N. 29 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 14 maggio 1997
N. 29 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato il cancelleria il 14 maggio 1997 (della Camera dei deputati) Parlamento - Immunita' parlamentari - Ricorso della Camera dei deputati contro il tribunale civile di Foggia, per l'annullamento della sentenza, in data 1 giugno 1996, provvisoriamente esecutiva, dello stesso tribunale in data 1 giugno 1996, con la quale, in giudizio promosso dal dott. Luigi Picardi, magistrato attualmente in servizio presso il tribunale di Napoli, contro l'on. Francesco Cafarelli, quest'ultimo e' stato condannato al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dall'attore a causa di alcune dichiarazioni ritenute diffamatorie, contenute in un esposto che l'on. Cafarelli, all'epoca (aprile 1987) parlamentare e membro della Commissione antimafia, aveva inviato al Consiglio superiore della Magistratura e poi confermato dinanzi all'ispettore ministeriale inviato in seguito all'apertura di un'inchiesta, sollecitata dallo stesso Consiglio superiore, e di un procedimento per incompatibilita' ambientale, entrambi conclusisi con l'archiviazione. Esclusiva spettanza alla Camera dei deputati, ai sensi degli artt. 64, 68, 72 e 82 Cost., riaffermata dal potere ricorrente in seguito alla ordinanza di ammissibilita' del conflitto (n. 132/1997) pronunciata dalla Corte in fase delibativa, della valutazione, anche nei confronti del giudice civile, del comportamento dei propri parlamentari per le opinioni e i voti espressi nell'espletamento del mandato ricevuto - Conseguente difetto assoluto di potesta' del tribunale di Foggia in ordine alla pronuncia della citata sentenza, in quanto il denunciato esposto (come gia' ritenuto, del resto, dalla Camera quando fu investita della questione in relazione ad un processo penale in cui figurava come parte lesa, a causa dello stesso fatto, un altro magistrato) e' coperto dalla previsione di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione - Richiamo a sentt. nn. 1150/1988, 143/1993, 129 e 379 del 1996. (Sentenza del tribunale di Foggia - II sez. civile del 1 giugno 1996 n. 749/1996). (Cost., art. 68, comma 1).(GU n.23 del 4-6-1997 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 ss. legge 87/53 promosso della Camera dei deputati in persona del suo Presidente on. prof. Luciano Violante, in esecuzione delle delibere dell'ufficio di presidenza n. 36/97 del 30 gennaio 1997 e dell'Assemblea del 4 febbraio 1997 che hanno elevato il conflitto, con la rappresentanza e difesa giusta mandato per notar Castellini di Roma del 26 marzo 1997 n. rep. 52269 dell'avv. Giuseppe Abbamonte e con lui elettivamente domiciliata in Roma alla via Proba Petronia, 60 presso il dr. G. Salazar; nei confronti del tribunale civile di Foggia, per la dichiarazione previo riconoscimento dell'ammissibilita' del proposto conflitto di attribuzione, della carenza di potere del giudice civile in ordine alla domanda di risarcimento per danni morali, proposta dal dr. Luigi Picardi contro l'on. Francesco Cafarelli per fatti compiuti nell'esplicazione della funzione parlamentare e, come tali, non perseguibili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; nonche', per l'annullamento della sentenza del tribunale di Foggia, II sezione civile, n. 749/96 del 3 maggio-1 giugno 1996 di condanna dell'on.le Cafarelli al pagamento di lire dieci milioni a titolo di risarcimento di danni non patrimoniali in favore del dr. Luigi Picardi: sentenza emessa con invasione della sfera di attribuzioni costituzionali della Camera. f a t t o 1. - Con atto di citazione del 10 marzo 1992 il dr. Luigi Picardi, magistrato attualmente in servizio presso il tribunale di Napoli, conveniva in giudizio, dinanzi al tribunale di Foggia, l'on.le Francesco Cafarelli, per sentirlo condannare al pagamento della somma di L. 1 miliardo a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, che l'istante avrebbe subiti a causa di pretese dichiarazioni diffamatorie per esso attore, allora sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Foggia. Affermazioni relative a comportamenti del dr. Picardi durante il periodo in cui aveva svolto le funzioni di p.m. a Foggia, contenute in un esposto inviato dal convenuto, all'epoca parlamentare e segretario della Commissione antimafia, al Consiglio superiore della magistratura, affermazioni successivamente confermate dallo stesso convenuto dinanzi all'ispettore ministeriale inviato a seguito dell'apertura di procedimento disciplinare sollecitato dall'organo di autogoverno dei giudici. 