N. 787 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 1997
N. 787 Ordinanza emessa il 24 settembre 1997 dal tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di Barbera Maurizio Enzo Processo penale - Verbali di prove di altro procedimento - Dichiarazioni rese da persone imputate in procedimento connesso (art. 210 cod. proc. pen.) - Utilizzabilita' soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione - Lesione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale - Irragionevolezza, sotto diversi profili - Disparita' di trattamento rispetto al regime delle dichiarazioni testimoniali - Lesione del principio di indipendenza del giudice con incidenza sulla formazione del suo convincimento. Processo penale - Verbali di prove di altro procedimento - Modifiche normative - Applicabilita' di regime transitorio (art. 6 legge n. 267/1997) - Mancata previsione - Irragionevole disparita' di trattamento - Lesione del principio di indipendenza del giudice con incidenza sulla formazione del suo convincimento. (C.P.P. 1988, art. 238, comma 2-bis, aggiunto dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 3). (Cost., artt. 112, 3, 101 e 111).(GU n.47 del 19-11-1997 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento n. 373/96 r.g. trib. a carico di Barbera Maurizio Renzo, nato a Roma il 28 giugno 1943, elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia, avv. Alessandro Gaeta, in Roma, via Mazzini, 55; Rilevato che sono state raccoltre tutte le prove ammesse; Considerato che sono stati acquisiti agli atti ai sensi dell'art. 238, primo comma, c.p.p. fin dall'udienza del 19 dicembre 1996 svariati verbali di dichiarazioni rese nel separato dibattimento, celebrato a carico di Fabbri Mario + 2, nell'ambito del quale il Barbera ha reso le dichiarazioni che formano oggetto della presente imputazione; Rilevato che nelle more e' entrata in vigore la legge n. 267/1997, il cui art. 3 ha modificato l'art. 238 c.p.p., in particolare prevedendo al comma 2-bis, che le dichiarazioni rese dai soggetti di cui all'art. 210 c.p.p. sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione, salvo la possibilita', in mancanza di detta partecipazione, che l'imputato presti consenso alla utilizzazione delle stesse agli effetti dell'art. 238, quarto comma, c.p.p., parimenti novellato; Considerato che nel caso di specie tra i verbali acquisiti figurano quelli di dichiarazioni rese da soggetti riconducibili alla categoria di cui all'art. 210 c.p.p., a nessuna delle quali ha partecipato il difensore dell'odierno imputato; Preso atto che l'imputato, tramite il proprio difensore, ha acconsentito all'utilizzazione di alcuni di detti verbali (dichiarazioni Fabbri e Paoletti, in quella sede imputati), ma non all'utilizzazione delle dichiarazioni rese da Abbatino Maurizio, in quella sede sentito ai sensi dell'art. 210 c.p.p.; Atteso che, dovendosi applicare la nuova normativa, tali ultime dichiarazioni sarebbero inutilizzabili, cio' che fa apparire rilevante e non manifestamente infondata, nei termini che seguono, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 238, comma 2-bis, c.p.p., come introdotto dall'art. 3 legge n. 267/1997, per violazione degli artt. 112, 3, 101 e 111 della Costituzione; Ritenuto dunque di dover sollevare d'ufficio tale eccezione di illegittimita' costituzionale; O s s e r v a Ribadisce preliminarmente il Collegio che ai sensi dell'art. 238, primo comma, c.p.p. erano state acquisite nella fase di ammissione delle prove ex artt. 493 e 495 c.p.p. le dichiarazioni rese nel corso del suddetto separato dibattimento da Abbatino Maurizio, il quale, non solo rispetto a quel procedimento, ma anche al presente giudizio a carico dell'imputato Barbera, assume la veste di imputato in procedimento collegato, nei cui confronti si procede separatamente agli effetti dell'art. 210 c.p.p. In particolare va sottolineato che l'Abbatino e' sottoposto a procedimento per reati associativi (e connessi) in relazione alla di lui ipotizzata partecipazione alla c.d. "Banda della Magliana", alcuni esponenti della quale avrebbero intrattenuto