N. 673 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 1999
N. 673 Ordinanza emessa il 17 giugno 1999 dal magistrato di sorveglianza di Torino nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Incarnato Massimiliano Pena - Conversione della pena pecuniaria per insolvibilita' del condannato - Lavoro sostitutivo - Canone di ragguaglio tra lavoro sostitutivo e pena pecuniaria - Omesso adeguamento al rivalutato criterio di ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva, nonche' tra pena pecuniaria e liberta' controllata - Disparita' di trattamento - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 440/1994. Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 102, primo comma. Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.50 del 15-12-1999 )
L'UFFICIO DI SORVEGLIANZA Nel procedimento di sorveglianza relativo alla conversione di pena pecuniaria nei confronti di Incarnato Massimiliano, nato a Torino il 12 marzo 1971, residente in Torino, corso Grosseto, 361/7 all'esito dell'udienza del 17 giugno 1999 ha pronunciato la seguente ordinanza. Vista la nota del competente ufficio del pubblico ministero relativa alla pena di L. 3.800.000 di multa, inflitta all'interessato nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti 26 gennaio 1993 del pubblico ministero presso il tribunale di Torino, nonche' della pena di L. 50.000 di multa, inflitta all'interessato con decreto penale 29 ottobre 1994 del giudice delle indagini preliminari presso la pretura di Forli'; Accertata la insolvibilita' del condannato e delle eventuali persone civilmente obbligate per la pena pecuniaria, come risulta dalla certificazione, dalla istruttoria e dalla documentazione in atti; Visti gli atti del procedimento di sorveglianza; Considerate le risultanze delle documentazioni acquisite, degli accertamenti svolti, della trattazione e della discussione di cui a separato processo verbale; Vista l'istanza dell'interessato volta ad ottenere l'ammissione al lavoro sostitutivo; Udite le conclusioni del rappresentante del p.m. e del difensore; O s s e r v a 1. - Il condannato ha richiesto l'applicazione del lavoro a favore della collettivita', ai sensi dell'art. 105 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in sede di conversione, per accertata insolvibilita', delle pene pecuniarie di cui in epigrafe. L'istanza e' senza dubbio ammissibile, anche alla luce della declaratoria di incostituzionalita' del limite della pena convertibile in lavoro, effettuata con la sentenza 21 giugno 1996, n. 206, della Corte costituzionale. Ai sensi dell'art. 102, comma 3, legge 24 novembre 1981, n. 689, non modificato sul punto dalla sentenza 22 dicembre 1994, n. 440, della medesima Corte, il ragguaglio tra lavoro sostitutivo e pena pecuniaria deve aver luogo assumendo che un giorno del lavoro predetto equivalga a 50 mila lire di pena pecuniaria. Cio' equivale, nella presente fattispecie, all'irrogazione della sanzione di sessanta giorni di lavoro sostitutivo. Con l'applicazione del tasso di ragguaglio predetto, infatti, l'entita' della sanzione infliggibile attingerebbe il massimo consentito dalla norma di cui all'art. 103, ultimo comma della legge 24 novembre 1981, n. 689. Ad avviso di questo giudicante, tuttavia, l'art. 102, comma 3, citato presta il fianco ad un serio dubbio di contrasto con precetti costituzionali. Il tasso di ragguaglio alla pena pecuniaria della liberta' controllata, la diversa e alternativa sanzione pontenzialmente irrogabile al condannato insolvibile, e', infatti, attualmente fissato in un giorno di liberta' controllata per ogni 75 mila lire di multa o ammenda. Cio', come noto, in forza del decisum della sentenza 23 dicembre 1994, n. 440, della Corte costituzionale. Con tale pronuncia la Corte delle leggi provveda al razionale ripristino dell'originaria equivalenza tra il tasso di ragguaglio della pena dententiva a quella pecuniaria (di cui all'art. 135 c.p.) e quello della liberta' controllata alla