N. 619 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 1997
N. 619 Ordinanza emessa il 14 maggio 1997 dal tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto da Zucca Giuseppe contro l'Azienda regionale U.S.L. n. 8 ed altro Sanita' pubblica - Regione Piemonte - Veterinari dipendenti dal servizio sanitario pubblico - Esercizio di attivita' libero-professionale - Divieto di titolarita' di strutture ambulatoriali private nonche' di svolgimento di attivita' professionali riguardo agli "animali da reddito" - Irragionevolezza - Incidenza sul diritto al lavoro e sul principio della tutela del lavoro - Eccedenza dai limiti della competenza regionale. (Legge regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, art. 2). (Cost., artt. 3, 4, 35, 117 e 120).(GU n.40 del 1-10-1997 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 888 del 1997 proposto da Zucca Giuseppe, rappresentato e difeso dall'avv. Sebastiano Zuccarello e presso il medesimo elettivamente domiciliato in Torino, via Cernaia n. 31; contro l'Azienda regionale U.S.L. n. 8, in persona del direttore generale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Mario Vecchione e presso il medesimo elettivamente domiciliata in Torino, corso Vinzaglio n. 4; e nei confronti della regione Piemonte, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Silvia Di Palo ed elettivamente domiciliata in Torino, piazza Castello n. 165; per l'annullamento, previa sospensione, dell'atto prot. n. 1183/DP/Vt del 7 aprile 1997, con il quale il Servizio veterinario dell'Azienda regionale U.S.L. 8 di Chieri ha intimato al ricorrente di chiudere la struttura ambulatoriale di cui lo stesso e' titolare; di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quello impugnato con il presente ricorso; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della regione Piemonte e dell'Azienda regionale U.S.L. 8; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore il dott. Italo Caso; Uditi alla camera di consiglio del 14 maggio 1997 l'avv. Zuccarello per il ricorrente, l'avv. Di Palo per la regione Piemonte e l'avv. Prato, in sostituzione dell'avv. Vecchione, per l'Azienda regionale U.S.L. 8; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con atto prot. n. 66/DP in data 4 aprile 1997 l'Azienda regionale U.S.L. n. 8 di Chieri richiedeva ai medici veterinari dipendenti di segnalare i "programmi e tempi di massima del proprio impegno professionale (art. 1, comma 2, legge regionale n. 4/1997) nonche' l'opzione di massima circa l'ambito (intra o extra murario) entro cui si intende operare, con riferimento anche alle tipologie professionali individuate nella legge regionale n. 4/1997 (animali d'affezione, da reddito, cavallo sportivo)". L'acquisizione di queste informazioni era diretta, tra l'altro, all'accertamento di eventuali situazioni di incompatibilita', a proposito delle quali si precisava essere necessario adeguarsi alle disposizioni della legge regionale n. 4/1997 entro il 31 maggio 1997. Indi con atto prot. n. 1183/DP/Vt in data 7 aprile 1997 il Servizio veterinaio della medesima azienda, rilevato che il ricorrente risultava ancora titolare di struttura ambulatoriale ubicata nel comune di Castelnuovo Don Bosco, lo invitava a regolarizzare la propria posizione, entro il successivo 18 aprile, in conformita' al disposto dell'art. 2 della legge regionale n. 4/1997, che vieta l'attivita' professionale nell'ambito territoriale dell'azienda sanitaria di appartenenza e preclude al veterinario la titolarita' di studio privato. Avverso tale provvedimento ha proposto impugnativa l'interessato, deducendo: I) Questione di legittimita' costituzionale. Il ricorrente solleva questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4 per i seguenti motivi: 1. - Contrasto della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 1, della legge regionale n. 4/1997 con l'art. 120, comma terzo, della Costituzione. La normativa regionale, nel disciplinare l'attivita' libero-professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, ha posto il divieto di svolgimento di tale attivita' nell'ambito territoriale dell'azienda sanitaria di appartenenza. Tuttavia, trattandosi di limitazione che non appare immediatamente riconducibile