N. 787 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 1997

                                N. 787
  Ordinanza emessa il 24 settembre 1997 dal tribunale di  Perugia  nel
 procedimento penale a carico di Barbera Maurizio Enzo
 Processo   penale   -  Verbali  di  prove  di  altro  procedimento  -
    Dichiarazioni rese da persone imputate  in  procedimento  connesso
    (art.  210  cod.    proc.  pen.)  -  Utilizzabilita'  soltanto nei
    confronti degli imputati i cui difensori  hanno  partecipato  alla
    loro   assunzione  -  Lesione  del  principio  di  obbligatorieta'
    dell'azione penale - Irragionevolezza,  sotto  diversi  profili  -
    Disparita'  di  trattamento rispetto al regime delle dichiarazioni
    testimoniali - Lesione del principio di indipendenza  del  giudice
    con incidenza sulla formazione del suo convincimento.
 Processo  penale - Verbali di prove di altro procedimento - Modifiche
    normative - Applicabilita' di regime transitorio (art. 6 legge  n.
    267/1997)  -  Mancata  previsione  -  Irragionevole  disparita' di
    trattamento - Lesione del principio di  indipendenza  del  giudice
    con incidenza sulla formazione del suo convincimento.
 (C.P.P.  1988,  art.  238, comma 2-bis, aggiunto dalla legge 7 agosto
    1997, n. 267, art. 3).
 (Cost., artt. 112, 3, 101 e 111).
(GU n.47 del 19-11-1997 )
                             IL TRIBUNALE
   Letti gli atti del procedimento n. 373/96 r.g. trib.  a  carico  di
 Barbera  Maurizio Renzo, nato a Roma il 28 giugno 1943, elettivamente
 domiciliato presso il difensore di fiducia, avv. Alessandro Gaeta, in
 Roma, via Mazzini, 55;
   Rilevato che sono state raccoltre tutte le prove ammesse;
   Considerato che sono stati acquisiti agli atti ai  sensi  dell'art.
 238,  primo  comma,  c.p.p.  fin  dall'udienza  del  19 dicembre 1996
 svariati verbali di dichiarazioni  rese  nel  separato  dibattimento,
 celebrato  a  carico  di  Fabbri  Mario + 2, nell'ambito del quale il
 Barbera ha reso le dichiarazioni che formano oggetto  della  presente
 imputazione;
   Rilevato  che nelle more e' entrata in vigore la legge n. 267/1997,
 il cui art.  3  ha  modificato  l'art.  238  c.p.p.,  in  particolare
 prevedendo  al comma 2-bis, che le dichiarazioni rese dai soggetti di
 cui all'art.   210 c.p.p. sono utilizzabili  soltanto  nei  confronti
 degli   imputati   i   cui  difensori  hanno  partecipato  alla  loro
 assunzione,   salvo   la   possibilita',   in   mancanza   di   detta
 partecipazione,  che  l'imputato  presti  consenso alla utilizzazione
 delle stesse agli effetti  dell'art.    238,  quarto  comma,  c.p.p.,
 parimenti novellato;
   Considerato che nel caso di specie tra i verbali acquisiti figurano
 quelli di dichiarazioni rese da soggetti riconducibili alla categoria
 di  cui  all'art. 210 c.p.p., a nessuna delle quali ha partecipato il
 difensore dell'odierno imputato;
   Preso  atto  che  l'imputato,  tramite  il  proprio  difensore,  ha
 acconsentito   all'utilizzazione   di   alcuni   di   detti   verbali
 (dichiarazioni Fabbri e Paoletti, in quella sede  imputati),  ma  non
 all'utilizzazione  delle  dichiarazioni rese da Abbatino Maurizio, in
 quella sede sentito ai sensi dell'art. 210 c.p.p.;
   Atteso che, dovendosi applicare la  nuova  normativa,  tali  ultime
 dichiarazioni   sarebbero   inutilizzabili,   cio'  che  fa  apparire
 rilevante e non manifestamente infondata, nei termini che seguono, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 238, comma  2-bis,
 c.p.p., come introdotto dall'art. 3 legge n. 267/1997, per violazione
 degli artt. 112, 3, 101 e 111 della Costituzione;
   Ritenuto  dunque  di  dover  sollevare  d'ufficio tale eccezione di
 illegittimita' costituzionale;
                             O s s e r v a
   Ribadisce preliminarmente il Collegio che ai sensi  dell'art.  238,
 primo  comma,  c.p.p.  erano state acquisite nella fase di ammissione
 delle prove ex artt. 493 e 495 c.p.p. le dichiarazioni rese nel corso
 del suddetto separato dibattimento da Abbatino  Maurizio,  il  quale,
 non  solo rispetto a quel procedimento, ma anche al presente giudizio
 a carico dell'imputato  Barbera,  assume  la  veste  di  imputato  in
 procedimento  collegato,  nei  cui confronti si procede separatamente
 agli effetti dell'art. 210 c.p.p.