pena pecuniaria (di cui all'art. 102, comma 3, legge 24 novembre 1981, n. 689), prendendo atto, da un lato, della elevazione a L. 75 mila del primo tasso ad opera della legge 5 ottobre 1993, n. 402, e rimediando, dall'altro, alla irrazionale omissione legislativa del simmetrico e proporzionale adeguamento del tasso della liberta' controllata. Da tale operazione di riequilibrio e' rimasta, invece esclusa la sanzione che qui occupa. Allo stato, risulta allora alterato l'originario tasso di ragguaglio "interno" tra liberta' controllata e lavoro sostitutivo. Nel disegno primigenio dell'art. 102 citato, infatti, un giorno di lavoro sostitutivo (pari a L. 50 mila di pena pecuniaria) equivaleva a due giorni di liberta' controllata (ciascuno dei quali equivaleva al pagamento di L. 25 mila di pena pecuniaria). Per effetto del razionale riallineamento del tasso di ragguaglio tra liberta' controllata e pena pecuniaria, effettuato dalla Corte delle leggi nel raffronto "esterno" con la norma di cui all'art. 135 c.p., un giorno di lavoro sostitutivo equivale invece oggi a 2/3 di un giorno di liberta' controllata. Mette conto, allora, verificare se l'alterazione (sul piano dinamico) e, comunque, lo squilibrio, rectius, diverso equilibrio (su piano statico) tra le due sanzioni della liberta' controllata e del lavoro sostitutivo abbia una giustificazione razionale e costituzionalmente accettabile. 2. - Preliminare a ogni altra considerazione, e' l'individuazione della ratio alla stregua della quale debba essere verificata la congruita' dell'assetto normativo. Nessun dubbio puo' esservi circa il fatto che tale ratio debba essere individuata tenendo conto, a un primo livello, che si tratta di istituti aventi la funzione di surrogare il pagamento di una somma di denaro e, in seconda battuta, che si tratta, pur sempre, di istituti aventi la natura di pena. Ne consegue che la congruita' dei medesimi ai precetti costituzionali dovra' tenere conto, in omaggio al primo profilo sopra lumeggiato, della eventuale potenzialita' produttiva di reddito della condotta correlata alla sanzione, e, comunque, sotto il secondo aspetto, della idoneita' risocializzante della misura, tenuto conto della assorbente funzionalizzazione rieducativa della pena, imposta dall'art. 27, comma 3 della Costituzione. Una tale impostazione ricalca il profondo solco tracciato dalla consolidata giurisprudenza della Corte delle leggi nella materia. La Corte, chiamata a pronunciarsi sugli istituti previsti per caso di insolvibilita' del condannato alla pena pecuniaria, ha reiteratamente ribadito, sotto il primo aspetto, la necessita' che, per quanto possibile, tra "pena originaria e pena convertita si stabilisca un nesso di correlazione funzionale" rilevando che "... al depauperamento del patrimonio che consegue alla esecuzione della pena pecuniaria ben corrisponde, in ipotesi di ineseguibilita', l'applicazione di un istituto che, come il lavoro sostitutivo, e' destinato a produrre reddito e dunque a surrogare il pagamento della pena pecuniaria non realizzatosi per insolvibilita' del condannato - cosicche' la responsabilita' di questo adeguamento giustifica non soltanto la pena originari ma anche la specifica sanzione che si applica in sede di conversione" (Corte costituzionale 21 giugno 1996, n. 206). Non meno rilevante e' che, quanto al secondo profilo, la medesima Corte abbia affermato, proprio in materia di lavoro sostitutivo, che esso e' la "misura che restringe al massimo l'aggravio di pena connesso alla conversione e che nel contempo e' in grado di esplicare una funzione rieducativa, con l'ovvia conseguenza .... di dover assegnare al piu' invasivo istituto della liberta' controllata un ruolo sussidiario e non, come oggi accade, prevalente" (Corte costituzionale 7 aprile 1987, n. 108, nonche' n. 206/1996 appena citata). Va allora rilevato che il legislatore, nel disegno originario, non censurato sotto questo aspetto (anzi, ritenuto pienamente