzo 2019 - fine pena 24 dicembre 2022); Sentite le argomentazioni esposte dal P. G. e dal difensore; Esaminati gli atti del procedimento; Sciogliendo la riserva formulata in data 29 maggio 2019; Ha emesso la seguente ordinanza. Con ordinanza del Magistrato di sorveglianza, emessa in data 17 aprile 2019, e' stata respinta la richiesta di applicazione, in via provvisoria, della detenzione domiciliare, ai sensi degli articoli 147, comma 1, n. 2 del codice penale, 47-ter, comma 1-ter, 47-ter comma 4 O.P., depositata in data 14 marzo 2019 nell'interesse del condannato, e sono state dichiarate inammissibili le ulteriori istanze avanzate dalla difesa, di applicazione in via provvisoria della detenzione domiciliare, ai sensi dell'art. 47-ter, commi 1° e 2° o.p., per la natura ostativa del reato in espiazione, evidenziando come non potesse essere esaminata, in sede di pronunzia provvisoria, l'eccezione di legittimita' costituzionale proposta, essendo preliminare, ai fini della valutazione della rilevanza della questione di legittimita', la decisione da parte del Tribunale di sorveglianza della collaborazione positiva con la giustizia ovvero della collaborazione impossibile, giusta quanto previsto nell'art. 58-ter o.p. o 323-bis, comma 2, del codice penale; valutazione che consente, in caso di esito positivo, di superare la preclusione ex art. 4-bis o.p.. L. S. R. B. e' stato condannato, con sentenza della Corte di appello di Lecce del 28 ottobre 2016, alla pena di anni sette e giorni venticinque di reclusione per plurimi delitti peculato, commessi in concorso con altri, negli anni 2001-2002; il prevenuto non ha precedenti condanne e non ha carichi pendenti. La condanna in esecuzione e', dunque, relativa a delitti di peculato che, per effetto dell'art. 1, comma 6, lettera B) della legge 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31 gennaio 2019, e' inserito nell'elenco dei reati compresi nel comma 1° dell'art. 4-bis, legge n. 354/75; l'espiazione concerne fattispecie di reato assolutamente ostativa alla concessione di benefici penitenziari (tra cui la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, commi 1° e 2°, comma 1-bis, fatta eccezione per la detenzione domiciliare di cui all'art. 47, comma 1-ter, applicabile quando sussistano le condizioni per il differimento della pena ai sensi dell'art. 147, comma 1, n. 2, pure invocata dall'istante), salva la collaborazione positiva con la giustizia da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 58-ter o.p. e dell'art. 323-bis del codice penale, o la ricorrenza delle ipotesi di collaborazione «inesigibile» di cui al comma 1-bis dell'art. 4-bis o.p. o di collaborazione impossibile. L'istanza di applicazione della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute si fonda sulla circostanza che il detenuto, ultrasettantenne, sarebbe affetto da disturbo di panico e disturbo depressivo maggiore, da cardiopatia ipertensiva, ateromasia carotidea e poliartrosi, da possibile diabete e insufficienza renale acuta, da esito di intervento chirurgico di asportazione di neoformazione ipercheratonica e ulcerata al viso che e' risultato essere «carcinoma baso cellulare multicentrico ulcerato», da spondilosi con formazione erniaria espulsa, condizioni sanitarie che sarebbero di tale gravita' da determinare la necessita' di costanti contatti con presidi sanitari o, comunque, situazione di incompatibilita' con il carcere. All'istanza e' allegata relazione del medico curante e documentazione sanitaria. Dalla lettura della relazione del sanitario del carcere, trasmessa in sede di pronunzia provvisoria, emergeva che il detenuto, giunto in istituto il 4 marzo 2019, e' stato sottoposto ad analisi da parte di psicologo della ASL, che ha riscontrato uno stato di evidente disagio psicologico, fisiologico alla condizione di attuale privazione della liberta'; la consulenza psichiatrica ha rilevato umore deflesso ma reattivo agli stimoli esterni; L. S. e' stato sottoposto a consulenza cardiologica con ECG ed ecocardiogramma, da cui e' emerso che e' affetto da cardiopatia ipertensiva in attuale compenso emodinamico, con programmazione di angiografia; l'RX del rachide lombosacrale ha evidenziato manifestazioni artrosiche. La relazione si concludeva evidenziando che le condizioni di salute del detenuto, non particolarmente gravi, sono tenute sotto controllo dal personale sanitario operante in istituto, ma non si esclude la necessita' per il futuro di avvalersi di presidi sanitari esterni. In data 6 maggio 2019 e' stato disposto il ricovero