N. 17 SENTENZA 30 gennaio - 10 febbraio 1997

 
 
 Giudizio sulla ammissibilita' della richiesta di referendum popolare.
 
 Costituzione   della  Repubblica  italiana  -  Referendum  -  Sanita'
 pubblica - Istituzione del Ministero della  sanita'  -  Riordinamento
 dello  stesso  -  Attribuzioni  spettanti  all'Alto Commissariato per
 l'igiene e la sanita' pubblica e ad altre amministrazioni dello Stato
 in materia di  servizi  sanitari,  di  personale  sanitario  e  degli
 esercenti  professioni  ed  arti  sanitarie  - Richiesta incidente su
 norme a contenuto costituzionalmente vincolato al fine dell'esercizio
 di   funzioni   amministrative   costituzionalmente   necessarie    -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 13 marzo 1958, n. 296; d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266).
(GU n.7 del 12-2-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  dott.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di ammissibilita', ai sensi dell'art.  2,  primo  comma,
 della  legge  costituzionale  11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
 referendum popolare per l'abrogazione della legge 13 marzo  1958,  n.
 296 "Costituzione del Ministero della sanita'" e del d.lgs. 30 giugno
 1993,  n.  266  "Riordinamento  del  Ministero della sanita', a norma
 dell'art. 1, primo comma, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n.
 421", iscritto al numero 85 del registro referendum;
   Vista l'ordinanza del 26-27 novembre 1996 con  la  quale  l'Ufficio
 centrale   per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione  ha
 dichiarato legittima la richiesta;
   Udito nella camera di consiglio  dell'8  gennaio  1997  il  giudice
 relatore Valerio Onida;
   Uditi  gli  avvocati  Mario  Bertolissi, Giovanni Motzo e Beniamino
 Caravita di Toritto per  i  delegati  dei  Consigli  regionali  della
 Lombardia,  del  Piemonte,  della  Valle d'Aosta, della Calabria, del
 Veneto, della Puglia e della Toscana.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza del 26-27 novembre 1996 l'Ufficio  centrale  per
 il   referendum,   costituito  presso  la  Corte  di  cassazione,  ha
 dichiarato legittima la richiesta di referendum  popolare  abrogativo
 presentata  dai  Consigli  regionali della Toscana, del Veneto, della
 Lombardia, del Piemonte, della Valle d'Aosta, della Calabria e  della
 Puglia,  sul  seguente  quesito:  "Volete  voi che siano abrogati: la
 legge 13  marzo  1958,  n.  296  (Costituzione  del  Ministero  della
 sanita');  il  d.lgs.  30  giugno  1993  n.  266  (Riordinamento  del
 Ministero della sanita', a norma dell'art. 1,  primo  comma,  lettera
 h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421)?".
   2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa
 Corte  ha  fissato  per  la  conseguente  deliberazione  la camera di
 consiglio  dell'8  gennaio  1997,  disponendo  che  ne   fosse   data
 comunicazione  ai  presentatori  della  richiesta e al Presidente del
 Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo  comma,  della
 legge n. 352 del 1970.
   Si  sono  avvalsi  della  facolta'  di  depositare  memorie, di cui
 all'art.   33, terzo  comma,  della  legge  citata,  i  delegati  dei
 consigli regionali presentatori della richiesta.
   I   presentatori  ricordano  che  gia'  nel  1992  alcuni  Consigli
 regionali avevano chiesto la soppressione per  via  referendaria  del
 Ministero  della sanita', attraverso l'abrogazione della legge n. 296
 del 1958.  Pur essendo vero - argomentano - che tale  legge  e'  solo
 una,  sia  pure  la  principale, delle leggi riguardanti il Ministero
 della sanita', e che essa concerne ambiti materiali -  come  l'igiene
 pubblica  -  per  taluni  aspetti  estranei alle attribuzioni proprie
 delle Regioni,  nel  caso  in  esame  verrebbe  in  rilievo  solo  il
 "risvolto propriamente organizzativo", "la cui ovvia interferenza con
 quello  funzionale concretizza una questione di per se' estranea alla
 vicenda referendaria di cui trattasi".
   Si  ricordano  poi  le  vicende   legislative   del   processo   di
 regionalizzazione,   che   avrebbe   dovuto   accompagnarsi   ad   un
 riordinamento dei Ministeri (previsto in particolare dalla  legge  di
 delega   28   ottobre   1970,   n.      775),   con   un   esito   di
 riduzione-soppressione degli apparati centrali dello Stato.