legittimo) dalla Corte delle leggi, aveva determinato forfettariamente il valore della capacita' di produrre reddito del lavoro sostitutivo in una somma di L. 50 mila giornaliere e, indirettamente ma inequivocabilmente, tramite l'equivalenza con la pena pecuniaria, in tal somma individuato il valore "risocializzante" di un giorno di lavoro sostitutivo. Nessun dubbio che tale valore corrispondesse, nel medesimo disegno originario, al doppio del valore "risocializzante" di un giorno di liberta' controllata. Nessun dubbio, ancora, che il legislatore abbia provveduto ad adeguare il tasso di equivalenza della pena pecuniaria alla pena detentiva "avuto riguardo, in particolare, al diminuito valore della moneta intervenuto dall'epoca in cui l'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689, aveva in precedenza riadeguato l'importo posto a base dell'art. 135 c.p. (si veda, a tal proposito, la relazione al disegno di legge n. 982 presentato al Senato il 17 febbraio 1993)" (sentenza 22 dicembre 1994, n. 440, della Corte delle leggi) e che tale considerazione, unita al riconoscimento della vincolante simmetria introdotta dal legislatore tra il canone di ragguaglio delle sanzioni sostitutive quello della pena detentiva, abbia guidato la Corte della declaratoria di parziale illegittimita' dell'art. 102 citato (sentenza n. 440/1994 appena citata della Corte), limitandosi la pronuncia al thema decidendum rilevante in quel giudizio e in quello a quo (il tasso di ragguaglio della liberta' controllata). Se quanto precede e' vero, ne consegue il ragionevole dubbio che l'omesso adeguamento del canone di ragguaglio del lavoro sostitutivo sia frutto di una annosa omissione legislativa, priva di giustificazione razionale. Cio' sotto almeno due profili. Innanzitutto, per l'avvenuto squilibrio "interno" creato tra il "valore" della liberta' controllata e del lavoro sostitutivo. Puo' essere utile osservare, in proposito, che una apparente giustificazione per la previsione di un canone di ragguaglio inferiore per il lavoro sostitutivo potrebbe tentare di trarsi, in ipotesi, dal rilievo, emergente anche dai passi appena citati tratti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, del carattere "maggiormente afflittivo" della liberta' controllata. L'ipotetica obiezione assumerebbe la forma del sillogismo seguente: se la liberta' controllata e' sanzione piu' afflittiva del lavoro sostitutivo, e' perfettamente congruo che essa "valga" di piu' in termini di equivalenza alla pena pecuniaria. Ad avviso di questo magistrato di sorveglianza si tratterebbe, tuttavia, di una argomentazione tanto suggestiva quanto sottilmente ma certamente ingannevole. In primo luogo, si osservi che la Corte costituzionale, nella valutazione di "maggiore afflittivita'" della sanzione della liberta' controllata ha sempre valorizzato non solo e non tanto il quantum dei limiti alla liberta' personale (limitazioni alla liberta' di movimento, all'uso della patente, obbligo alla firma giornaliera) inerenti tale sanzione, in raffronto al lavoro sostitutivo, ma anche la sua "incongruita'" rispetto alla sanzione sostitutiva (ergo, l'inidoneita' a produrre reddito). In altri termini, il giudizio di minore afflittivita' del lavoro sostitutivo, risulta correlato non solo e non tanto alla sua pretesa minore incidenza sulla sfera delle liberta' personali, trattandosi pur sempre dell'assunzione di un penetrante obbligo di facere, quanto (anche) alla sua maggior "contiguita'" con la sanzione da convertire (una pena pecuniaria). Cio' significa, se non ci si inganna, che la Corte, nell'esaminare la questione sul piano generale ed astratto degli strumenti di conversione della pena pecuniaria, ha concluso che, nella scala di valori aggredibili dalla sanzione, in caso di incapienza del patrimonio, sia in primo luogo congruo ipotizzare una sanzione che importi comunque la produzione di ricchezza da parte dell'interessato, riservandosi il "salto" alla limitazione di