   In  particolare  va  sottolineato  che  l'Abbatino  e' sottoposto a
 procedimento per reati associativi (e connessi) in relazione alla  di
 lui  ipotizzata  partecipazione  alla  c.d.  "Banda  della Magliana",
 alcuni esponenti della  quale  avrebbero  intrattenuto  rapporti  con
 funzionari dello Stato.
   L'attuale    imputato,    Barbera    Maurizio    Renzo,   all'epoca
 vice-direttore del carcere di Rebibbia,  sentito  in  ordine  a  tali
 rapporti  nell'ambito  del  procedimento  a  carico di alcuni di quei
 funzionari (Fabbri, Paoletti e Faranda, imputati del delitto di false
 informazioni  al  p.m.,  per  aver  negato   quei   rapporti),   rese
 dichiarazioni  per  le  quali il p.m.   ha ipotizzato a suo carico il
 delitto di falsa testimonianza, oggetto del presente giudizio, avendo
 a sua volta il predetto Barbera negato la sussistenza di contatti  in
 carcere da lui mediati.
   Ne deriva l'influenza ai fini del decidere delle dichiarazioni rese
 dall'Abbatino,  nella  sua  qualita' di aderente alla Banda, che quei
 contatti avrebbe intessuto.
   A tali dichiarazioni, rese nella separata sede, non ha assistito il
 difensore dell'odierno imputato,  il  quale  dal  canto  suo  non  ha
 prestato   neppure   il   suo  consenso  all'utilizzazione  di  dette
 dichiarazioni nei suoi confronti.
   Su  tali  basi  ai  sensi  dell'art.  238,  comma  2-bis,   c.p.p.,
 introdotto  dall'art. 3 legge n. 267/1997, le dichiarazioni sarebbero
 da ritenere inutizzabili.
   Ne'  potrebbe   valorizzarsi   il   mero   dato   della   pregressa
 acquisizione,   a   fronte   della   mancanza  di  un'espressa  norma
 transitoria del tipo di quella dettata dall'art. 6 legge n. 267 cit.
   Trattandosi invero di norma processuale, deve  aversi  riguardo  al
 principio tempus regit actum, il quale per lo meno quando non vengano
 semplicemente   in   considerazione  nuovi  requisiti  intrinseci  di
 validita' (cfr. ad es. Cass. II, 17  novembre  1995,  De  Paola  )  -
 postula  che  la  nuova  disciplina  si  applichi ove dall'atto siano
 derivati effetti non ancora esauritisi (cfr. Cass. sez. un. 1 ottobre
 1991, Alleruzzo).
   Ordunque,  poiche'  nel  caso  di  specie  le  dichiarazioni,   pur
 validamente acquisite, sono comunque destinate a riverberarsi, previa
 lettura  ex  art.  511-bis  c.p.p., sulla decisione finale non ancora
 adottata,  deve  ritenersi  che  la   disciplina   sopravvenuta   sia
 immediatamente  applicabile,  cosi'  da  rendere  tali dichiarazioni,
 versate  in  atti  ai  sensi  dell'art.  238,  primo  comma,  c.p.p.,
 concretamente inutilizzabili nei confronti dell'imputato.
   Cio'  posto, ritiene il Collegio di dover rilevare la non manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 238, comma 2-bis,  introdotto  dall'art.  3  legge  n.  267/1997  per
 contrasto con gli artt. 112, 3, 101 e 111 della Costituzione.
   A  -  Innanzi  tutto  si  profila la violazione dell'art. 112 della
 Costituzione.
   Deve premettersi  che  tale  norma,  nel  prevedere  l'obbligatorio
 esercizio   dell'azione   penale,   garantisce   al  p.m.,  a  tutela
 dell'interesse generale all'osservanza della legge  (Corte  cost.  n.
