N. 663 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 giugno 1997
N. 663 Ordinanza emessa il 2 giugno 1997 dal pretore di Trieste nel procedimento penale a carico di Bruss Alberto Edilizia e urbanistica - Reati edilizi - Sospensione dell'azione penale a seguito della presentazione della domanda di sanatoria fino alla decisione del sindaco sulla stessa entro sessanta giorni - Mancata previsione della sospensione dell'azione penale fino all'esaurimento dei ricorsi giurisdizionali come gia' stabilito inizialmente con d.-l. 28 luglio 1994 n. 468, ripetutamente reiterato fino, da ultimo, con d.-l. 24 settembre 1996, n, 495, non convertito e pertanto decaduto, con conseguente ripristino della normativa impugnata - Irragionevolezza e incidenza sul diritto di difesa - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 270/1996. (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22, comma primo). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.41 del 8-10-1997 )
IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento n. 1028/96 r.g. Alberto Bruss veniva tratto a giudizio di questo pretore per rispondere della contravvenzione di cui all'art. 20, lett. c) legge 28 febbraio 1985, n. 47, "per avere effettuato, o comunque fatto effettuare, interventi edilizi consistiti nella sopraelevazione di m 1,60 dell'edificio sito in via della Mandria n. 27 ricavandone un vasto sottotetto praticabile adibito a mansarda, zona sottoposta a vincolo paesistico ambientale, in totale difformita'/assenza della prescritta concessione edilizia. Commesso in Trieste nel novembre 1994". Il procedimento penale veniva sospeso ex art. 479 c.p.p., in via facoltativa, attesa la presentazione, in data 7 giugno 1995, di richiesta di concessione in sanatoria cd. ordinaria ex artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Avverso il provvedimento sindacale di diniego dd. 18 aprile 1996, notificato il 25 giugno 1996, il Bruss interponeva tempestivo ricorso giurisdizionale al tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia e produceva copia del relativo atto nel giudizio penale. All'udienza del 5 marzo 1997, il difensore del Bruss, sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge n. 47/85, evidenziando come la mancata conversione della modifica (art. 8, comma ottavo), introdotta dal d.-l. 24 settembre 1996, n. 495, avesse riportato la norma alla sua originaria formulazione con effetti deleteri nella eventualita' di una pronuncia di condanna - demolizione delle opere abusive, se non ancora altrimenti eseguite - alla luce del recente orientamento della Cass. sez. un. 19 giugno 1996, n. 15. Ritiene questo pretore che la questione di legittimita' costituzionale sollevata non sia palesemente infondata e rilevante ai fini del presente giudizio. Occorrera' tuttavia precisare piu' dettagliatamente i termini relativi al dubbio di costituzionalita' e alla sua rilevanza. La modifica all'art. 22, primo comma, legge n. 47/85, introdotta sin dal d.-l. 28 luglio 1994, n. 468 e da ultimo dall'art. 8, comma ottavo, del d.-l. 24 settembre 1996, n. 495, non convertito, secondo cui l'azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finche' non siano stati esauriti anche i ricorsi giurisdizionali di cui al secondo comma dello stesso articolo, non e' stata riprodotta nella legge 23 dicembre 1996, n. 662: "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" contenente norme innovative e di modifica in materia di edilizia (art. 2, commi da 37 a 71). Cio' determina il ripristino della situazione ex ante e la sospensione quindi del procedimento penale ex art. 22 della legge n. 47/85 limitatamente al decorso del termine di sessanta giorni stabiliti dall'art. 13, comma 2, legge citata (in tal senso Cass. sez. un. 27 marzo 1992, Passerotti, in Cass. pen. 1992, 2066). Non ignora questo pretore l'interpretazione restrittiva di codesta Corte sulla durata della sospensione ex art. 22 della legge n. 47 del 1985, di cui alla nota sentenza del 31 marzo 1988, n. 370, reiterata in altre ordinanze con cui sono state dichiarate infondate le varie questioni di legittimita' costituzionale sollevate sullo stesso articolo (n. 369/88; 704/88; 912/88; 1098/88; 150/89; 167/89; 274/89; 514/89; 423/89; 539/89; 34/90; 80/90). Pur tuttavia, codesta Corte - edita con ordinanza dd. 10 maggio 1995 dalla Corte di cassazione - nel dichiarare, con sentenza n. 270 del 18-22 luglio 1996, non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22, primo comma, legge n. 47/85, cosi' come modificato dall'art. 7, nono comma del d.