N. 673 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 1999

                                N. 673
  Ordinanza emessa il 17 giugno 1999 dal magistrato di sorveglianza di
 Torino  nel  procedimento  di sorveglianza nei confronti di Incarnato
 Massimiliano
 Pena - Conversione  della  pena  pecuniaria  per  insolvibilita'  del
    condannato  - Lavoro sostitutivo - Canone di ragguaglio tra lavoro
    sostitutivo e pena pecuniaria - Omesso adeguamento  al  rivalutato
    criterio  di  ragguaglio  tra  pena  pecuniaria  e pena detentiva,
    nonche' tra pena pecuniaria e liberta' controllata - Disparita' di
    trattamento - Lesione del principio  della  finalita'  rieducativa
    della  pena - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale
    n. 440/1994.
     Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 102, primo comma.
  Costituzione, artt. 3 e 27.
(GU n.50 del 15-12-1999 )
                        L'UFFICIO DI SORVEGLIANZA
   Nel procedimento di sorveglianza relativo alla conversione di  pena
 pecuniaria  nei confronti di Incarnato Massimiliano, nato a Torino il
 12 marzo 1971, residente in Torino, corso Grosseto,  361/7  all'esito
 dell'udienza del 17 giugno 1999 ha pronunciato la seguente ordinanza.
   Vista  la  nota  del  competente  ufficio  del  pubblico  ministero
 relativa alla pena di L. 3.800.000 di multa, inflitta all'interessato
 nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti 26 gennaio 1993
 del pubblico ministero presso il tribunale di Torino,  nonche'  della
 pena  di  L.  50.000  di  multa, inflitta all'interessato con decreto
 penale 29 ottobre 1994 del giudice delle indagini preliminari  presso
 la pretura di Forli';
   Accertata  la  insolvibilita'  del  condannato  e  delle  eventuali
 persone civilmente obbligate per la  pena  pecuniaria,  come  risulta
 dalla  certificazione,  dalla  istruttoria  e dalla documentazione in
 atti;
   Visti gli atti del procedimento di sorveglianza;
   Considerate le risultanze  delle  documentazioni  acquisite,  degli
 accertamenti  svolti,  della trattazione e della discussione di cui a
 separato processo verbale;
   Vista l'istanza dell'interessato volta ad ottenere l'ammissione  al
 lavoro sostitutivo;
   Udite le conclusioni del rappresentante del p.m. e del difensore;
                             O s s e r v a
   1.  - Il condannato ha richiesto l'applicazione del lavoro a favore
 della collettivita', ai sensi dell'art. 105 della legge  24  novembre
 1981,  n.  689, in sede di conversione, per accertata insolvibilita',
 delle pene pecuniarie di cui in epigrafe. L'istanza e'  senza  dubbio
 ammissibile,     anche    alla    luce    della    declaratoria    di
 incostituzionalita' del limite della  pena  convertibile  in  lavoro,
 effettuata  con  la  sentenza  21  giugno  1996,  n. 206, della Corte
 costituzionale.
   Ai sensi dell'art. 102, comma 3, legge 24 novembre  1981,  n.  689,
 non  modificato  sul  punto  dalla sentenza 22 dicembre 1994, n. 440,
 della medesima Corte, il ragguaglio tra  lavoro  sostitutivo  e  pena
 pecuniaria  deve  aver  luogo  assumendo  che  un  giorno  del lavoro
 predetto equivalga a 50 mila lire di pena pecuniaria.
   Cio' equivale, nella presente  fattispecie,  all'irrogazione  della
 sanzione di sessanta giorni di lavoro sostitutivo. Con l'applicazione
 del  tasso  di ragguaglio predetto, infatti, l'entita' della sanzione
 infliggibile attingerebbe il massimo consentito dalla  norma  di  cui
 all'art. 103, ultimo comma della legge 24 novembre 1981, n. 689.
   Ad  avviso  di  questo  giudicante,  tuttavia, l'art. 102, comma 3,
 citato presta il fianco ad un serio dubbio di contrasto con  precetti
 costituzionali.