2. - Giova precisare al riguardo che, sempre in relazione alla medesima indagine condotta dalla ricordata Commissione antimafia, il dr. Baldi, altro magistrato della stessa procura di Foggia, aveva sporto querela nei confronti dello stesso on. Cafarelli e per gli stessi fatti; conseguentemente, era stato promosso, a carico di detto parlamentare, procedimento penale per il reato di diffamazione (art. 595 cod. pen.); procedimento sottoposto all'esame della Camera, ai fini dell'allora prescritta autorizzazione a procedere, negata dall'Assemblea parlamentare su conforme delibera della Giunta delle autorizzazioni a procedere: (cfr. atti parl., Camera, XI leg., doc. IV n. 113-A, rel. Del Basso De Caro - doc. 4). La Camera, infatti, riteneva trattarsi di ipotesi rientrante nella fattispecie prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione e nella delibera della Giunta si legge: "la Giunta ha ritenuto che il deputato Cafarelli con l'esposto e le interrogazioni abbia esercitato legittimamente il suo diritto-dovere di sindacato politico coperto dalla prerogativa dell'insindacabilita' di cui al primo comma dell'art. 68 della Costituzione". La Camera aveva pertanto gia' ritenuto non perseguibile ai sensi dell'art. 68 Cost. il fatto posto poi a fondamento dell'azione civile. L'odierno conflitto viene sollevato dalla Camera dei deputati per riaffermare il suo potere di valutare la perseguibilita' di fatti commessi da un proprio membro, definendo sia la natura del comportamento (espressione di opinioni e voti) sia la sussistenza o meno della connessione tra lo stesso comportamento, divenuto oggetto del giudizio civile, e l'esercizio della funzione parlamentare. Riaffermazione necessaria perche', nonostante il ricordato precedente, il giudice civile ha ritenuto di poter pervenire per lo stesso fatto ad una condanna in sede civile che la Camera contesta ritenendola invasiva delle sue attribuzioni (docc 3-5). Si deducono pertanto i seguenti M o t i v i I. - Invasione della sfera di attribuzioni costituzionali della Camera ex artt. 64 e 68 Cost. nonche' delle prerogative dei singoli parlamentari ex art. 68 Cost., per avere il tribunale di Foggia nella denunziata sentenza limitato al giudizio penale gli effetti dell'accertamento di insindacabilita' degli atti dell'on. Cafarelli gia' espresso dalla Camera, nel senso che trattavasi di atti compiuti nell'esercizio del mandato parlamentare; detto accertamento e' stato indebitamente disatteso e si e' proceduto nel giudizio civile pervenendo alla condanna al risarcimento del danno non patrimoniale. Questi fatti sono pacifici ed altrettanto pacifiche sono le conseguenze che ne ha tratto il tribunale di Foggia, emergendo dalla relativa sentenza quanto segue: "Ritiene il Collegio di non condividere l'orientamento di quella dottrina costituzionale secondo la quale l'immunita' esclude qualunque forma di responsabilita' che non sia quella disciplinare esercitabile degli organi parlamentari. Invero, in ordine al punto controverso della estensione dell'immunita' alla responsabilita' civile, la risposta negativa appare ovvia per quanto riguarda l'ipotesi di diniego dell'autorizzazione a procedere (art. 68, 2 comma Cost.), dato che quest'ultima e' universalmente costruita come una condizione di procedibilita' dell'azione penale che non puo' riguardare in alcun modo l'azione civile di danno... ...Destano forti perplessita', infatti, le motivazioni della decisione della Giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere allegata agli atti, relativa al procedimento penale instaurato contro il convenuto a seguito di querela del giudice Baldi. Neppure appare condivisibile la tesi del convenuto secondo cui l'esposto inviato al C.S.M. sarebbe stato redatto in via ufficiale da parte di soggetto membro della Commissione parlamentare antimafia e, quindi, in rappresentanza di quest'ultimo organo e in adempimento di un preciso dovere costituzionale..." (doc 5). Ora e' manifesta la violazione da parte del tribunale sia del vecchio e piu' ancora del nuovo testo dell'art. 68 Cost., primo comma modificato con la legge cost. 29 ottobre 1993 n. 31, per quanto questa norma nega che i parlamentari possano essere "chiamati a rispondere" per fatti commessi nell'esercizio del mandato. La locuzione "chiamati a rispondere" che sostituisce la