all'esigenza di evitare la riunione nella medesima persona delle figure del "controllore" e del "controllato", e quindi all'obiettivo di scongiurare situazioni di conflitto derivanti dall'esercizio delle funzioni pubbliche affidate ai veterinari, il criterio territoriale appare ingiustificato, tenuto conto dell'avviso espresso in proposito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. I, 20 ottobre 1993, n. 985), circa la necessita' che il sistema delle compatibilita' si fondi sulla individuazioine in concreto delle situazioni pregiudizievoli per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, a prescindere da un generico riferimento all'ambito territoriale. Pertanto il divieto imposto dalla legge regionale risulta arbitrario e si pone in netto contrasto con il precetto di cui all'art. 120, comma terzo, della Costituzione, a norma del quale la regione non puo' porre limiti di carattere territoriale al diritto dei cittadini di esercitare la loro attivita' professionale o di impiego. 2. - Contrasto degli artt. 1 (comma 2 e 3), 2, 3 e 4 della legge regionale n. 4/1997 con gli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione. Il sistema di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla legge regionale n. 4/1997 esclude in concreto l'effettiva possibilita' di esercizio della libera professione da parte dei medici veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, cosi' violando le norme di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro nelle sue varie modalita' concrete di esplicazione. Ne' i limiti introdotti appaiono giustificati dall'esigenza di evitare pregiudizi all'interesse pubblico. Si consideri, infatti, che il divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata e di esservi legato da rapporto di lavoro subordinato, relativamente all'attivita' sugli animali d'affezione (v. art. 2), si traduce in un divieto assoluto di svolgimento di tale attivita', attesa la necessita' che la stessa si svolga presso un ambulatorio; senza che, poi, emergano ragioni idonee a giustificare tale preclusione, posto che i servizi assicurati dai veterinari delle aziende sanitarie sono diretti alla cura e alla profilassi delle malattie relative agli "animali da reddito", sicche' alcun pregiudizio puo' ipotizzarsi per il servizio sanitario nazionale dallo svolgimento di un'attivita' professionale che riguardi gli "animali d'affezione". Peraltro anche gli artt. 3 e 4 della normativa regionale, disciplinano la libera professione per gli "animali da reddito" e per il "cavallo sportivo", hanno l'effetto di sacrificare ingiustificatamente il diritto costituzionale all'esercizio dell'attivita' libero-professionale, ove si consideri che la stessa e' consentita solo se si verifica una "permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti" (art. 3, comma 1), e quindi e' subordinata a circostanze che non attengono all'esigenza di evitare gravi pregiudizi al servizio sanitario pubblico, quanto piuttosto a situazioni che appaiono finalizzate soprattutto alla tutela degli interessi dei veterinari libero-professionisti. 3. - Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regionale n. 4/1997 con l'art. 4 della legge n. 412/1991, con l'art. 47, n. 4, della legge n. 833/1978 e con l'art. 36 del d.P.R. n. 761/1979. Violazione dell'art. 117, comma primo, della Costituzione. La normativa regionale e' in contrasto con le disposizioni statali in materia, ed in particolare con l'art. 4 della legge n. 412/1991, con l'art. 47, n, 4, della legge n. 833/1978 e con l'art. 36 del d.P.R. n. 761/1979. Detta disciplina affida al legislatore regionale l'adozione di norme attuative, presupponendo che non venga escluso in concreto l'esercizio dell'attivita' libero-professionale, ma regolamentata la stessa in funzione della salvaguardia degli interessi pubblici. Ne consegue che, avendo la legge regionale piemontese introdotto limitazioni tali da precluderne in concrerto lo svolgimento, non sono stati rispettati i limiti fissati dai principi fondamentali ricavabili dalle leggi statali, e quindi si ravvisa l'ulteriore contrasto con l'art. 117, comma primo, della Costituzione. 