   Il   tasso  di  ragguaglio  alla  pena  pecuniaria  della  liberta'
 controllata,  la  diversa  e  alternativa  sanzione   pontenzialmente
 irrogabile   al  condannato  insolvibile,  e',  infatti,  attualmente
 fissato in un giorno di liberta' controllata per ogni 75 mila lire di
 multa o ammenda. Cio', come noto, in forza del decisum della sentenza
 23 dicembre 1994,  n.  440,  della  Corte  costituzionale.  Con  tale
 pronuncia  la  Corte  delle  leggi  provveda  al razionale ripristino
 dell'originaria equivalenza tra il tasso  di  ragguaglio  della  pena
 dententiva  a  quella  pecuniaria (di cui all'art. 135 c.p.) e quello
 della liberta' controllata alla pena pecuniaria (di cui all'art. 102,
 comma 3, legge 24 novembre 1981, n. 689), prendendo atto, da un lato,
 della elevazione a L.  75 mila del primo tasso ad opera della legge 5
 ottobre 1993, n. 402,  e  rimediando,  dall'altro,  alla  irrazionale
 omissione  legislativa del simmetrico e proporzionale adeguamento del
 tasso della liberta' controllata.
   Da tale operazione di riequilibrio e' rimasta,  invece  esclusa  la
 sanzione   che  qui  occupa.  Allo  stato,  risulta  allora  alterato
 l'originario tasso di ragguaglio "interno" tra liberta' controllata e
 lavoro sostitutivo.   Nel disegno primigenio  dell'art.  102  citato,
 infatti,  un  giorno di lavoro sostitutivo (pari a L. 50 mila di pena
 pecuniaria)    equivaleva  a  due  giorni  di  liberta'   controllata
 (ciascuno  dei  quali  equivaleva  al pagamento di L. 25 mila di pena
 pecuniaria).
   Per effetto del razionale riallineamento del  tasso  di  ragguaglio
 tra  liberta'  controllata  e pena pecuniaria, effettuato dalla Corte
 delle leggi nel raffronto "esterno" con la norma di cui all'art.  135
 c.p., un giorno di lavoro sostitutivo equivale invece oggi a  2/3  di
 un giorno di liberta' controllata.
   Mette   conto,  allora,  verificare  se  l'alterazione  (sul  piano
 dinamico) e, comunque, lo squilibrio, rectius, diverso equilibrio (su
 piano statico) tra le due sanzioni della liberta' controllata  e  del
 lavoro    sostitutivo   abbia   una   giustificazione   razionale   e
 costituzionalmente accettabile.
   2. - Preliminare a ogni altra considerazione,  e'  l'individuazione
 della  ratio  alla  stregua  della  quale  debba essere verificata la
 congruita' dell'assetto normativo. Nessun dubbio puo'  esservi  circa
 il  fatto che tale ratio debba essere individuata tenendo conto, a un
 primo livello, che si  tratta  di  istituti  aventi  la  funzione  di
 surrogare  il pagamento di una somma di denaro e, in seconda battuta,
 che si tratta, pur sempre, di istituti aventi la natura di pena.
   Ne  consegue  che  la   congruita'   dei   medesimi   ai   precetti
 costituzionali dovra' tenere conto, in omaggio al primo profilo sopra
 lumeggiato, della eventuale potenzialita' produttiva di reddito della
 condotta  correlata  alla  sanzione,  e,  comunque,  sotto il secondo
 aspetto, della idoneita' risocializzante della misura,  tenuto  conto
 della  assorbente  funzionalizzazione rieducativa della pena, imposta
 dall'art. 27, comma 3 della Costituzione.
   Una tale impostazione ricalca il  profondo  solco  tracciato  dalla
 consolidata giurisprudenza della Corte delle leggi nella materia.  La
 Corte,  chiamata  a  pronunciarsi sugli istituti previsti per caso di
 insolvibilita' del condannato alla pena pecuniaria, ha reiteratamente
 ribadito, sotto il primo  aspetto,  la  necessita'  che,  per  quanto
 possibile,  tra  "pena  originaria e pena convertita si stabilisca un
 nesso   di   correlazione   funzionale"   rilevando   che   "...   al
 depauperamento del patrimonio che consegue alla esecuzione della pena
 pecuniaria   ben   corrisponde,   in   ipotesi   di  ineseguibilita',
 l'applicazione di un istituto che, come  il  lavoro  sostitutivo,  e'
 destinato  a produrre reddito e dunque a surrogare il pagamento della
 pena pecuniaria non realizzatosi per insolvibilita' del condannato  -
 cosicche'  la  responsabilita'  di  questo adeguamento giustifica non
 soltanto la pena originari ma anche  la  specifica  sanzione  che  si
 applica in sede di conversione" (Corte costituzionale 21 giugno 1996,
 n. 206).