 88/1991  cit.), piena liberta' ed indipendenza nella conduzione delle
 indagini, in quanto correlate  alla  necessita'  di  accertare  fatti
 penalmente  rilevanti  (cfr.  anche  Corte  cost. n. 420/1995), ed al
 tempo stesso, posto  che  l'azione  penale  e'  irretrattabile  e  si
 sviluppa nelle varie fasi del giudizio, implica, a quanto sembra, che
 gli elementi di prova - legittimamente acquisiti -, sui quali il p.m.
 ha  fondato  le  sue  determinazioni  finali  in ordine all'esercizio
 dell'azione (suo compito  precipuo:  Corte  cost.  n.  96/1997),  non
 possano   essere   ingiustificatamente  dispersi,  cosi'  da  rendere
 inefficace la pubblica attivita' di accertamento.
   In altre parole, se il p.m. e' tenuto ad esercitare l'azione penale
 sulla base di una valutazione di congruita' del materiale  probatorio
 fino  ad  allora raccolto, valutazione che la stessa Costituzione gli
 riserva  quale  condizione  di  autonomia  funzionale,   cosi'   deve
 ritenersi  che  non possa venire meno per ragioni non riconducibili a
 vizi nella condotta processuale dell'organo  d'accusa  -  e  pur  nel
 tendenziale  rispetto del contraddittorio, del resto assicurato dalla
 previsione di ipotesi solo residuali di acquisizione in forma di mera
 lettura - la generale attitudine probatoria di uno degli elementi, su
 cui  quella  valutazione   iniziale   era   stata   formulata,   cio'
 comportando,  a  quanto  sembra, un irreparabile vulnus alla sfera di
 autonomia riservata allo stesso p.m., al quale non si  contrappongono
 sufficienti ragioni di tutela di altre parti processuali.
   In   effetti   se   l'utilizzazione   di  elementi  di  prova  puo'
 legittimamente  essere   condizionata   dal   rispetto   di   diritti
 costituzionalmente   garantiti,   la   cui  violazione  mai  potrebbe
 tollerarsi in nome dell'accertamento  della  verita'  (si  rinvia  in
 proposito  all'ampia  ricognizione  del  tema  dell'inutilizzabilita'
 compiuta di recente dalla suprema Corte  di  cassazione:  cfr.  Cass.
 Sez.  Un.  27  marzo  1996,  Sala),  non  altrettanto  puo' dirsi con
 riguardo ad elementi raccolti in modo di per se' non contrastante con
 specifiche garanzie costituzionali.
   Orbene, posto che la disciplina dettata dal  riformulato  art.  238
 c.p.p. sembra volta ad impedire che possano acquisirsi ed utilizzarsi
 dichiarazioni   riguardo  alle  quali  non  e'  stato  assicurato  il
 contraddittorio  tra  tutti  gli  interessati,  nel  presupposto  che
 l'organo  inquirente debba comunque attivarsi per realizzarlo, se del
 caso facendo ricorso all'incidente probatorio, deve rilevarsi in  via
 generale  come  la sostanziale imposizione, sanzionata indirettamente
 dall'inutilizzabilita', di un siffatto meccanismo  contrasti  con  le
 prerogative  riconosciute  al  p.m.  in  ordine alla conduzione delle
 indagini  ed  all'utilizzazione  degli  strumenti  (leciti  e)   piu'
 opportuni    per    il    conseguimento   del   risultato   ad   esso
 istituzionalmente demandato.
   Inoltre nella stessa  prospettiva  deve  osservarsi  come  al  p.m.
 finisca  per  essere  ingiustificatamente  sottratto  un fondamentale
 mezzo di accertamento della verita' in tutti i casi, in cui,  proprio
 in  sede  di  incidente  probatorio,  il  preteso  dichiarante si sia
 avvalso della facolta' di non  rispondere  ovvero  nei  casi  in  cui
 l'organo  inquirente  non  abbia  potuto avvalersi tempestivamente di
 detto meccanismo di garanzia, per  irreperibilita'  o  per  oggettiva
 impossibilita'  di  rispondere  del dichiarante, peraltro venute meno
 successivamente,  cosi'  da  impedire  altresi'  al  p.m.  di   poter
 confidare sul disposto dell'art. 238, terzo comma.