4. - Contrasto degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge regionale n. 4/1997 con l'art. 3, comma primo e secondo, della Costituzione. Disparita' di trattamento. La normativa regionale viola anche l'art. 3 della Costituzione. Infatti, l'introduzione di limitazioni sostanziali all'esercizio dell'attivita' professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale nell'ambito della regione Piemonte ha determinato una evidente disparita' di trattamento tra medici pubblici e medici veterinari pubblici, nonche' tra veterinari pubblici e veterinari liberi professionisti, e ancora fra veterinari in servizio presso le aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre regioni. La violazione del principio di uguaglianza emerge dalla considerazione dell'inutilita' ed arbitrarieta' dei divieti contenuti nella legge regionale, i quali non sono idonei a salvaguardare l'interesse pubblico, favorendo esclusivamente i veterinari liberi professionisti, rispetto ai quali i colleghi del servizio sanitario nazionale, in modi del tutto immotivato, si trovano in posizione deteriore. II) Merito. 1. - Violazione di legge. Eccesso di potere; illegittimita' derivata. Gli indicati profili di illegittimita' costituzionale viziano in via derivata l'atto impugnato. La violazione delle norme e dei principi costituzionali comporta altresi' l'invalidita' del provvedimento per eccesso di potere, sotto il profilo dell'ingiustizia manifesta e della disparita' di trattamento. Inoltre l'applicazione di una legge che favorisce in modo del tutto ingiustificato i veterinari liberi professionisti potrebbe altresi' determinare il vizio di eccesso di potere per sviamento della causa. 2. - Eccesso di potere; illogicita' e contraddittorieta' del comportamento dell'Amministrazione; violazione della prassi amministrativa. L'atto impugnato e' altresi' viziato da eccesso di potere sotto ulteriori profili. Infatti l'intimazione di chiusura dell'ambulatorio risulta adottata prima ancora che si fosse completata la fase istruttoria avviata dalla stessa Amministrazione con la richiesta di informazioni circa la posizione del personale veterinario, sicche' il provvedimento e' stato assunto in violazione della procedura individuata dall'Azienda, pregiudicando il buon andamento e l'imparzialita' dell'azione amministrativa. Inoltre il termine fissato per la chiusura dell'ambulatorio (18 aprile 1997) risulta illogicamente e contraddittoriamente anticipato rispetto sia al termine per l'invio delle informazioni sollecitate a tutto il personale veterinario (30 aprile 1997) sia al termine per uniformarsi alla normativa di cui alla legge regionale n. 4/1997 (31 maggio 1997). 3. - Violazione di legge; violazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990; violazione del principio di partecipazione collaborativa dell'amministrato al procedimento. L'aver intimato al ricorrente di chiudere immediatamente l'ambulatorio privato, senza attendere il completamento della fase istruttoria (ovvero l'acquisizione dei dati relativi alla posizione dei vari medici veterinari dipendenti dall'azienda), ha determinato altresi' l'impossibilita' per l'interessato di partecipare al procedimento, in violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990. Considerato che la richiesta di informazioni agli interessati si poneva come comunicazione dell'avvio del procedimento, si doveva poi consentire a tutti, e quindi anche al ricorrente, di far valere le proprie ragioni nel corso dell'iter procedurale, astenendosi dall'adottare prematuri atti lesivi. Il ricorrente conclude dunque per l'annullamento dell'atto impugnato, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale, che invoca venga disposta gia' nella camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare. Si e' costituita in giudizio la regione Piemonte, resistendo al gravame. Con memoria del 13 maggio 1997 si e' evidenziata l'infondatezza della dedotta questione di legittimita' costituzionale della normativa regionale. Il legislatore regionale si sarebbe limitato a stabilire le modalita' di esercizio della libera professione da parte dei veterinai pubblici, in conformita' ai principi stabiliti dalla normativa statale, e soprattutto in ossequio all'esigenza di evitare conflitti di interessi legati alle molteplici