   Non  meno  rilevante e' che, quanto al secondo profilo, la medesima
 Corte abbia affermato, proprio in materia di lavoro sostitutivo,  che
 esso  e'  la  "misura  che  restringe  al  massimo l'aggravio di pena
 connesso alla conversione e che nel contempo e' in grado di esplicare
 una  funzione  rieducativa,  con  l'ovvia  conseguenza  .... di dover
 assegnare al piu' invasivo istituto  della  liberta'  controllata  un
 ruolo  sussidiario  e  non,  come  oggi  accade,  prevalente"  (Corte
 costituzionale 7 aprile 1987, n.  108,  nonche'  n.  206/1996  appena
 citata).
   Va  allora rilevato che il legislatore, nel disegno originario, non
 censurato sotto questo aspetto (anzi, ritenuto pienamente  legittimo)
 dalla Corte delle leggi, aveva determinato forfettariamente il valore
 della  capacita'  di  produrre  reddito del lavoro sostitutivo in una
 somma   di   L.   50   mila   giornaliere   e,   indirettamente    ma
 inequivocabilmente,  tramite l'equivalenza con la pena pecuniaria, in
 tal somma individuato il valore "risocializzante"  di  un  giorno  di
 lavoro sostitutivo.
   Nessun  dubbio che tale valore corrispondesse, nel medesimo disegno
 originario, al doppio del valore  "risocializzante" di un  giorno  di
 liberta' controllata. Nessun dubbio, ancora, che il legislatore abbia
 provveduto  ad adeguare il tasso di equivalenza della pena pecuniaria
 alla pena detentiva "avuto riguardo,  in  particolare,  al  diminuito
 valore  della  moneta  intervenuto dall'epoca in cui l'art. 101 della
 legge 24 novembre  1981,  n.  689,  aveva  in  precedenza  riadeguato
 l'importo  posto a base dell'art. 135 c.p. (si veda, a tal proposito,
 la relazione al disegno di legge n. 982 presentato al  Senato  il  17
 febbraio 1993)" (sentenza 22 dicembre 1994, n. 440, della Corte delle
 leggi)  e  che  tale  considerazione,  unita  al riconoscimento della
 vincolante simmetria introdotta dal  legislatore  tra  il  canone  di
 ragguaglio  delle  sanzioni  sostitutive quello della pena detentiva,
 abbia guidato la Corte della declaratoria di parziale  illegittimita'
 dell'art.  102  citato  (sentenza  n.  440/1994  appena  citata della
 Corte), limitandosi la pronuncia al  thema  decidendum  rilevante  in
 quel  giudizio  e  in  quello  a  quo  (il  tasso di ragguaglio della
 liberta'  controllata).
   Se quanto precede e' vero, ne consegue il  ragionevole  dubbio  che
 l'omesso  adeguamento del canone di ragguaglio del lavoro sostitutivo
 sia  frutto  di  una   annosa   omissione   legislativa,   priva   di
 giustificazione razionale.
   Cio' sotto almeno due profili.
   Innanzitutto,  per  l'avvenuto  squilibrio  "interno" creato tra il
 "valore" della liberta' controllata e del lavoro sostitutivo.
   Puo' essere  utile  osservare,  in  proposito,  che  una  apparente
 giustificazione   per  la  previsione  di  un  canone  di  ragguaglio
 inferiore per il lavoro sostitutivo potrebbe tentare  di  trarsi,  in
 ipotesi,  dal rilievo, emergente anche dai passi appena citati tratti
 dalla  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  del   carattere
 "maggiormente  afflittivo"  della  liberta'  controllata. L'ipotetica
 obiezione  assumerebbe  la  forma  del  sillogismo  seguente:  se  la
 liberta'   controllata   e'   sanzione  piu'  afflittiva  del  lavoro
 sostitutivo, e' perfettamente congruo che essa  "valga"  di  piu'  in
 termini di equivalenza alla pena pecuniaria.