   Seguendo  il medesimo ragionamento, vanno ancora considerati i casi
 di procedimenti che, come il presente, alla data di entrata in vigore
 della  riforma  abbiano   ormai   superato   la   fase   dell'udienza
 preliminare,  entro la quale puo' procedersi ad incidente probatorio,
 nonche', piu' in generale, i casi di conoscenza di dichiarazioni rese
 in  separata  sede,  sopravvenuta dopo il rinvio a giudizio, ovvero i
 casi  in  cui  solo  in  un  secondo  momento  soggetti,  in  origine
 separatamente  sentiti  come  testi,  abbiano poi assunto la veste di
 imputati in procedimenti connessi o  collegati:  trattasi  invero  di
 ipotesi  nelle  quali  parimenti nessun addebito potrebbe muoversi al
 p.m. per aver legittimamente confidato, senza necessita'  di  rinnovo
 dell'incombente,   sulla   validita'   ed   utilizzabilita',   previa
 acquisizione in sede dibattimentale, di  dichiarazioni  riconducibili
 all'art  238,  primo comma, c.p.p., non ancora attenuato dal disposto
 del comma 2-bis.
   Correlativamente sembra possibile affermare che  la  dispersione  -
 determinata   dalla   norma   sopravvenuta  -  nei  confronti  di  un
 determinato imputato  (magari  l'unico,  come  nella  specie)  di  un
 siffatto  elemento  si  risolva  in un intollerabile pregiudizio alla
 capacita' di azione del p.m. e dunque in una violazione dell'art. 112
 della Costituzione.
   Sotto altro profilo va osservato come la perentoria previsione,  al
 comma  2-bis,  dell'inutilizzabilita' nei confronti dell'imputato non
 partecipante all'assunzione contrasti con la facolta' riconosciuta  a
 tutte  le  parti  controinteressate  di  chiedere  comunque  in  sede
 dibattimentale l'esame del dichiarante, potendosi  solo  in  caso  di
 effettivo  esercizio  di  tale  facolta',  in  ipotesi vanificata dal
 rifiuto  di  rispondere  del  dichiarante,   valutare   la   concreta
 utilizzabilita'    dell'atto,    in   ossequio   al   principio   del
 contraddittorio,  possibilita'   di   cui   peraltro   nel   presente
 procedimento  nessuna della parti si e' avvalsa, senza che per questo
 al p.m., sicuro dell'utilizzazione dell'atto acquisito,  potessero  e
 possano  muoversi  censure di sorta. L'attuale disciplina, ab origine
 preclusiva dell'utilizzabilita', si risolve dunque anche in parte qua
 in un ingiustificato pregiudizio alla capacita' di azione del p.m.
   B - Molteplici sono i profili in relazione  ai  quali  il  disposto
 dell'art.  238,  comma  2-bis,  c.p.p. s'appalesa in contrasto con il
 canone di cui all'art. 3 della Costituzione.
   B-1) Innanzi tutto si  rileva  che  la  previsione  della  radicale
 inutilizzabilita',  stabilita  a  priori, in favore dell'imputato, il
 cui difensore non abbia partecipato  all'assunzione  delle  pregresse
 dichiarazioni,   contrasta  con  il  criterio  della  ragionevolezza,
 venendo ad inficiare il fondamentale principio della non  dispersione
 dei  mezzi  di  prova  -  inteso come istanza sottesa all'ordinamento
 processuale penale in funzione dell'accertamento  della  verita',  in
 presenza  di  situazioni  tali  da rendere altrimenti problematico il
 raggiungimento  di  quel  risultato  -   che   e'   stato   affermato
 ripetutamente  dalla  Corte  costituzionale  (sentenze  n. 255/1992 e
 111/1993).
   Tale principio non puo' non essere  in  questa  sede  ulteriormente
 invocato,  atteso  che il complessivo assetto dell'ordinamento non ha
 subito modifiche diverse da quelle introdotte dalla legge n.  267/97,
 una delle cui norme e' specificamente oggetto di censura.
   Del   resto,  riguardando  la  questione  sotto  il  profilo  della
 provenienza  dell'elemento   probatorio,   si   rileva   come   altre
 dichiarazioni,   aventi   la   medesima   provenienza   siano   state
 assoggettate ad  un  regime  diverso  (dichiarazioni  testimoniali  o
 dichiarazioni divenute irripetibili).
   Volendo  invece  porre  l'accento sulla necessita' di assicurare il
 contraddittorio, deve da un  lato  sottolinearsi  che  l'acquisizione
 delle  dichiarazioni ai sensi dell'art. 238 c.p.p., non precluderebbe
 comunque  la  facolta'  della  parte  interessata  di   chiedere   al
 dibattimento  la diretta escussione del dichiarante, e dall'altro che
 l'eventuale pregiudizio  al  pieno  dispiegarsi  del  contraddittorio
 potrebbe  se  mai  discendere  non  dal  meccanismo  di  acquisizione
 processuale (identico per le dichiarazioni testimoniali), bensi'  dal
 successivo,  concreto  esercizio - da parte del preteso dichiarante -
 della facolta', allo stato riconosciutagli, di non rispondere.
