N. 66 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 ottobre 1990
N. 66 Ricorso per questione di legittimita' Costituzionale depositato in Cancelleria il 27 ottobre 1990 (della regione Lombardia) Sanita' pubblica - Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990 - Accollo alla regione dell'onere economico della relativa spesa, cui la regione e' dallo Stato autorizzata a provvedere mediante alienazione di beni od utilizzazione del provento di tributi - Indebita invasione della sfera di competenza regionale e lesione dell'autonomia finanziaria della regione nonche' del principio della copertura finanziaria. (D.L. 15 settembre 1990, n. 262). (Cost., artt. 119, 118, terzo comma, e 81, quarto comma).(GU n.45 del 14-11-1990 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del Presidente della giunta regionale ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 937 del 1ยบ ottobre 1990, rappresentanto e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega a margine del presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 20 settembre 1990, recante "Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990". L'art. 4 del d.-l. 25 novembre 1989, n. 382, convertito con modificazioni in legge 25 gennaio 1990, n. 8, aveva stabilito che le regioni determinassero "la maggiore spesa sanitaria corrente per gli esercizi finanziari 1987-1988" con i criteri e le modalita' gia' disposte, in relazione alla spesa sanitaria per gli esercizi 1985-1986, dal d.-l. 19 settembre 1987, n. 382, convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 456 (sulla base cioe' di atti ricognitivi deliberati dagli organi di gestione dei servizi); e potessero autorizzare le u.s.l. e gli altri enti di gestione dei servizi di iscrivere fra gli impegni degli esercizi finanziari 1987-1988 le obbligazioni effettivamente assunte e le sopravvenienze passive accertate, in eccedenza ai rispettivi stanziamenti di bilancio. La maggiore spesa cosi' determinata era finanziata dalle regioni e dalle province autonome mediante l'impiego delle somme eventualmente non utilizzate, a valere sulle quote degli esercizi finanziari 1987-1988 del Fondo sanitario nazionale di parte corrente, e mediante operazioni di finanziamento con onere di ammortamento a carico del bilancio dello Stato, nella misura del 20% con operazioni di mutuo da attivare entro il 31 dicembre 1989, e del 35% con operazioni di mutuo da attivare nell'anno 1990. Il quarto comma, ultima parte, di detto art. 4 stabiliva che "con successivo provvedimento legislativo" sarebbero stati determinati modalita' e tempi per l'ulteriore finanziamento della maggiore spesa sanitaria per i predetti esercizi 1987 e 1988. Tale provvedimento si inseriva nella cattiva prassi, purtroppo ricorrente (e gia' segnalato da questa Corte nella sentenza n. 245/1984), per cui la spesa sanitaria viene regolarmente sottostimata in via preventiva, definendo l'ammontare del Fondo sanitario nazionale in misura inferiore al fabbisogno; le u.s.l., non potendo interrompere ne' ridurre l'erogazione dei servizi, accumulano debiti piu' o meno occulti; a posteriori si chiede di accertare tale debito e il conseguente disavanzo degli esercizi pregressi, provvedendo al loro ripiano solo in ritardo, spesso in modo solo parziale e incompleto, e rinviandone l'onere a futuri esercizi mediante operazioni di ricorso al credito (pur trattandosi, si noti, di coprire spesa corrente). In tale cattiva prassi erano state coinvolte le regioni, nel senso di imporre loro la stipulazione dei mutui a ripiano dei disavanzi, pero' con onere di ammortamento assunto a carico dello Stato. Ora il d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, detta nuove norme e disposizioni per la copertura dei disavanzi degli esercizi 1987, 1988 e 1990. Nulla dispone invece - ed e' una prima singolarita', quanto meno - per la copertura del disavanzo sanitario dell'esercizio 1989, che pure si sa in concreto esistente, non essendosi modificate le condizioni di fatto ne' le prassi di finanziamento insufficiente del Fondo sanitario nazionale. In particolare, l'art. 1, primo comma, del decreto-legge dispone come segue: "La maggiore spesa sanitaria di cui all'art. 4 del d.-l. 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, non coperta con le operazioni di finanziamento ivi previste, e' finanziata mediante ulteriori operazioni di mutuo, con onere di ammortamento a carico del bilancio dello Stato, entro i limiti del 20 per cento e del 25 per cento da assumere, rispettivamente entro gli anni 1990 e 1991 da parte delle regioni e delle province autonome con le aziende ed istituti di credito ordinario e speciale, individuati ai sensi dell'art. 4, secondo comma, lett. b), del citato d.