   Ad  avviso  di  questo  magistrato  di sorveglianza si tratterebbe,
 tuttavia, di una argomentazione tanto suggestiva  quanto  sottilmente
 ma certamente ingannevole.
   In  primo  luogo,  si  osservi  che  la Corte costituzionale, nella
 valutazione di "maggiore afflittivita'" della sanzione della liberta'
 controllata ha sempre valorizzato non solo e non tanto il quantum dei
 limiti  alla  liberta'  personale  (limitazioni  alla   liberta'   di
 movimento,  all'uso  della  patente,  obbligo alla firma giornaliera)
 inerenti tale sanzione, in raffronto al lavoro sostitutivo, ma  anche
 la  sua  "incongruita'"  rispetto  alla  sanzione  sostitutiva (ergo,
 l'inidoneita' a produrre reddito). In altri termini, il  giudizio  di
 minore  afflittivita'  del  lavoro sostitutivo, risulta correlato non
 solo e non tanto alla sua pretesa minore incidenza sulla sfera  delle
 liberta'  personali,  trattandosi  pur  sempre  dell'assunzione di un
 penetrante  obbligo  di  facere,  quanto  (anche)  alla  sua  maggior
 "contiguita'" con la sanzione da convertire (una pena pecuniaria).
   Cio'  significa, se non ci si inganna, che la Corte, nell'esaminare
 la questione sul  piano  generale  ed  astratto  degli  strumenti  di
 conversione  della  pena  pecuniaria, ha concluso che, nella scala di
 valori  aggredibili  dalla  sanzione,  in  caso  di  incapienza   del
 patrimonio,  sia  in  primo luogo congruo ipotizzare una sanzione che
 importi   comunque   la   produzione   di    ricchezza    da    parte
 dell'interessato,  riservandosi  il  "salto" alla limitazione di beni
 "eterogenei" (liberta' di movimento ecc.) a un momento  successivo  e
 residuale.
   Se   quanto   precede  e'  corretto,  il  riferimento  al  giudizio
 costituzionale di maggiore afflittivita' della  liberta'  controllata
 sarebbe  del  tutto  impertinente  ai presenti fini. Tale valutazione
 concernerebbe,  in  astratto,  la  afflittivita'  del  meccanismo  di
 conversione  (in  relazione  ai  beni aggrediti), lasciando del tutto
 impregiudicato  il  profilo  della  comparazione,   concreta,   della
 afflittivita'  di  un giorno della sanzione di un tipo e di un giorno
 della sanzione dell'altro.
   Ma  anche  a  non  voler  ritenere  convincente   quanto   precede,
 l'obiezione che qui si esamina, parrebbe comunque priva di pregio. E'
 sufficiente,  infatti,  osservare  che i piani, per cosi' dire, della
 "afflittivita' pura" da un lato, e "idoneita' risocializzante" (ergo,
 congruita' con la funzione costituzionale della pena)  devono  essere
 ben tenuti distinti, almeno in un sistema punitivo costituzionalmente
 orientato.
   Tale  distinzione  scaturisce  piana  e  necessitata  dalla attenta
 lettura della giurisprudenza della Corte delle leggi  sulla  materia.
 Essa  ha  sempre  valorizzato  i  due  aspetti  (afflittivita' mera e
 idoneita' risocializzante) per finalita' costituzionalmente rilevanti
 del tutto distinte.
   Cosi', la misura della afflittivita'  pura  (ergo,  il  valore  che
 risulta  dal quantum di restrizione della sfera di liberta' personale
 del condannato e, soprattutto, dalla maggiore o  minore  correlazione
 funzionale  della sanzione risultante dalla conversione rispetto alla
 sanzione da convertire) e' sempre stata ritenuta rilevante ai fini (e
 solo ai fini) della scelta della misura sostitutiva  da  privilegiare
 (sentenze nn. 108 del 1987 e 206 del 1996), ovvero e' stata correlata
 dalla  determinazione  del  limite  massimo  di sanzioni infliggibile
 (cosi', molto chiaramente, nella sentenza n. 108 del 1987).