   Senonche', anche in tale prospettiva, non  puo'  farsi  a  meno  di
 rilevare come detta facolta' dia luogo ad un'oggettiva impossibilita'
 di  ripetizione,  di  consistenza  del  tutto  simile  a  quella  che
 legittima, ad esempio ai sensi degli artt. 512 e  238,  terzo  comma,
 c.p.p.,  l'acquisizione,  in  deroga  al  canone  dell'oralita' e del
 contraddittorio,  di  dichiarazioni  rese   in   sede   diversa   dal
 dibattimento  in  corso  (tale  principio  e'  stato  del  resto gia'
 affermato  dalla  Corte  costituzionale  a   proposito   dell'analoga
 facolta' riconosciuta ai prossimi congiunti: sentenza n. 179/1994).
   Va   ancora   aggiunto   nella   prospettiva   della  garanzia  del
 cotttraddittorio che, a rigore, la distinzione tra atti  irripetibili
 e  non  irripetibili,  sarebbe da considerare irrilevante, nell'uno e
 nell'altro caso determinandosi un vulnus a quello  specifico  profilo
 delle  garanzie  difensive  (si  badi invero che la Corte europea dei
 diritti dell'uomo non ha mai dato rilievo agli effetti  dell'art.  6,
 terzo  comma  lett. d) CEDU al mero fatto dell'irripetibilita', tanto
 da essere scesa nel merito  della  valutazione  del  giusto  processo
 anche   con   riguardo   a   dichiarazioni  rese  da  coimputato  poi
 suicidatosi: cfr. sentenza 7  agosto  1996  in  causa  Ferrantelli  e
 Santangelo), con la conseguenza che l'introdotta diversita' di regime
 risulta in radice ingiustificata.
   Se  si  aggiunge  che  sono  previsti  casi  di  acquisibilita'  di
 dichiarazioni  pregresse  rese  in  altra   sede,   che   prescindono
 addirittura  da  un'oggettiva  impossibilita'  (art. 512-bis c.p.p.),
 sembra potersi in definitiva concludere che l'ordinarnento persegue e
 deve perseguire nel suo complesso  il  fine  dell'accertamento  della
 verita'  e  che  i  canoni  dell'oralita'  e del contraddittorio, pur
 costituendo   fondamentali   linee-guida,   non   possono    tuttavia
 rappresentare  postulati  irrinunciabili, fino al punto da comportare
 l'inutilizzabilita' di elementi probatori  ormai  sussistenti  e  per
 giunta legittimamente acquisiti.
   B-2)  Deve  aggiungersi  che la previsione dell'inutilizzabilita' a
 priori, salvo consenso dell'imputato,  finirebbe  incongruamente  per
 far  dipendere  l'utilizzazione  non  dal meccanismo di acquisizione,
 bensi'  dal  contenuto  delle  dichiarazioni,  essendo  evidente  che
 l'imputato  sarebbe  disposto  ad  accettare  solo  l'acquisizione di
 dichiarazioni che gli arrechino un vantaggio processuale o comunque a
 selezionare il materiale da sottoporsi alla valutazione  del  giudice
 secondo  personali  criteri  di  opportunita',  come  sembra  potersi
 ritenere avvenuto nel caso di specie, in cui  il  consenso  e'  stato
 circoscritto ad alcune soltanto delle dichiarazioni acquisite.
   Ma   per   tale  via  il  trattamento  riservato  al  p.m.  risulta
 ingiustificatamente deteriore, tanto che ai fini dell'inutizzabilita'
 non e' neppure chiesto  che  la  parte  a  cio'  interessata  si  sia
 vanamente  attivata  per  ottenere  l'escussione  dibattimentale  del
 dichiarante.
   B-3) Il regime probatorio delineato  dall'art.  238,  comma  2-bis,
 c.p.p. presenta peraltro un ulteriore profilo di irrazionalita'.
   La  ragione  di  un'utizzzabilita'  limitata  agli  imputati, i cui
 difensori abbiano  partecipato  all'assunzione  della  prova,  e'  da
 ricercare invero nella constatazione di un contraddittorio imperfetto
 e  nell'avvertita  necessita'  di  far gravare sull'organo inquirente
 l'onere  di  attivarsi  in  modo  da   assicurare   all'imputato   la
 possibilita' di contraddire.