-l. 25 novembre 1989, n. 382, convertito con modificazioni dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, e secondo condizioni, durata e modalita' stabilte ai sensi della predetta disposizione". Ai sensi dell'art. 2, primo comma "i mutui indicati nell'art. 1, primo comma, da assumere entro l'anno 1990, possono essere concessi, in via di anticipazione, previa autorizzazione del Ministero del tesoro, sulla base del disavanzo presunto risulante per ciascuno degli anni 1987-1988, dalle rispettive documentazioni contabili". Il secondo comma dello stesso art. 2 detta le modalita' per la presentazione delle istenze di mutuo; il terzo comma stabilisce che i mutui assunti negli anni indicati nell'art. 1, primo comma, del decreto medesimo, nonche' negli anni indicati nell'art. 4 del d.-l. n. 382/1989 (il 1989 e il 1990) possono essere contratti negli anni successivi. A sua volta l'art. 3, primo comma - riprendendo in parte le ricordate previsioni gia' contenute, con riferimento agli esercizi finanziari 1987 e 1988, nell'art. 4, primo comma, del d.-l. n. 382/1989 - dispone che "le regioni possono autorizzare le unita' sanitarie locali e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari finanziati dalle quote regionali del Fondo sanitario nazionale ad assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione, per provvedere a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza entro limiti prequantificati dalle regioni stesse per ciascun ente". Ai sensi del secondo comma "per il finanziamento della spesa autorizzata in eccedenza ai sensi del primo comma, le regioni possono autorizzare le unita' sanitarie locali e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari ad assumere con i propri tesorieri anticipazioni straordinarie di cassa alle condizioni previste dalle convenzioni di tesoreria". Il terzo comma contiene invece una disposizione del tutto difforme da quelle dei provvedimenti precedenti. Essa stabilisce infatti che "la spesa effettivamente sostenuta a fronte delle autorizzazioni concesse ai sensi del primo comma, desunta dai conti consuntivi dei singoli enti, e gli oneri derivanti dalle anticipazioni straordinarie di cassa di cui al secondo comma sono assunti a carico delle regioni e sono finanziati o con i propri mezzi di bilancio, o mediante alienazione dei beni patrimoniali disponibili, ovvero mediante la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito, da assumere anche in deroga alle limitazioni previste dalle vigenti disposizioni, avvalendosi per la copertura delle relative rate di ammortamento anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158". Le disposizioni citate appaiono in vario modo illegittime e lesive dell'autonomia della regione, per i seguenti motivi di D I R I T T O Sull'art. 1. La non perspicua disposizione dell'art. 1, primo comma, del d.-l. impugnato sembra doversi intendere nel senso che i disavanzi delle gestioni sanitarie accertati per gli esercizi 1987-1988, per la quota (del 45%) non coperta dalle operazioni di finanziamento previste dall'art. 4 del d.-l. n. 382/1989, cioe' dai mutui stipulati dalle regioni, sono finanziate mediante nuovi mutui, da stipulare dalle regione nel 1990 (per i 20% del disavanzo) e nel 1991 (per il resido 25%), con onere di ammortamento in ogni caso a carico dello Stato. Se cosi' e', la regione non ha motivo di dolersi di tale disposizione se non nei limiti di quanto si dira' a proposito del secondo comma: resta piuttosto non comprensibile il motivo per cui il legislatore statale, mentre ha provveduto (prima con l'art. 4 del d.-l. n. 382/1989, e poi con l'art. 1 del d.-l. impugnato, ai disavanzi del 1987 e del 1988, e mentre provvede (illegittimamente, come si dira') per il finanziamento del disavanzo 1990, nulla dice invece sul modo in cui si finanziera' il disavanzo sanitario per il 1989. Tuttavia la non chiara formulazione dell'art. 1, primo comma, che potrebbe far pensare ad una assunzione solo parziale da parte dello Stato dell'onere di ammortamento dei mutui a ripiano del disavanzo, induce la ricorrente regione a formulare, cautelarmente, una censura di illegittimita' anche nei confronti di tale disposizione, per l'ipotesi in cui essa dovesse essere interpretata in senso diverso da quello prima accennato, e nel senso cioe' che lo Stato assuma a proprio