N. 913 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 1997
N. 913 Ordinanza emessa il 16 ottobre 1997 dal tribunale di Trani nel procedimento penale a carico di Barile Giuseppe ed altri Processo penale - Dibattimento - Esame di persona imputata in procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere - Lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari - Preclusione salvo l'accordo delle parti - Irragionevolezza, posta la sottrazione al processo di materiale probatorio ritualmente assunto - Disparita' di trattamento rispetto al regime delle dichiarazioni testimoniali - Lesione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale - Violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia. Processo penale - Dibattimento - Esame di persona imputata in procedimento connesso - Modifiche normative - Lamentata immediata applicabilita' ai procedimenti di primo grado in corso - Irragionevole disparita' di trattamento tra analoghe situazioni processuali. (C.P.P. 1988, artt. 210 e 513, comma 2; legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 6). (Cost., artt. 3, 97 e 112).(GU n.3 del 21-1-1998 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel giudizio penale n. 268/1995 r.g.t. a carico di Barile Giuseppe + 4, imputati dei reati di falsita' ideologica ed abuso di ufficio (artt. 110, 476, 323, comma 2, c.p.) commessi in Terlizzi il 4 dicembre 1992, veniva citato a comparire all'udienza per rendere l'esame il sig. De Sario Angelo, nella sua qualita' di indagato per i medesimi fatti nei cui confronti era stato richiesto all'esito delle indagini preliminari e disposto dal g.i.p. il provvedimento di archiviazione ex art. 408 c.p.p. In sede dibattimentale il De Sario si avvaleva dalla facolta' di non rispondere, riconosciutagli dall'art. 210, comma 4, c.p.p., ed il p.m. chiedeva che fossero acquisite le dichiarazioni dallo stesso rese in sede di interrogatorio e contenute nel verbale redatto davanti al p.m. in data 27 gennaio 1993, con l'assistenza del difensore dell'indagato. I difensori degli odierni imputati non consentivano all'acquisizione ed alla lettura del suddetto atto, a mente del disposto dell'art. 513, comma 2, c.p.p. come sostituito dall'art. 1 della legge 7 agosto 1997, n. 267, di immediata applicabilita' al processo in corso. Di conseguenza il p.m. ha sollevato questione di illegittimita' costituzionale della suddetta norma per contrasto con i principi ricavabili dagli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione. Argomenta l'organo dell'accusa che e' manifestamente irragionevole e fonte di disparita' di trattamento tra le parti in un processo penale costringere il magistrato inquirente ad assumere, in forme di legge vincolate e garantite, atti di indagine preliminare e successivamente rimettere alla mera volonta' del soggetto fonte di prova e/o dello stesso imputato la possibilita' di utilizzare il materiale conoscitivo raccolto ovvero renderlo totalmente irrilevante ai fini dell'accertamento della verita' processuale, con la conseguente possibile svalutazione di elementi probatori che, nel frattempo, hanno imposto al p.m. di esercitare l'azione penale ed al g.u.p. di introdurre la fase dibattimentale, senza parlare dei casi in cui si siano adottate misure cautelari a carico degli imputati. Osserva il p.m. che siffatta situazione incide pesantemente sul buon andamento dell'amministrazione della giustizia, nel momento in cui si permette di vanificare i risultati di un'indagine, che puo' essere stata anche complessa e dispendiosa, senza consentire di sottoporre alla valutazione dell'organo decidente il materiale probatorio raccolto, con evidente spreco di attivita' giudiziaria. Cio', oltretutto, influisce in maniera decisiva sull'esercizio obbligatorio dell'azione penale, nel momento in cui vi e' la possibilita' che muti, in maniera non prevedibile, il quadro processuale di riferimento. Nel caso di specie, inoltre, il p.m. rileva che, essendo stato il dibattimento gia' aperto nella prima udienza del giorno 15 febbraio 1996, ma non essendo stato ancora chiamato il De Sario a deporre (cosa che e' avvenuta, si ripete, per la prima volta nell'odierna udienza), non sarebbe applicabile ne' la norma transitoria di cui all'art. 6, commi 2 e 5, legge n. 267/1997 (che consente di recuperare a certe condizioni il materiale probatorio di cui si sia in precedenza gia' data lettura in dibattimento), ne' il meccanismo previsto dal primo comma del citato art. 6, posto che al momento dell'entrata in vigore della legge novellatrice la fase delle indagini preliminari e la stessa fase degli atti preliminari al dibattimento erano gia' esaurite con la conseguente impossibilita' di recuperare la prova con il ricorso all'incidente probatorio. Ha segnalato ancora il p.m. come in riferimento al disposto dell'art. 513 c.p.p. nella formulazione antecedente alla novella, fossero intervenute le sentenze della Corte costituzionale n. 254 del 3 giugno 1992 e n. 60 del 24 febbraio 1995 che affermano principi di cui il legislatore del 1997 non pare abbia tenuto debito conto. Alle prospettazioni del p.m. si sono opposti i difensori degli imputati, chiedendo che questo tribunale dichiari manifestamente infondata la questione incidentale di costituzionalita' sollevata. Osserva il collegio che la questione di illegittimita' costituzionale sollevata dal p.m. e' rilevante e non manifestamente infondata. Sotto il primo aspetto si rileva che il diritto al silenzio esercitato dal De Sario Angelo e la conseguente impossibilita', in assenza dell'accordo delle parti, di utilizzare le sue dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari impediscono di acquisire al processo