funzioni affidate al personale veterinario del servizio sanitario nazionale, nell'ambito di un'attivita' rivolta a tutelare - attraverso le profilassi pianificate e il controllo degli alimenti di origine animanale - la salute umana e l'economia dell'intero comparto agro-zootecnico. Si e' costituita in giudizio anche l'Azienda regionale U.S.L. 8, opponendosi all'accoglimento del ricorso in quanto infondato. Alla camera di consiglio del 14 maggio 1997, ascoltati i rappresentanti delle parti costituite, il Collegio si e' riservata la decisioine sull'istanza cautelare del ricorrente. D i r i t t o In servizio presso l'Azienda regionale U.S.L. n. 8 in qualita' di medico veterinario, il ricorrente impugna la nota con cui l'Amministrazione, rilevatane la titolarita' di un ambulatorio privato nell'ambito del territorio di competenza della medesima azienda, lo ha invitato a far venir meno tale situazione entro il 18 aprile 1997. Assume l'illegittimita' costituzionale della legge regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione della quale e' stato adottato il provvedimento, giacche' la sopraggiunta disciplina regionale avrebbe introdotto tali e tante limitazioni all'attivita' professionale dei veterinari titolari di rapporto di pubblico impiego da precluderne in concreto l'esercizio, in violazione degli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione. Nell'attuale regime giuridico ogni preclusione alla libera professione del personale veterinario dipendente pubblico dovrebbe trovare giustificazione in concrete esigenze di tutela dell'interesse alla massima funzionalita' operativa del servizio sanitario nazionale, sicche' ogni ulteriore limite determinerebbe una indebita compressione del diritto al lavoro e del diritto all'uguaglianza di trattamento rispetto al restante personale medico e al personale veterinario di altre regioni, nonche' ancora una non consentita riduzione dell'ambito territoriale in cui svolgere l'attivita' professionale (atteso il divieto in tal senso posto al legislatore regionale) e, comunque, l'esorbitanza della disciplina regionale dai limiti fissati dalla normativa di principio. In ogni caso il provvedimento impugnato sarebbe stato assunto prima del completamento della fase istruttoria e senza alcun raccordo con i termini fissati in via generale per uniformarsi alla nuova disciplina; ne' sarebbe stata consentita all'interessato la partecipazione al procedimento, ai sensi dell'art. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990. Contesta la regione Piemonte la fondatezza dell'assunto del ricorrente, poiche' le introdotte limitazioni allo svolgimento della libera professione da parte del personale veterinario troverebbero tutte fondamento nella necessita' di scongiurare l'insorgenza di conflitti di interessi legati al contestuale esercizio di funzioni istituzionali e di attivita' professionale. Occorre innanzi tutto definire il quadro normativo in cui si inserisce la questione dedotta. Nell'ambito della disciplina di riforma sanitaria l'art. 7 della legge n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per l'emanazione di norme idonee a "garantire con criteri uniformi il diritto all'esercizio della libera attivita' professionale per i medici e veterinari dipendenti delle unita' sanitarie locali ... Con legge regionale sono stabiliti le modalita' e i limiti per l'esercizio di tale attivita'" (comma 3, n. 4). Successivamente, in attuazione della delega conferita, si stabiliva che il "personale veterinario ha la facolta' di esercitare l'attivita' libero-professionale, fuori dei servizi e delle strutture dell'unita' sanitaria locale, purche' tale attivita' non sia prestata con rapporto di lavoro subordinato, non sia in contrasto con gli interessi ed i fini istituzionali dell'unita' sanitaria locale stessa, ne' incompatibile con gli orari di lavoro, secondo modalita' e limiti previsti dalla legge regionale" (art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 761 del 1979). Indi l'art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, sanbito il principio per cui "con il servizio sanitario nazionale puo' intercorrere un unico rapporto di lavoro", ha disposto che "l'esercizio dell'attivita' libero-professionale