   Senonche',   secondo   quanto  piu'  volte  affermato  dalla  Corte
 costituzionale, non puo' porsi un problema di  contraddittorio  e  di
 diritto  di  difesa,  fintanto  che  una  notizia  di  reato  non  si
 soggettivizzi nei confronti di una determinata persona,  cioe'  prima
 che  a  carico  di taluno non siano rilevabili indizi di colpevolezza
 (cfr. da ultimo Corte cost.  n. 181 e 198 del 1994).
   Ora, se per un verso deve darsi  per  scontato  che  l'utizzzazione
 dibattimentale  delle  pregresse  dichiarazioni  postuli  una precisa
 imziativa processuale nei confronti di taluno, per l'altro  cio'  non
 significa  che  gia'  sussistessero  indizi  di  reita'  a  carico di
 quest'ultimo nel momento in cui quelle dichiarazioni furono rese.
   Inoltre, posto che l'art. 238, primo comma, c.p.p.  fa  riferimento
 sia  all'incidente probatorio sia al dibattimento, deve rilevarsi che
 nel primo caso sarebbe  sempre  possibile  estendere  l'incombente  a
 soggetti  indagati per reati connessi o collegati, mentre nel caso di
 dichiarazioni dibattimentali cio' sarebbe comunque precluso.
   Ed allora, combinando le due diverse indicazioni, sembra  possibile
 concludere  che  la  successiva  parziale  inutilizzabilita' dovrebbe
 considerarsi del tutto rispondente all'esigenza di  salvaguardare  il
 diritto  di  difesa  solo  rispetto  a dichiarazioni rese in separato
 incidente  probatorio,  indirettamente  coinvolgenti  un  soggetto  a
 carico  del  quale gia' sussistevano indizi di colpevolezza (cfr. del
 resto Corte cost.  n.  198/1994  cit.),  mentre  non  potrebbe  dirsi
 altrettanto   rispetto   a   dichiarazioni  rese  al  dibattimento  o
 nell'ambito di un incidente probatorio svoltosi in una fase in cui  a
 carico   di  un  determinato  soggetto  non  sussistevano  indizi  di
 colpevolezza.
   In senso contrario non potrebbe  addursi  che  l'organo  inquirente
 ovvero  il giudice del dibattimento avrebbero comunque la facolta' di
 sentire il dichiarante in contraddittorio con l'imputato: il problema
 continuerebbe   infatti   a   riguardare   l'utilizzabilita'    delle
 dichiarazioni  pregresse,  di per se' rese secundum legem, tanto piu'
 nel caso in cui non fosse  nuovamente  praticabile  per  qualsivoglia
 ragione   la   via  dell'incidente  probatorio  ovvero  nel  caso  di
 irripetibilita',  derivante  dal  concreto  esercizio  da  parte  del
 dichiarante della facolta' di non rispondere.
   Ne'   potrebbe   invocarsi,   rispetto  all'ipotesi  dell'incidente
 probatorio, un'eventuale ricaduta sull'interpretazione dell'art.  238
 c.p.p.  del nuovo disposto dell'art. 403 c.p.p., che, restringendo le
 indicazioni  provenienti  da  Corte  cost.   n.   181/1994,   prevede
 l'utilizzabilita'  delle prove assunte con incidente probatorio anche
 nei confronti di soggetti, i cui difensori non  abbiano  partecipato,
 solo   alla  condizione  che  a  carico  di  costoro  gli  indizi  di
 colpevolezza siano sorti dopo che la prova era divenuta irripetibile.
   In realta' agli effetti dell'art. 238 c.p.p. in  un  caso  siffatto
 l'utilizzabilita'  sarebbe comunque assicurata dal comma 3, cioe' dal
 mero  fatto   dell'irripetibilita',   a   prescindere   dal   momento
 dell'insorgenza  degli  indizi  di  colpevolezza,  il che fa apparire
 tanto   piu'   incomprensibile   la   previsione   di    un    limite
 all'utilizzabilita'  delle  pregresse  dichiarazioni,  che  prescinda
 dall'effettivo rispetto del contraddittorio, commisurato  al  momento
 in  cui  le dichiarazioni furono rese, e che prescinda altresi' dalla
 sopravvenienza di quella forma di irripetibilita' che costituita  dal
 rifiuto  di rispondere del dichiarante, intervenuto in qualunque sede
 (anche nel corso di un successivo incidente probatorio).
