N. 211 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 agosto 2019
Ordinanza del 26 agosto 2019 della Corte dei conti - Sez. regionale di controllo per la Calabria nel procedimento di controllo relativo al Comune di Reggio Calabria. Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali - Piano di riequilibrio finanziario pluriennale - Facolta' per gli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione dei rispettivi piani di riequilibrio, ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, entro la data del 14 febbraio 2019, di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, di riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente, secondo la procedura prevista dai commi 888 e 889 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017 - Possibilita' di esercitare tale facolta' anche in caso di piano non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della Corte costituzionale adottati dalla sezione regionale competente - Sostituzione della tabella, di cui al comma 5-bis dell'articolo 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, riguardante la durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale. - Decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, art. 38, commi 2-bis e 2-ter, in combinato disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, del medesimo decreto-legge.(GU n.48 del 27-11-2019 )
LA CORTE DEI CONTI Sezione regionale di controllo per la Calabria Composta dai magistrati: dott. Vincenzo Lo Presti, Presidente-relatore; dott. Francesco Antonio Musolino, consigliere; dott.ssa Stefania Anna Dorigo, referendario; ha emesso la seguente ordinanza n. 108/2019 nel giudizio per l'esame del Piano di riequilibrio finanziario del Comune di Reggio Calabria (RC), approvato, ai sensi dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58), con deliberazione di consiglio comunale n. 37 del 30 luglio 2019, pervenuta alla Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria in data 7 agosto 2019 e, ivi, protocollata al n. 0005475- 07/08/2019 - SC_CAL ˗ T81-A; Visto l'art. 100, comma 2, della Costituzione; Visto il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni; Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Visto il regolamento n. 14/2000 per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle sezioni riunite della Corte dei conti in data 16 giugno 2000 e successive modifiche; Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali; Visto l'art. 6, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149; Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con la legge 7 dicembre 2012, n. 213; Considerato che il Comune di Reggio Calabria (RC), con deliberazione della commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17, ha fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario di cui all'art. 243-bis del T.U.E.L.; con successiva deliberazione della commissione straordinaria del 15 luglio 2013, n. 142, si e' avvalso della facolta' di rimodulazione del Piano di riequilibrio concessa dall'art. 1, comma 15, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante: «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti locali»; Considerato che, con deliberazione n. 11/2014, la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria ha stabilito di non approvare il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune di Reggio Calabria; Considerato che le sezioni riunite, in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5, del T.U.E.L., con sentenza n. 26/2014/EL, hanno accolto il ricorso del Comune di Reggio Calabria avverso la citata deliberazione n. 11/2014 della Sezione di controllo per la Calabria; Vista la deliberazione n. 89/2015 della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria, con cui e' stato sottoposto a monitoraggio il Piano di riequilibrio del predetto Comune, ai sensi dell'art. 243-quater, comma 3, del T.U.E.L.; Considerato che l'ente, con deliberazione di consiglio comunale n. 19 del 29 marzo 2016, ha deciso di avvalersi della facolta' di rimodulazione del Piano di riequilibrio finanziario, prevista dall'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilita' 2016), come modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160; Vista la deliberazione di consiglio comunale n. 42 del 29 giugno 2016 con cui il Comune di Reggio Calabria ha approvato la rimodulazione del Piano di riequilibrio finanziario ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; Vista la deliberazione della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria n. 69/2016, depositata l'8 settembre 2016, con cui sono stati richiesti chiarimenti e integrazioni istruttorie, e la nota del 28 ottobre 2016, protocollo n. 16845, con cui l'ente ha dato riscontro alla suddetta delibera; Considerato che, con deliberazione n. 120/2016, la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria ha stabilito di non approvare tale ultima rimodulazione del piano, ritenendo che la delibera comunale fosse fondata su una erronea interpretazione della normativa, pro tempore vigente, che consentiva modifiche al piano di riequilibrio pluriennale - ammettendo il ripiano trentennale del debito - relativamente al solo maggior disavanzo risultante dall'operazione di riaccertamento straordinario dei residui ex art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011; Considerato che il Comune di Reggio Calabria, in data 21 gennaio 2017, ha proposto ricorso alle sezioni riunite, in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5, del T.U.E.L., avverso la deliberazione n. 120/2016 della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria; Considerato che, con sentenza n. 13/2017/EL, le sezioni riunite in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5, del T.U.E.L., hanno respinto il suddetto ricorso, confermando la citata decisione n. 120/2016 della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria; Vista la deliberazione di consiglio comunale n. 23 del 29 maggio 2017 con cui il Comune di Reggio Calabria ha approvato una nuova rimodulazione del Piano di riequilibrio finanziario, ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, quale novellato dall'art. 