rapporti con funzionari dello Stato. L'attuale imputato, Barbera Maurizio Renzo, all'epoca vice-direttore del carcere di Rebibbia, sentito in ordine a tali rapporti nell'ambito del procedimento a carico di alcuni di quei funzionari (Fabbri, Paoletti e Faranda, imputati del delitto di false informazioni al p.m., per aver negato quei rapporti), rese dichiarazioni per le quali il p.m. ha ipotizzato a suo carico il delitto di falsa testimonianza, oggetto del presente giudizio, avendo a sua volta il predetto Barbera negato la sussistenza di contatti in carcere da lui mediati. Ne deriva l'influenza ai fini del decidere delle dichiarazioni rese dall'Abbatino, nella sua qualita' di aderente alla Banda, che quei contatti avrebbe intessuto. A tali dichiarazioni, rese nella separata sede, non ha assistito il difensore dell'odierno imputato, il quale dal canto suo non ha prestato neppure il suo consenso all'utilizzazione di dette dichiarazioni nei suoi confronti. Su tali basi ai sensi dell'art. 238, comma 2-bis, c.p.p., introdotto dall'art. 3 legge n. 267/1997, le dichiarazioni sarebbero da ritenere inutizzabili. Ne' potrebbe valorizzarsi il mero dato della pregressa acquisizione, a fronte della mancanza di un'espressa norma transitoria del tipo di quella dettata dall'art. 6 legge n. 267 cit. Trattandosi invero di norma processuale, deve aversi riguardo al principio tempus regit actum, il quale per lo meno quando non vengano semplicemente in considerazione nuovi requisiti intrinseci di validita' (cfr. ad es. Cass. II, 17 novembre 1995, De Paola ) - postula che la nuova disciplina si applichi ove dall'atto siano derivati effetti non ancora esauritisi (cfr. Cass. sez. un. 1 ottobre 1991, Alleruzzo). Ordunque, poiche' nel caso di specie le dichiarazioni, pur validamente acquisite, sono comunque destinate a riverberarsi, previa lettura ex art. 511-bis c.p.p., sulla decisione finale non ancora adottata, deve ritenersi che la disciplina sopravvenuta sia immediatamente applicabile, cosi' da rendere tali dichiarazioni, versate in atti ai sensi dell'art. 238, primo comma, c.p.p., concretamente inutilizzabili nei confronti dell'imputato. Cio' posto, ritiene il Collegio di dover rilevare la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 238, comma 2-bis, introdotto dall'art. 3 legge n. 267/1997 per contrasto con gli artt. 112, 3, 101 e 111 della Costituzione. A - Innanzi tutto si profila la violazione dell'art. 112 della Costituzione. Deve premettersi che tale norma, nel prevedere l'obbligatorio esercizio dell'azione penale, garantisce al p.m., a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge (Corte cost. n. 88/1991 cit.), piena liberta' ed indipendenza nella conduzione delle indagini, in quanto correlate alla necessita' di accertare fatti penalmente rilevanti (cfr. anche Corte cost. n. 420/1995), ed al tempo stesso, posto che l'azione penale e' irretrattabile e si sviluppa nelle varie fasi del giudizio, implica, a quanto sembra, che gli elementi di prova - legittimamente acquisiti -, sui quali il p.m. ha fondato le sue determinazioni finali in ordine all'esercizio dell'azione (suo compito precipuo: Corte cost. n. 96/1997), non possano essere ingiustificatamente dispersi, cosi' da rendere inefficace la pubblica attivita' di accertamento. In altre parole, se il p.m. e' tenuto ad esercitare l'azione penale sulla base di una valutazione di congruita' del materiale probatorio fino ad allora raccolto, valutazione che la stessa Costituzione gli riserva quale condizione di autonomia funzionale, cosi' deve ritenersi che non possa venire meno per ragioni non riconducibili a vizi nella condotta processuale dell'organo d'accusa - e pur nel tendenziale rispetto del contraddittorio, del resto assicurato dalla previsione di ipotesi solo residuali di acquisizione in forma di mera lettura - la generale attitudine probatoria di uno degli elementi, su cui quella valutazione iniziale era stata formulata, cio' comportando, a quanto sembra, un irreparabile vulnus alla sfera di autonomia riservata allo stesso p.m., al quale non si contrappongono sufficienti