   B-4) Sul piano dell'incongruita' del regime  introdotto  dal  comma
 2-bis  dell'art.  238  c.p.p.    va  ancora  rilevato  che la cennata
 disciplina postula lo  sfruttamento  del  dichiarante  ben  oltre  al
 limite  in  cui  sarebbe  ragionevole  pretendere da lui precisione e
 coerenza.
   Non sembra infatti contestabile  il  rischio  che  il  dichiarante,
 chiamato  reiteratamente  a  soffermarsi  sugli  stessi  temi,  possa
 involontariamente  fornire  versioni  non   ugualmente   nitide,   in
 considerazione  dello  sforzo  di  memoria  richiestogli,  di per se'
 comportante la possibilita' di sovrapposizioni  e  rimescolamenti  di
 informazioni.
   Del  resto  una siffatta evenienza fu presa in considerazione dallo
 stesso legislatore allorche' fu stabilito nel  1992  che  almeno  per
 certi  reati  l'escussione di coloro le cui dichiarazioni erano state
 gia' assunte in sede di  incidente  probatorio  ovvero  acquisite  ai
 sensi  dell'art.  238  c.p.p.  fosse  ammessa  solo  se assolutamente
 necessaria (art. 190-bis c.p.p.).
   Sostanzialmente contravvenendo a tale canone di  ragionevolezza  il
 legislatore  muta  ora  indirizzo,  finendo  per  imporre  una  serie
 indeterminata di ripetizioni (si pensi ai  processi  di  criminalita'
 organizzata),  non solo a scapito dell'economia processuale, ma anche
 a scapito della chiarezza e della verita', il tutto senza contare che
 resta per contro utilizzabile a fini di prova,  salvo  riscontri,  la
 sentenza  irrevocabile  pronunciata  a  carico di terzi (art. 238-bis
 c.p.p.).
   B-5) Uno  specifico  profilo  di  disparita'  di  trattamento  puo'
 cogliersi  all'interno  della nuova disciplina con riguardo al regime
 di utilizzabilita' di dichiarazioni rese in separata sede da soggetti
 che, non essendo gravati  da  indizi  di  colpevolezza,  siano  stati
 sentiti  come  testi e che solo in secondo momento abbiano assunto la
 qualita' di imputati in procedimento connesso o collegato.
   Posto che il regime di utilizzabilita' deve essere  correlato  alla
 qualita' attuale del dichiarante, resta il fatto che il p.m. potrebbe
 legittimamente    confidare    sull'utilizzabilita'    piena    delle
 dichiarazioni pregresse, di per se' non ancora soggette al regime  di
 cui   al   comma   2-bis   con   rischio   di  trovarsi  poi  esposto
 all'inutilizzabilita', una volta assunta dal dichiarante (e magari  a
 sua insaputa, in altro procedimento) la nuova veste processuale.
   Particolarmente  in questi casi, per lo meno quando il p.m. non sia
 in  grado  di  promuovere  tempestivarnente  l'incidente  probatorio,
 l'assoggettamento   delle   dichiarazioni   al  nuovo  regime  appare
 incongruo, in  quanto  tale  da  riservare  al  p.m.  un  trattamento
 deteriore  e  da  far  dipendere  l'esito del giudizio da fattori del
 tutto casuali.
   B-6) Irragionevole s'appalesa  poi  la  disparita'  di  trattamento
 risultante  dal  regime  di  utilizzazione  di  dichiarazioni rese in
 separato dibattimento  o  in  separato  incidente  probatorio  da  un
 soggetto  che  sia  anche  imputato  nell'ambito  del processo in cui
 quelle dichiarazioni dovrebbero  essere  utilizzate  o  viceversa  da
 soggetto  appartenente alle categorie di cui all'art. 210 c.p.p., nei
 cui confronti si proceda o si sia proceduto separatamente.
   Cio' deriva dal fatto che il  comma  2-bis  prevede  il  regime  di
 utilizzazione   probatoria   condizionata   solo   con   riguardo   a
 dichiarazioni rese dai  soggetti  di  cui  all'art.  210  c.p.p.,  da
 individuarsi,  com'e'  ovvio,  non  con  riferimento  al procedimento
 separato, bensi' a quello nel cui ambito le dichiarazioni  dovrebbero
 essere utilizzate.
   In particolare, nonostante che possa registrarsi in entrambi i casi
 summenzionati  un'incompletezza del contraddittorio, le dichiarazioni
 rese separatamente  da  soggetto  che  e'  anche  imputato  risultano
 utilizzabili sic et simpliciter.
   Di qui la violazione del precetto costituzionale.
