N. 114 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 marzo 2018
Ordinanza del 12 marzo 2018 del Tribunale di Siracusa nel procedimento penale a carico di V.P.S. e altri. Processo penale - Dibattimento - Mutamento della persona fisica del giudice - Dichiarazioni gia' assunte nella precedente istruzione dibattimentale - Necessita' di rinnovare l'esame ai fini della legittima acquisizione della prova. - Codice di procedura penale, artt. 511, 525, comma 2, e 526, comma 1.(GU n.36 del 12-9-2018 )
IL TRIBUNALE DI SIRACUSA Sezione unica penale riunito in Camera di consiglio e composto dai seguenti magistrati: dott.ssa Carla A.F. Frau - Presidente (estensore); dott.ssa Concetta Zimmitti - Giudice; dott.ssa Antonella Coniglio - Giudice. Nel processo a carico di: V.P.S., nato a Berlino il - libero, gia' contumace, difeso dall'avv. Lucia Randazzo di fiducia; S.B., nato ad Augusta il - libero, gia' contumace, difeso dall'avv. Maria Spurio; S.G., nato ad Acicastello (Catania) il - libero, gia' contumace, difeso dall'avv. Valerio Vancheri; S.F., nato a Catania il - libero, gia' contumace, difeso dall'avv. Pasquale Saraceno. Nel quale sono costituite parti civili: R.M., rappresentato dall'avv. Eliana Mirabella; S.M., rappresentato dall'avv. Davide Bruno; P.F., rappresentato dall'avv. Davide Bruno; M.G., rappresentato dall'avv. Davide Bruno; S.G., rappresentato dall'avv. Letizia Catania; Vista la richiesta avanzata dal pubblico ministero all'udienza del 5 febbraio 2018, finalizzata al sollevamento di eccezione di illegittimita' costituzionale degli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp. in relazione all'art. 111 della Costituzione; Sentite le altre parti processuali che hanno interloquito sul punto; Ritenuto che la questione sia rilevante nel processo de quo. Con decreto di giudizio immediato del 22 giugno 2007 nel proced. n. 10339/06 RGNR e con decreto di rinvio a giudizio dell'11 febbraio 2009 nel proced. n. 5919/08 RGNR, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa disponeva il rinvio a giudizio degli imputati perche' rispondessero dei delitti di cui agli articoli 416, 340 e 629 cp commessi, in qualita' di dirigenti aziendali, in danno dei lavoratori dipendenti; i procedimenti venivano riuniti nella fase dibattimentale cosicche', alle udienze del 6 dicembre 2007 e del 12 giugno 2008 si costituivano le parti civili e, all'udienza del 17 giugno 2010, aveva inizio l'attivita' istruttoria con l'audizione del teste/persona offesa R.M. Seguiva l'audizione del teste M.G. all'udienza del 18 novembre 2010; quella di P.F. in data 26 maggio 2011; di S.G. all'udienza del 29 settembre 2011; S.M. e F.C. in data 26 gennaio 2012. A questo punto, quando gia' una gran parte dell'attivita' istruttoria si era svolta, si verificava un primo mutamento nella composizione del collegio giudicante. Si proseguiva dunque con l'audizione dei testi «nuovi»: in data 18 marzo 2013 venivano sentiti T.V., D.G.S. e S.S.; poi L.G. e M.G. in data 13 maggio 2013; T.R. e G.G. 27 gennaio 2014. Nel frattempo era nuovamente mutata la composizione del collegio giudicante e, di nuovo, le difese non prestavano il consenso alla rinnovazione mediante lettura delle dichiarazioni rese davanti al precedente collegio. Venivano dunque nuovamente citati i testi gia' escussi. All'udienza del 16 marzo 2015 venivano nuovamente escussi i testi R.M., M.G. e S.M.; tutti e tre si limitavano a confermare, su richieste del pubblico ministero, le dichiarazioni gia' rese alla precedente udienza; i difensori, che pure ne avevano chiesto la nuova citazione, non facevano alcuna domanda. Dal 2015 ad oggi il collegio giudicante mutava piu' volte, i difensori non prestavano mai il consenso alla rinnovazione, i testi venivano risentiti fino a sei volte ciascuno e ogni volta venivano escussi solo dal pubblico ministero che chiedeva se confermassero le precedenti dichiarazioni, mentre le difese non ponevano alcuna domanda. All'ultima udienza del 5 febbraio 2018, a fronte di un ulteriore mutamento della composizione del collegio, il pubblico ministero evidenziava come ormai molte delle fattispecie contestate fossero prescritte e come fosse prossima la prescrizione delle restanti. Poiche' anche in tale ultima occasione i difensori hanno negato il consenso alla rinnovazione, l'interpretazione letterale della norma imporrebbe la nuova citazione di tutti i testi che hanno gia' deposto; tale adempimento comporterebbe inevitabilmente la prescrizione definitiva di tutti i reati, con insanabile pregiudizio anche delle istanze civilistiche delle parti civili. Se invece si ritenesse che il combinato disposto degli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 e 511 cpp., in una lettura costituzionalmente orientata in forza dell'art. 111 della Costituzione, consentissero di «dare lettura» delle dichiarazioni gia' rese, si potrebbe pervenire ad una pronuncia sul merito. Ritenuto che la questione sia non manifestamente infondata sulla base delle seguenti argomentazioni. 