ragioni di tutela di altre parti processuali. In effetti se l'utilizzazione di elementi di prova puo' legittimamente essere condizionata dal rispetto di diritti costituzionalmente garantiti, la cui violazione mai potrebbe tollerarsi in nome dell'accertamento della verita' (si rinvia in proposito all'ampia ricognizione del tema dell'inutilizzabilita' compiuta di recente dalla suprema Corte di cassazione: cfr. Cass. Sez. Un. 27 marzo 1996, Sala), non altrettanto puo' dirsi con riguardo ad elementi raccolti in modo di per se' non contrastante con specifiche garanzie costituzionali. Orbene, posto che la disciplina dettata dal riformulato art. 238 c.p.p. sembra volta ad impedire che possano acquisirsi ed utilizzarsi dichiarazioni riguardo alle quali non e' stato assicurato il contraddittorio tra tutti gli interessati, nel presupposto che l'organo inquirente debba comunque attivarsi per realizzarlo, se del caso facendo ricorso all'incidente probatorio, deve rilevarsi in via generale come la sostanziale imposizione, sanzionata indirettamente dall'inutilizzabilita', di un siffatto meccanismo contrasti con le prerogative riconosciute al p.m. in ordine alla conduzione delle indagini ed all'utilizzazione degli strumenti (leciti e) piu' opportuni per il conseguimento del risultato ad esso istituzionalmente demandato. Inoltre nella stessa prospettiva deve osservarsi come al p.m. finisca per essere ingiustificatamente sottratto un fondamentale mezzo di accertamento della verita' in tutti i casi, in cui, proprio in sede di incidente probatorio, il preteso dichiarante si sia avvalso della facolta' di non rispondere ovvero nei casi in cui l'organo inquirente non abbia potuto avvalersi tempestivamente di detto meccanismo di garanzia, per irreperibilita' o per oggettiva impossibilita' di rispondere del dichiarante, peraltro venute meno successivamente, cosi' da impedire altresi' al p.m. di poter confidare sul disposto dell'art. 238, terzo comma. Seguendo il medesimo ragionamento, vanno ancora considerati i casi di procedimenti che, come il presente, alla data di entrata in vigore della riforma abbiano ormai superato la fase dell'udienza preliminare, entro la quale puo' procedersi ad incidente probatorio, nonche', piu' in generale, i casi di conoscenza di dichiarazioni rese in separata sede, sopravvenuta dopo il rinvio a giudizio, ovvero i casi in cui solo in un secondo momento soggetti, in origine separatamente sentiti come testi, abbiano poi assunto la veste di imputati in procedimenti connessi o collegati: trattasi invero di ipotesi nelle quali parimenti nessun addebito potrebbe muoversi al p.m. per aver legittimamente confidato, senza necessita' di rinnovo dell'incombente, sulla validita' ed utilizzabilita', previa acquisizione in sede dibattimentale, di dichiarazioni riconducibili all'art 238, primo comma, c.p.p., non ancora attenuato dal disposto del comma 2-bis. Correlativamente sembra possibile affermare che la dispersione - determinata dalla norma sopravvenuta - nei confronti di un determinato imputato (magari l'unico, come nella specie) di un siffatto elemento si risolva in un intollerabile pregiudizio alla capacita' di azione del p.m. e dunque in una violazione dell'art. 112 della Costituzione. Sotto altro profilo va osservato come la perentoria previsione, al comma 2-bis, dell'inutilizzabilita' nei confronti dell'imputato non partecipante all'assunzione contrasti con la facolta' riconosciuta a tutte le parti controinteressate di chiedere comunque in sede dibattimentale l'esame del dichiarante, potendosi solo in caso di effettivo esercizio di tale facolta', in ipotesi vanificata dal rifiuto di rispondere del dichiarante, valutare la concreta utilizzabilita' dell'atto, in ossequio al principio del contraddittorio, possibilita' di cui peraltro nel presente procedimento nessuna della parti si e' avvalsa, senza che per questo al p.m., sicuro dell'utilizzazione dell'atto acquisito, potessero e possano muoversi censure di sorta. L'attuale disciplina, ab origine preclusiva dell'utilizzabilita', si risolve dunque anche in parte qua in un