carico solo una parte dell'onere di ammortamento dei mutui, addossandone altra parte alla regione. Sarebbe palese infatti, in questa ipotesi, la violazione dell'autonomia finanziaria regionale nonche' dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione (anche in riferimento all'art. 26 della legge n. 468/1978) per avere lo Stato addossato alla regione un onere di copertura dei disavanzi delle u.s.l., in assenza di adeguati poteri di governo della spesa in capo alla regione medesima, e senza attribuire alla regione le risorse necessarie (cfr. sentenze nn. 245/1984 e 452/1989). Il secondo comma ultima parte, dell'art. 1 prevede, in relazione ai mutui regionali di cui si e' parlato, che "non si applicano i limiti per l'assunzione di mutui previsti dalle vigenti disposizioni per le regioni e le province autonome". Tale disposizione sembra da intendere nel senso che i mutui de quibus non incidono in alcun modo ai fini del calcolo del limite massimo dei mutui che la regione puo' assumere (la quota annuale di ammortamento per l'insieme dei debiti non puo' superare il 25% del totale annuo delle entrate tributarie della regione: art. 10 legge n. 281/1970, come modificato dall'art. 22 della legge n. 335/1976; e, per l'elevazione del limite del 25% art. 9 della legge n. 181/1982). Il "tetto" dell'indebitamento ammesso per la regione, in altri termini, non dovrebbe variare in alcun modo a seguito dell'assunzione dei mutui in oggetto. Peraltro, la "non applicazione" dei limiti per l'assunzione di mutui potrebbe anche, in ipotesi, intendersi nel senso che per effetto di tali mutui i limiti in questione possono essere superati, ma che, comunque, i mutui stessi concorrono a determinare il "tetto" di indebitamento, cosi' che, se la regione aveva per ipotesi un indebitamento inferiore al tetto del 25%, ma con l'assunzione dei mutui a ripiano del disavanzo sanitario tale limite venga superato, la regione non avrebbe piu' la possibilita' di assumere altri mutui entro il margine che risultava non utilizzato prima dell'assunzione dei mutui in questione. Se cosi' fosse, sarebbe evidente la lesione della autonomia finanziaria della regione, in quanto l'assorbimento di una capacita' di indebitamento residua della regione si tradurrebbe indirettamente in un accollo di onere alla regione per la copertura dei deficit delle u.s.l., nuovo onere cui non corrisponde l'attribuzione di nuove risorse. Anche tale ultima disposizione, pertanto, viene censurata a titolo cautelare dalla ricorrente, per il caso in cui essa dovesse interpretarsi in senso lesivo dell'autonomia finanziaria della regione. Sull'art. 3. Palesemente e irrimediabilmente illegittimo e lesivo e' l'art. 3 del d.-l. impugnato. Esso, infatti come si e' ricordato nella parte in fatto del presente ricorso, ricalca le orme delle disposizioni dettate (col d.-l. n. 382/1989 e con l'art. 1 del presente d.-l.) per la copertura dei disavanzi degli esercizi 1987 e 1988, nel prevedere il finanziamento del disavanzo del 1990. Solo che per la copertura di tale disavanzo, anziche' prevedere mutui assunti dalla regione, ma con onere di ammortamento a carico dello Stato, stabilisce che gli oneri siano "assunti a carico delle regioni" e "finanziati o con i propri mezzi di bilancio, o mediante alienazione dei beni patrimoniali disponibili, ovvero mediante la contrazione di mutui o prestiti", e in questo ultimo caso "avvalendosi per la copertura delle relative rate di ammortamento anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158". In definitiva, dunque, l'onere del disavanzo e' posto a carico non gia' dello Stato ma della regione, senza peraltro attribuire ad essa alcuna nuova risorsa. Ora, questa Corte ha gia' ripetutamente affermato l'incostituzionalita' di disposizioni legislative statali che pongano l'onere della copertura dei disavanzi delle u.s.l. a carico delle regioni, in assenza di effettivi e sufficienti poteri di governo della spesa sanitaria in capo alle regioni medesime, e senza l'attribuzione alle regioni medesime delle risorse necessarie. Nella sentenza n. 245/1984 la Corte osservo' che le competenze attribuite alle regioni in materia sanitaria non bastano a far concludere "che le amministrazioni regionali portino dunque l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle u.s.l."; che "la parte essenziale della spesa sanitaria ed ospedaliera non puo' non gravare sullo Stato... per l'evidente ragione che il diritto alla salute spetta egualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull'intero