1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016, n. 232; Vista la deliberazione n. 86/2017, con la quale la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria ha approvato detta ultima rimodulazione di cui alla deliberazione C.C. n. 23/2017; Vista la sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, con la quale e' stata dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, quale novellato dall'art. 1, comma 434 della legge 11 dicembre 2016, n. 232; Vista la deliberazione n. 31/2019, con la quale la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria ha dichiarato l'inefficacia della predetta rimodulazione del Piano di riequilibrio finanziario, effettuata ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, quale novellato dall'art. 1, comma 434 della legge 11 dicembre 2016, n. 232; Vista la deliberazione di Consiglio comunale n. 37 del 30 luglio 2019 con cui il Comune di Reggio Calabria ha approvato una nuova rimodulazione del Piano di riequilibrio finanziario ai sensi dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58; Vista l'ordinanza n. 14/2019, con la quale il Presidente della Sezione ha convocato l'odierna camera di consiglio; Udito il relatore, Presidente di Sezione Vincenzo Lo Presti; Fatto Il Comune di Reggio Calabria, con deliberazione della commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17, faceva ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario di cui all'art. 243-bis del T.U.E.L.; con successiva deliberazione n. 142 del 2013 la commissione straordinaria integrava e rimodulava, per alcuni aspetti, la precedente deliberazione n. 17/2013. La Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria, con deliberazione n. 11/2014, non approvava detto Piano di riequilibrio finanziario pluriennale (d'ora innanzi anche PRFP); tale pronuncia veniva impugnata dal Comune dinanzi alle sezioni riunite, in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5, del T.U.E.L.; con sentenza n. 26/ 2014/EL il ricorso presentato veniva accolto, con conseguente approvazione del PRFP. Successivamente, il Comune presentava una prima rimodulazione del proprio piano, ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, approvata con delibera C.C. n. 42 del 2016; con delibera n. 120 del 2016, la Sezione di controllo per la Regione Calabria riteneva di non approvare tale modifica del PRFP; tale pronuncia veniva impugnata dal Comune dinanzi alle sezioni riunite, in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5, del T.U.E.L.; con sentenza n. 13/2017/EL, il ricorso presentato veniva respinto, con conseguente conferma della decisione impugnata. Il Comune di Reggio Calabria, quindi, avvalendosi della riscrittura - in vigore dal 1 gennaio 2017 - dell'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015 ad opera dell'art. 1, comma 434 della legge n. 232/ 2016 (cosiddetta legge di stabilita' 2017), con delibera del consiglio comunale n. 23 del 29 maggio 2017 (trasmessa alla sezione di controllo con nota acquisita al protocollo n. 0004088 del 1 giugno 2017) presentava una ulteriore rimodulazione del piano di riequilibrio che prevedeva: 1) il ripiano della quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera E) T.U.E.L., nel termine non piu' decennale (pari alla durata del PRFP) ma trentennale, come previsto dalla facolta' di cui all'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015 in vigore dall'1 gennaio 2017; piu' in dettaglio, tale quota di disavanzo (pari a 87.246.368,09 al 31 dicembre 2014 che, in virtu' delle quote gia' ripianate, ammontava a € 65.062.759,89 al 31 dicembre 2016) sarebbe stata rimborsata non piu' attraverso quote decennali di € 11.091.804,10 ciascuna, ma in rate trentennali di € 2.538.485,47 ciascuna; 2) il rimborso nell'arco di trenta annualita' delle anticipazioni di liquidita' fruite ai sensi dell'art. 243-ter e 243-quinquies del T.U.E.L. Con delibera n. 86/2017, la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria «approvava» la predetta rimodulazione (rectius: ne prendeva atto, stanti i principi espressi, in merito all'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015, dalla deliberazione n. 13/ SEZAUT/ 2016/ QMIG). Con sentenza n. 18/2019, depositata in data 14 febbraio 2019, la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimita' dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, come sostituito dall'art. 1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. In conseguenza, con delibera n. 31/2019, la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria osservava che: la riscrittura del PRFP del Comune di Reggio Calabria, approvata con deliberazione del C.C. n. 23/2017, era conforme alla normativa all'epoca vigente (art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016, in vigore dal 1 gennaio 2017, che aveva integralmente riscritto art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015); tuttavia, detta ultima norma era stata dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 18/2019 della Corte costituzionale; pertanto, facendo applicazione dei principi in ordine agli effetti della dichiarazione d'illegittimita' costituzionale e considerando che il piano di riequilibrio, ancora in corso di svolgimento, non poteva essere ritenuto un «rapporto esaurito», era evidente che, con la citata pronuncia di incostituzionalita', era venuto meno il presupposto normativa che aveva consentito il recupero trentennale del disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera E) T.U.E.L.; quindi, la citata delibera del consiglio comunale n. 23 del 29 maggio 2017 (con la quale, come gia' detto, il Comune, avvalendosi della riscrittura - in vigore dal 1 gennaio 2017 - dell'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015 ad opera dell'art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016 (cosiddetta legge di stabilita' 2017), aveva disposto: 1) il ripiano della quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera E) T.U.E.L. nel termine non piu' decennale (pari alla durata del «piano») ma trentennale, come previsto dalla facolta' di cui all'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015 in vigore dall'1 gennaio 2017; piu' in dettaglio, tale quota di disavanzo (pari a € 87.246.368,09 al 31 dicembre 2014 che, in virtu' delle quote gia' ripianate, ammontava a € 65.062.759,89 al 31 dicembre 2016) sarebbe stata rimborsata non piu' attraverso quote decennali di € 11.091.804,10 ciascuna, ma in rate trentennali di € 2.538.485,47 ciascuna; 2) il rimborso nell'arco di trenta annualita' delle anticipazioni di liquidita' fruite ai sensi dell'art. 243-ter e 243-quinquies del T.U.E.L.] era divenuta, priva di supporto normativo e, conseguentemente, doveva essere dichiarata inefficace; in conseguenza, doveva, invece, ritenersi vigente, nei suoi effetti, il precedente PRFP, adottato con la deliberazione della commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17, come integrata dalla deliberazione della commissione straordinaria del 15 luglio 2013, n. 142 [in particolare, come gia' detto, questa versione del piano, «approvata» dalla sentenza delle SS.RR. n. 26/2014/EL, prevedeva che il Comune di Reggio Calabria recuperasse il disavanzo incluso nel PRFP entro l'esercizio 2022, che segnava il termine finale di durata del piano medesimo; infatti, nella pianificazione di cui alle delibere della commissione straordinaria numeri 17 e 142 del 2013, era previsto che il disavanzo incluso nel PRFP, derivante dalla revisione straordinaria dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera E) T.U.E.L., venisse ripianato in quote decennali di € 11.091.804,10 ciascuna; a partire, invece, dall'esercizio 2017, la «rimodulazione» di cui alla deliberazione C.C. n. 23/2017 aveva consentito il recupero annuale di quote di importo pari a € 2.538.485,47]. Cio' premesso, questa Sezione precisava anche quali dovessero essere le modalita' di ripiano del disavanzo non recuperato negli esercizi 2017 e 2018; in tali esercizi, infatti, l'ente, avvalendosi della facolta' prevista dall'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015, come modificato dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016, aveva spesato in bilancio una rata annuale di disavanzo piu' «leggera», rispetto alle precedenti, di € 8.553.318,63 (€ 11.091.804,10 - € 2.538.485,47); al riguardo, questa Sezione affermava che, nella fattispecie, il Comune di Reggio Calabria avrebbe dovuto recuperare le quote del disavanzo non recuperato negli esercizi 2017 e 2018, entro i termini e con le modalita' stabilite dall'art. 188, comma 1, T.U.E.L.; la citata delibera n. 31/2019, che aveva affermato l'obbligo del Comune di Reggio Calabria di adeguare il Piano di riequilibrio ai principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 18/2018, non veniva impugnata dal Comune di Reggio Calabria divenendo cosi' definitiva. Quindi, la Sezione delle autonomie di questa Corte, con deliberazione n. 8/2019/QMIG (pronunciandosi in ordine all'individuazione di criteri di orientamento per la verifica da parte delle sezioni regionali di controllo della corretta attuazione degli effetti conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 14 febbraio 2019), stabiliva che « ... i piani di riequilibrio finanziario pluriennali di cui all'art. 243-bis del TUEL formulati ai sensi dell'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015, norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18 del 14 febbraio 2019, approvati dalla competente sezione regionale di controllo, sono intangibili relativamente alle sole quote di disavanzo riferite alle annualita' il cui ciclo di bilancio si sia chiuso con l'approvazione del rendiconto. Il disavanzo residuo deve essere ripianato considerando il piano originario dell'ente, approvato prima della rimodulazione conseguente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015....»; in tal modo, veniva ulteriormente confermata la vigenza del piano di riequilibrio decennale, originariamente approvato dal Comune di Reggio Calabria con deliberazione della commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17 (integrato, per alcuni aspetti, dalla successiva deliberazione n. 142 del 2013 sempre della commissione straordinaria). Successivamente, con l'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (convertito con modificazioni in legge 28 giugno 2019, n. 58), veniva stabilito che «...Gli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente, possono riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205...». Quindi, con delibera n. 25 del 12 luglio 2019 (acquisita al protocollo Corte dei conti n. 5134 del 18 luglio 2019), il consiglio comunale del Comune di Reggio Calabria comunicava, a questa Sezione, l'intenzione di avvalersi della facolta' di rimodulazione del PRFP, ex art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 34/2019, e, con successiva deliberazione di consiglio comunale n. 37 del 30 luglio 2019, approvava, quindi, una nuova «riproposizione» del precedente Piano di riequilibrio finanziario decennale, ai sensi della norma in questione. Detto ultimo piano «riproposto» veniva trasmesso in data 7 agosto (cfr. documento acquisito al protocollo Corte dei conti n. 0005475-07/08/2019 - SC_CAL - T81) alla Sezione Regione della Corte dei conti per la Calabria, per il giudizio di approvazione o di diniego di cui all'art. 38, comma 2-quater, decreto-legge n. 34 del 2019. Cio' premesso, si osserva che, a seguito di detta ultima riscrittura, e' stata modificata solo la durata del PRFP e, infatti, il nuovo piano di riequilibrio non presenta alcuna variazione in punto di: 1. pianificazione di risanamento: le proiezioni di entrata e di spesa dell'ente, necessarie a conseguire il riequilibrio, rimangono quelle di cui al PRFP attualmente efficace (quello approvato con deliberazione della commissione straordinaria n. 17 dell'8 febbraio 2013 ed integrato, parzialmente, con delibera della commissione straordinaria n. 142 del 15 luglio 2013) e si sviluppano, pertanto, in un orizzonte decennale, che copre il periodo 2013-2022; parimenti decennale e' l'orizzonte in cui operano gli accordi stipulati con alcuni creditori del Comune per la riduzione dei «debiti commerciali»; 2. quantificazione del disavanzo: non vengono inclusi ulteriori disavanzi nel frattempo emersi e/o maturati, giacche' l'art. 38, comma 2-ter, del decreto-legge n. 34/2019 consente solo di «ricalcolare» un