di L. S. presso l'Ospedale SS. Annunziata di Taranto per un approfondimento diagnostico diabetologico, nefrologico e cardiologico e, dalla relazione del sanitario del carcere del 27 maggio 2019, emerge che L. S. e' stato dimesso dalla struttura ospedaliera in data 25 maggio 2019, che il responsabile del reparto di endocrinologia ha relazionato nel senso che il paziente ha presentato un buon compenso glicemico con la terapia combinata, ha effettuato valutazione nefrologica che conferma la presenza di insufficienza renale al terzo stadio e consulenza cardiologica, con esito negativo per ischemia cardiaca. La direzione sanitaria del carcere di Taranto conclude evidenziando che, in considerazione del buon compenso clinico, non si ritiene che il detenuto necessiti di frequenti contatti con strutture sanitarie esterne, anche se permane uno stato di disagio psicologico legato alla condizione detentiva e tono dell'umore deflesso. Non vi sono le condizioni, alla luce di quanto obiettivamente emergente dalla relazione del sanitario del carcere, perche' possa disporsi il differimento della pena per motivi di salute, difettando il presupposto dell'esistenza di condizioni di infermita' fisica o psichica gravi e della impossibilita' di praticare utilmente in ambiente carcerario le cure necessarie in corso di esecuzione della pena. Come e' noto, e ribadito dalla Suprema Corte, per legittimare il rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermita' fisica devono ricorrere due autonomi presupposti dei quali il primo e' costituito dalla gravita' oggettiva della malattia, implicante un serio pericolo per la vita del condannato o la probabilita' di altre rilevanti conseguenze dannose (gravita' da intendersi in modo particolarmente rigoroso, tenuto conto sia del principio di indefettibilita' della pena sia del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di condizioni personali: principi che implicano appunto, al di fuori di situazioni eccezionali, la necessita' di pronta esecuzione delle pene legittimamente inflitte) ed il secondo consiste nella possibilita' di fruire, in stato di liberta', di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e piu' efficaci rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche mediante ricovero in luoghi esterni di cura. Nel caso in esame, dalle certificazioni mediche in atti emerge che L. S. non versa in condizioni di grave infermita', non avendo i sanitari rilevato alterazioni delle principali funzioni vitali tali da far ritenere un pericolo attuale ed immediato per la sopravvivenza dello stesso e non avendo la direzione sanitaria comunicato che la detenzione carceraria rappresenta condizione ostativa per la prosecuzione delle terapie di cui necessita. La relazione sanitaria non segnala un'oggettiva gravita' delle condizioni di salute del detenuto non suscettibili di adeguate cure in ambito penitenziario, bensi' condizioni cliniche necessitanti di monitoraggio, somministrazione di cure farmacologiche atte a garantire la stabilizzazione della attuale situazione e a scongiurare l'aggravamento, senza pregiudizio ulteriore per la salute del condannato. La su descritta condizione attuale di salute del condannato e la possibilita' che lo stesso possa ricevere cure mediche in carcere inducono, dunque, questa AG a ritenere che non si versi nell'ipotesi di cui all'art. 147, n. 2 del codice penale. In una recente pronunzia (sentenza n. 99/2019) la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di grave infermita' psichica sopravvenuta, il Tribunale di sorveglianza possa disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter; alla luce di quanto sopra evidenziato non risulta che il L. S. versi in una condizione di grave infermita' psichica. Allo stato degli atti, sono inammissibili le ulteriori istanze avanzate dalla difesa di applicazione della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter, commi 01 e 1 o.p. per la natura ostativa del reato in espiazione. Nella istanza si assume primariamente l'inapplicabilita' retroattiva delle norme introdotte dalla legge n. 3/2019 in relazione a condanne per fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore e si propone una lettura costituzionalmente orientata, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, dovendosi ritenere che tutte le norme processuali e esecutive che abbiano incidenza afflittiva sul trattamento giuridico-penale del singolo devono ritenersi «sostanzialmente punitive» e come tali soggette alla regola di non retroattivita'. La questione di