beni "eterogenei" (liberta' di movimento ecc.) a un momento successivo e residuale. Se quanto precede e' corretto, il riferimento al giudizio costituzionale di maggiore afflittivita' della liberta' controllata sarebbe del tutto impertinente ai presenti fini. Tale valutazione concernerebbe, in astratto, la afflittivita' del meccanismo di conversione (in relazione ai beni aggrediti), lasciando del tutto impregiudicato il profilo della comparazione, concreta, della afflittivita' di un giorno della sanzione di un tipo e di un giorno della sanzione dell'altro. Ma anche a non voler ritenere convincente quanto precede, l'obiezione che qui si esamina, parrebbe comunque priva di pregio. E' sufficiente, infatti, osservare che i piani, per cosi' dire, della "afflittivita' pura" da un lato, e "idoneita' risocializzante" (ergo, congruita' con la funzione costituzionale della pena) devono essere ben tenuti distinti, almeno in un sistema punitivo costituzionalmente orientato. Tale distinzione scaturisce piana e necessitata dalla attenta lettura della giurisprudenza della Corte delle leggi sulla materia. Essa ha sempre valorizzato i due aspetti (afflittivita' mera e idoneita' risocializzante) per finalita' costituzionalmente rilevanti del tutto distinte. Cosi', la misura della afflittivita' pura (ergo, il valore che risulta dal quantum di restrizione della sfera di liberta' personale del condannato e, soprattutto, dalla maggiore o minore correlazione funzionale della sanzione risultante dalla conversione rispetto alla sanzione da convertire) e' sempre stata ritenuta rilevante ai fini (e solo ai fini) della scelta della misura sostitutiva da privilegiare (sentenze nn. 108 del 1987 e 206 del 1996), ovvero e' stata correlata dalla determinazione del limite massimo di sanzioni infliggibile (cosi', molto chiaramente, nella sentenza n. 108 del 1987). E' del tutto congruo, infatti, che della misura della profondita' del vulnus inferto alle liberta' individuali si tenga conto quando si tratta di formulare al legislatore indicazioni circa la sanzione sostitutiva da privilegiare (a parita' di idoneita' rieducativa), ovvero che di tale misura si tenga conto nel vagliare la congruita' delle previsioni sui limiti massimi edittali delle sanzioni. Ad una logica del tutto indifferente (ed il passaggio e' fondamentale) risponde, invece, la determinazione del tasso di ragguaglio tra la sanzione risultante dalla conversione e la sanzione convertita. Tale determinazione, ricalcando la struttura logica piu' sopra descritta, deve corrispondere, in prima battuta (e nei limiti in cui sia possibile), alla idoneita' della condotta correlata alla sanzione a produrre quella ricchezza di cui il mancato pagamento ha depauperato la collettivita' e, piu' in profondita', costituire la "monetizzazione" della "idoneita' risocializzante" della sanzione originante dalla conversione. Cio' posto, e' evidente che il canone di ragguaglio del lavoro sostitutivo deve essere superiore a quello della liberta' controllata, per ragioni che attengono entrambi i profili sopra lumeggiati. Dal primo punto di vista, il lavoro sostitutivo esprime un valore di potenzialita' economica incommensurabile superiore a quello della liberta' controllata (il cui contenuto e' esclusivamente negativo). Dal secondo, e' sufficiente rilevare come la giurisprudenza costituzionale piu' volte citata abbia sempre riconosciuto la "maggiore idoneita' risocializzante" del lavoro sostitutivo. Scaturisce con piana evidenza da tale considerazione che, a parita' di "bisogno di rieducazione" del condannato (espresso dalla entita' della pena da convertire), la sanzione dotata di maggiore efficacia rieducativa andra' afflitta in misura inferiore, pena un evidente incongruenza razionale. Tanto premesso, il mutamento nel rapporto correlativo tra i valori di equivalenza alla pena pecuniaria di lavoro e liberta' controllata non appare corrispondere ad alcun mutamento di caratterizzazione, contenuto, disciplina