   Quel riordinamento e' tuttavia mancato, e anche la legge di  delega
 n.   421   del   1992  avrebbe  omesso  di  considerare  gli  aspetti
 organizzativo-istituzionali, cioe' appunto i Ministeri,  con  l'unica
 eccezione del Ministero della sanita', che e' stato riordinato con il
 d.lgs.  n.  266 del 1993, pure esso oggetto della presente iniziativa
 referendaria.
   L'organizzazione, restando immutata, avrebbe impedito "una corretta
 dislocazione ed una efficace realizzazione dei compiti assegnati alle
 Regioni"; rimarrebbe peraltro impregiudicato il diritto  di  chiedere
 al   corpo   elettorale  di  esprimersi  sul  quesito  proposto,  che
 configurerebbe un dilemma gia' risolto astrattamente  dal  Parlamento
 quando  dispose  la  delega  - non attuata - per il riordinamento dei
 Ministeri.
   La presente richiesta di referendum avrebbe  un  oggetto  puntuale,
 concernendo  la  istituzione  di  un  dato  Ministero,  col  fine  di
 sopprimerlo in quanto strutturato con certi caratteri.
   Non  ricorrerebbe  poi  nessuna   delle   ragioni   di   esclusione
 espressamente  disposte  dall'art.  75 della Costituzione. Il quesito
 non sarebbe disomogeneo, ma puntuale e risolubile o con la  rimozione
 dell'attuale  assetto  organizzativo  ministeriale  ovvero con la sua
 conferma.
   Ne' ricorrerebbe, secondo i presentatori,  l'ipotesi  di  legge  "a
 contenuto  costituzionalmente  vincolato"  sotto  il  profilo  che le
 disposizioni soggette  a  referendum  contengano  l'unica  necessaria
 disciplina attuativa della Costituzione, trattandosi viceversa di una
 disciplina che lo stesso legislatore parlamentare, in sede di delega,
 ha mostrato di ritenere inopportuna.
   La  legislazione  in questione non potrebbe nemmeno farsi rientrare
 fra le leggi "costituzionalmente obbligatorie": per  la  Costituzione
 devono  sussistere  ed  essere in grado di operare solo le componenti
 necessarie del Governo, vale a dire il  Consiglio  dei  Ministri,  il
 Presidente del Consiglio e i Ministri intesi come categoria, mentre i
 ministeri   sono   costituiti   o   soppressi  con  legge  ordinaria.
 L'abrogazione proposta, del resto, sarebbe riferita ad  un  ministero
 operante  nell'ambito  delle  attribuzioni  regionali: il che, se non
 significa  che  un   Ministero   non   debba   comunque   sussistere,
 significherebbe  invece  che  esso  non  puo'  essere strutturato nei
 termini attuali, ben potendosi ridurre  ad  uno  staff  ristretto  di
 collaboratori  del  ministro,  che  potrebbe  anche  essere collocato
 presso la Presidenza del Consiglio o nell'ambito di altro  Ministero.
 Essa  comunque  non  interessa  l'organo  costituzionale Ministro, ma
 unicamente il Ministero inteso come apparato servente.
   I presentatori osservano poi che l'iniziativa referendaria  sarebbe
 necessitata   in   quanto   le   Regioni  non  potrebbero  altrimenti
 "aggredire"  le  disposizioni  in  questione,  data  la  loro  natura
 organizzativa.
   L'unico  vero ostacolo alla ammissibilita' della richiesta, secondo
 i presentatori, potrebbe essere rappresentato  "dalle  carenze  della
 legge  di  attuazione  dell'art.  75 Cost.". Ma a questo proposito si
 dovrebbe considerare che l'art.  37  della  legge  n.  352  del  1970
 consente   di   differire   sino  a  sessanta  giorni  la  decorrenza
 dell'effetto abrogativo del referendum.  Tale  termine  non  sarebbe,
 nella specie, inadeguato a consentire il varo tempestivo di una nuova
 disciplina;  e  comunque,  se  tale  lo  si ritenesse, i presentatori
 prospettano la possibilita' per la Corte di sollevare di fronte a se'
 stessa questione di legittimita' costituzionale di detta disposizione
 sotto il  profilo  della  sua  irragionevolezza;  il  legislatore,  a
 seguito  della  declaratoria  di illegittimita', sarebbe costretto ad
 ampliare il termine.
   La richiesta sarebbe ammissibile, non risultando compromesso  alcun
 valore  costituzionalmente  protetto ne' incisa la forma parlamentare
 di governo. Essa si porrebbe "quale tramite per un rinnovamento delle
 istituzioni, regionali e  centrali  ad  un  tempo",  poiche'  sarebbe
 pregiudiziale  per  ogni cambiamento anche costituzionale "la opzione
 accentramento-decentramento  funzionale  ed  organizzativo":  sarebbe
 questo  "il  dilemma  che  si  intende proporre al corpo referendario
 attraverso la formulazione di un quesito omogeneo ed inequivoco".