disavanzo gia' incluso nel PRFP, fermo restando che ulteriori disavanzi devono seguire il regime di ripiano loro proprio (es. art. 188 T.U.E.L., decreto ministeriale 2 aprile 2015); pertanto: il «...disavanzo gia' oggetto del piano modificato...» (cfr. art. 38, comma 2-ter, decreto-legge n. 34 del 2019), che era in origine pari a € 124.144.849,41 (cfr. quantificazione di cui alla deliberazione C.C. n. 17/2013), al 31 dicembre 2018 ammonta, al netto delle somme gia' recuperate, a € 49.802.285,65; b) gli «...altri disavanzi...» a cui si riferisce l'art. 38, comma 2-ter, decreto-legge n. 34/2019, sarebbero costituiti, per come dichiarato dall'ente, dal solo «maggior disavanzo», il cui recupero (n. 30 quote annuali di € 4.777.943,58 ciascuna) non e' stato mai incluso dall'ente nel PRFP (facolta' invece consentita dal testo originario dell'art. 1, commi 714 e 715, della legge n. 208/2015: cfr., in punto applicativo, Sezione delle autonomie n. 4/2015/INPR, n. 32/2015/INPR, n. 13/2016/QMIG). Sussistono, tuttavia, per il Comune di Reggio Calabria, ulteriori passivita' che seguono piani di rateizzazione paralleli al PRFP, ma non sono inclusi in esso e, precisamente: i debiti verso il Ministero dell'interno (fondo di rotazione ex art. 243-ter T.U.E.L., percepito per € 45.682.648,16, e anticipazione ex art. 243-quinquies T.U.E.L., percepita per € 20.000.000,00); i debiti verso la Cassa depositi e prestiti (anticipazioni di liquidita' percepite ex decreto-legge n. 35/2013 per un totale di € 185.287.196, 87 e ex decreto-legge n. 78/2015 per € 7.867.986,60); inoltre, l'ente - a seguito della delibera istruttoria n. 33/2019 di questa Sezione (volta ad accertare, tra l'altro, anche l'effettiva consistenza del debito dello stesso nei confronti della Regione Calabria, per fornitura idropotabile) - ha stipulato un piano di rientro ventennale del debito nei confronti della Regione Calabria, per fornitura idropotabile fruita fra il 1981 e il 2004; tale ultimo debito ammonta, nel complesso, a € 64.974.388,27 (cfr. nota dell'ente n. 130061 del 31 luglio 2019, acquisita al protocollo Corte dei conti n. 5333 del 2 agosto 2019), da ripianare in rate, di tenore variabile, nel periodo compreso fra il giugno 2020 e il giugno 2039; in particolare, detto ulteriore piano di rateizzazione sposta, negli anni successivi al 2024, il maggior onere annuale del rimborso del debito e, infatti, prevede rate di importo pari ad € 1.000.000,00, per gli anni 2020 e 2021, una rata di € 1.100.000,00, per il 2022, una rata di € 1.200.000,00, per il 2023, una rata di € 1.500.000,00, per il 2024, e, dal 2025 al 2039, rate costanti di € 3.944.959,22; alla data di chiusura dell'esercizio 2018, tali ultime consistenti passivita' non erano state ricondotte nelle scritture contabili. Cio' posto, come gia' detto, la riscrittura del PRFP, di cui alla deliberazione C.C. n. 37/2019, presenta come unica variatio, rispetto al piano di riequilibrio decennale originariamente approvato dal Comune di Reggio Calabria (con deliberazione della commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17, integrata dalla deliberazione della commissione straordinaria n. 142 del 2013) una dilazione temporale del recupero dello stesso disavanzo incluso nel piano medesimo in un termine doppio (ventennale anziche' decennale) rispetto a quello originario. Piu' in dettaglio, il PRFP riproposto prevede che il disavanzo gia' oggetto della procedura di riequilibrio (che, al 31 dicembre 2018, al netto dei ripiani gia' effettuati, ammontava ad € 49.802.285,65) venga recuperato, a partire dal 2019, in quattordici quote annue di € 3.557.306,12; tenuto conto delle sei annualita' del piano gia' decorse, il disavanzo originariamente incluso nel piano medesimo (pari a € 124.144.849,41 secondo la quantificazione di cui alla deliberazione C.C. n. 17/2013) verrebbe ripianato in complessivi venti anni; cio', in quanto gli impegni del titolo I della spesa dell'ultimo rendiconto approvato dall'ente (ossia quello relativo all'esercizio 2018, approvato con deliberazione C.C. n. 18 del 24 maggio 2019) sono pari nel complesso a € 154.615.032,62, e il rapporto fra il «...disavanzo gia' oggetto del piano modificato ...» (cfr. art. 38, comma 2-ter, decreto-legge n. 34/2019) e «...gli impegni di cui al titolo I dell'ultimo rendiconto approvato...» (cfr. art. 243-bis, comma 5-bis, decreto legislativo n. 267/2000, come modificato dall'art. 1, comma 888, legge n. 205 del 2017, a cui l'art. 38, comma 2-bis, decreto-legge n. 34/2019 fa rinvio) e' pari a 80,29% (124.144.849,41 / 154.615.032,62 = 80,29%); pertanto, in base all'art. 1-terdecies del decreto-legge n. 34/2019 (che ha sostituito la tabella di cui al comma 5-bis dell'art. 243-bis del decreto legislativo n. 267/2000, gia' introdotta dall'art. 1, comma 888, legge n. 205 del 2017) il Comune di Reggio Calabria, la cui popolazione e' largamente superiore a n. 60.000 abitanti, si e' avvalso della facolta' di prolungare la durata temporale del proprio PRFP a venti anni. Diritto Preliminarmente, si osserva che, come affermato dalla recente sentenza n. 18/2019 delle SS.RR. in speciale composizione di questa Corte, il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale presenta una duplice natura, ricognitiva e programmatica. Sotto il primo profilo, presuppone una corretta rappresentazione delle poste contabili e, in particolare, della massa passiva da ripianare e, per l'aspetto programmatico, si sostanzia in un giudizio valutativo circa l'idoneita' delle misure previste rispetto all'obiettivo del risanamento dell'ente, mediante riequilibrio strutturale dei conti (cfr. ex multis, sezioni riunite n. 15/2019/EL; Sezione delle autonomie, deliberazione 26 aprile 2018, n. 5/SEZAUT/2018/INPR). La Corte costituzionale inoltre, con la recente sentenza n. 18/2019, ha inquadrato le verifiche della Corte dei conti in materia di PRFP nella categoria del controllo di legittimità-regolarita', in ragione dei caratteri di neutralita' e indipendenza del controllo della Corte dei conti sui bilanci degli enti locali, che sono strumentali al rispetto degli «...obblighi che lo Stato ha assunto nei confronti dell'Unione europea in ordine alle politiche