ingiustificato pregiudizio alla capacita' di azione del p.m. B - Molteplici sono i profili in relazione ai quali il disposto dell'art. 238, comma 2-bis, c.p.p. s'appalesa in contrasto con il canone di cui all'art. 3 della Costituzione. B-1) Innanzi tutto si rileva che la previsione della radicale inutilizzabilita', stabilita a priori, in favore dell'imputato, il cui difensore non abbia partecipato all'assunzione delle pregresse dichiarazioni, contrasta con il criterio della ragionevolezza, venendo ad inficiare il fondamentale principio della non dispersione dei mezzi di prova - inteso come istanza sottesa all'ordinamento processuale penale in funzione dell'accertamento della verita', in presenza di situazioni tali da rendere altrimenti problematico il raggiungimento di quel risultato - che e' stato affermato ripetutamente dalla Corte costituzionale (sentenze n. 255/1992 e 111/1993). Tale principio non puo' non essere in questa sede ulteriormente invocato, atteso che il complessivo assetto dell'ordinamento non ha subito modifiche diverse da quelle introdotte dalla legge n. 267/97, una delle cui norme e' specificamente oggetto di censura. Del resto, riguardando la questione sotto il profilo della provenienza dell'elemento probatorio, si rileva come altre dichiarazioni, aventi la medesima provenienza siano state assoggettate ad un regime diverso (dichiarazioni testimoniali o dichiarazioni divenute irripetibili). Volendo invece porre l'accento sulla necessita' di assicurare il contraddittorio, deve da un lato sottolinearsi che l'acquisizione delle dichiarazioni ai sensi dell'art. 238 c.p.p., non precluderebbe comunque la facolta' della parte interessata di chiedere al dibattimento la diretta escussione del dichiarante, e dall'altro che l'eventuale pregiudizio al pieno dispiegarsi del contraddittorio potrebbe se mai discendere non dal meccanismo di acquisizione processuale (identico per le dichiarazioni testimoniali), bensi' dal successivo, concreto esercizio - da parte del preteso dichiarante - della facolta', allo stato riconosciutagli, di non rispondere. Senonche', anche in tale prospettiva, non puo' farsi a meno di rilevare come detta facolta' dia luogo ad un'oggettiva impossibilita' di ripetizione, di consistenza del tutto simile a quella che legittima, ad esempio ai sensi degli artt. 512 e 238, terzo comma, c.p.p., l'acquisizione, in deroga al canone dell'oralita' e del contraddittorio, di dichiarazioni rese in sede diversa dal dibattimento in corso (tale principio e' stato del resto gia' affermato dalla Corte costituzionale a proposito dell'analoga facolta' riconosciuta ai prossimi congiunti: sentenza n. 179/1994). Va ancora aggiunto nella prospettiva della garanzia del cotttraddittorio che, a rigore, la distinzione tra atti irripetibili e non irripetibili, sarebbe da considerare irrilevante, nell'uno e nell'altro caso determinandosi un vulnus a quello specifico profilo delle garanzie difensive (si badi invero che la Corte europea dei diritti dell'uomo non ha mai dato rilievo agli effetti dell'art. 6, terzo comma lett. d) CEDU al mero fatto dell'irripetibilita', tanto da essere scesa nel merito della valutazione del giusto processo anche con riguardo a dichiarazioni rese da coimputato poi suicidatosi: cfr. sentenza 7 agosto 1996 in causa Ferrantelli e Santangelo), con la conseguenza che l'introdotta diversita' di regime risulta in radice ingiustificata. Se si aggiunge che sono previsti casi di acquisibilita' di dichiarazioni pregresse rese in altra sede, che prescindono addirittura da un'oggettiva impossibilita' (art. 512-bis c.p.p.), sembra potersi in definitiva concludere che l'ordinarnento persegue e deve perseguire nel suo complesso il fine dell'accertamento della verita' e che i canoni dell'oralita' e del contraddittorio, pur costituendo fondamentali linee-guida, non possono tuttavia rappresentare postulati irrinunciabili, fino al punto da comportare l'inutilizzabilita' di elementi probatori ormai sussistenti e per giunta legittimamente acquisiti. B-2) Deve aggiungersi che la previsione dell'inutilizzabilita' a priori, salvo