   In definitiva - concludono i presentatori - non avrebbe senso,  ne'
 istituzionale, ne' giuridico-costituzionale, affermare che il quesito
 referendario  sia  privo  di  "evidenza  ed  univocita'  del  momento
 teleologico" e sia "carente della chiarezza necessaria per assicurare
 l'espressione di un voto  consapevole",  come  venne  ritenuto  dalla
 sentenza  di  questa  Corte  n.  34  del 1993 a proposito del quesito
 allora formulato. Esso era anche allora  "limpido  proprio  nel  fine
 perseguito":    ma  oggi  non  si  potrebbe nutrire alcun dubbio, dal
 momento che oggetto del nuovo quesito sono sia la legge del 1958, sia
 il decreto legislativo  del  1993  di  riordinamento  del  Ministero.
 L'insieme  di  queste disposizioni individuerebbe il corpus normativo
 essenziale recante "la disciplina organica  di  riferimento":  mentre
 sarebbe  impossibile  elencare  le  miriadi  di  frammenti  normativi
 riguardanti in qualche modo il Ministero  della  sanita',  "destinati
 peraltro  ad  essere  travolti  dall'eventuale  responso referendario
 positivo".
   3. -  Ad integrazione del  contraddittorio  espressamente  previsto
 dall'art.  33  della  legge  n.  352  del 1970 sono stati uditi nella
 camera di consiglio dell'8 gennaio 1997,  per  i  presentatori  della
 richiesta,  gli  avvocati  Mario  Bertolissi,  Beniamino  Caravita di
 Toritto  e  Giovanni  Motzo,  i  quali   hanno   insistito   per   la
 dichiarazione   di   ammissibilita'   del   quesito,   affermando  in
 particolare che il suo accoglimento  non  implicherebbe  eliminazione
 delle  funzioni  del Ministero, le quali potrebbero essere riallocate
 dal legislatore successivamente, o anche prima che decorra  l'effetto
 abrogativo, ed anche eventualmente al centro.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  richiesta  riguarda  l'abrogazione  totale  della  legge
 istitutiva del Ministero (13  marzo  1958,  n.  296)  e  del  decreto
 legislativo di riordinamento del Ministero medesimo (d.lgs. 30 giugno
 1993, n. 266).
   La  prima  istituiva  il  Ministero  della  sanita', definendone le
 attribuzioni con riguardo ai compiti e ai servizi  allora  attribuiti
 dalle  leggi allo Stato per la tutela della salute pubblica (art. 1),
 e in particolare devolvendo allo  stesso  Ministero  le  attribuzioni
 gia'  spettanti  all'Alto  Commissariato  per  l'igiene  e la sanita'
 pubblica, le attribuzioni delle altre amministrazioni dello Stato  in
 materia  di  servizi sanitari e quelle del Ministero dell'interno nei
 riguardi del personale sanitario e degli esercenti professioni e arti
 sanitarie (art. 2). Prevedeva poi le direzioni generali   in  cui  il
 Ministero si articolava (art. 3, ora abrogato dall'art. 10 del d.lgs.
 n.  266  del 1993), e gli organi  periferici (art. 4); disciplinava i
 compiti di vigilanza sugli enti pubblici sanitari  e  i  compiti  dei
 prefetti   in     materia  (artt.  5  e  6);  dettava  infine  alcune
 disposizioni particolari di organizzazione o a carattere  transitorio
 (artt. da 7 a 11).