   E' del tutto congruo, infatti, che della misura  della  profondita'
 del vulnus inferto alle liberta' individuali si tenga conto quando si
 tratta  di  formulare  al  legislatore  indicazioni circa la sanzione
 sostitutiva da privilegiare (a  parita'  di  idoneita'  rieducativa),
 ovvero  che  di tale misura si tenga conto nel vagliare la congruita'
 delle previsioni sui limiti massimi edittali delle sanzioni.
   Ad  una  logica  del  tutto  indifferente  (ed  il   passaggio   e'
 fondamentale)  risponde,  invece,  la  determinazione  del  tasso  di
 ragguaglio tra la sanzione risultante dalla conversione e la sanzione
 convertita. Tale determinazione, ricalcando la struttura logica  piu'
 sopra  descritta,  deve corrispondere, in prima battuta (e nei limiti
 in cui sia possibile), alla idoneita' della condotta  correlata  alla
 sanzione  a  produrre quella ricchezza di cui il mancato pagamento ha
 depauperato la collettivita' e, piu' in  profondita',  costituire  la
 "monetizzazione"  della  "idoneita'  risocializzante"  della sanzione
 originante dalla conversione.
   Cio' posto, e' evidente che il  canone  di  ragguaglio  del  lavoro
 sostitutivo   deve   essere   superiore   a   quello  della  liberta'
 controllata, per ragioni  che  attengono  entrambi  i  profili  sopra
 lumeggiati.
   Dal  primo  punto di vista, il lavoro sostitutivo esprime un valore
 di potenzialita' economica incommensurabile superiore a quello  della
 liberta' controllata (il cui contenuto e' esclusivamente negativo).
   Dal   secondo,  e'  sufficiente  rilevare  come  la  giurisprudenza
 costituzionale  piu'  volte  citata  abbia  sempre  riconosciuto   la
 "maggiore   idoneita'   risocializzante"   del   lavoro  sostitutivo.
 Scaturisce con piana evidenza da tale considerazione che,  a  parita'
 di  "bisogno  di rieducazione" del condannato (espresso dalla entita'
 della pena da convertire), la sanzione dotata di  maggiore  efficacia
 rieducativa  andra'  afflitta  in  misura inferiore, pena un evidente
 incongruenza razionale.
   Tanto premesso, il mutamento nel rapporto correlativo tra i  valori
 di  equivalenza alla pena pecuniaria di lavoro e liberta' controllata
 non appare corrispondere ad  alcun  mutamento  di  caratterizzazione,
 contenuto, disciplina e considerazione giuridica, economica e sociale
 del   lavoro  sostitutivo,  ma  e'  solo  l'effetto  combinato  della
 elevazione del tasso di ragguaglio di cui all'art.  135  c.p.  e  del
 successivo   riallineamento   del   tasso   relativo   alla  liberta'
 controllata.
   Il mancato riallineamento del tasso del lavoro  sostitutivo  appare
 solo   la   conseguenza   indiretta   e   pratica  dalla  sostanziale
 disapplicazione dell'istituto (che ha fatto si' che la questione  non
 assumesse  giuridica  rilevanza),  in  parte conseguentemente proprio
 alle denunciate  irrazionalita'  della  disciplina  giuridica  ed  e'
 quindi, del tutto ingiustificata.
   Si  noti,  inoltre  e  ad  colorandum, ove si volessero valorizzare
 considerazioni attinenti la coscienza  sociale  e,  comunque  e  piu'
 pertinentemente,  la  congruita'  con il sistema attuale di scelte di
 politica criminale, che tale irrazionale assetto normativo  introduce
 una  nota  di  grave  dissonanza  rispetto  alla consolidata linea di
 tendenza dell'ordinamento. In  esso  e'  agevolmente  rilevabile  una
 linea  di  evoluzione  tesa  a privilegiare e riconoscere la preziosa
 efficacia rieducativa di misure a contenuto altruistico.