consenso dell'imputato, finirebbe incongruamente per far dipendere l'utilizzazione non dal meccanismo di acquisizione, bensi' dal contenuto delle dichiarazioni, essendo evidente che l'imputato sarebbe disposto ad accettare solo l'acquisizione di dichiarazioni che gli arrechino un vantaggio processuale o comunque a selezionare il materiale da sottoporsi alla valutazione del giudice secondo personali criteri di opportunita', come sembra potersi ritenere avvenuto nel caso di specie, in cui il consenso e' stato circoscritto ad alcune soltanto delle dichiarazioni acquisite. Ma per tale via il trattamento riservato al p.m. risulta ingiustificatamente deteriore, tanto che ai fini dell'inutizzabilita' non e' neppure chiesto che la parte a cio' interessata si sia vanamente attivata per ottenere l'escussione dibattimentale del dichiarante. B-3) Il regime probatorio delineato dall'art. 238, comma 2-bis, c.p.p. presenta peraltro un ulteriore profilo di irrazionalita'. La ragione di un'utizzzabilita' limitata agli imputati, i cui difensori abbiano partecipato all'assunzione della prova, e' da ricercare invero nella constatazione di un contraddittorio imperfetto e nell'avvertita necessita' di far gravare sull'organo inquirente l'onere di attivarsi in modo da assicurare all'imputato la possibilita' di contraddire. Senonche', secondo quanto piu' volte affermato dalla Corte costituzionale, non puo' porsi un problema di contraddittorio e di diritto di difesa, fintanto che una notizia di reato non si soggettivizzi nei confronti di una determinata persona, cioe' prima che a carico di taluno non siano rilevabili indizi di colpevolezza (cfr. da ultimo Corte cost. n. 181 e 198 del 1994). Ora, se per un verso deve darsi per scontato che l'utizzzazione dibattimentale delle pregresse dichiarazioni postuli una precisa imziativa processuale nei confronti di taluno, per l'altro cio' non significa che gia' sussistessero indizi di reita' a carico di quest'ultimo nel momento in cui quelle dichiarazioni furono rese. Inoltre, posto che l'art. 238, primo comma, c.p.p. fa riferimento sia all'incidente probatorio sia al dibattimento, deve rilevarsi che nel primo caso sarebbe sempre possibile estendere l'incombente a soggetti indagati per reati connessi o collegati, mentre nel caso di dichiarazioni dibattimentali cio' sarebbe comunque precluso. Ed allora, combinando le due diverse indicazioni, sembra possibile concludere che la successiva parziale inutilizzabilita' dovrebbe considerarsi del tutto rispondente all'esigenza di salvaguardare il diritto di difesa solo rispetto a dichiarazioni rese in separato incidente probatorio, indirettamente coinvolgenti un soggetto a carico del quale gia' sussistevano indizi di colpevolezza (cfr. del resto Corte cost. n. 198/1994 cit.), mentre non potrebbe dirsi altrettanto rispetto a dichiarazioni rese al dibattimento o nell'ambito di un incidente probatorio svoltosi in una fase in cui a carico di un determinato soggetto non sussistevano indizi di colpevolezza. In senso contrario non potrebbe addursi che l'organo inquirente ovvero il giudice del dibattimento avrebbero comunque la facolta' di sentire il dichiarante in contraddittorio con l'imputato: il problema continuerebbe infatti a riguardare l'utilizzabilita' delle dichiarazioni pregresse, di per se' rese secundum legem, tanto piu' nel caso in cui non fosse nuovamente praticabile per qualsivoglia ragione la via dell'incidente probatorio ovvero nel caso di irripetibilita', derivante dal concreto esercizio da parte del dichiarante della facolta' di non rispondere. Ne' potrebbe invocarsi, rispetto all'ipotesi dell'incidente probatorio, un'eventuale ricaduta sull'interpretazione dell'art. 238 c.p.p. del nuovo disposto dell'art. 403 c.p.p., che, restringendo le indicazioni provenienti da Corte cost. n. 181/1994, prevede l'utilizzabilita' delle prove assunte con incidente probatorio anche nei confronti di soggetti, i cui difensori non abbiano partecipato, solo alla condizione che a carico di costoro gli indizi di colpevolezza siano sorti dopo che la prova era divenuta irripetibile. In