   Il decreto legislativo n. 266 del 1993, emanato in base alla delega
 contenuta  nell'art.  1,  primo  comma,  lettera  h),  della legge 23
 ottobre 1992,  n.  421,  stabilisce  che  il  Ministero  esercita  le
 funzioni  amministrative riservate allo Stato dalla legge 23 dicembre
 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale,  e  svolge
 inoltre    funzioni   in   materia   di   programmazione   sanitaria,
 coordinamento  del   sistema   informativo   sanitario   e   verifica
 comparativa  dei  costi  e dei risultati, vigilanza sulle specialita'
 farmaceutiche e regolamentazione della materia farmaceutica,  sanita'
 pubblica,  sanita'  pubblica  veterinaria,  nutrizione e igiene degli
 alimenti, ricerca e sperimentazione in materia sanitaria, professioni
 e attivita' sanitarie (art. 1). Detta poi i criteri  legislativi  per
 la  organizzazione  del Ministero e per la rideterminazione della sua
 dotazione organica, da disporsi con regolamenti (art. 2); prevede  la
 soppressione  del  consiglio sanitario nazionale e la devoluzione dei
 suoi compiti alla conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato e
 le Regioni (art. 3); determina le funzioni del Consiglio superiore di
 sanita',   demandandone   la   disciplina   della   composizione    e
 dell'ordinamento  al regolamento (art. 4); istituisce l'agenzia per i
 servizi sanitari regionali, con compiti di supporto  delle  attivita'
 regionali,  di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei
 servizi, di segnalazione di disfunzioni e sprechi,  di  trasferimento
 dell'innovazione    e    delle   sperimentazioni,   demandandone   la
 organizzazione a un regolamento, sulla base di alcune norme e criteri
 (art. 5); ridefinisce gli organi periferici del Ministero (uffici  di
 sanita'  marittima,  aerea  e  di  frontiera,  uffici  veterinari  di
 confine, porto e aeroporto, uffici per gli adempimenti CEE: art.  6);
 regola  la  costituzione  e  le  funzioni della commissione unica del
 farmaco  (art.  7);  prevede  l'alta  vigilanza  e   l'attivita'   di
 repressione  delle attivita' illecite in materia sanitaria, spettanti
 al  Ministero  (art.    8);  detta  infine  norme   finali   per   il
 trasferimento  di  fondi  alle Regioni e per l'abrogazione, differita
 nel tempo al momento dell'entrata in vigore  delle  nuove  norme,  di
 numerose  disposizioni  legislative previgenti nelle materie devolute
 dal decreto a regolamenti (art. 10).
   2. - La richiesta e' inammissibile.
   Con la sentenza n. 34 del 1993 questa Corte dichiaro' inammissibile
 la precedente richiesta di referendum, riguardante la sola  legge  n.
 296  del  1958,  rilevando che dopo di allora varie leggi, e cosi' in
 particolare  la  legge  12  febbraio  1968,  n.  132,  sulla  riforma
 ospedaliera,  e  la  legge  n.  833 del 1978, istitutiva del servizio
 sanitario   nazionale - leggi che  rimanevano  fuori  dal  quesito  -
 avevano  ridisegnato  il complesso delle competenze del  Ministero, e
 che per questo il quesito era "carente della chiarezza necessaria per
 assicurare l'espressione di un voto consapevole".
   L'odierna richiesta  non  include  le  leggi  cui  si  riferiva  la
 precedente   decisione,   ma  aggiunge,  alla  legge  istitutiva  del
 Ministero, il decreto legislativo che ne ha disposto il riordino. E i
 presentatori sottolineano che il  quesito,  attraverso  l'abrogazione
 totale  di  questi  due  atti  legislativi,  riguarda il solo aspetto
 organizzativo, tendendo alla soppressione del Ministero come apparato
 e lasciando impregiudicata la  sorte  delle  funzioni  oggi  ad  esso
 affidate,  che,  in  caso  di  esito  abrogativo,  dovrebbero  essere
 collocate presso altre istanze amministrative o  istituzionali.  Essi
 insistono peraltro sul fine, che inerirebbe al quesito, di realizzare
 o  quanto  meno  di provocare un riordino degli apparati centrali, in
 linea   con   le   istanze   di    piu'    ampia    regionalizzazione
 dell'amministrazione.
   3.  -  La  Corte  osserva  che  sono  irrilevanti  in questa sede i
 propositi e gli intenti dei  promotori  circa  la  futura  disciplina
 legislativa  che  potrebbe o dovrebbe eventualmente sostituire quella
 abrogata; ne' ad una  richiesta  referendaria  abrogativa,  quale  e'
 quella  prevista dall'art. 75 della Costituzione, e' possibile di per
 se' attribuire un significato ricostruttivo di una  nuova  e  diversa
 disciplina.  Cio' che conta e' la domanda abrogativa, che va valutata
 nella  sua  portata  oggettiva  e  nei  suoi  effetti  diretti,   per
 esaminare,  tra l'altro, se essa abbia per avventura un contenuto non
 consentito perche' in contrasto con  la  Costituzione,  presentandosi
 come  equivalente  ad  una domanda di abrogazione di norme o principi
 costituzionali, anziche' di sole norme  discrezionalmente  poste  dal
 legislatore  ordinario e dallo stesso disponibili (sentenze n. 16 del
 1978, n. 26 del 1981).
