N. 431 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 1999

                               N. 431
  Ordinanza  emessa  il  28  aprile  1999  dal giudice per le indagini
 preliminari  presso  il  Tribunale  dei  minorenni  di  L'Aquila  nel
 procedimento penale a carico di V. M.
 Reato  in genere - Delitti contro l'amministrazione della giustizia -
    Ritrattazione - Applicabilita', come causa di non punibilita',  al
    reato  di  favoreggiamento  personale,  commesso  mediante false o
    reticenti  informazioni  assunte  dalla  polizia  giudiziaria,  ad
    iniziativa  della  stessa  -  Mancata  previsione  - Irragionevole
    disparita' di trattamento rispetto a quanto  previsto,  a  seguito
    della  sentenza  n.  101/1999  della  Corte  costituzionale, nella
    ipotesi  di  ritrattazione  di  dichiarazioni  rese  alla  polizia
    giudiziaria, all'uopo delegata dal pubblico ministero.
 (C.P., art. 376, comma 1).
 (Cost., art. 3).
(GU n.37 del 15-9-1999 )
                     IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
   Ha emesso la seguente ordinanza di remissione degli atti alla Corte
 costituzionale  nel  procedimento  n.  83/1998 g.i.p., riguardante il
 minore V. M., nato il 19 luglio 1989 in Penne (Pescara), indagato per
 il reato previsto dall'art. 378 c.p., commesso in Penne il 27  maggio
 1998.
                            Fatto e diritto
   Con  fonogramma  datato  27  maggio  1998,  personale della Polizia
 dell'Ospedale Civile di Pescara riferiva che in  quella  stessa  data
 D'A.  L.  era  giunto,  con  ambulanza, presso quel nosocomio gia' in
 prognosi riservata.  Su di lui erano state  riscontrate  lesioni  per
 frattura   mandibolare  multipla  e  trauma  cranico,  conseguente  a
 sinistro  stradale.
   Il 16 giugno 1998, i Carabinieri di Penne presentavano alla Procura
 della Repubblica presso questo tribunale comunicazione di notizia  di
 reato dalla quale emergeva che a bordo della vettura si trovavano tre
 amici, N.O. alla guida, D'A. L. e V. M. trasportati. Il N. e il D'O.,
 in un primo momento avevano dichiarato che, mentre stavano rientrando
 a  casa  in automobile, dopo avere preso parte ad una festa, si erano
 fermati presso una fontana, perche' il D'A. aveva sete.  Il D'A.,  in
 preda  ai  fumi  dell'alcool, appena sceso dalla vettura, aveva perso
 l'equilibrio, andando a finire con il  viso  in  terra,  procurandosi
 cosi'  le  lesioni  lamentate.  Il  28  maggio  1998 si presentava in
 Caserma la madre del  D'A.  L.,  Chiavaroli  Rossella  Filomena,  che
 richiedeva,  ai  Carabinieri, di svolgere indagini piu' approfondite.
 Essi richiamavano sia il V. sia il N., i quali, a modifica di  quanto
 dichiarato in precedenza,  fornivano una diversa versione.
   Questi  ultimi dichiaravano, infatti, che le lesioni erano avvenute
 perche' lo stesso N., alla guida dell'autovettura, a seguito  di  una
 manovra  errata  era  andato  ad  urtare,  provocando cosi' un trauma
 cranico al D'A.  Il V. dichiarava espressamente di avere  rilasciato,
 in  precedenza,  una  versione  diversa  per  paura delle conseguenze
 penali nei confronti del N. Il D'A. entro i tre mesi  dal  fatto  non
 presentava querela per il delitto previsto dall'art. 590 c.p.
   Il   p.m.,   in   data  25  febbraio  1999,  richiedeva  al  g.i.p.
 l'archiviazione, perche' il reato di favoreggiamento doveva ritenersi
 insussistente, dal momento che per il delitto presupposto  (art.  590
 c.p.) il D'A.  non aveva proposto querela.
   Ritiene il g.i.p. che la richiesta del p.m. non possa accogliersi.
   Il  favoreggiamento  rientra, senz'altro, nella categoria dei reati
 pedissequi, perche' sottintende la ricorrenza di un altro  reato,  al
 pari della ricettazione, ecc.
    La  Corte  di cassazione e' concorde nel sostenere che soltanto le
 cause obiettive di esclusione del reato  presupposto  impediscono  la
 configurabilita'  del  favoreggiamento.  Le  cause  soggettive di non
 punibilita' e la mancanza di condizioni di  procedibilita',  come  la
 querela,  invece, ne consentono l'insorgenza (C. cass., sez. 3, sent.
 2351 del 10 marzo 1979, imp. Pepe; sez. 6, sent. 13220 del 7  ottobre
 1989,  imp. Versace). Secondo i principi generali del diritto penale,
 non e' necessaria la punibilita' in concreto  dell'autore  del  fatto
 per  l'esistenza  del reato. Per consolidata dottrina e' sufficiente,
 infatti, la semplice conformita' del reato presupposto ad un'astratta
 figura criminosa, purche' non ricorrano cause di giustificazione.