una fonte di prova, emersa in modo rituale nel corso delle indagini e sottoposta al vaglio del g.u.p. ai fini della decisione in ordine al rinvio a giudizio, e pertanto incidono sulla completezza dell'accertamento dei fatti oggetto delle contestazioni. Sotto il profilo della non manifesta infondatezza si rileva quanto segue. Appare ravvisabile la violazione del principio di cui all'art. 3 della Costituzione con riferimento alla irragionevolezza della disparita' di trattamento fra situazioni processuali equivalenti giacche', mentre nel caso in cui il testimone si rifiuti di rispondere possono, ai sensi del comma 2-bis dell'art. 500 c.p.p., recuperarsi le sue dichiarazioni, viceversa nel caso in cui il dichiarante ex art. 210 c.p.p. (che sostanzialmente altri non e' che un testimone seppur fornito di particolari garanzie) si rifiuta di rispondere, il recupero delle sue dichiarazioni non puo' avvenire che con l'accordo delle parti. Ne' a superare la perplessita' di cui sopra puo' valere la considerazione che il dichiarante ex art. 210 c.p.p., in quanto indagato e/o imputato dello stesso reato o di un reato connesso, non puo' essere obbligato a rendere dichiarazioni a se' pregiudizievoli, in quanto il principio per il quale nessuno puo' essere costretto a rendere dichiarazioni integranti una sua responsabilita' e' di carattere generale ed e' espressamente previsto per il testimone del comma secondo dell'art. 198 c.p.p. In altri termini, il dichiarante ex art. 210 c.p.p., allorquando riferisce di fatti riguardanti la responsabilita' di terzi, trovasi in una situazione perfettamente equiparabile a quella del testimone ed, alla luce di tanto, la diversita' di disciplina in ordine al recupero delle sue dichiarazioni desta perplessita'. In verita', come e' agevole comprendere, cio' che viene in discussione e' proprio "la facolta' di non rispondere" riconosciuta al dichiarante ex art. 210 c.p.p. con riferimento a fatti attinenti la responsabilita' di terzi ed, apparendo tale facolta' fonte di disparita' di trattamento con riguardo all'omologa situazione del testimone, il collegio ritiene di dovere d'ufficio sollevare la questione di illegittimita' costituzionale anche dell'art. 210 c.p.p. per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nei riflessi che lo stesso provoca sull'attuale disciplina dell'art. 513 c.p.p. come novellato. Altra ipotesi di violazione dell'art. 3 della Costituzione, sempre sotto il profilo di una irragionevole disparita' di trattamento fra situazioni processuali equipollenti, si ravvisa con specifico riferimento alla disciplina transitoria prevista dall'art. 6 legge n. 267/1997 che comporta l'immediata applicazione del testo novellato dell'art. 513 c.p.p. ai giudizi di primo grado in corso nei quali il dichiarante venga esaminato dopo l'entrata in vigore della novella (come nel caso di specie) e si avvalga della facolta' di non rispondere, senza prevedere alcuna normativa di salvaguardia come quella dettata dai commi 2 e 5 dell'art. 6 citato per il caso del dichiarante gia' esaminato in dibattimento prima dell'entrata in vigore della legge, e cio' nonostante che il p.m. non abbia avuto alcuna concreta possibilita' di assicurare il mezzo di prova con il ricorso all'incidente probatorio, essendo gia' esaurite le fasi in cui tale mezzo e' consentito. Parimenti violati, a parere di questo collegio, sono i principi sanciti dagli artt. 97 e 112 della Costituzione, di buon andamento dell'amministrazione e dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale. E' evidente l'incongruenza della situazione che si viene a determinare in ordine all'esercizio dell'azione penale previsto obbligatoriamente dall'art. 112 della Costituzione: detta norma viene tradotta in pratica dal combinato disposto degli artt. 408 c.p.p. e 125 disp. di att. al c.p.p. che, nel prevedere che il p.m. chieda l'archiviazione tutte le volte che ritenga di non avere materiale probatorio sufficiente per sostenere l'accusa in dibattimento, dimostra, per contrario, come detto organo sia obbligato a promuovere l'azione penale tutte le volte in cui disponga di tale materiale. Sicche' la sottrazione anche di parte di detto materiale probatorio, rimessa alla semplice volonta' della controparte processuale ovvero alla facolta' di non rispondere di un soggetto, che potrebbe anche essere stato esposto a minacce o altri mezzi di inquinamento della prova, produce l'effetto di paralizzare ex post una iniziativa penale che per il p.m. aveva costituito un atto doveroso, cosi' di fatto ponendosi in contrasto con il principio costituzionale che logicamente comporta, come suo corollario, che l'organo dell'accusa sia messo nelle condizioni processuali di validamente esercitare l'azione promossa. Tale irragionevole situazione viola anche in maniera evidente il principio sancito dall'art. 97 della Costituzione in quanto determina un rilevante spreco di attivita' amministrativa, finalizzata all'espletamento delle indagini e all'introduzione del giudizio dibattimentale, allorche' tale attivita' venga vanificata in conseguenza della impossibilita' non prevedibile di poter utilizzare una fonte di prova che puo' aver costituito il fondamento della stessa attivita' processuale.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritiene rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 210, 513, comma secondo, c.p.p. e art. 6 legge 7 agosto 1997, n. 267 nelle parti e per i profili di cui in motivazione; Sospende il presente procedimento; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento e della presente ordinanza alla Corte costituzionale. Trani, addi' 16 ottobre 1997 Il presidente: (firma illeggibile) 98C0032