legittimita' costituzionale sollevata in via subordinata si riassume nella contestata applicabilita' della riforma a fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore, in assenza di una norma di carattere transitorio, per contrasto con gli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione; si osserva, in particolare, che l'avere presunto la pericolosita' anche dei condannati ultrasettantenni per reati contro la pubblica amministrazione, appare scelta irrazionale ed arbitraria e incompatibile con le su indicate norme costituzionali. In sede di integrazione dell'istanza e' stata depositata l'ordinanza con cui la Corte di appello di Lecce, in sede di incidente di esecuzione proposto dalla Difesa di L. S. avverso il presente ordine di carcerazione, ha sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale per rilevato contrasto dell'art. 6, comma 1, lettera B) con gli articoli 3, 25 comma 2 e 177 della Costituzione in riferimento all'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, disponendo la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Preliminare, ai fini della valutazione della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa e' la decisione da parte del Tribunale di sorveglianza della collaborazione positiva con la giustizia ovvero della collaborazione «inesigibile», giusta quanto previsto negli articoli 58-ter o.p. e 323-bis, comma 2 del codice penale; valutazione che consentirebbe di superare lo sbarramento della preclusione in esame. Evidenzio' la Corte costituzionale con sentenza n. 68 del 1° marzo 1995 che ben diverso era «lo scenario scaturito dalle modifiche apportate all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 ad opera dell'art. 15 del decreto-legge n. 306 del 1992» ponendo in rilievo che «... pur restando infatti sullo sfondo, quale generale presupposto per la concessione dei benefici, la verificata assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 ha obliterato fino a dissolverli i parametri probatori alla cui stregua condurre un siffatto accertamento, per assegnare invece un risalto esclusivo ad una condotta - quella collaborativa - che si assume come la sola idonea a dimostrare, per facta concludentia, l'intervenuta rescissione di quei collegamenti. Si passa, pertanto, da un sistema fondato su di un regime di prova rafforzata per accertare l'inesistenza di una condizione negativa (assenza dei collegamenti con la criminalita' organizzata), ad un modello che introduce una preclusione per certi condannati, rimuovibile soltanto attraverso una condotta qualificata (la collaborazione). Da cio' consegue, quindi, che, essendo la funzione rieducativa della pena valore insopprimibile che permea l'intero trattamento penitenziario, in tanto e' possibile subordinare ad una determinata condotta l'applicazione di istituti che di quel trattamento sono parte integrante, in quanto la condotta che si individua come presupposto normativo risulti oggettivamente esigibile, giacche', altrimenti, residuerebbe nel sistema null'altro che una preclusione assoluta, del tutto priva di bilanciamento proprio sul piano dei valori costituzionali coinvolti». L'art. 4-bis nella sua attuale formulazione, come modificato nel corso degli anni e, in ultimo, dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici) prevede, per i delitti cosiddetti di «prima fascia», tra i quali e' stato incluso quello di peculato ascritto a L. S. , che i benefici di cui al comma 1 possano essere concessi nei casi in cui i detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter o a norma dell'art. 323-bis , secondo comma, del codice penale oppure nei casi in cui siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' dei collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva, quando la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilita', operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonche' nei casi in cui, anche se la collaborazione offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati, sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'art. 62, n. 6 del codice penale, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall'art. 114 ovvero dall'art. 116 secondo comma del codice penale. Il Tribunale ritiene che il condannato non abbia collaborato con l'autorita' giudiziaria in termini tali da soddisfare i requisiti indicati negli art. 53-ter op e 323-bis, comma 2° del codice penale. Dalla lettura della sentenza della Corte di appello di Lecce, emessa il 28 ottobre 2016, pronunziatasi in sede di annullamento con rinvio disposto con