   A tacer d'altro, basterebbe sottolineare come l'art. 10 della legge
 delega definitivamente approvata dal parlamento italiano il 16 giugno
 1999, non ancora pubblicata,  concernente  la  "depenalizzazione  dei
 reati  minori e modifiche al sistema penale e tributario" collochi il
 lavoro  sostitutivo  e  a  favore  della collettivita', al centro del
 sistema sanzionatorio delle violazioni penali di minore gravita'.
   4. - Comunque sia di quanto  precede,  poi,  va  sottolineato  che,
 indipendentemente  dal  raffronto  "interno" tra lavoro sostitutivo e
 liberta' controllata, resta il fatto che alla stessa conclusione,  al
 modestissimo  avviso  di  questo magistrato di sorveglianza, parrebbe
 condurre un raffronto "esterno" con la vicenda del  ragguaglio  della
 pena pecuniaria alla pena detentiva (legge 5 ottobre 1993, n. 402).
   A  identico  deprezzamento  del  valore della moneta e a non mutata
 caretterizzazione, contenuto, disciplina e considerazione  giuridica,
 economica  e  sociale  del  lavoro  sostitutivo non e' corrisposto il
 parallelo adeguamento normativo del relativo valore di ragguaglio.
   Appaiono, in  altri  termini,  applicabili,  mutatis  mutandis,  le
 considerazioni  gia'  svolte  dalla Corte, a proposito della liberta'
 controllata, secondo cui: "Cosi' ricostruita la funzione che la norma
 sottoposta a censura e'  chiamata  a  svolgere  nell'ordinamento,  ne
 consegue  che  l'immutato  valore  ivi  indicato,  in  presenza delle
 modifiche  subite  dall'art.  135  del  codice  penale,  finisce  per
 determinare  uno  svuotamento  delle finalita' tipiche che l'istituto
 della   conversione   deve   soddisfare,   con   conseguente    grave
 compromissione  del  principio di uguaglianza che qui assume tutto il
 suo risalto per le intuibili conseguenze  che  quell'istituto  e'  in
 grado   di  determinare  sul  piano  delle  liberta'  della  persona"
 (sentenza n. 440 del 1994).
   Si noti,  inoltre,  come  l'effetto  di  "svuotamento",  teorico  e
 pratico,  delle  finalita'  tipiche dell'istituto sia particolarmente
 aggravato nella presente fattispecie,  dal  combinato  fattore  della
 facoltativita'  della  misura  del lavoro sostitutivo. Non e' chi non
 veda come la previsione di un tasso di ragguaglio "non  conveniente",
 per  la sanzione piu' idonea a assolvere la finalita' di rieducazione
 (e il pubblico interesse), sia la principale,  ancorche'  non  unica,
 causa della sostanziale desuetudine dell'istituto in esame.
   Devesi,  infine,  osservare  che  le ragioni di razionale e cogente
 simmetria di cui sopra consentono, altresi', di escludere (come  gia'
 escluso   nella   sentenza  piu'  volte  citata)  che  si  tratti  di
 determinazione rimessa alla discrezionalita' legislativa.  Una  volta
 che  il  legislatore  ha  determinato il tasso di adeguamento per una
 delle situazioni base (la pena detentiva), tale  tasso  si  impone  a
 tutte  le  situazioni per cui ricorra precisa e concreta identita' di
 ratio.
   Triplicato il valore di ragguaglio  della  pena  detentiva  per  la
 svalutazione  della  moneta,  doveva per ragioni di cogente simmetria
 triplicarsi anche il correlativo valore per la liberta' controllata e
 il lavoro sostitutivo. Nell'inerzia del legislatore la Corte ha  gia'
 provveduto,  quando la relativa questione e' stata posta, quanto alla
 liberta'  controllata.
   Identiche ragioni, estensibili, mutatis mutandis, anche a quanto al
 profilo  di  cui  al  punto  3  che  precede,  fanno   ritenere   non
 manifestamente   infondata   analoga   questione   quanto  al  lavoro
 sostitutivo  e  nella  perdurante  e  non  altrimenti  giustificabile
 inerzia  del  legislatore  saranno  le  ragioni  della  ritenuta  non
 manifesta infondatezza  della  correlata  questione  di  legittimita'
 costituzionale.