precedente "perseguiti" e' infatti chiarificatrice nel senso di includere ogni forma di responsabilita', perche', non solo gia' l'espressione precedente e' chiara ed il cambiamento di locuzione lo e' ancora di piu', ma perche' non esiste alcun elemento, ne' di interpretazione tecnica ne' sistematica, che possa limitare gli effetti del divieto di chiamare a rispondere; espressione idonea a contrapporsi ad ogni atto di iniziativa giudiziaria che contenga una chiamata ed una contestazione; una chiamata, cioe', a rispondere per violazione di norme giuridiche e/o di lesione di interessi protetti giuridicamente. Inutile dire che il dato sistematico, che consiste nella specie nella comparazione tra vecchio e nuovo testo dell'art. 68, fornisce eloquente conferma, specie se si ha riguardo al linguaggio della nostra legislazione, penale e non; legislazione che in qualche modo veniva sottesa per limitare, in modo piu' che discutibile, la norma costituzionale nella precedente dizione, riferibile peraltro al reus che, in senso lato, comprende anche il convenuto. Conseguentemente, il tribunale si sarebbe dovuto arrestare di fronte alla pronuncia negativa della Camera sulla richiesta di autorizzazione a procedere per diffamazione in relazione al fatto dell'on. Cafarelli, che era lo stesso fatto posto a base della domanda di risarcimento, come risulta da riportato brano della sentenza. In narrativa si e' gia' evidenziata la decisione della Giunta per le autorizzazioni a procedere la quale aveva ritenuto che "... il deputato Cafarelli con l'esposto e l'interrogazione abbia esercitato legittimamente il suo diritto-dovere di sindacato politico, coperto dalla prerogativa dell'insindacabilita' di cui al primo comma dell'articolo 68 della Costituzione e, nel caso della sua audizione, oggetto di querela, abbia solo ribadito affermazioni contenute nei suddetti atti". Di fronte a questa pronuncia della Camera, il tribunale non avrebbe potuto comunque, procedere nel giudizio, disapplicando quanto la Camera aveva gia' deciso. Non esiste infatti nel nostro ordinamento alcun potere dell'A.G.O. di disapplicare gli atti del Parlamento, specie per quanto riguarda gli atti di prerogativa che, in realta', sono delle competenze esclusive, aventi la funzione di tutelare l'autonomia del Parlamento e del parlamentare, assumendo le forme e facendo fronte alle occasioni che possano dar luogo ad attacchi a detta autonomia, sia dei collegi parlamentari sia dei singoli parlamentari, cosi' come costituzionalmente tutelate. Autonomia che la disapplicazione, implicitamente ma necessariamente, compiuta dal tribunale certamente lede, perche' incide in una sfera di attribuzioni gia' concretatasi in una presa di posizione tipica della Camera interessata, nel senso di affermare la qualificazione degli atti, contestati come atti di esercizio della funzione parlamentare, con conseguente insindacabilita'. A tutto concedere il tribunale ove avesse dissentito dalla decisione della Camera, avrebbe potuto sollevare un conflitto di attribuzioni, spettando soltanto alla Corte costituzionale, ex art. 134 Cost., risolvere i conflitti tra poteri dello Stato e verificare se la Camera avesse ecceduto i limiti ex artt. 64 e 68 Cost. II. - A) Invasione della sfera di attribuzioni costituzionali del Parlamento ex artt. 64 e 68 Cost. perche', riconoscendo ad esse potesta' normative, di autoamministrazione e giudiziarie, per quanto necessario a garantire la liberta' nell'esercizio delle funzioni parlamentari, individuando procedure idonee, esentando dalla giurisdizione l'esercizio delle funzioni parlamentari, attribuendo determinate potesta' di accertamento e di giudizio circa l'attribuzione, la delimitazione e l'individuazione in concreto dell'esercizio delle funzioni parlamentari. E' in sostanza il concretarsi della tendenza storica degli ordinamenti autonomi a completarsi, per quanto necessario a tutelare la loro autonomia; tendenza costituzionalmente recepita, per quel che concerne le Camere, specialmente, nell'art. 64, prima che nell'art. 68 Cost., laddove l'art. 64 attribuisce alle Camere la potesta' di deliberare il proprio regolamento a maggioranza assoluta, senza particolari indicazioni di materia. Per quanto qui interessa, la giurisprudenza formatasi e' costante nell'affermare la competenza esclusiva delle Camere a valutare i comportamenti dei parlamentari - per stabilire se rientrino o meno nell'esercizio del mandato - con il relativo