dei medici dipendenti del servizio sanitario nazionale e' compatibile col rapporto unico d'impiego, purche' espletato fuori dell'orario di lavoro all'interno delle strutture sanitarie o all'esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale". Da ultimo la regione Piemonte ha inteso provvedere alla "regolamentazione dell'esercizio dell'attivita' libero-professionale dei medici veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale" (legge regionale 3 gennaio 1997, n. 4), ribadendone in via di principio il diritto di esplicare tale attivita' "al di fuori delle strutture pubbliche, al di fuori dell'orario di servizio, al di fuori del plus orario, al di fuori del lavoro straordinario" (art. 1, comma 1), ma subordinatamente all'adempimento dell'obbligo di "segnalare al direttore generale dell'azienda sanitaria regionale (ASR) di appartenenza programmi e tempi di massima del proprio impegno perche' l'ente possa accertare e valutare l'assenza di condizioni di incompatibilita'" (art. 1, comma 2); incompatibilita' che, relativamente agli "animali d'affezione", riguardano l'attivita' professionale esercitata nel territorio di pertinenza della "ASR presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di pubblico dipendente" (art. 2, comma 1), con contestuale divieto di essere "titolare di struttura ambulatoriale privata" (art. 2, comma 2), e che, relativamente agli "animali di reddito", comportano il generale divieto di svolgimento dell'attivita' professionale, salvo che non "si verifichi una permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti" (art. 3, comma 1), e comunque nel rispetto di determinati programmi operativi e subordinatamente ad una verifica di competenza del servizio veterinario regionale (art. 3, comma 2 e 3). La normativa statale richiamata di iscrivere in quell'indirizzo costantemente favorevole all'esercizio di attivita' professionali al di fuori dell'ordinario rapporto di lavoro, che - in deroga alla disciplina generale del rapporto di pubblico impiego, caratterizzata dal principio di esclusivita' - e' stato da sempre l'elemento peculiare dello status del medico dipendente dal servizio sanitario pubblico. Alla base vi e' la convinzione dell'influenza positiva che al pubblico dipendente puo' derivare dalla pratica professionale, posto che l'espletamento di attivita' esterne ed aggiuntive valgono a potenziarne le capacita' operative, si' da giustificare il regime differenziato riservato dal legislatore a talune categorie di personale abilitato a svolgere anche la libera professione (v. Corte cost. 23 dicembre 1986, n. 284, relativamente al personale docente della scuola); per il personale medico, in particolare, trattandosi di valorizzarne la professionalita', si persegue al contempo un interesse della stessa struttura sanitaria pubblica. L'esercizio dell'attivita' professionale non puo' incidere negativamente sull'osservanza del complesso dei doveri facenti capo al pubblico dipendente, ovvero non puo' trasformarsi in un fattore di pregiudizio del corretto assolvimento dei compiti d'ufficio. In tal senso assumono rilievo i limiti posti dall'esaminata normativa, ovvero il riferimento al possibile contrasto con gli interessi e i fini istituzionali dell'Amministrazione sanitaria. Cio' posto, deduce il ricorrente che l'intervenuta disciplina regionale si caratterizza per una indebita restrizione delle possibilita' di esercizio dell'attivita' libero-professionale da parte dei veterinari addetti al servizio sanitario nazionale, in contrasto con varie norme costituzionali. La questione e' rilevante e non manifestamente infondata, nei limiti che si indicheranno. La rilevanza ai fini del presente giudizio consegue alla circostanza che il provvedimento impugnato e' stato adottato in diretta applicazione della normativa regionale sospettata di incostituzionalita', sicche' l'eventuale espunzione dall'ordinamento della predetta normativa comporterebbe l'accoglimento del ricorso e la caducazione dell'atto lesivo. Tuttavia, poiche' il provvedimento concerne in particolare il divieto di svolgere attivita' professionale nell'ambito del territorio dell'azienda sanitaria di appartenenza, con connessa impossibilita' di essere titolare di struttura ambulatoriale privata (di qui l'intimazioine a rimuovere tale causa di incompatibilita'), la controversia appare circoscritta all'ipotesi di cui all'art. 2 della legge regionale n. 4/1997, ovveri ai vincoli inerenti l'attivita' professionale per gli "animali d'affezione". Pertanto la rilevanza della questione di costituzionalita' va limitata a tale disposizione della normativa regionale, l'unica che incide sull'esito del presente giudizio. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione dedotta, rileva il Collegio, in linea con l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (v. Sez. I, 20 ottobre 1993, n. 985/1993), che la regolamentazione dell'attivita' libero-professionale dei veterinari dipendenti del servizio sanitario nazionale implica l'individuazione di "specifiche situazioni idonee a determinare un grave e comprovato pregiudizio al servizio sanitario pubblico, vietando ai medici veterinari quei comportamenti idonei a realizzarli". Non operando nel settore il principio generale secondo cui e' interdetta qualsiasi attivita' professionale estranea al rapporto di lavoro (giacche' suscettibile di dar luogo ad interessi conflittuali con quelli inerenti la posizione di pubblico dipendente), ogni deroga alla regola che consenta la libera professione medica deve trovare fondamento in ragioni direttamente connesse alla primaria esigenza di garantire un efficiente servizio assistenziale pubblico, ovvero deve tendere ad evitare che sia negativamente condizionato l'assolvimento dei doveri d'ufficio, senza tuttavia porre limiti ulteriori, e soprattutto senza tradursi in un sostanziale annullamento delle effettive possibilita' di esercizio di tali attivita' aggiuntive, attraverso l'adozione di misure che in concreto vanifichino il diritto astrattamente riconosciuto. In quanto voluto espressamente dall'ordinamento come uno dei contenuti del rapporto di impiego del personale medico, il diritto all'esercizio della libera professione e' riconducibile al diritto al lavoro costituzionalmente protetto (artt. 4 e 35 Cost.), sicche' ogni limitazione a tale facolta' si giustifica solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti (v. Corte cost. 2 giugno 1977, n. 103 e 23 dicembre 1993, n. 457). Ne consegue che l'impossibilita' di svolgere attivita' professionale per gli "animali d'affezione" nel territorio dell'azienda sanitaria di pertinenza, con contestuale divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata (art. 2 della legge regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4), determina un grave affievolimento delle facolta' professionali del veterinario senza raccordarsi funzionalmente a specifiche esigenze della struttura sanitaria pubblica. La titolarita' di funzioni inerenti al servizio sanitario nazionale non puo' evidentemente dar luogo ad un generalizzato divieto di esercizio di attivita' private, benche' limitato ad un determinato ambito territoriale, in quanto si viene in tal modo a contraddire il principio che ammette alla libera professione il veterinario dipendente pubblico. Va piuttosto ribadito che i vincoli devono essere dimensionati in relazione al tipo di attivita' svolte nell'ambito della struttura pubblica, e non anche in riferimento al luogo in cui opera il veterinario. Il criterio territoriale non soddisfa di per se' le esigenze che sono alla base della necessita' di disciplina dell'attivita' professionale del personale medico, giacche' ne vanifica di fatto il diritto senza razionalmente ricondursi all'obiettivo di assicurare l'ottimale funzionalita' del servizio sanitaio pubblico. Nell'attuale ordinamento prevale il criterio sostanzialistico della potenziale situazione di conflitto, e quindi occorre procedere alla individuazione in concreto delle situazioni pregiudizievoli per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, che va considerato nella sua globalita' e non nell'ambito delle singole strutture in cuiu si articolo (v. Cons. Stato, Sez. I, n. 985/1993 cit). Ne' e' decisivo il richiamo alle varie competenze in materia di controllo e vigilanza, facenti capo ai servizi veterinari delle aziende sanitarie, che indurrebbero i medici veterinari ad essere controllori di stessi, posto che - una volta