sentenza dalla Corte di cassazione il 10 aprile 2013, a seguito del ricorso proposto anche da L. S. R. avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto del 20 luglio 2010, emerge come in sede di legittimita', riportando la motivazione del Tribunale, sia stato evidenziato che la ricostruzione dei fatti nel giudizio di primo grado avesse consentito di accertare la esistenza di un sodalizio criminale diretto alla consumazione di una serie indeterminata di peculati in danno della ASL di Taranto, di falsi in atto pubblico ed abusi di ufficio nell'arco temporale 1999-2002; si legge, inoltre, che l'esistenza di un accordo avente ad oggetto un programma criminoso volto ad impossessarsi di somme di denaro di pertinenza della Asl e' stato desunto dal fatto che il gruppo ha continuato ad operare anche dopo che sugli illeciti aveva iniziato ad indagare la Guardia di Finanza, da un lato ponendo in essere tutta una serie di condotte volte a far sparire prove documentali degli illeciti o a creare documenti che potessero fornire a posteriori una legittimazione, dall'altro lato mutando strategia, senza ricorrere piu' all'emissione di false fatture da parte della ..., bensi' utilizzando altre societa', gia' esistenti o addirittura appositamente create. La Corte di cassazione ha reputato infondato il ricorso di L. S. ed ha annullato con rinvio per la sopravvenuta estinzione per prescrizione della gran parte dei delitti per i quali era intervenuta condanna e per la necessita' di rideterminare la pena da parte della Corte di appello. E' stata acquisita, per una maggiore comprensione dei fatti che sono stati accertati nel corso del giudizio di cognizione, anche la sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, il 27 luglio 2010, la cui decisione nel merito e' stata sostanzialmente confermata dalla Suprema Corte di cassazione, con rinvio disposto per la sopravvenuta prescrizione di altri reati per i quali vi era stata condanna. Dalla lettura delle imputazioni in relazione alle quali e' intervenuta condanna, assoluzione o declaratoria di intervenuta prescrizione nei confronti di L. S. e di altri coimputati anche nel delitto associativo e dalle sentenze in atti emerge che il condannato, capo area Gestione risorse finanziarie della ASL Ta/1 dal 2 maggio 2001 al 24 aprile 2002 e direttore della Gestione liquidatoria delle disciolte UUSSLL della provincia ionica per lo stesso periodo e dirigente responsabile U.O. Gestione stralcio in epoca precedente, ha posto in essere condotte di coordinamento dell'attivita' dei correi, essendo stato riconosciuto promotore e organizzatore, con altri, del sodalizio criminoso e si e' trovato, dunque, nelle condizioni di poter apportare al processo celebrato a suo carico un contributo informativo utile e significativo per il compiuto accertamento di tutte le responsabilita' coinvolte e di tutti i fatti illeciti perpetrati, senza che abbia posto in essere, per quanto risulta dalla sentenza in atti, attivita' di collaborazione. La impossibilita' di collaborazione, quale condizione equipollente alla collaborazione positivamente prestata ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari, discende «dall'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilita' operato con sentenza irrevocabile», ovvero dalla «limitata partecipazione al fatto criminoso», ossia da una situazione, quanto al primo profilo, positivamente accertata, di compiuto disvelamento delle vicende criminose, oggetto di sentenza irrevocabile, o da un minore contributo dato dal condannato alla loro realizzazione, cosi' da essere impedito dal riferire informazioni utili ai fini collaborativi. Ha in proposito osservato la Suprema Corte che «la tipizzazione normativa della nozione di collaborazione impossibile o inesigibile, soggetta al principio di stretta interpretazione in quanto disposizione che fa eccezione alla regola generale della ostativita' del titolo di reato, comporta che non possa ricomprendersi nella collaborazione inesigibile la situazione del soggetto che versa nella impossibilita' di rendere una collaborazione processualmente rilevante a causa di una condotta volontaria (Cassazione penale sez. I, 6 dicembre 2017, n. 11313). Alla luce di quanto sopra rilevato, emerge come all'interessato non possa riconoscersi l'accertamento della collaborazione prestata ai sensi degli art. 58-ter o.p. o 323-bis del codice penale e non vi sono i presupposti per il riconoscimento della «impossibilita'» della collaborazione per l'integrale accertamento dei fatti, dal momento che il