e considerazione giuridica, economica e sociale del lavoro sostitutivo, ma e' solo l'effetto combinato della elevazione del tasso di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p. e del successivo riallineamento del tasso relativo alla liberta' controllata. Il mancato riallineamento del tasso del lavoro sostitutivo appare solo la conseguenza indiretta e pratica dalla sostanziale disapplicazione dell'istituto (che ha fatto si' che la questione non assumesse giuridica rilevanza), in parte conseguentemente proprio alle denunciate irrazionalita' della disciplina giuridica ed e' quindi, del tutto ingiustificata. Si noti, inoltre e ad colorandum, ove si volessero valorizzare considerazioni attinenti la coscienza sociale e, comunque e piu' pertinentemente, la congruita' con il sistema attuale di scelte di politica criminale, che tale irrazionale assetto normativo introduce una nota di grave dissonanza rispetto alla consolidata linea di tendenza dell'ordinamento. In esso e' agevolmente rilevabile una linea di evoluzione tesa a privilegiare e riconoscere la preziosa efficacia rieducativa di misure a contenuto altruistico. A tacer d'altro, basterebbe sottolineare come l'art. 10 della legge delega definitivamente approvata dal parlamento italiano il 16 giugno 1999, non ancora pubblicata, concernente la "depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario" collochi il lavoro sostitutivo e a favore della collettivita', al centro del sistema sanzionatorio delle violazioni penali di minore gravita'. 4. - Comunque sia di quanto precede, poi, va sottolineato che, indipendentemente dal raffronto "interno" tra lavoro sostitutivo e liberta' controllata, resta il fatto che alla stessa conclusione, al modestissimo avviso di questo magistrato di sorveglianza, parrebbe condurre un raffronto "esterno" con la vicenda del ragguaglio della pena pecuniaria alla pena detentiva (legge 5 ottobre 1993, n. 402). A identico deprezzamento del valore della moneta e a non mutata caretterizzazione, contenuto, disciplina e considerazione giuridica, economica e sociale del lavoro sostitutivo non e' corrisposto il parallelo adeguamento normativo del relativo valore di ragguaglio. Appaiono, in altri termini, applicabili, mutatis mutandis, le considerazioni gia' svolte dalla Corte, a proposito della liberta' controllata, secondo cui: "Cosi' ricostruita la funzione che la norma sottoposta a censura e' chiamata a svolgere nell'ordinamento, ne consegue che l'immutato valore ivi indicato, in presenza delle modifiche subite dall'art. 135 del codice penale, finisce per determinare uno svuotamento delle finalita' tipiche che l'istituto della conversione deve soddisfare, con conseguente grave compromissione del principio di uguaglianza che qui assume tutto il suo risalto per le intuibili conseguenze che quell'istituto e' in grado di determinare sul piano delle liberta' della persona" (sentenza n. 440 del 1994). Si noti, inoltre, come l'effetto di "svuotamento", teorico e pratico, delle finalita' tipiche dell'istituto sia particolarmente aggravato nella presente fattispecie, dal combinato fattore della facoltativita' della misura del lavoro sostitutivo. Non e' chi non veda come la previsione di un tasso di ragguaglio "non conveniente", per la sanzione piu' idonea a assolvere la finalita' di rieducazione (e il pubblico interesse), sia la principale, ancorche' non unica, causa della sostanziale desuetudine dell'istituto in esame. Devesi, infine, osservare che le ragioni di razionale e cogente simmetria di cui sopra consentono, altresi', di escludere (come gia' escluso nella sentenza piu' volte citata) che si tratti di determinazione rimessa alla discrezionalita' legislativa. Una volta che il legislatore ha determinato il tasso di adeguamento per una delle situazioni base (la pena detentiva), tale tasso si impone a tutte le situazioni per cui ricorra precisa e concreta identita' di ratio. Triplicato il valore di ragguaglio della