ammesso l'esercizio della libera professione - non se ne puo' poi escludere in toto l'ammissibilita', ma occorre piuttosto individuare le misure utili ad evitare la sovrapposizione di ruoli nella medesima persona, tenendo conto delle mansioni effettivamente assolte e dei settori operativi cui si e' assegnati, ed in tale ottica trarne le conseguenze in ordine alle modalita' e ai limiti di esercizio dell'attivita' professionale. In conclusione, la questione appare non manifestamente infondata in relazione agli artt. 4 e 35 della Costituzione, giacche' l'art. 2 della legge regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4 risulta ingiustificatamente preclusivo delle concrete possibilita' di esercizio della libera professione da parte dei veterinari dipendenti pubblici, e quindi lesivo del diritto al lavoro costituzionalmente protetto. Per quanto concerne poi l'asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nega il Collegio che possa ipotizzarsi una disparita' di trattamento con i medici dipendenti pubblici da una parte e con i veterinari libero-professionisti dall'altra, attesa l'evidente diversita' delle situazioni poste a raffronto; quanto, invece, alla ipotizzata disparita' di trattamento con il personale veterinario di altre regioni, e' da escludersi che altre normative regionali (o anche l'assenza delle stesse) possano essere assunte a riferimento per desumerne un'eventuale violazione del principio di uguaglianza. Per contro, si deve dichiarare d'ufficio la non manifesta infondatezza della questione, in relazione all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza di una normativa regionale che prima ammette i veterinari all'esercizio dell'attivita' libero-professionale (v. art. 1, comma 1) e poi ne restringe contraddittoriamente le possibilita' di esplicazione del diritto fino a vanificarlo. L'assenza di una ratio giustificativa legata alla tutela della funzionalita' operativa del servizio sanitario pubblico induce a ritenere non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' anche in riferimento all'art. 120, comma terzo, della Costituzione, giacche' il divieto di esercizio dell'attivita' professionale per gli animali d'affezione nell'ambito del territorio dell'azienda sanitaria di appartenenza, privo come e' di fondamento in nome di rango costituzionale, viene a determinare un indebito limite di spazio allo svolgimento della libera professione. Vanno infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la Corte costituzionale della cognizione della norma regionale in riferimento all'art. 117 Cost., atteso che l'intervenuta disciplina dell'attivita' libero-professionale dei veterinari dipendenti pubblici appare discostarsi dai principi fondamentali in materia, quali si desumono dalla normativa statale esaminata, che - come si e' visto - ha inteso consentire in linea di massima l'esercizio della libera professione, salvo regolamentarne le modalita' di esplicazione in relazione all'obiettivo di impedire l'insorgenza di situazioni di pregiudizio al servizio sanitario pubblico. L'aver gravemente compromesso il diritto allo svolgimento dell'attivita' professionale, senza alcun ragionevole raccordo con le esigenze della struttura pubblica, integra quindi l'inosservanza degli indirizzi fissati dal legislatore statale, con conseguente violazione dell'art. 117 Cost. Cio' stante, si deve disporre l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la sospensione. Con separata ordinanza e' stata pronunciata la temporanea sospensione dell'atto impugnato, con rinvio dell'ulteriore corso del processo cautelare alla conclusione del giudizio di costituzionalita'.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge regione Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione; Sospende il giudizio cautelare fino alla camera di consiglio immediatamente successiva alla comunicazione dell'esito del giudizio di costituzionalita', e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al presidente della Giunta regionale del Piemonte e sia comunicata al presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Cosi' deciso in Torino, nella camera di consiglio del 14 maggio 1997. Il presidente: Bonifacio Il referendario, est.: Caso 97C1050