prevenuto, nel corso del giudizio di primo e secondo grado, avrebbe potuto contribuire a chiarire le complesse vicende di carattere amministrativo, attraverso le quali sono stati consumati plurimi delitti, che lo hanno visto protagonista ed anche artefice di condotte volte a sviare le indagini che furono avviate dalla Guardia di Finanza e a perpetuare le condotte illecite; il faticoso percorso del processo penale, volto ad accertare il delitto associativo e i plurimi reati fine consumati, ha portato all'accertamento di alcuni dei fatti contestati, rispetto ai quali e' stato necessario dichiarare l'estinzione per prescrizione di molti dei delitti o sancire l'assoluzione di alcuni imputati in relazione a talune delle contestazioni. Cio' premesso, e ritenuto che la eccezione di legittimita' costituzionale sia dunque rilevante sia per la presenza di norme ostative all'applicazione delle misure alternative invocate sia per la ricorrenza, in astratto, delle condizioni di legge per l'applicazione, quanto meno, della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1 del codice penale, trattandosi di condannato di eta' superiore a settanta anni, occorre verificare la fondatezza della proposta eccezione. In base ad una interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimita', le norme penitenziarie sono da ritenersi processuali e soggette al principio del tempus regit actum, estranee, quindi, alla tutela dei principi sostanzialistici di cui agli articoli 2 del codice penale e 25, comma 2 della Costituzione. L'art. 1, comma 6°, lettera b) legge n. 3/2019, in vigore dal 21 gennaio 2019, ha novellato l'art. 4-bis della legge n. 354/75, previa inclusione tra i reati ostativi alla sospensione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione anche il delitto di cui all'art. 314, comma 1°, del codice penale; di conseguenza, L. S., pur dovendo ancora espiare una pena inferiore a quattro anni, atteso il rinvio operato dall'art. 656, comma 9, lettera A) del codice di procedura penale all'art. 4-bis dell'Ordinamento penitenziario, come modificato dall'art. 1, comma 6°, lettera b) della legge n. 3/2019, non ha visto sospendersi l'ordine di esecuzione della pena nei suoi confronti; l'art. 1, comma 6°, lettera b) della legge n. 3/2019 - che ha inserito nell'elenco dell'art. 4-bis Ord. Pen. anche l'art. 314, comma 1°, del codice penale non prevede alcuna norma di diritto intertemporale. Prive di rilevanza, alla luce di quelli che sono i principi vigenti nel nostro ordinamento giuridico, sono, dunque, ogni proposta di lettura costituzionalmente orientata e la questione di legittimita' che muova dal presupposto che non possa trovare applicazione retroattiva una legge che modifichi, come e' nel caso che ci occupa, la disciplina di istituti che incidano sul trattamento penale (sospensione dell'ordine di esecuzione, applicabilita' di misure alternative alla detenzione): l'inclusione di alcuni reati contro la pubblica amministrazione tra quelli ostativi cosiddetti di «prima fascia» costituisce frutto di insindacabile scelta del legislatore, come avvenuto in passato in relazione ad altre fattispecie di reato. La legge n. 3/2019 non contiene una norma transitoria, a differenza di precedenti modifiche, come quella apportata all'art. 4-bis O.P. gia' con la legge di conversione n. 203/1991, che circoscriveva l'applicabilita' della novella ai soli delitti commessi dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 152/1991, o ancora, con riguardo alle modifiche intervenute per effetto della legge n. 272/2009, in cui, ai sensi dell'art. 4, il legislatore aveva previsto una limitazione dell'applicabilita' delle nuove disposizioni, cosi' manifestando di voler limitare gli effetti preclusivi della norma con riguardo ai soli fatti commessi successivamente all'entrata in vigore degli inasprimenti di regime. La Procura generale di Taranto ha provveduto, dunque, nel caso in esame, all'emanazione dell'ordine di carcerazione, ai sensi dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale e, in sede di incidente di esecuzione proposto dalla difesa avverso quel provvedimento, la Corte di appello di Lecce ha confermato l'ordine emesso, sollevando eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, lettera B), legge n. 3/2019 nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione, e in particolare quello di cui all'art. 314, comma 1 del codice penale, tra quelli ostativi alla concessione di alcuni benefici penitenziari ai sensi dell'art. 4-bis op, per rilevato contrasto con gli art. 3, 