1) Il codice non pone sul giudice l'obbligo di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale La difesa chiede la rinnovazione integrale dell'istruttoria dibattimentale, fondando la propria richiesta sul combinato disposto degli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp. Innanzitutto e' obbligatorio sottolineare che la prima delle due disposizioni recita: «Alla deliberazione concorrono, a pena di nullita' assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento», mentre la seconda afferma che «Il giudice non puo' utilizzare ai fini della deliberazione, prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento». A ben vedere, allora, nessuna delle due disposizioni pone, in caso di mutamento della persona fisica del giudice, alcun obbligo di sentire nuovamente i testimoni gia' escussi all'interno del processo. Invero, le prove (anche quelle testimoniali) possono essere legittimamente acquisite al dibattimento in molti modi diversi (ad esempio ex articoli 511 ss cpp, oppure ex articoli 392 ss cpp o, ancora, ex art. 238 cpp) ed e' sufficiente che il giudice decidente sia il medesimo che ha assunto legittimamente le prove all'interno del dibattimento. Ne consegue che, in caso di mutamento del giudice - persona fisica, e' necessario che il nuovo decidente assuma, in uno dei diversi modi previsti dal codice, le prove necessarie ai fini della decisione. Per quanto attiene alla prova testimoniale, nello specifico, una volta che e' stato rispettato, nella sua prima assunzione, il principio fondamentale del contraddittorio (sancito dall'art. 111, comma 4 Cost. cosi' come attuato dagli articoli 498 ss cpp), essa deve ritenersi legittimamente acquisita, ragion per cui i relativi verbali, che a pieno titolo si trovano all'interno del fascicolo del dibattimento, possono formare oggetto di lettura ex art. 511 ss cpp. D'altronde, la circostanza che il giudice decidente sia una persona diversa da quella che ha condotto l'esame testimoniale, e' una situazione che l'ordinamento ammette pacificamente, purche', appunto, sia rispettato il fondamentale principio del contraddittorio nella assunzione della prova testimoniale. In tal senso, infatti, depongono sia le disposizioni di cui agli articoli 392 ss cpp sia l'art. 238 cpp. Con riferimento a tale seconda ipotesi, in particolare, appare del tutto irragionevole ritenere che, se sono addirittura utilizzabili i verbali delle prove testimoniali assunte in un altro procedimento, non possano essere utilizzati quelli delle prove assunte nel medesimo procedimento, nei confronti dello stesso imputato ed alla presenza dello stesso difensore. Ne deriva, allora, che, una volta che e' stata legittimamente assunta la prova testimoniale, essa resta patrimonio del fascicolo del dibattimento ed il giudice ex articoli 525 - 526 cpp non ha l'obbligo di sentire nuovamente il testimone, potendosi limitare (ma dovendolo fare) a procedere alla sua nuova assunzione, o ex articoli 498 ss cpp (se ritiene di voler sentire il testimone), oppure, legittimamente, con le formalita' di cui agli articoli 511 ss cpp. Cio' e' vieppiu' confermato dal fatto che, come spesso accade, una volta richiamato il testimone gia' sentito, la parte che ne ha richiesto l'audizione, ben potrebbe limitarsi a porre solamente la domanda «lei conferma le dichiarazioni gia' rese?», senza svolgere, quindi, nei fatti, alcun esame testimoniale. Questo conferma che non vi e' alcun obbligo, per il decidente, di sentire direttamente le risposte alle domande poste al testimone sui fatti per cui si procede ed, in definitiva, di assistere alla deposizione testimoniale, posto che, in presenza di una situazione del genere, le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone, comunque, divengono proprio grazie all'art. 511 cpp. 2) La lettura costituzionalmente orientata degli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp L'impostazione sopra richiamata, peraltro, appare quella piu' conforme al dettato della Costituzione. Al riguardo, infatti, si evidenzia che gli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp sono convenzionalmente intesi come fonti dell'obbligo di sentire nuovamente i testimoni gia' assunti, perche' letti alla luce dei principi di oralita' ed immediatezza. Tali principi, infatti, pur non espressamente menzionati in Costituzione, ispirano chiaramente il processo penale, in quanto indicati nei lavori preparatori del Codice e pacificamente ricavabili dalla legge fondamentale. Cosi' interpretate, allora, le espressioni «gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento» (art. 525, comma 2 cpp) e «prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento» (art. 526, comma 1 cpp) vengono riferite ai testimoni direttamente sentiti dai giudicanti. I principi di oralita' ed immediatezza, pero', non sono gli unici su cui si fonda il diritto processualpenalistico e, pertanto, talvolta possono entrare in conflitto con altri interessi fondamentali