effetto di precludere nuove e/o diverse valutazioni (Corte cost. 1150/88, 443/93, 129 e 379/1996, la stessa giurisprudenza non recepisce distinzioni tra giurisdizione civile e penale che viene, anzi esclusa nelle sentenze 120 e 379/96 come segue: a) nella sentenza 129/96 si afferma che: "Il primo argomento deduce la regola di decisione dalla qualificazione dogmatica tradizionale dell'irresponsabilita' sancita dall'art. 68 Cost. come una figura di immunita' personale avvicinabile alla condizione di non punibilita': tesi non pacifica, alla quale si contrappone la tesi della natura oggettiva dell'irresponsabilita', che ravvisa nell'art. 68 una causa di esclusione dell'illecito. Ma, quale che sia la dottrina preferibile circa la natura dell'irresponsabilita' dei membri del Parlamento per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e' certo che alla deliberazione della Camera di appartenenza che la riconosce e' coessenziale l'effetto inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di responsabilita' penale o civile per il risarcimento dei danni". "... A tutela del principio ... di indipendenza e autonomia del potere legislativo nei confronti degli altri organi e poteri dello Stato, l'art. 68 Cost. sacrifica il diritto alla tutela giurisdizionale del cittadino che si ritenga offeso nell'onore o in altri beni della vita da opinioni espresse da un senatore o deputato nell'esercizio delle sue funzioni. Questa prerogativa dei membri del Parlamento, poiche' costituisce, sul piano del diritto sostanziale, una causa di irresponsabilita' dell'autore delle dichiarazioni contestate, comporta, sul piano processuale, l'obbligo per l'autorita' giudiziaria di prendere atto della deliberazione parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti...". b) nella sentenza n. 379/96 si approfondisce ancor piu' il problema come segue: "I diritti la cui autorita' ed il cui esercizio abbiano come presupposto lo status di parlamentare e ne connotino la funzione possiedono, invece, uno statuto fondato sulla Costituzione e plasmato dal principio di autonomia delle Camere. E' in relazione a tali diritti che la non interferenza dell'autorita' giudiziaria civile o penale si afferma con la massima cogenza, in quanto essa e' finalizzata al soddisfacimento del bene protetto dagli artt. 64, 72 e 68 della Costituzione, la garanzia del libero agire del Parlamento nell'ambito suo proprio e l'esclusiva competenza di ciascuna Camera a prevedere ed attuare i rimedi contro gli atti ed i comportamenti che incidano negativamente sulle funzioni dei singoli parlamentari e che pregiudichino il corretto svolgimento dei lavori. Tutto cio' in perfetta aderenza alla configurazione storica della liberta' che non e' limitata alla persona ma si estende al patrimonio, che e' esso stesso strumento di liberta'; liberta' dal bisogno, che puo' seguire agli accertamenti di responsabilita' civile per l'attivita' politica che, perche' tale,ha estensione ed effetti difficilmente prevedibili. Con la conseguenza che solo l'organo politicamente formato e politicamente responsabile verso l'elettorato e' bastevolmento inquadrato nel sistema e nella realta' politica, per delimitare e valutare gli atti costituenti esercizio del mandato politico, che hanno una dimensione necessariamente ultraindividuale e non sono costringibili nelle angustie del rapporto intersoggettivo. B) Ulteriore supporto alla tesi sin qui sostenuta si puo' ottenere ricordando la cosidetta garanzia amministrativa accordata agli agents de gouvernement in Francia per garantirli dalle ingerenze del potere giudiziario. Garanzia che, come e' noto, consisteva nella impossibilita' di procedere a giudizio a carico dei funzionari che ne godevano, senza autorizzazione governativa. In Italia nel godevano i prefetti (art. 22 testo unico 3 marzo 1934, n. 383) ed i sindaci nelle funzioni di ufficiali di Governo (art. 158 testo unico 4 febbraio 1915, n. 148). Vero e' che l'istituto e' venuto meno per effetto della sentenza di codesta Corte 18 febbraio 1965, n. 4 ma qui interessano i limiti entro i quali la garanzia veniva accordata durante la sua vigenza. In proposito e' stato ricordato che in Francia l'istituto e' stato ritenuto applicabile anche ai processi civili e dopo una premessa storica il Ferrero nella voce Garanzia amministrativa in Nuovo digesto italiano, UTET 1938 precisa ancora: "In Italia tale questione si agito' nei primi tempi dell'applicazione dell'istituto, e vi