   Spesso il problema s'imposta sulla qualificazione della querela, se
 condizione di punibilita' o di procedibilita'. In realta', neanche il
 superamento   del  dilemma  porta  ad  una  soluzione  soddisfacente.
 L'attribuzione di condizione di procedibilita' lascia  impregiudicato
 il  reato  in  astratto,  senza  alcuna  difficolta',  per  la natura
 formale,   non   sostanziale   conferita   a    quell'elemento.    La
 qualificazione  della  querela,  come  condizione di punibilita', per
 contro non cambia  i  termini  della  questione,  perche'  la  natura
 sostanziale di tale elemento non fa venire meno il reato.
   L'art.  44  c.p., utilizzando l'espressione "... per la punibilita'
 del reato ...", presuppone che il reato  sia  perfetto  in  ogni  sua
 parte,  altrimenti  avrebbe adoperato il termine "fatto". In mancanza
 di una di tali condizioni il reato dispiega tutti i suoi effetti,  ad
 eccezione  della  punibilita'  dell'autore,  e tra quelle conseguenze
 c'e' la possibilita' di sviluppare un reato pedissequo o famulativo.
   Nel   caso   di   specie,   pertanto,   la   configurabilita'   del
 favoreggiamento non puo' escludersi.
   Ritiene,  tuttavia,  il  g.i.p. che la fattispecie presenta profili
 d'incostituzionalita'.   Il   V.   ha,   infatti,    modificato    le
 dichiarazioni, in precedenza rese, ed ha quindi ritrattato il falso e
 manifestato  il  vero. In astratto, si e' configurata la causa di non
 punibilita' prevista dall'art. 376 c.p., che, pero', in concreto  non
 e'  applicabile,  per espressa previsione legislativa. Quell'articolo
 limita,  infatti,  l'applicazione  della  ritrattazione   agli   art.
 371-bis, 372 e 373 c.p.
   La  Corte costituzionale, con sentenza 22 dicembre 1982, n. 228, si
 e' gia' pronunciata sulla questione.  In  quella  sede  la  Corte  ha
 affermato  che  il fine della ritrattazione e' quello di incoraggiare
 il  ravvedimento  del  falso  testimone,   per   dare   soddisfazione
 all'interesse  alla  giusta definizione del giudizio principale. Essa
 non puo' estendersi al favoreggiamento personale, anche se  integrato
 da  false  e  reticenti  dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria,
 perche' l'aiuto ad eludere le  investigazioni,  o  a  sottrarsi  alle
 ricerche  di  quest'ultima,  importa, in ogni modo, un intralcio alle
 indagini. In  questi  casi,  il  pregiudizio  arrecato  alla  pretesa
 punitiva  dello Stato e' irreversibile e l'eventuale resipiscenza del
 reo,   attuata   attraverso   la   ritrattazione   delle   originarie
 dichiarazioni false o reticenti, non puo'  elidere quel danno.
   Le   conclusioni   riportate   erano   condivisibili   se  riferite
 all'ordinamento vigente all'epoca della pronuncia, ora  completamente
 trasformato.
   Nel  frattempo, infatti, il legislatore ha introdotto nuovi reati e
 la Corte costituzionale ha mutato indirizzo. In particolare,  con  la
 citata  sentenza  del 22-30 marzo 1999, n. 101 la Corte ha dichiarato
 l'incostituzionalita' dell'art. 376, comma 1, c.p. nella parte in cui
 non prevede la ritrattazione,  come causa di non punibilita', per chi
 abbia reso dichiarazioni false o reticenti.
   La Corte ha, pero', limitato  l'estensione  alla  sola  ipotesi  di
 colui che, richiesto dalla polizia giudiziaria, delegata dal pubblico
 ministero  a  norma  dell'art.  370  c.p.p.,  ha fornito quelle false
 informazioni ai  fini  delle  indagini,  in  seguito  ritrattate.  In
 quell'occasione,  il giudice rimettente riteneva che l'impossibilita'
 di applicare la norma sulla ritrattazione al reato di favoreggiamento
 personale, commesso  mediante  informazioni  al  pubblico  ministero,
 determinasse  un'irragionevole  disparita'  di  trattamento  di  casi
 analoghi e assimilabili.
   Uno di questi era la possibilita', per  il  falso  dichiarante,  di
 giovarsi  degli  effetti  della  ritrattazione  nel  caso  del  reato
 previsto dall'art.  371-bis  c.p.,  negata  invece  nell'ipotesi  del
 favoreggiamento personale.