dell'ordinamento. Quando cio' si verifica, in linea generale, l'ordinamento impone che sia compiuto il c.d. «bilanciamento», in virtu' del quale la portata applicativa di un principio puo' essere temperata dall'esigenza di rispettare un altro interesse confliggente, purche' dotato di pari grado. Calando tale fondamentale meccanismo dell'ordinamento alla presente questione, appare evidente che gli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp, letti alla luce dei principi di oralita' ed immediatezza (non indicati espressamente in Costituzione), possono entrare in netto contrasto con l'art. 111, comma 2 Cost., ovvero con il principio della ragionevole durata del processo. In altri termini, l'attuale interpretazione delle citate disposizioni del codice di procedura penale, pur ossequiosa della volonta' del legislatore del 1989 e rispettosa di alcuni principi fondamentali desumibili in via interpretativa, permette che, a seguito dei potenzialmente infiniti mutamenti del giudice - persona fisica, il processo debba ripartire dall'apertura del dibattimento un infinito numero di volte e, pertanto, che esso abbia una durata infinita, in pieno contrasto con l'art. 111, comma 2 della Costituzione. E' evidente, infatti, il conflitto tra un processo (potenzialmente) infinito e la ragionevole durata del processo. L'ordinamento, allora, non puo' tollerare la presenza di un processo penale astrattamente infinito, in primo luogo perche' esso sarebbe confliggente con il dettato costituzionale dell'art. 111, comma 2 Cost. ed in secondo luogo perche', alla luce della disciplina della prescrizione, un tale processo determinerebbe lo svilimento assoluto del processo penale. La tutela dell'art. 111, comma 2 Cost. peraltro, appare rafforzata dalla legge Pinto che fissa in 3 gli anni ritenuti ragionevoli per lo svolgimento del giudizio di primo grado. La lettura costituzionalmente orientata degli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp ed il conseguente bilanciamento, allora, impongono di salvaguardare i principi di oralita' ed immediatezza, nel rispetto della ragionevole durata del processo penale. Cio' significa che a seguito del mutamento del giudice - persona fisica, e' possibile (ed anzi doveroso) sentire nuovamente i testimoni gia' sentiti dinanzi al precedente giudicante, purche' sia salvaguardata la ragionevole durata del processo e, dunque, sia rispettato il limite massimo dei tre anni del processo. Una volta superato tale limite, la prova testimoniale (gia' validamente assunta nel contraddittorio delle parti dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale) non potra' essere ripetuta e di essa dovra' essere data lettura ex art. 511 cpp (articolo che disciplina uno dei modi di legittima formazione della prova). Peraltro, appare evidente che il rispetto dell'oralita' e dell'immediatezza e' solo formale, secondo la attuale impostazione ermeneutica e tutt'altro che effettivo. Considerando, infatti, che, il testimone viene nuovamente convocato per essere sentito a distanza di piu' di tre anni dall'inizio del processo (e, dunque, di un lasso di tempo molto superiore dal verificarsi dei fatti) non vi potra' essere alcuna effettiva oralita' ed immediatezza, specie se si tiene conto della circostanza che spesso l'audizione del testimone e' un mero confermare integralmente quanto gia' in precedenza dichiarato. Anche considerando, allora, che il rispetto dei principi di oralita' ed immediatezza e' solo formale e tutt'altro che effettivo, non si puo' pregiudicare un principio fondamentale (quantomeno) di pari grado come quello della ragionevole durata del processo. 3) Uso strumentale della richiesta e abuso del diritto Proprio l'ultima riflessione di cui al punto 1), induce a interrogarsi sulla legittimita' della richiesta difensiva. Va sottolineato, infatti, che la richiesta rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel caso di specie (ed in molti altri casi) si e' risolta nella nuova citazione (fino a 5-6 volte) dei testimoni (gia' sentiti) i quali, a seguito dell'esame da parte del pubblico ministero si limitavano a confermare quanto gia' dichiarato, mentre la difesa non ha posto alcuna altra domanda. La richiesta della difesa di procedere alla nuova audizione dei testi davanti al collegio giudicante per rispetto del principio della oralita', si e' risolta dunque nell'espletamento di una sterile formalita' che ha avuto l'unico effetto di allungare i tempi processuali fino alla prescrizione dei reati. E' d'obbligo osservare che, pero', sia nell'ordinamento nazionale che in quello comunitario, vige, da sempre, il principio generale di divieto dell'abuso del diritto. Strettamente legato all'abuso del diritto e' l'abuso del processo, cosi' definito dalla Suprema Corte di cassazione: «L'abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorche' un diritto o una facolta' processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l'ordinamento processuale astrattamente li riconosce all'imputato, il quale non puo' in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realta' effettivamente perseguiti» (Cass. SSUU 155/2011). Appare, allora, necessario verificare se la nuova citazione di tutti i testimoni gia' sentiti, sia un diritto esercitato, nel caso di specie, in maniera conforme agli scopi per cui lo stesso viene concesso, oppure conduca ad uno sviamento della funzione processuale. 