25 comma 2 e 117 Costituzione in riferimento all'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, a causa della mancata previsione di un regime transitorio che dichiari applicabile la norma ai soli fatti commessi successivamente alta sua entrata in vigore. Alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, conforme ai principi del nostro ordinamento, che qualifica «processuali» le norme esecutive e/o penitenziarie, l'assenza di una norma transitoria che, pur senza necessariamente prevedere, come avvenuto in passato, l'applicazione delle norme di nuovo conio ai fatti commessi successivamente (potendo tale assenza essere frutto di una precisa scelta legislativa insindacabile) individui, tuttavia, un preciso momento temporale di efficacia del nuovo regime esecutivo, cosi' da porre tutti coloro che siano stati condannati per fatti commessi anteriormente e le cui posizioni debbano essere oggetto di vaglio da parte del Tribunale di sorveglianza, in una condizione di uguaglianza, e' foriera di disparita' di trattamento e pregiudica il diritto di difesa. Con riferimento ai dubbi di costituzionalita' prospettati, si ritiene rilevante, in quanto non affetta da manifesta infondatezza, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, lettera B, legge n. 3/2019 in relazione all'art. 3 Costituzione nella parte in cui, ampliando il novero dei reati cosiddetti ostativi ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1 Op con l'inclusione di quelli contro la pubblica amministrazione, non ha previsto un regime intertemporale atto a scongiurare disparita' di trattamento. Le garanzie dell'art. 7 della Convenzione, pure richiamato nella ordinanza con cui, in sede esecutiva, nell'ambito del presente procedimento, e' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale («Nessuno puo' essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui e' stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso») non riguardano la legge processuale e la esecuzione della pena. Le norme che regolamentano le modalita' di accesso alle misure alternative non possono essere poste sullo stesso piano di quelle sostanziali, essendo evidente che la prospettiva di accedere a misure alternative, proprio perche' dipendente da numerose variabili che devono essere accertate al momento della esecuzione della pena (condizioni di vita del condannato, esistenza di carichi pendenti, condotta tenuta durante l'indagine sociale, informazioni aggiornate delle forze dell'ordine, etc) non puo' essere considerato un qualcosa su cui il destinatario della norma penale possa prestare affidamento e, inoltre, anche l'entita' della sanzione che puo' essere inflitta per il reato commesso, primo presupposto per la valutazione di ammissibilita' delle misure alternative, e' rimesso alla discrezionalita' del Giudice della cognizione. Nel caso in esame, peraltro, L. S. e' stato condannato ad una pena superiore a quattro anni, e soltanto a seguito dell'applicazione dell'indulto e tenuto conto del presofferto, nel momento della irrevocabilita' della condanna la pena residua e' risultata essere inferiore a quattro anni di reclusione, cosicche' neanche puo', nel caso specifico, affermarsi che la modifica in senso sfavorevole della disposizione in esame abbia vanificato il legittimo «affidamento» del condannato per il delitto di peculato commesso sotto la vigenza dell'originario art. 4-bis, legge n. 354/75 a vedersi sospeso l'ordine di esecuzione della pena detentiva nel caso di condanna inferiore a quattro anni di reclusione con possibilita' di accesso alle misure alternativa. L'incidenza della modifica normativa in oggetto sull'affidamento da parte dell'imputato/condannato e' stata evidenziata di recente dalla Corte di cassazione; in un obiter della sentenza n. 12541 del 14 marzo 2019, i giudici di legittimita' hanno affermato che «non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale, l'avere il legislatore cambiato in itinere le "carte in tavola" senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformita' con l'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e, quindi, con l'art. 117 della Costituzione, la' dove si traduce... nel passaggio "a sorpresa" - e, dunque, non prevedibile - da una sentenza patteggiata senza "assaggio di pena" ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il gia' rilevato operare del combinato disposto degli articoli 656, comma 9, lettera a), codice di procedura penale e 4-bis ord. pen. D'altronde in precedenza il legislatore aveva adottato disposizioni transitorie