di bilancio...» (cfr. anche sentenza n. 39/2014); inoltre, con sentenza n. 228/2017 (richiamata dalla citata pronuncia n. 18/2019), il Giudice delle leggi ha precisato che i controlli del titolo VIII del T.U.E.L. sono controlli di legittimità-regolarita' e che appartengono a tale «...categoria: a) la determinazione di misure correttive per gli enti in predissesto (art. 243-bis, comma 6, lettera a, del TUEL); b) l'approvazione o il diniego del piano di riequilibrio (art. 243-quater, comma 3, del TUEL); c) gli accertamenti propedeutici alla dichiarazione di dissesto (art. 243-quater, comma 7, del TUEL). Si tratta di funzioni (...) in cui l'attivita' della Corte dei conti risulta rigorosamente ancorata a parametri legali, tanto che la stessa attivita' di controllo e' sottoponibile al sindacato giurisdizionale delle sezioni riunite in speciale composizione, in conformita' ai principi contenuti nella sentenza n. 39 del 2014 di questa Corte...»; pertanto, la circostanza che trattasi di un controllo ancorato a parametri normativi esclude, in se', che l'azione della magistratura contabile possa essere suscettibile di comprimere gli spazi di autonomia finanziaria costituzionalmente riconosciuti agli enti locali. Come puntualmente evidenziato dalla Sezione delle autonomie, nella deliberazione n. 4/2015/INPR «...nel piano di riequilibrio la congruenza delle previsioni rispetto allo scopo di ripristinare l'equilibrio strutturale del bilancio, dipende da numerose ed articolate misure dirette ad aumentare le risorse e a diminuire le uscite. Misure che si bilanciano nel percorso di riequilibrio e che non possono essere arbitrariamente rimodulate»; in ragione di cio', le modifiche dei piani di riequilibrio sono possibili solo entro limiti molto ristretti e tassativi e solo ove espressamente concesso dal legislatore con disciplina tipica (cfr., sul punto, deliberazioni a 32/SEZAUT/2015/INPR, n. 13/SEZAUT/2016/QMIG, n. 9/SEZAUT/2017/QMIG), giacche' la pianificazione di riequilibrio e' retta dal generale principio di intangibilita', «...in ragione del quale si ritengono preclusi adattamenti del percorso di risanamento in fase di attuazione...» (cfr. Sezione delle autonomie n. 5/2018/INPR). Cio' posto, questa Sezione e' oggi tenuta, ai sensi dell'art. 38, comma 2-quater, del decreto-legge n. 34 del 2019 (secondo cui «...Le rimodulazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter non sospendono le azioni esecutive e, considerata la situazione di eccezionale urgenza, sono oggetto di approvazione o di diniego della competente sezione regionale della Corte dei conti entro venti giorni dalla ricezione dell'atto deliberativo del consiglio comunale...») a valutare la modifica, da ultimo intervenuta, del piano di riequilibrio pluriennale del Comune di Reggio Calabria, effettuata ai sensi dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58; tale disposizione stabilisce, infatti, che «...Gli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente, possono riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205....»; avvalendosi di tale norma, il Comune di Reggio Calabria, poiche' il suo piano di riequilibrio (in precedenza, rimodulato, con delibera C.C. n. 23 del 2017, ai sensi del citato art. 1, comma 714, legge n. 208 del 2015) era stato successivamente, «...inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza ... (ndr: la sentenza n. 18/2019 della Corte costituzionale)... della sezione regionale competente...», con deliberazione di consiglio comunale n. 37 del 30 luglio 2019, ha approvato la «...riproposizione..» del proprio piano di riequilibrio, oggetto del presente giudizio; nella fattispecie, la citata deliberazione di questa sezione n. 31/2019 e' uno dei «...provvedimenti conformativi...», alla sentenza n. 18/2019 della Corte costituzionale, che, viene sostanzialmente privato di effetti dall'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, onde consentire, all'ente il cui piano di riequilibrio e' stato appunto «...inciso...», da detta deliberazione n. 31/2019, di «...riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205....». Premesso quanto sopra, prima di esaminare, nel merito, detto ultimo Piano di riequilibrio finanziario appare necessario sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 2-bis e ter, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, anche in combinato disposto con l'art. 1-terdecies del predetto decreto, sostitutivo della tabella di cui al comma 5-bis dell'art. 243-bis del decreto legislativo n. 267/2000 (Testo unico enti locali, T.U.E.L). Infatti, come meglio si dira' in prosieguo, a giudizio del collegio, appare non manifestamente infondata la sussistenza di un contrasto: 1. dell'art. 38, commi 2-bis e 2-ter, in combinato disposto con il comma 1-terdecies dell'art. 38 medesimo, del decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019), con i parametri stabiliti dagli articoli 81, 97, primo comma, 117, primo comma, per violazione del parametro interposto del preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 3 del Trattato consolidato dell'Unione europea, nonche' dell'art. 119, sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui tali disposizioni consentono al Comune di Reggio Calabria di ripianare il disavanzo oggetto del PRFP in un termine ventennale anziche' decennale; infatti, le norme della cui costituzionalita' si dubita, consentono che uno squilibrio finanziario, di origine risalente nel tempo, venga ripianto in un tempo doppio rispetto a quello - gia' non breve, in quanto decennale - originariamente prospettato dal PRFP, in assenza di qualsivoglia giustificazione se non quella riconducibile alla insostenibilita' del progetto di risanamento e ad evitare conseguenze come quella del dissesto finanziario: cio' contrasta con il principio dell'equilibrio di bilancio, sacrificato in nome di esigenze che appaiono non costituzionalmente degne di tutela; infatti, tale situazione comporta un evidente ribaltamento, sulle generazioni future, di debiti risalenti nel tempo, oltre alla, altrettanto evidente, conseguenza che risorse di bilancio «liberate» (in virtu' dell'alleggerimento della quota annuale di disavanzo da recuperare), lungi dall'essere destinate al risanamento finanziario dell'ente, possano essere impiegate per espandere la spesa futura, con rischio di creazione di ulteriori disavanzi che saranno a carico delle generazioni future; 2. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019), con i parametri stabiliti dagli articoli articoli 3, 102, comma 1, 100, 103, e 113 della Costituzione, nonche' agli articoli 24 e 111 della Costituzione, in quanto tale disposizione, consentendo ad ogni Comune «...inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza ...(ndr: la n. 18/2019 della Corte costituzionale)...della sezione regionale competente...» di «...riproporre...» il PRFP, da' luogo ad una deroga ingiustificata, per quanto si dira' in seguito, alla intangibilita' del decisum della Sezione di controllo della Corte dei conti; 3. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019) con gli articoli 3, 24, 111 e 117, comma primo, della Costituzione, rispetto al parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1, nonche' dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; infatti, la facolta' di revisione del PRFP, inserita peraltro in un quadro di costante instabilita' legislativa della disciplina concernente la fattispecie delle procedure straordinarie di riequilibrio, determina una situazione di incertezza del diritto, in grado di compromettere la tutela del patrimonio dei creditori e delle loro ragioni di credito; 4. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in combinato disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, comma 1, poiche' appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione ed adottato dal Governo al di fuori dei «...casi straordinari di necessita' e urgenza...» in violazione dell'art. 77 della Costituzione. Al riguardo, preliminarmente, si ritiene sussistente la legittimazione della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria a sollevare la questione di costituzionalita' in via incidentale, nell'ambito dei controlli sul piano di riequilibrio, secondo i principi, recentemente affermati dalla Corte costituzionale (cfr. sentenze numeri 18/2019 e 105/2019); infatti, sia nella sentenza n. 18/2019 che nella sentenza n. 105/2019, cui per economia espositiva si fa espresso rinvio, il giudice delle leggi ha chiaramente affermato la legittimazione della Sezione di controllo della Corte dei conti a sollevare la questione di costituzionalita' in via incidentale, nell'ambito dell'attivita' istituzionale di controllo dei piani di riequilibrio, in ipotesi analoghe alla fattispecie oggetto del presente giudizio (in cui, proprio come nelle ipotesi esaminate dalla Corte costituzionale nelle sentenze da ultimo citate, questa Sezione deve valutare la rimodulazione di un piano di riequilibrio, a seguito di una modifica normativa intervenuta durante la vigenza del piano di riequilibrio medesimo); in particolare, infatti, nella sentenza n. 18/2019, la Corte costituzionale ha affermato che «...al problema pregiudiziale della legittimazione della Sezione di controllo della Corte dei conti a sollevare questioni di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale), e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), deve darsi risposta affermativa, in coerenza con i criteri individuati da questa Corte e in particolare con quelli contenuti nella sentenza n. 226 del 1976, che ha individuato i requisiti necessari e sufficienti affinche' le questioni sollevate dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimita' sugli atti - cui il controllo in considerazione ... (n.d.r.: il riferimento e' al controllo sui piani di riequilibrio).., va assimilato - possano considerarsi promanare da un «giudice» nel corso di un «giudizio» (art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948). Detti criteri sono stati di recente ribaditi a proposito degli incidenti di costituzionalita' sollevati nell'ambito dei giudizi di parificazione dinanzi alla Corte dei conti (sentenze n. 196 del 2018 e n. 188 del 2015)...». Inoltre, nella fattispecie, si ritiene anche sussistente il requisito della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale qui di seguito prospettata in quanto il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa. Sul punto, occorre osservare che, come gia' detto, l'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, interviene nel procedimento di controllo del piano di riequilibrio consentendo agli enti locali «...che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente Sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente...» di «...riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205....». La «normativa vigente» a cui rinvia il predetto art. 38, comma 2-bis (nonche' il successivo comma 2-ter, secondo cui «...La riproposizione di cui al comma 2-bis deve contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo gia' oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente, ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi...») e', poi, sostanzialmente, quella di cui all'art. 243-bis, comma 5-bis, T.U.E.L. Infatti, la disposizione, da ultimo citata, introduce una «formula aritmetica» volta a dare applicazione al portato del comma 5 del citato art. 243-bis T.U.E.L., come introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2018, dall'art. 1, comma 888, lettera a), legge 27 dicembre 2017, n. 205; il predetto comma 5 specifica, in senso generale ed astratto, che la durata del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e' compresa fra i quattro e i venti anni. Secondo il primo inciso del comma 5-bis - pure introdotto dall'art. 1, comma 888, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 - «...La durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, di cui al primo periodo del comma 5, e' determinata sulla base del rapporto tra le passivita' da ripianare nel medesimo e l'ammontare degli impegni di cui al titolo I della spesa del rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dell'ultimo rendiconto approvato, secondo la seguente tabella...»: 19C00335_Tab1.pdf Detta tabella e' stata sostituita, dal comma 1-terdecies dell'art. 38 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, nel