   5. - Ne scaturisce, in definitiva, il fondato sospetto che la norma
 denunciata  leda  i  precetti  costituzionali  di cui all'art. 3 e 27
 Cost.  Tale  lesione  si  presente  sub  specie  di  trattamento   di
 situazioni   simili   (o,   al   limite,  anche  identiche)  in  modo
 irrazionalmente diversificato.
   Da un primo punto di vista (argomentazione sub-3 che  precede),  si
 ipotizzino,  per  semplificazione  espositiva,  le fattispecie di due
 condannati  per  fatto  di  uguale  gravita'  (ergo,  sanzionato  con
 identica  pena pecuniaria), o, al limite, per fatti identici o per lo
 stesso fatto.
   La norma denunciata impone, contraddittoriamente, di infliggere  la
 sanzione  piu'  efficace  e incisiva sotto il profilo rieducativo (il
 lavoro sostitutivo) in misura superiore a quella dichiaratamente meno
 efficace. La sanzione (ergo, lo si  ripete,  l'assoggettamento  a  un
 trattamento  rieducativo)  applicabile  al  condannato  che eccede al
 lavoro sostitutivo sarebbe insomma, ingiustificatamente superiore.
   Identica irrazionale asimmetria, contrastante con gli artt. 3 e  27
 della Costituzione, appare, sommessamente, sottesa all'argomentazione
 sub-4   che   precede.   Il   sistema   normativo,   nel  determinare
 l'equivalenza tra una sanzione a base monetaria e una sanzione a base
 differente  (la  pena  detentiva  e  la  liberta'  controllata),   ha
 provveduto  a valorizzare il pregresso deprezzamento del valore della
 moneta  (verificatosi  fino  al  1993),  triplicando  il  canone   di
 ragguaglio.
   Nell'assenza  di qualsivoglia mutamento di connotazione (in termini
 assoluti o  relativi)  della  sanzione  del  lavoro  sostitutivo,  il
 mancato proporzionale adeguamento del suo canone di ragguaglio appare
 ingiustificato  e la mancata valorizzazione del pregresso fenomeno di
 deprezzamento della moneta (ormai  cristallizzato  nel  sistema)  una
 disparita'  di  trattamento irragionevole, ridondante sulla finalita'
 rieducativa della sanzione.
   6. - La prospettata questione di legittimita' costituzionale appare
 altresi', rilevante, posto che da essa dipende  la  concreta  entita'
 della  sanzione  irrogabile  al  condannato.  Sulla  base della norma
 denunciata, la sanzione irrogabile sarebbe pari  a  giorni  sessanta.
 Ove  la  questione  di  legittimita'  fosse  ritenuta  fondata,  essa
 muterebbe e, nel caso di ripristino dei rapporti originari di cui  in
 premessa, scenderebbe a giorni ventisei.
   Quanto  sopra premesso, questo magistrato di sorveglianza, ritenuta
 la  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  102, comma 3, della medesima
 legge, nella parte in cui prevede il canone di ragguaglio tra  lavoro
 sostitutivo  e  pena  pecuniaria  in L. 50 mila o frazione di 50 mila
 lire, per ogni giorno di lavoro sostitutivo, per  contrasto  con  gli
 artt. 3 e 27 della Costituzione.
                                P. Q. M.
   Visti  gli  artt.  23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87, 660 e
 678, c.p.p., 102 e ss. della legge n. 689/1981;
   Dispone la trasmissione degli atti del presente  procedimento  alla
 Corte costituzionale;
   Dispone  la  sospensione  del presente procedimento in attesa della
 decisione della Corte medesima;
   Manda  alla  cancelleria  per  le  comunicazioni  di  legge  e,  in
 particolare, la notifica all'interessato, al difensore,  al  pubblico
 ministero,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri, nonche' la
 comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento italiano.
     Torino, cosi' deciso il 17 giugno 1999.
               Il magistrato di sorveglianza: Marcheselli
 99C1196