   Nel  dispositivo  della  sentenza  non si menziona espressamente il
 reato di  favoreggiamento, tuttavia, dalla motivazione,  emerge,  con
 chiarezza,   che   la  decisione  della  Corte,  estendendo  l'ambito
 d'applicazione dell'art. 376 c.p.,  ha  implicitamente  incluso  tale
 delitto  in  quella  causa  di  non  punibilita',  sia  pur  in  casi
 particolari. Il soggetto che rilascia dichiarazioni false o reticenti
 alla Polizia giudiziaria, delegata o no dal p.m., infatti,  non  puo'
 commettere altro reato se non quello previsto dall'art. 378 c.p.
   La  fattispecie  che  questo  g.i.p. intende sottoporre al giudizio
 della Corte costituzionale e' leggermente diversa da  quella  che  ha
 provocato  la  decisione  riportata.  Nel caso di specie, infatti, le
 false dichiarazioni sono state rese alla Polizia  che  agiva  non  su
 delega  del  p.m., ma di propria iniziativa. La Corte, nella sentenza
 citata, non ha esteso la sua decisione anche a quest'ultima  ipotesi,
 per  il  divieto  di  ultrapetizione  e  perche'  non ricorrevano gli
 elementi previsti dall'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.  87.  I
 principi  espressi  in  quella  decisione,  tuttavia, restano fermi e
 possono  essere  riferiti  anche  alla  fattispecie  in  esame,   per
 l'identita' di ratio.
   La  rilevanza  della  questione  deriva  dalla  considerazione  che
 l'estensione di quell'esimente, da parte della  Corte  cotituzionale,
 porterebbe  il g.i.p. all'emissione del decreto di archiviazione, per
 infondatezza del reato. In caso contrario, sara' necessario procedere
 ai sensi dell'art. 409 comma 2 e 3 c.p.p., con  indubbio  pregiudizio
 per l'indagato.
   Si  potrebbe  opinare  che  il legislatore ha voluto distinguere le
 false dichiarazioni, secondo le autorita' che ne  sono  destinatarie,
 con   una   scelta   incensurabile,   perche'  rientrante  nella  sua
 discrezionalita'.   In realta', fermi restando  i  principi  espressi
 nella  sentenza  n.    101  del  1999,  che  si intende integralmente
 richiamata, deve applicarsi il canone ermeneutico ubi eadem ratio ibi
 eadem dispositio.
   Di fronte a condotte assimilabili, come quelle poste  a  raffronto,
 non  e' possibile far cadere sull'indagato gli effetti sfavorevoli di
 una situazione scaturita da  una  scelta  investigativa.  Questa  non
 incide   sull'oggettivita'   giuridica,  e'  estranea  alla  volonta'
 dell'indagato ed  e'  di  carattere  processuale.  La  disparita'  di
 trattamento non trova, quindi, una giustificazione plausibile ne' sul
 piano  costituzionale  ne'  su quello sostanziale. E' anche possibile
 che l'indagato non sappia in che veste agisca la Polizia  giudiziaria
 e, in ogni caso, il fatto, materiale e giuridico, e' il medesimo.
   La  disparita'  di  trattamento  e'  ammessa  solo  quando  c'e' da
 soddisfare un'esigenza di carattere sostanziale, al fine di rimuovere
 gli ostacoli previsti dall'art. 3, secondo comma, Cost. Nella specie,
 non  emergono   elementi   che   rendono   ammissibile   l'esclusione
 dell'esimente   della   ritrattazione   in  caso  di  favoreggiamento
 personale  realizzatosi  mediante  dichiarazioni  rese  alla  Polizia
 giudiziaria, che agisce d'iniziativa.
   Quel mancato riconoscimento intralcia, fra l'altro, un piu' agevole
 accertamento della verita', fine supremo del processo penale, perche'
 rende  indifferente la resipiscenza dell'indagato, che non e' indotto
 e stimolato concretamente a dire il vero (sentt. Corte costituzionale
 n. 24 del 1992; 254 del 1992; 255 del 1992).
                               P. Q. M.
   Letto l'art. 134 Cost.;
   Letti gli artt. 1 e segg. della legge costituzionale 11 marzo 1953,
 n. 1 e 23, segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestante  infondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 376, comma 1, c.p., nella parte
 in  cui  non  stabilisce che la speciale causa di non punibilita' ivi
 prevista valga anche per il reato di favoreggiamento personale  (art.
 378  c.p.), che sia integrato da false e reticenti dichiarazioni rese
 in sede di sommarie informazioni assunte direttamente  dalla  polizia
 giudiziaria  ai  sensi  degli artt. 350 e 351 c.p.p., con riferimento
 all'art. 3 Cost.;
   Dispone la sospensione del procedimento in corso e la  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  la  notifica  della  presente  ordinanza  a  V.M.,  al  suo
 difensore, al p.m. in sede e al Presidente del Consiglio dei Ministri
 e la comunicazione  della  stessa  al  Presidente  della  Camera  dei
 deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
     L'Aquila, addi' 28 aprile 1999.
             Il giudice per le indagini preliminari: Eramo
 99C0860