   La domanda di pura e semplice soppressione totale di un  Ministero,
 attraverso  l'abrogazione  delle  norme che ne prevedono l'esistenza,
 implica la soppressione delle relative funzioni, quando, come  accade
 di regola nel vigente ordinamento costituzionale e amministrativo, il
 Ministero  e'  il  solo  titolare di tali funzioni ad esso attribuite
 dalla legge, ai sensi dell'art. 95, terzo comma, della Costituzione.
   E' dunque inammissibile un quesito che proponga al corpo elettorale
 di pervenire, attraverso la soppressione di un intero Ministero, alla
 eliminazione di funzioni che siano costituzionalmente  necessarie,  e
 come  tali  non possano essere soppresse senza con cio' stesso ledere
 principi costituzionali.
   In  tal  caso,  infatti,  la   domanda   coinvolgerebbe   contenuti
 costituzionalmente  vincolati  sottratti  alla portata abrogativa del
 referendum, quale previsto dall'art. 75 della Costituzione.
   4.  - Il quesito in esame, coinvolgendo sia la legge istitutiva del
 Ministero della sanita', che ne definiva le attribuzioni  nell'ambito
 dell'apparato  amministrativo  centrale alla stregua dell'assetto che
 la materia sanitaria aveva all'epoca  di  tale  istituzione,  sia  il
 provvedimento  legislativo che ha riordinato di recente il Ministero,
 confermando l'attribuzione ad esso  di  tutte  le  funzioni  in  atto
 spettanti  allo  Stato nella materia, ha l'univoco significato di una
 totale  estromissione  dell'amministrazione  statale  dalla   materia
 sanitaria:    materia in larga parte devoluta alle Regioni, ma ancora
 in parte sicuramente di pertinenza dello Stato,  come  del  resto  e'
 riconosciuto dalla stessa difesa dei presentatori. Ne' puo' ritenersi
 che  tutte  le  funzioni  in  atto svolte dal Ministero della sanita'
 verrebbero automaticamente assorbite, a  seguito  della  soppressione
 dello  stesso,  da  altri  livelli  di  governo  o  da altri apparati
 pubblici, ivi compresi gli organismi tecnico-scientifici operanti  in
 questo campo.
   Ora,   la  materia  sanitaria  e'  dominata,  dal  punto  di  vista
 costituzionale, dai principi di cui all'art. 32, primo  comma,  della
 Costituzione,  secondo  cui  "la  Repubblica  tutela  la  salute come
 fondamentale diritto dell'individuo e interesse della  collettivita',
 e  garantisce  cure gratuite agli indigenti". Onde le funzioni, anche
 amministrative in senso stretto  -  come  tali  non  suscettibili  di
 essere  svolte  dagli organi di governo senza il supporto di apparati
 amministrativi veri e propri  -  attribuite  allo  Stato  in  materia
 sanitaria  sono,  almeno  in  parte, sicuramente da considerarsi come
 costituzionalmente   necessarie   (si   pensi   ad    esempio    alla
 regolamentazione  e  al  controllo  dei farmaci, o agli interventi di
 prevenzione e di contrasto della diffusione di malattie  infettive  o
 diffusive).
   Pertanto  la  richiesta  di abrogazione totale per referendum delle
 norme  che  prevedono  l'esistenza  del  Ministero   della   sanita',
 coinvolgendo    anche    l'esercizio   di   funzioni   amministrative
 costituzionalmente necessarie, non puo'  essere  ammessa,  in  quanto
 incide su norme a contenuto costituzionalmente vincolato.
   5.   -   L'argomento  dei  presentatori,  secondo  cui  la  domanda
 referendaria sarebbe una via obbligata per ottenere o  stimolare  una
 completa  attuazione dell'assetto regionale dello Stato nella materia
 sanitaria,  in  gran  parte  attribuita   dalla   Costituzione   alla
 competenza  propria  delle  Regioni,  non  e' rilevante ai fini dello
 scrutinio  circa  l'ammissibilita'  della  richiesta  di  referendum,
 attraverso   la   quale  e'  possibile  porre  solo  singole  domande
 autenticamente  abrogative,  purche'  concernenti   abrogazioni   non
 vietate dalla Costituzione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile  la  richiesta  di  referendum popolare per
 l'abrogazione della legge 13 marzo 1958,  n.  296  (Costituzione  del
 Ministero della sanita') e del decreto legislativo 30 giugno 1993, n.
 266 (Riordinamento del Ministero della sanita'), richiesta dichiarata
 legittima,  con  ordinanza  in data 26-27 novembre 1996, dall'Ufficio
 centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il  30 gennaio 1997.
                        Il presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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