   B-7)  Ancora  si rileva come nei casi, in cui le dichiarazioni rese
 in separata sede siano  state  gia'  acquisite  ai  sensi  del  testo
 previgente  -  evenienza  verificatasi  nel  presente  giudizio  - di
 previsione   dell'inutilizzabilita',   immediatamente    applicabile,
 determini  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento rispetto al
 regime contemplato in via  transitoria  dall'art.  6,  quinto  comma,
 legge  n. 267/1997, nel quale da un lato si prevede la facolta' delle
 parti di chiedere l'esame di colui che abbia  reso  dichiarazioni  in
 altra fase processuale e che si sia poi avvalso al dibattimento della
 facolta'  di  non  rispondere - cosi' consentendo la lettura ai sensi
 del previgente art. 513 c.p.p. -,  e  dall'altro  si  stabilisce  che
 nell'ipotesi  di  nuovo esercizio della facolta' di non rispondere le
 dichiarazioni gia' acquisite non siano  radicalmente  inutilizzabili,
 ma   siano  soggette  ad  una  forma  di  utilizzabilita'  attenuata,
 correlata alla sussistenza di elementi di conferma diversi  da  altre
 dichiarazioni non confermate al dibattimento.
   In  effetti anche nelle ipotesi di dichiarazioni acquisite ai sensi
 del  previgente  art.  513  c.p.p.  sarebbe  stata  ravvisabile   una
 limitazione  del  principio del contraddittorio, di talche' il regime
 dettato dalla norma transitoria dovrebbe  trovare  ora  applicazione,
 per  identita'  di  ratio, anche nei casi riconducibili all'art. 238,
 comma  2-bis,   cosi'   da   rendere   le   dichiarazioni   pregresse
 assoggettabili  tutt'al  piu' al regime di utilizzabilita' attenuata,
 per giunta alla  condizione  della  mancata  conferma  a  seguito  di
 rinnovazione.
   Ma  portando  tale  ragionamento  alle  ulteriori conseguenze, deve
 osservarsi come, a fronte della previsione da parte dell'art. 6 legge
 n. 267/1997 di un regime transitorio del  tipo  indicato,  s'appalesi
 ingiustificata,  anche  nei  procedimenti non ancora giunti alla fase
 dibattimentale  o  nei  quali   non   si   sia   comunque   proceduto
 all'acquisizione  di  dichiarazioni  ex  art. 238 c.p.p., la sanzione
 della radicale inutilzzabilita' rispetto a determinati  imputati,  in
 luogo  di un'utilizabilita' attenuata, modellata negli esatti termini
 di cui al citato art. 6.
   C)  Il  Collegio  rileva  infine il contrasto tra l'art. 238, comma
 2-bis, c.p.p. e gli artt. 101 secondo comma, e 111 della Costituzione
 letti in combinazione tra loro.
   Sembra  infatti  che  una  formulazione,  quale  quella  censurata,
 disattenda  il  duplice  canone della sottoposizione del giudice alla
 sola legge e del libero  motivato  apprezzamento,  facendo  dipendere
 l'esercizio  della  giurisdizione  non dal convincimento del giudice,
 formulato sulla base del materiale  probatorio  raccolto,  bensi'  da
 elementi  spuri,  quali  il consenso immotivato dell'imputato o degli
 imputati interessati, cioe' di coloro il cui contegno  forma  oggetto
 dell'accertamento  penale,  come  nel  caso  di specie deve ritenersi
 avvenuto in conseguenza della selezione, operata  dall'imputato,  dei
 verbali di cui consentire l'utilizzazione.
                               P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non
 manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
 per violazione degli arrt. 112, 3,  101  e  111  della  Costituzione,
 dell'art.  238,  comma  2-bis,  introdotto  dall'art. 3 della legge 7
 agosto 1997 n. 267, nella parte in cui limita l'utilizzabilita' delle
 dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 210  c.p.p.  agli
 imputati  i  cui  difensori  abbiano partecipato alla loro assunzione
 ovvero, in  subordine,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  nei
 procedimenti   nei  quali  i  verbali  siano  stati  acquisiti  prima
 dell'entrata in vigore della legge di modifica,  sia  applicabile  il
 regime transitorio di cui all'art. 6 legge n. 267 citata e comunque -
 in generale - nella parte in cui non prevede almeno l'utilizzabilita'
 attenuata di cui all'art. 6, quinto comma, legge n. 267 citata;
   Sospende il presente giudizio;
   Dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
     Perugia, addi' 24 settembre 1997
                       Il presidente: Nannarone
 97C1254