fu qualche autore ed una parte della giurisprudenza, i quali, interpretando troppo grettamente l'inciso "ne sottoposti a procedimenti" del testo legislativo, sostennero che non dovesse essere esteso ai procedimenti civili. Contro questa interpretazione e nel senso della applicabilita' della garanzia tanto ai procedimenti penali quanto a quelli civili, si affermo' vigorosamente una notevole frazione della giurisprudenza (Fondamentale in questo senso e' la sentenza della C.C. Torino, 7-VII-1876 (Foro Ital. 1876, I, 1114)) e la prevalente dottrina che anzi e' ormai assolutamente concorde (Saredo, op. e vol. cit., pag. 186; Mazzoccolo, Legge comunale e provinciale, 6 ediz., pag. 20, nota 2, Milano 1912; Ferraris, L'amministrazione locale in Italia, vol. I, pag. 140, Padova, 1920; La torre, Commento, ecc., pag. 86, Napoli 1934; Zanobini, ediz. ed op. cit., pag. 86; Vitta, op. e vol. cit., pag. 451; Meucci, Istituzioni di diritto amministrativo, 4 ediz. pag. 240, Torino, 1898). Opinione piu' recentemente confermata dallo Zanobini, Corso di Diritto Amministrativo, vol. III, Ed. 1957, pag. 94 in cui si afferma che: "E' discusso se l'espressione "sottoporre a procedimento", contenuta nella vigente legge, riguardi solo il procedimento penale o si estenda all'eventuale giudizio civile di responsabilita' per danni verso terzi. La ragione e il fondamento della norma sembrano imporre la soluzione piu' lata; del resto, anche la lettera dell'articolo, che in generale esclude che i prefetti possano essere chiamati a render conto della loro attivita' se non dai superiori organi amministrativi, importa che all'autorita' giudiziaria non sia consentito, senza alcuna autorizzazione di quelli, alcun sindacato, anche ai soli effetti civili". C) Resta, pertanto, confermato che, una volta riconosciuta costituzionalmente l'esigenza di tutelare l'indipendenza di una funzione, non ha senso limitare l'esenzione alla sola giurisdizione penale perche' l'uomo e' attaccato ai beni non meno che alla liberta' e cio' specialmente quando si tratta di decidere sulle azioni da compiere nell'adempimento dei doveri funzionali; adempimento cui la media non e' disposta a sacrificare quanto gli appartiene. E qui ci si sta occupando della posizione da garantire alla classe dei rappresentanti politici, del passato, del presente e del futuro per metterli in condizione di modellare liberamente la loro azione senza doversi preoccupare di evitare attacchi ai loro patrimoni. III. - Invasione di potesta' delle Camere non esistendo, in concreto, alcun atto fonte di responsabilita' essendosi il parlamentare limitato ad informare l'organo di autogoverno della magistratura di fatti risultati alla Commissione antimafia circa l'attivita' del magistato ai sensi dell'art. 129 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. che cosi' dispone: "Quando esercita l'azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l'autorita' da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione. Quando si tratta di personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, ne da' comunicazione anche al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato". Ai sensi dell'art. 82 Cost. ciascuna Camera puo' disporre inchieste su materie di pubblico interesse tramite apposita Commissione che procede ad indagini ed esami con gli stessi poteri e con le stesse limitazioni dell'autorita' giudiziaria. Non si vede come possa escludersi l'applicabilita' di detta norma anche alla Commissione antimafia e come il segretario di detta Commissione avrebbe potuto omettere di informare il C.S.M., che e' l'autorita' da cui dipende il magistrato che poi ha esercitato l'azione civile di risarcimento, ritenendo di essere stato leso dalle doverose informazioni fornite, ovviamente, allo stato degli atti, dall'on.le Cafarelli al C.S.M. Le sezioni unite penali 12 marzo 1983 in Foro it. 1984, II, 209, tra l'altro, hanno deciso che: "Non sussiste la giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria, ne' di alcun'altra autorita' giurisdizionale, sulla domanda di annullamento dell'atto di commissione parlamentare di inchiesta (nella specie, sulla loggia massonica P2)". Ma la sentenza, che per comodita' di lettura si esibisce in fotocopia, si segnala per il diffuso studio che conduce sulla insindacabilita' degli atti dei parlamentari, affermando, specificamente, alla fine del n. 15: "Ed e' per gli stessi motivi, infine, che, mentre e' prevista (art. 96 Cost.) la