realta' agli effetti dell'art. 238 c.p.p. in un caso siffatto l'utilizzabilita' sarebbe comunque assicurata dal comma 3, cioe' dal mero fatto dell'irripetibilita', a prescindere dal momento dell'insorgenza degli indizi di colpevolezza, il che fa apparire tanto piu' incomprensibile la previsione di un limite all'utilizzabilita' delle pregresse dichiarazioni, che prescinda dall'effettivo rispetto del contraddittorio, commisurato al momento in cui le dichiarazioni furono rese, e che prescinda altresi' dalla sopravvenienza di quella forma di irripetibilita' che costituita dal rifiuto di rispondere del dichiarante, intervenuto in qualunque sede (anche nel corso di un successivo incidente probatorio). B-4) Sul piano dell'incongruita' del regime introdotto dal comma 2-bis dell'art. 238 c.p.p. va ancora rilevato che la cennata disciplina postula lo sfruttamento del dichiarante ben oltre al limite in cui sarebbe ragionevole pretendere da lui precisione e coerenza. Non sembra infatti contestabile il rischio che il dichiarante, chiamato reiteratamente a soffermarsi sugli stessi temi, possa involontariamente fornire versioni non ugualmente nitide, in considerazione dello sforzo di memoria richiestogli, di per se' comportante la possibilita' di sovrapposizioni e rimescolamenti di informazioni. Del resto una siffatta evenienza fu presa in considerazione dallo stesso legislatore allorche' fu stabilito nel 1992 che almeno per certi reati l'escussione di coloro le cui dichiarazioni erano state gia' assunte in sede di incidente probatorio ovvero acquisite ai sensi dell'art. 238 c.p.p. fosse ammessa solo se assolutamente necessaria (art. 190-bis c.p.p.). Sostanzialmente contravvenendo a tale canone di ragionevolezza il legislatore muta ora indirizzo, finendo per imporre una serie indeterminata di ripetizioni (si pensi ai processi di criminalita' organizzata), non solo a scapito dell'economia processuale, ma anche a scapito della chiarezza e della verita', il tutto senza contare che resta per contro utilizzabile a fini di prova, salvo riscontri, la sentenza irrevocabile pronunciata a carico di terzi (art. 238-bis c.p.p.). B-5) Uno specifico profilo di disparita' di trattamento puo' cogliersi all'interno della nuova disciplina con riguardo al regime di utilizzabilita' di dichiarazioni rese in separata sede da soggetti che, non essendo gravati da indizi di colpevolezza, siano stati sentiti come testi e che solo in secondo momento abbiano assunto la qualita' di imputati in procedimento connesso o collegato. Posto che il regime di utilizzabilita' deve essere correlato alla qualita' attuale del dichiarante, resta il fatto che il p.m. potrebbe legittimamente confidare sull'utilizzabilita' piena delle dichiarazioni pregresse, di per se' non ancora soggette al regime di cui al comma 2-bis con rischio di trovarsi poi esposto all'inutilizzabilita', una volta assunta dal dichiarante (e magari a sua insaputa, in altro procedimento) la nuova veste processuale. Particolarmente in questi casi, per lo meno quando il p.m. non sia in grado di promuovere tempestivarnente l'incidente probatorio, l'assoggettamento delle dichiarazioni al nuovo regime appare incongruo, in quanto tale da riservare al p.m. un trattamento deteriore e da far dipendere l'esito del giudizio da fattori del tutto casuali. B-6) Irragionevole s'appalesa poi la disparita' di trattamento risultante dal regime di utilizzazione di dichiarazioni rese in separato dibattimento o in separato incidente probatorio da un soggetto che sia anche imputato nell'ambito del processo in cui quelle dichiarazioni dovrebbero essere utilizzate o viceversa da soggetto appartenente alle categorie di cui all'art. 210 c.p.p., nei cui confronti si proceda o si sia proceduto separatamente. Cio' deriva dal fatto che il comma 2-bis prevede il regime di utilizzazione probatoria condizionata solo con riguardo a dichiarazioni rese dai soggetti di cui all'art. 210 c.p.p., da individuarsi, com'e' ovvio, non con riferimento al procedimento separato, bensi' a quello nel cui ambito le dichiarazioni dovrebbero essere utilizzate. In