pena detentiva per la svalutazione della moneta, doveva per ragioni di cogente simmetria triplicarsi anche il correlativo valore per la liberta' controllata e il lavoro sostitutivo. Nell'inerzia del legislatore la Corte ha gia' provveduto, quando la relativa questione e' stata posta, quanto alla liberta' controllata. Identiche ragioni, estensibili, mutatis mutandis, anche a quanto al profilo di cui al punto 3 che precede, fanno ritenere non manifestamente infondata analoga questione quanto al lavoro sostitutivo e nella perdurante e non altrimenti giustificabile inerzia del legislatore saranno le ragioni della ritenuta non manifesta infondatezza della correlata questione di legittimita' costituzionale. 5. - Ne scaturisce, in definitiva, il fondato sospetto che la norma denunciata leda i precetti costituzionali di cui all'art. 3 e 27 Cost. Tale lesione si presente sub specie di trattamento di situazioni simili (o, al limite, anche identiche) in modo irrazionalmente diversificato. Da un primo punto di vista (argomentazione sub-3 che precede), si ipotizzino, per semplificazione espositiva, le fattispecie di due condannati per fatto di uguale gravita' (ergo, sanzionato con identica pena pecuniaria), o, al limite, per fatti identici o per lo stesso fatto. La norma denunciata impone, contraddittoriamente, di infliggere la sanzione piu' efficace e incisiva sotto il profilo rieducativo (il lavoro sostitutivo) in misura superiore a quella dichiaratamente meno efficace. La sanzione (ergo, lo si ripete, l'assoggettamento a un trattamento rieducativo) applicabile al condannato che eccede al lavoro sostitutivo sarebbe insomma, ingiustificatamente superiore. Identica irrazionale asimmetria, contrastante con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, appare, sommessamente, sottesa all'argomentazione sub-4 che precede. Il sistema normativo, nel determinare l'equivalenza tra una sanzione a base monetaria e una sanzione a base differente (la pena detentiva e la liberta' controllata), ha provveduto a valorizzare il pregresso deprezzamento del valore della moneta (verificatosi fino al 1993), triplicando il canone di ragguaglio. Nell'assenza di qualsivoglia mutamento di connotazione (in termini assoluti o relativi) della sanzione del lavoro sostitutivo, il mancato proporzionale adeguamento del suo canone di ragguaglio appare ingiustificato e la mancata valorizzazione del pregresso fenomeno di deprezzamento della moneta (ormai cristallizzato nel sistema) una disparita' di trattamento irragionevole, ridondante sulla finalita' rieducativa della sanzione. 6. - La prospettata questione di legittimita' costituzionale appare altresi', rilevante, posto che da essa dipende la concreta entita' della sanzione irrogabile al condannato. Sulla base della norma denunciata, la sanzione irrogabile sarebbe pari a giorni sessanta. Ove la questione di legittimita' fosse ritenuta fondata, essa muterebbe e, nel caso di ripristino dei rapporti originari di cui in premessa, scenderebbe a giorni ventisei. Quanto sopra premesso, questo magistrato di sorveglianza, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 102, comma 3, della medesima legge, nella parte in cui prevede il canone di ragguaglio tra lavoro sostitutivo e pena pecuniaria in L. 50 mila o frazione di 50 mila lire, per ogni giorno di lavoro sostitutivo, per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87, 660 e 678, c.p.p., 102 e ss. della legge n. 689/1981; Dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla Corte costituzionale; Dispone la sospensione del presente procedimento in attesa della decisione della Corte medesima; Manda alla cancelleria per le comunicazioni di legge e, in particolare, la notifica all'interessato, al difensore, al pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' la comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento italiano. Torino, cosi' deciso il 17 giugno 1999. Il magistrato di sorveglianza: Marcheselli 99C1196