possibilita' di reati "ministeriali" (di reati comuni commessi, nell'esercizio delle loro funzioni, dal Presidente del Consiglio o dai Ministri), perche' l'azione governativa e' pur sempre disciplinata giuridicamente (anche se la perseguibilita' e il giudizio sono poi rimessi alla commissione inquirente e al Parlamento e cioe' ad organismi politici), e' impensabile, viceversa, che l'azione dei parlamentari, inerente alla loro funzione, possa concretare un'ipotesi di reato. La norma, invero, dell'art. 68, primo comma, Cost., secondo cui i membri delle Camere non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, riduttivamente e' definitia di "immunita'", sia pure assoluta. Essa, invero, presuppone in effetti, una piu' importante affermazione: la non ipotizzabilita', sostanziale, di alcun illecito (civile o penale) dei membri del parlamento nell'esercizio delle funzioni proprie del loro mandato (opinioni espresse, voti dati), proprio perche' l'illecito presuppone sempre la violazione di un limite giuridico: e nessun limite puo' incontrare l'esplicazione del mandato parlamentare. L'esclusione, quindi, di ogni azione giudiziaria tesa a "perseguire" quell'attivita' non e' altro che il riflesso processuale, dell'impossibilita' sostanziale, che l'attivita' inerente alla funzione legislativa possa concretare la violazione di un obbligo giuridico e quindi un illecito. Ed e' sostanzialmente, in base a tali considerazioni che il procuratore generale sostiene, con la sua requisitoria, che il carattere politico delle commissioni parlamentari d'inchiesta esclude, in radice, la protezione giuridica e, quindi, la tutela giurisdizionale, degli interessi dei terzi". Stralcio che si riporta a conclusione delle argomentazioni ed a decisivo sostegno delle richieste formulate. (doc 6).
P. Q. M. Si conclude perche' codesta Sovrana Corte, previa dichiarazione di ammissibilita' del presente ricorso per conflitto di attribuzioni, dichiari: a) che spetta esclusivamente alla Camera dei deputati, ai sensi degli artt. 64, 68, 72 e 82 Cost., esercitare la valutazione del comportamento dei parlamentari per le opinioni ed i voti espressi nell'esplicazione del mandato ricevuto anche nei confronti del giudice civile; b) che, in particolare, l'autorita' giudiziaria e' carente di giurisdizione in ordine alla proponibilita' dell'azione civile per risarcimento dei danni senza la previa deliberazione della Camera d'appartenenza del parlamentare in ordine alla valutazione se la fattispecie concreta rientri o meno nell'ipotesi di cui all'art. 68 Cost.; c) conseguentemente si chiede che la Corte annulli la sentenza n. 749/96 pronunciata dal tribunale civile di Foggia seconda sezione civile perche' viziata da difetto assoluto di potesta' in quanto il fatto rientra nella previsione di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, con riaffermazione della competenza esclusiva della Camera e pronunciarsi in proposito. Il fascicolo depositato presso codesta Corte comprende: 1) Originale del ricorso sottoscritto; 2) Delibera dell'Ufficio di presidenza n. 36/97 del 30 gennaio 1997 per l'elevazione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; 3) Delibera dell'Assemblea del 4 febbraio 1997 di eguale contenuto; 4) Delibera della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei Deputati, XI leg., Doc. IV n. 113-A, rel. Del. Basso De Caro che nega l'autorizzazione a procedere nei confronti del deputato Cafarelli per il reato di cui all'art. 595 cod. pen.; 5) Copia della sentenza del tribunale civile di Foggia n. 749/96 del 3 maggio-1 giugno 1996; 6) Sentenza delle s.u. 12 marzo 1983. Tutto cio' premesso Si chiede ancora Che codesta sovrana corte voglia fissare la camera di consiglio, per la dichiarazione di ammissibilita' del ricorso per conflitto di attribuzioni proposto con il presente atto, ai sensi dell'art. 37, comma terzo e quarto della legge 11 marzo 1953 n. 87, con la urgenza che il caso richiede, trattandosi di sentenza provvisoriamente esecutiva, che lede fondamentali prerogative poste a tutela del libero funzionamento del Parlamento. Piaccia, pertanto, al Presidente della Corte, a norma dell'art. 9 della Legge Costituzionale 11 marzo 1953 n. 1, ridurre alla meta' i termini del procedimento. Ferme tutte le richieste che precedono e salvo ogni altro diritto od interesse giuridicamente protetto. Roma, addi' 2 aprile 1997 Il Presidente della Camera dei deputati: on. prof. Luciano Violante 97C0495