-l. 27 marzo 1995, n. 88 (modifica riprodotta dall'ottavo comma dell'art. 8 del d.-l. 24 settembre 1996, n. 495 anch'esso non convertito), in riferimento agli artt. 112, 9, 32 e 77 della Costituzione, ha superato la originaria interpretazione restrittiva circa la durata della sospensione. Di fatto, pur non comportando la previsione della sospensione del procedimento penale un effetto devolutivo circa l'abusivita' e sanabilita' delle opere realizzate, con efficacia vincolante sul giudizio penale, ha ritenuto non irragionevole - esistendo considerazioni di opportunita' e di politica legislativa - la scelta discrezionale del legislatore di prevedere un meccanismo di sospensione in attesa della definizione del giudizio avanti al tribunale amministrativo regionale sulla legittimita' dell'atto di rifiuto (espresso o silenzio rifiuto) di sanatoria. Essendo l'art. 22 legge n. 47/85 ritornato alla sua originaria formulazione, ad avviso del remittente, esso si pone in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza e del diritto di difesa avverso gli atti amministrativi. Il legislatore infatti con l'art. 22, terzo comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ha adottato una formulazione dagli effetti estintivi, sui reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, derivanti dal rilascio della concessione in sanatoria cd. ordinaria (accertamento di conformita': art. 13 della legge citata). Rientra indubbiamente nella discrezionalita' del legislatore (come gia' espresso da codesta Corte nell'ordinanza n. 294 del 18-22 luglio 1996), una volta individuata una causa estintiva del reato, fissare, in relazione allo stato dell'azione penale, i limiti temporali di questa causa estintiva che deriva da una iniziativa dello stesso responsabile dell'abuso. Cionondimeno, le ragioni - valutabili discrezionalmente dal legislatore - di soprassedere al corso dell'azione penale fino alla definizione dei procedimenti amministrativi di sanatoria, devono incontrare il limite della ragionevolezza. Prendendo pertanto lo spunto dalle motivazioni di codesta Corte espresse nella sentenza n. 270 del 1996 e argomentando ex adverso, si evidenzia come, se non irragionevole e' stata la scelta operata dal legislatore che ha modificato, con i decreti-legge non convertiti, l'art. 22, primo comma, della legge n. 47 del 1985, in ordine alla durata della sospensione con l'aggiunta anche dell'esaurimento dei ricorsi giurisdizionali di cui al secondo comma, cosi' sciogliendo i dubbi interpretativi giurisprudenziali e dottrinali creatisi, irragionevole deve ritenersi senz'altro la scelta opposta del legislatore attuale di non prevedere alcuna ipotesi di sospensione del processo penale nella ipotesi in cui dalla illegittimita' di un atto amministrativo derivi la estinzione del reato. La soluzione di attesa da parte del giudice penale all'esito dell'esaurimento dei ricorsi giurisdizionali di cui al secondo comma dell'art. 22 legge n. 47 del 1985, avrebbe consentito infatti il contemperamento delle esigenze di celerita' e immediatezza processuali di cui al criterio direttivo della legge delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, con i principi costituzionali di tutela giurisdizionale dell'interessato di fronte ad un atto amministrativo, contenente rifiuto di sanatoria (oggetto di impugnazione), non assistito da certezza di legittimita' e quello di ragionevolezza volto ad evitare eventuali pronunce difformi dal giudice penale e di quello amministrativo, in quanto, pur conservando il primo ogni potere previsto dall'ordinamento processuale (ai fini sia delle disapplicazione di una concessione in sanatoria al di fuori dei presupposti di legge, sia della verifica della sussistenza della sanatoria per tutte le opere abusive accertate), e' agevolato nel suo accertamento dell'acquisizione della sentenza e dalla relativa documentazione del processo giurisdizionale amministrativo. La rilevanza della questione nel presente giudizio e' data dalla circostanza che la sospensione del processo penale in attesa dell'esito di quello