territorio nazionale", onde non e' casuale che la spesa sanitaria "sia prevalentemente rigida e non si presti a venire manovrata, in qualche misura, se non dagli organi centrali di Governo"; che "in breve, gran parte della spesa sanitaria si forma indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita' locali)". Concludeva la Corte, censurando l'art. 29, della legge n. 730/1984, che "in realta', il pie' di lista permane con la sola novita' rappresentata dal subentrare delle regioni in luogo dello Stato". Successivamente il legislatore ricadde nella stessa tentazione, con l'art. 2, primo comma, della legge n. 37/1989, che addossava le eccedenze di spesa sanitaria alle regioni. Nuovamente la Corte fu costretta ad una dichiarazione di illegittimita' costituzionale, rilevando che si trattava di disposizione "irragionevolmentelesiva dell'autonomia finanziaria delle regioni", poiche' "la garanzia di tale autonomia.... comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale.... gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa.... o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla regione" (sentenza n. 452/1989). Sempre nella stessa sentenza la Corte rilevo' che la disciplina legislativa intervenuta successivamente a quella giudicata con la sentenza n. 245/1984 "non ha certo spostato a favore delle regioni la responsabilita' della spesa sanitaria". Ora, l'art. 3 del d.-l. impugnato realizza precisamente di nuovo quell'accollo dell'onere del disavanzo ai bilanci regionali, senza attribuzione di risorse corrispondenti, che la Corte ha giudicato inammissibile. E certo non si puo' dire che, rispetto al momento in cui la Corte emano' tali pronunce, qualcosa sia cambiato nel senso della attribuzione alle regioni di maggiori poteri di governo della spesa sanitaria. Tutti i fattori principali della spesa sfuggono, oggi piu' che mai, a qualsiasi potere determinativo o di governo della regione, ovvero sono governabili solo da organi statali: cosi' e' per l'identificazionedelle prestazioni spettanti ai cittadini, per gli organici e il trattamento del personale, per il costo delle convenzioni dei medici generici e degli specialisti, per i costi dell'assistenza farmaceutica, e cosi' via. Non vale a far venire meno l'illegittimita' il fatto che il primo comma dell'art. 3, preveda, ipocritamente, che le regioni "possono autorizzare" le u.s.l. ad assumere impegni in eccedenza alla quota del fondo sanitario ad esse spettante, e che il secondo comma del medesimo art. 3 prevede, altrettanto ipocritamente, che le regioni "possono autorizzare" le u.s.l. a contrarre anticipazioni straordinarie di cassa col proprio tesoriere per il finanziamento della spesa autorizzata in eccedenza. Che non si sia in presenza di una semplice facolta' della regione, che essa potrebbe esercitare o non esercitare discrezionalmente, e il cui esercizio quindi possa legittimamente dar luogo all'assunzione del relativo onere da parte della regione medesima, e' reso del tutto evidente dalla stessa disposizione legislativa, la quale prevede siffatte "autorizzazioni" per "provvedere a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza". Se si tratta, infatti, di spesa improcrastinabile e di assoluta urgenza, non c'e' spazio per decisioni discrezionali; l'autorizzazione regionale non e' in realta' una autorizzazione a spendere, che possa essere o meno discrezionalmente concessa, ma e' una semplice autorizzazione a contabilizzare e a pagare spese e debiti comunque gia' assunti, e quindi a far emergere un disavanzo che si e' comunque inevitabilmente creato (si tenga presente che siano gia' alla fine del 1990, e quindi la spesa in eccedenza da "autorizzare" in realta' e' spesa in larga parte gia' intervenuta, ci corrispondono debiti delle u.s.l. inevitabilmente destinati a tradursi in un disavanzo dell'esercizio 1990). La riprova di cio' sta nel fatto che anche l'art. 4, primo comma del d.-l. n. 38/1989, che provvedeva ai disavanzi del 1987 e del 1988, stabiliva che le regioni "possono autorizzare" le u.s.l. ad iscrivere tra gli impegni degli esercizi 1987-1988 le obbligazioni effettivamente assunte e le sopravvenienze passive accertate in eccedenza ai rispettivi stanziamenti di bilancio: pure a tali "autorizzazioni" conseguiva l'assunzione dell'onere dei mutui, necessari per ripianare il disavanzo, a carico dello Stato (art. 4, secondo comma). In realta' anche il meccanismo disegnato dall'art. 3 del d.