finalizzate a temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche all'ari. 4-bis, comma 1°, legge 23 dicembre 2002, n. 279 (che inseriva i reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale nell'art. 4-bis cit.) limitandone l'applicabilita' ai soli reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge»; nell'occasione, la questione e' stata dichiarata non rilevante poiche' non afferente all'impugnazione della sentenza di applicazione della pena oggetto di quel giudizio). Cio' premesso, deve osservarsi, pero', che l'introduzione di una normativa che modifichi in senso sfavorevole la disciplina di istituti che incidono sul trattamento penale e, come nel caso in esame, sulla liberta' personale, proprio alla luce del diritto positivo e della costante lettura giurisprudenziale, conforme ai principi enunciati, secondo cui le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma solo le modalita' esecutive della stessa, sono considerate norme processuali e non sostanziali e soggette al regime tempus regit actum, in assenza di una specifica disciplina transitoria che regolamenti il passaggio da una norma che, entro determinati limiti di pena, consentiva la sospensione dell'ordine di esecuzione e la conseguente possibilita' di richiedere e ottenere l'ammissione a misure alternative, ad altra che prevede l'emissione dell'ordine di carcerazione in ogni caso e le preclusioni di cui all'art. 4-bis primo comma o.p., comporta inevitabilmente la violazione del principio di uguaglianza sostanziale; la novella introdotta non pone i diversi destinatari di quella nuova disciplina, che siano stati giudicati per fatti commessi anteriormente alla entrata in vigore della nuova normativa, in una condizione di parita' e uniformita' rispetto al diritto di accesso alle misure alternative. La disparita' che inevitabilmente consegue dipende da circostanze casuali, innescando meccanismi procedimentali che incidono sulla liberta' personale; tale assenza determina violazione del principio di uguaglianza con riguardo al momento esecutivo della pena, in relazione alla limitazione della liberta' personale e alla possibilita' di accesso a misure alternative tra tutti coloro che sono stati giudicati e ammessi alla esecuzione penale esterna per medesimi fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 3/2019 ed altri rispetto ai quali tale decisione non sia stata ancora assunta (per ragioni diverse e contingenti quali la collocazione territoriale, la velocita' con la quale e' stato celebrato il processo, la rapidita' dell'emanazione dell'ordine di esecuzione da parte del pubblico ministero e quella del Tribunale di sorveglianza che, per ragioni istruttorie o per altro motivo, non abbia assunto la decisione prima della entrata in vigore della legge, e cosi' via). La questione e' rilevante nel presente procedimento, poiche' sarebbe bastato che la sentenza riguardante L. S. fosse emessa qualche giorno prima, che egli fosse subito attinto dall'ordine di esecuzione e che il Tribunale di sorveglianza decidesse con immediatezza perche' il condannato fosse ammesso all'espiazione in misura alternativa prima del 31 gennaio 2019.
P. Q. M. Visti gli articoli 678 del codice di procedura penale, 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, 147/1, n. 2), codice penale e 47-ter o.p., Rigetta la richiesta di applicazione della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, legge n. 354/75. Dichiara, con riguardo alle ulteriori istanze, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera B della legge 9 gennaio 2019, n. 3, nella parte in cui, modificando l'art. 4-bis, comma 1 della legge n. 354/1975, ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione e in particolare quello di cui all'art. 314, comma 1 tra quelli ostativi alla concessione di alcuni benefici penitenziari, senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile la norma ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore, per rilevato contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente procedimento. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al sig. Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al sig. Presidente del Senato ed al sig. Presidente della Camera dei deputati; dispone, altresi', la comunicazione della presente ordinanza all'interessato, al suo difensore e alla Procura generale presso la Corte di appello di Lecce. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. Cosi' deciso in Taranto nella Camera di consiglio del 29 maggio 2019. Il Presidente estensore: Ingenito