giurisdizionale amministrativo, se prevista da una disposizione di legge, impedirebbe il decorso della prescrizione ed eventuali pronunce difformi del giudice penale e amministrativo, con le correlative conseguenze di cui all'art. 7, ultimo comma legge n. 47 del 1985. Piu' precisamente - e' irragionevole che il legislatore - e vi e' il pericolo concreto di lesione del principio di uguaglianza sostanziale a parita' di situazioni - non abbia previsto, anche per ragioni di economia processuale, la sospensione dell'azione o del procedimento penale, collegata a elementi di connessione anche probatoria, attese la insussistenza del rischio di prescrizione (operando la sospensione di quest'ultima) e la previsione legislativa di strumenti acceleratori, anche indipendenti da iniziativa di parte (art. 22, Il comma n. 47/1985), cosi' come evidenziato da codesta Corte nella sentenza n. 270/1996 surrichiamata. Nel caso di specie, non essendo eguali i tempi di durata del processo penale e di quello giurisdizionale amministrativo, si potrebbe verificare che questo giudice, pur in pendenza di quest'ultimo, emetta una sentenza di condanna laddove se il giudizio amministrativo fosse stato piu' celermente definito, il processo penale si sarebbe potuto concludere con un effetto estintivo. Come codesta Corte ha precisato, "poiche' il rilascio della concessione in sanatoria e' l'ultimo elemento della fattispecie che produce l'estinzione dei reati urbanistici, e' davvero inutile far svolgere un'azione penale nel momento stesso in cui viene posta in discussione con l'illiceita' amministrativa, la punibilita' del fatto. Nella ipotesi infatti, di conclusione positiva del processo amministrativo, in sanatoria, il reato deve essere dichiarato estinto". Viceversa, si potrebbe avere altra pronuncia difforme qualora questo giudice penale assolvesse l'imputato e il giudice amministrativo confermasse invece il provvedimento di diniego in sanatoria. E' pur vero che i due processi siano sostanzialmente autonomi, ma le diversita' di giudicato lederebbero il principio di certezza giuridica, creando disparita' concrete e possibili di trattamento a parita' di situazioni, tra i cittadini. Quanto poi agli effetti conseguenti al giudicato penale di condanna, si osserva che il recente ordinamento giurisprudenziale della Cassazione (Cass. sez. un. 19 giugno 1996 rel. Albamonte e Cass. sez. un. 24 luglio 1996 stesso relatore) ritiene che l'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 7 legge n. 47/1985, abbia natura di provvedimento giurisdizionale ancorche' applicativo di sanzione amministrativa, soggetto all'esecuzione nelle forme di cui all'art. 655 c.p.p. e ove sorga controversia sul titolo e modalita' esecutive, nelle forme di cui all'art. 665 e ss. c.p.p.. La eventuale possibilita' di revoca, introdotta dall'attuale sistema processuale penale, in fase di esecuzione, dell'ordine di demolizione, non compatibile con la situazione di fatto o giuridica sopravvenuta e al fine di adeguare alla situazione concreta ed attuale gli effetti dei provvedimenti giurisdizionali adottati, non e' di aiuto per l'interprete. Nell'eventualita' di concorrenza di titoli demolitori, l'avvenuta demolizione rende inutiliter datum l'ordine successivo. Nella eventualita' invece di contrasto tra i due giudicati: penale di condanna e amministrativo, che concede invece la sanatoria, se e' vero che i due sistemi (penale e giurisdizionale amministrativo) sono autonomi, il giudice dell'esecuzione potrebbe teoricamente, pur in presenza di una sanatoria, applicare egualmente la sanzione amministrativa ritenendo corretto il proprio accertamento di conformita' o meno dell'opera abusiva ex art. 13 legge n. 47/1985, non essendo vincolato al giudicato amministrativo in assenza di qualsiasi espressa indicazione normativa.
P. Q .M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22, primo comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non prevede la estensione della sospensione dell'azione penale sino alla definizione dei ricorsi di cui al secondo comma dello stesso articolo in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Sospende il presente giudizio e ordina che, a cura della cancelleria, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Trieste, addi' 2 giugno 1997 Il pretore: Salva' 97C1098