-l. n. 262/1990 non e' che un meccanismo di ripianamento del disavanzo "necessario" (reso tale, cioe', dall'eccedenza della spesa indispensabile per la continuita' dei servizi, rispetto alla entita' - sottostimata - del Fondo sanitario nazionale) mediante l'assunzione di mutui regionali: solo che, come si e' detto, l'onere di ammortamento dei mutui e' posto, illegittimamente, a carico della regione anziche' dello Stato. La lesione dell'autonomia regionale e' dunque palese. La disposizione impugnata si riferisce, per il finanziamento delle spese, anzitutto ai "mezzi di bilancio" della regione: ma il bilancio della regione, come e' ben noto, e' totalmente impegnato per le altre spese della regione medesima, e' non presenta alcuna disponibilita' non utilizzata. In secondo luogo si prevede la "alienazione dei beni patrimoniali". Non e' chiaro a quali beni si faccia riferimento letteralmente sembrerebbe trattarsi di beni della regione, dato che e' la regione a dover finanziare degli oneri che la disposizione in esame esplicitamente afferma dover essere "assunti a carico delle regioni". Ma la regione non possiede beni patrimoniali alienabili a questo scopo. In realta' probabilmente il legislatore voleva alludere ai beni patrimoniali da reddito provenienti dai patrimoni degli ex enti ospedalieri, e che sono stati trasferiti ai comuni (o in Lombardia alle associazioni intercomunali che gestiscono le u.s.l.). Solo che la vendita di tali beni dipende da determinazioni degli enti proprietari: la regione potrebbe al piu' autorizzarne la vendita; e questa potrebbe al massimo procurare qualche risorsa alle u.s.l. dipendenti dai comuni proprietari dei beni venduti, non alle altre. A parte cio', e' evidente che l'alienazione di beni patrimoniali, oltre che essere del tutto insufficiente a coprire i disavanzi e a richiedere moltissimo tempo, e' strumento del tutto incongruo a tale scopo. Si tratta infatti di disavanzi relativi alla spesa corrente, e non si puo certo coprirli dunque con entrate straordinarie in conto capitale come quelle da alienazione del patrimonio. Sarebbe come vendere i beni di famiglia per far fronte a uno squilibrio fra entrate correnti e spese correnti nel bilancio familiare. Una volta venduti i beni, anche ammesso che si riuscisse a tamponare un debito, il problema si ripresenterebbe immediatamente, perche' la spesa corrente ha carattere continuativo. Il legislatore d'altronde sa bene che non sono questi espedienti a poter fornire le risorse necessarie a coprire il deficit: ed ecco percio' che impone il ricorso all'unico mezzo disponibile, cioe' i mutui a ripiano. Ma, ponendo l'onere di ammortamento a carico della regione, non fa che spostare il problema in avanti: la regione infatti non ha le risorse necessarie per sostenere tale onere. Non vale certo fare richiamo alle "entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158"; anzitutto, e decisamente, perche' tali entrate non sussistono ancora, dovendo essere disciplinate da decreti legislativi non ancora emanati; in secondo luogo perche' le nuove entrate previste sono destinate a compensare la riduzione dei trasferimenti statali, e quindi non metteranno nuove risorse a disposizione delle regioni; in terzo luogo comunque, perche' tali entrate saranno assai inferiori, in generale e in particolare per la regione ricorrente, all'importo dei disavanzi sanitari e degli oneri di ammortamento dei mutui a ripiano, che occorre coprire. Tanto e' vero che lo stesso legislatore statale, ben consapevole dell'assoluta insufficienza di tali risorse, si limita a prevedere che le regioni si avvalgano per la copertura dei nuovi oneri "anche" di dette entrate tributarie: ammette cioe' che, almeno in parte, gli stessi oneri dovranno essere coperti con altre risorse della regione. Ma, appunto, cio' significa addossare alla regione nuovi oneri senza provvedere alle risorse necessarie.
P. Q. M. La regione ricorrente chiede che l'ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, nonche' - per il caso in cui debba interpretarsi nel senso che accolli alla regione parte dell'onere di ammortamento dei mutui o che comporti una riduzione della capacita' di indebitamento della regione - altresi' dell'art. 1 del medesimo d.-l. n. 262/1990 nella parte in cui addossa oneri finanziari alla regione e ne riduce la capacita' di indebitamento: in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e all'art. 81, quarto comma, della Costituzione e anche in riferimento all'art. 26 della legge n. 468/1978. Roma, addi' 18 ottobre 1990 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA 90C1322