particolare, nonostante che possa registrarsi in entrambi i casi summenzionati un'incompletezza del contraddittorio, le dichiarazioni rese separatamente da soggetto che e' anche imputato risultano utilizzabili sic et simpliciter. Di qui la violazione del precetto costituzionale. B-7) Ancora si rileva come nei casi, in cui le dichiarazioni rese in separata sede siano state gia' acquisite ai sensi del testo previgente - evenienza verificatasi nel presente giudizio - di previsione dell'inutilizzabilita', immediatamente applicabile, determini un'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al regime contemplato in via transitoria dall'art. 6, quinto comma, legge n. 267/1997, nel quale da un lato si prevede la facolta' delle parti di chiedere l'esame di colui che abbia reso dichiarazioni in altra fase processuale e che si sia poi avvalso al dibattimento della facolta' di non rispondere - cosi' consentendo la lettura ai sensi del previgente art. 513 c.p.p. -, e dall'altro si stabilisce che nell'ipotesi di nuovo esercizio della facolta' di non rispondere le dichiarazioni gia' acquisite non siano radicalmente inutilizzabili, ma siano soggette ad una forma di utilizzabilita' attenuata, correlata alla sussistenza di elementi di conferma diversi da altre dichiarazioni non confermate al dibattimento. In effetti anche nelle ipotesi di dichiarazioni acquisite ai sensi del previgente art. 513 c.p.p. sarebbe stata ravvisabile una limitazione del principio del contraddittorio, di talche' il regime dettato dalla norma transitoria dovrebbe trovare ora applicazione, per identita' di ratio, anche nei casi riconducibili all'art. 238, comma 2-bis, cosi' da rendere le dichiarazioni pregresse assoggettabili tutt'al piu' al regime di utilizzabilita' attenuata, per giunta alla condizione della mancata conferma a seguito di rinnovazione. Ma portando tale ragionamento alle ulteriori conseguenze, deve osservarsi come, a fronte della previsione da parte dell'art. 6 legge n. 267/1997 di un regime transitorio del tipo indicato, s'appalesi ingiustificata, anche nei procedimenti non ancora giunti alla fase dibattimentale o nei quali non si sia comunque proceduto all'acquisizione di dichiarazioni ex art. 238 c.p.p., la sanzione della radicale inutilzzabilita' rispetto a determinati imputati, in luogo di un'utilizabilita' attenuata, modellata negli esatti termini di cui al citato art. 6. C) Il Collegio rileva infine il contrasto tra l'art. 238, comma 2-bis, c.p.p. e gli artt. 101 secondo comma, e 111 della Costituzione letti in combinazione tra loro. Sembra infatti che una formulazione, quale quella censurata, disattenda il duplice canone della sottoposizione del giudice alla sola legge e del libero motivato apprezzamento, facendo dipendere l'esercizio della giurisdizione non dal convincimento del giudice, formulato sulla base del materiale probatorio raccolto, bensi' da elementi spuri, quali il consenso immotivato dell'imputato o degli imputati interessati, cioe' di coloro il cui contegno forma oggetto dell'accertamento penale, come nel caso di specie deve ritenersi avvenuto in conseguenza della selezione, operata dall'imputato, dei verbali di cui consentire l'utilizzazione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli arrt. 112, 3, 101 e 111 della Costituzione, dell'art. 238, comma 2-bis, introdotto dall'art. 3 della legge 7 agosto 1997 n. 267, nella parte in cui limita l'utilizzabilita' delle dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 210 c.p.p. agli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione ovvero, in subordine, nella parte in cui non prevede che nei procedimenti nei quali i verbali siano stati acquisiti prima dell'entrata in vigore della legge di modifica, sia applicabile il regime transitorio di cui all'art. 6 legge n. 267 citata e comunque - in generale - nella parte in cui non prevede almeno l'utilizzabilita' attenuata di cui all'art. 6, quinto comma, legge n. 267 citata; Sospende il presente giudizio; Dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Perugia, addi' 24 settembre 1997 Il presidente: Nannarone 97C1254