4) Fonti normative e realta' di fatto L'asserito diritto di sentire nuovamente i testimoni gia' sentiti, deve conciliarsi con altri principi e diritti di portata costituzionale, non solo quello della ragionevole durata del processo ma anche quello della effettivita' del medesimo. Sul punto e' doveroso ricordare che la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 353 del 1996, afferma che «Nella disciplina del codice, (...) l'equilibrio fra i principi di economia processuale e di terzieta' del giudice e' solo apparente, dato che il possibile abuso processuale determina la paralisi del procedimento, tanto da compromettere il bene costituzionale dell'efficienza del processo e il canone fondamentale della razionalita' delle norme processuali. Invero il legislatore, pur essendo libero nella costruzione delle scansioni processuali, non puo' tuttavia scegliere un percorso che possa comportare, sia pure in casi estremi, la paralisi dell'attivita' processuale». Orbene nelle realta' periferiche del Paese come la presente, la persona fisica del giudice cambia continuamente specie se si fa riferimento alla composizione del collegio; il fatto che i giudici siano solitamente di prima nomina e, maturato il termine, vengano trasferiti altrove, la circostanza che vi siano continuamente vuoti da coprire e dunque spostamenti interni per fare fronte alle diverse emergenze , le maternita' che giocano un ruolo determinante nelle piccole sedi con giudici di prima nomina; sono tutte circostanze che fanno si' che sia sostanzialmente impossibile che un processo complesso possa essere iniziato e portato a termine dagli stessi giudici; il rispetto formale e categorico del principio dell'oralita' in queste realta' determina la oggettiva impossibilita' che il processo venga portato a termine, con inevitabile pregiudizio delle ragioni delle persone offese e con inutile enorme dispendio di attivita' processuali. Alla luce di tale oggettiva compromissione della funzione del giudizio, il principio codicistico dell'oralita' deve ritenersi subvalente non solo rispetto al principio costituzionale della ragionevole durata posto al comma 2 dell'art. 111, ma anche al principio della effettivita' del giudizio, implicito nel comma 1 che recita «la giurisdizione si attua»; in una situazione di fatto che non consente la permanenza dello stesso giudice persona fisica per piu' di qualche anno, il rispetto rigoroso dell'oralita' comporta matematicamente che «la giurisdizione non si attua». D'altra parte quello dell'oralita' e' principio di rango non costituzionale, che gia' conosce numerose deroghe nell'ordinamento ad esempio tutte le volte in cui vi sia pericolo di dispersione della prova (incidente probatorio), per le dichiarazioni del coimputato che non intenda sottoporsi ad esame e comunque nella fase di appello (che prevale sul primo grado anche se svolta senza escussione diretta dei testi). Ritenuta dunque la non manifesta infondatezza delle questione, in quanto sussiste il ragionevole dubbio in ordine alla legittimita' costituzionale delle norme di riferimento; Ritenuto che la medesima sia rilevante nel processo, atteso che una lettura non costituzionalmente orientata porterebbe inevitabilmente alla prescrizione delle fattispecie contestate; Visti gli articoli 111 e 137 della Costituzione; Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
P.Q.M. Rinvia alla Corte costituzionale la questione relativa agli articoli 525, comma 2, 526, comma 1 cpp. e 511 cpp perche' valuti se i medesimi siano costituzionalmente illegittimi in relazione all'art. 111 della Costituzione, se interpretati nel senso che ad ogni mutamento della persona fisica di un giudice, la prova possa ritenersi legittimamente assunta solo se i testimoni gia' sentiti nel dibattimento, depongano nuovamente in aula davanti al giudice-persona fisica che deve deliberare sulle medesime circostanze o se invece cio' debba valere solo allorquando non siano violati i principi costituzionali della effettivita' e della ragionevole durata del processo. La presente ordinanza viene pubblicata mediante lettura in udienza. Manda alla Cancelleria perche' la medesima sia inviata alla Corte costituzionale, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti di Camera e Senato. Si dispone che fino alla pronuncia della Corte costituzionale il presente processo resti sospeso con sospensione dei termini di prescrizione dei reati. La presente ordinanza dovra' essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Siracusa, 12 marzo 2018 Il Presidente estensore: Frau