testo convertito con legge 28 giugno 2019, n. 58, nei seguenti termini: 19C00335_Tab2.pdf Nella fattispecie, quindi, avvalendosi dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, ed in virtu' del rapporto passivita'/impegni del titolo I delineato dalla tabella di cui al comma 5-bis dell'art. 243-bis T.U.E.L. (come sostituita dall'art. 1-terdecies del citato decreto-legge n. 34 del 2019) il Comune di Reggio Calabria ha modificato il Piano di riequilibrio decennale, precedentemente approvato, prolungandone appunto la durata a venti anni. Come si e' detto in precedenza, la pianificazione di risanamento, contenuta nel piano medesimo, continua pero' ad essere incentrata su proiezioni di entrata e di spesa, di durata decennale, dal momento che l'art. 38, ai commi 2-bis e 2-ter, non impone, ne' consente, una revisione di tale pianificazione nel suo complesso; altrettanto decennale (conformemente, del resto, alla previsione di cui all'art. 1, comma 889, della legge n. 205/2017, ove e' contenuta la dizione: «...Fermi restando i tempi di pagamento dei creditori...», richiamata pure dal predetto art. 38, comma 2-bis, decreto-legge n. 34/2019) risulta il piano di smaltimento dei debiti commerciali, per i quali, in particolare, alcuni «grandi creditori» del Comune di Reggio Calabria, sulla base della durata originaria del piano, hanno concesso «riduzioni e sconti» all'ente (cfr. pag. 30 del documento approvato con deliberazione C.S. n. 17 del 2013 - allegato A); il complesso di disposizioni in esame, quindi, prevedendo la variazione non dell'intero percorso di risanamento ma della sola «spalmatura», nel tempo, del disavanzo originario (...quello, per intenderci, del PRFP approvato con deliberazione della commissione straordinaria n. 17 dell'8 febbraio 2013...) rende praticamente impossibile alla sezione di controllo la verifica della congruita' della pianificazione nonche' del futuro rispetto degli «obiettivi intermedi» e di quelli «finali» di cui all'art. 243-quater, comma 6, T.U.E.L. E' vero, infatti, che il cosiddetto ritmo di rientro del disavanzo costituisce il primo e principale fattore da prendere in considerazione nella valutazione del raggiungimento degli obiettivi intermedi, come piu' volte gia' evidenziato da questa Sezione in altre occasioni (cfr. deliberazione n. 31/2019/PRSP e n. 106/2019/PRSP; in termini anche SRC Campania, n. 240/2017/PRSP); e' altrettanto vero, pero', che la procedura «straordinaria» di riequilibrio finanziario pluriennale differisce da quella «ordinaria» non solo per la durata massima del periodo di riequilibrio, ma anche perche', nel riequilibrio pluriennale, la pianificazione, espressa nella deliberazione di salvaguardia degli equilibri di bilancio, si riflette in maniera contestuale sui documenti di bilancio (con la variazione dei bilanci di previsione annuale e pluriennale); il ricorso al piano di riequilibrio non si esaurisce, quindi, in un mero piano di estinzione rateizzata dei debiti, in un esteso arco di tempo, ma deve prevedere anche l'adozione di misure strutturali che evitino il riformarsi dei debiti medesimi; tali misure devono incidere maggiormente nei primi anni previsti dal piano per poi stabilizzarsi negli anni successivi; si deve cioe' dimostrare di poter garantire, anche in prospettiva, un equilibrio economico-finanziario veritiero e durevole nel tempo (cfr., sul punto, Sezione delle autonomie n. 5/2018/INPR). Cio' premesso, appare di estrema evidenza che una pianificazione-programmazione decennale confligge frontalmente con un recupero del disavanzo ventennale, e impedisce sostanzialmente (nell'ambito della funzione di «monitoraggio» della procedura di riequilibrio che l'ordinamento intesta alla Corte dei conti ex art. 243-quater T.U.E.L., commi 3 e 6) la verifica della congruita' della «riproposizione» del PRFP (che e' oggetto principale del giudizio di approvazione o di diniego a cui la Sezione e' chiamata, ex art. 38, comma 2-quater, decreto-legge n. 34 del 2019), nonche', per il futuro, dell'eventuale «grave e reiterato inadempimento» di cui all'art. 243-quater comma 7, T.U.E.L; proprio tale discrasia (tra pianificazione-programmazione decennale e recupero del disavanzo ventennale), quindi, preclude sostanzialmente alla Sezione la funzione verifica di legalita' finanziaria finalizzata ad attestare la correttezza del percorso di risanamento. Cio' detto, si osserva che, nella fattispecie, appare indispensabile fare applicazione delle norme, della cui costituzionalita' si dubita, al fine di emettere il giudizio di cui all'art. 38, comma 2-quater, decreto-legge n. 34/2019, ove e' previsto che: «....Le rimodulazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter (...) sono oggetto di approvazione o di diniego della competente Sezione regionale della Corte dei conti....» nonche' (in caso di approvazione della riscrittura del PRFP) ulteriori giudizi sul raggiungimento degli «obiettivi intermedi»; cio', rende evidente la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale qui di seguito prospettata. Peraltro, come e' noto, un giudice non puo' «ius dicere» in base a norme della cui costituzionalita' dubita: ove infatti ritenga «non manifestamente infondata» la questione di legittimita' costituzionale sorta (articoli 23 e 24 della legge n. 87/1953), e' tenuto a rimettere alla Corte costituzionale la delibazione delle disposizioni rilevanti nel proprio giudizio. Inoltre, nell'ambito dei compiti e delle valutazioni che la legge e la Costituzione affidano al giudice a quo (Corte costituzionale, sentenze n. 221/2015, n. 262/2015, n. 45/2016, n. 95/ 2016, n. 240/2016), questa Sezione ritiene altresi' che non sia possibile dare alle disposizioni «rilevanti» nel caso concreto una applicazione conforme alla Costituzione, stante il chiaro tenore letterale delle stesse, che non lascia margini interpretativi. Si osserva, infine, che le argomentazioni di cui sopra sono gia' state spese dalla Sezione di controllo per la Regione Campania (...ed accolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18/2019...) in una fattispecie analoga (cfr. l'ordinanza n. 19/2018, della SRC Campania, con la quale e' stata sollevata «...questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)», come sostituito dall'art. 1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), in riferimento agli articoli 81 e 97 della Costituzione, autonomamente e in combinato disposto con gli articoli 1, 2, 3 e 41 della Costituzione, e agli articoli 24 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonche' all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con la stessa legge n. 848 del 1955...»); la Corte costituzionale, in tale occasione, ha, evidentemente, condiviso il ragionamento del remittente (che aveva evidenziato come «....ove la norma fosse applicata.... la verifica dell'eventuale «grave e reiterato inadempimento» sarebbe pregiudicata, e anzi impossibile, per la scomparsa dei criteri di riferimento contenuti nel piano di riequilibrio. Sarebbe cosi' preclusa la funzione di vigilanza-ingerenza non solo per gli effetti ricadenti sull'esercizio in corso ma anche per gli esercizi a venire...») affermando che «..Alla luce di quanto precede, le motivazioni addotte dal rimettente - in uno con quelle afferenti all'impossibilita' di dare della disposizione censurata un'interpretazione conforme a Costituzione, preclusa dall'incontrovertibile dato testuale - risultano sufficienti, congrue e coerenti nel dimostrare il rapporto di pregiudizialita' tra le questioni proposte e la decisione da assumere al termine del semestre di riferimento...». Anche sotto questo ulteriore profilo, appare di tutta evidenza come, anche nella presente fattispecie, in base alle predette considerazioni, debba ritenersi sussistente il requisito della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale prospettata. Inoltre, altrettanto evidente appare la sussistenza, nella fattispecie, del requisito della non manifesta infondatezza della predetta questione di legittimita' costituzionale, nei termini, qui di seguito, prospettati. Infatti, appare non manifestamente infondata la sussistenza di un contrasto: 1. delle disposizioni di cui all'art. 38, commi 2-bis e ter, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in combinato disposto con l'art. 1-terdecies del predetto decreto, sostitutivo della tabella di cui al comma 5-bis dell'art. 243-bis del decreto legislativo n. 267/2000 (Testo unico enti locali, T.U.E.L.), con i parametri stabiliti dagli articoli 81 della Costituzione, 97, primo comma, della Costituzione, 117, primo comma, della Costituzione per violazione del parametro interposto del preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 3 del Trattato consolidato dell'Unione europea nonche' dell'art. 119, sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui tali disposizioni consentono al Comune di Reggio Calabria di prolungare fino a venti anni la durata del proprio PRFP, precedentemente approvato per una durata decennale; 2. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, con i parametri stabiliti dagli articoli 3, 102 comma 1, 100, 103, e 113 della Costituzione nonche' dagli articoli 24 e 111 della Costituzione; nella parte in cui tale disposizione consente agli «...enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019...» anche se «...inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente...» di riproporre il piano di riequilibrio per adeguarlo alla «...normativa vigente...» (in tal modo, eliminando, iure autoritatis, sostanzialmente, gli effetti delle pronunce delle sezioni di controllo della Corte dei conti, competenti per territorio, che avevano doverosamente affermato l'obbligo dei comuni di conformare il piano di riequilibrio in essere ai principi sanciti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18/2019); peraltro, nella fattispecie, la predetta pronuncia conformativa della Sezione di controllo per la Regione Calabria (n. 31/2019) e' divenuta definitiva per mancata impugnazione della stessa da parte del Comune di Reggio Calabria; 3. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, con gli articoli 3, 24, 111 e 117, comma primo, della Costituzione, rispetto al parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1, nonche' dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui, introducendo una ennesima fattispecie di riscrittura del piano di riequilibrio, per comuni gia' beneficiari di facolta' di rimodulazione/riformulazione, lede la certezza del diritto e la salvaguardia delle esigenze dei terzi amministrati e dei soggetti creditori; 4. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in combinato disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, comma 1, poiche' appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione ed adottato dal Governo al di fuori dei «...casi straordinari di necessita' e urgenza...» in violazione dell'art. 77 della Costituzione. Qui di seguito, verranno dettagliatamente esposte le motivazioni per cui la normativa, della cui costituzionalita' si dubita, appare in contrasto con la Costituzione e, in particolare: 1) L'art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies del decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019) appare in contrasto con gli articoli 81 e 97, comma 1, 117, comma 1, 119, comma 6, in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione. E' noto che, dopo la riforma intervenuta con la legge costituzionale n. 1 del 2012, la Corte costituzionale ha dato ricorrentemente forza al precetto dell'equilibrio di bilancio (gia' declinato quale «...equilibrio tendenziale...»: cfr. ex plurimis sentenza n. 213/2008), trasformandolo in una «clausola generale ............. in grado di operare pure in assenza di norme interposte...» (Corte costituzionale, sentenza n. 192/2012). E' stato in particolare affermato che: «...nel sindacato di costituzionalita' copertura finanziaria ed equilibrio integrano una clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l'antinomia [con le disposizioni impugnate] coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti "la forza espansiva dell'art. 81, quarto [oggi terzo] comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza pubblica, si sostanzia in una vera e propria clausola generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile" (sentenza n. 192 del 2012)...» (Corte costituzionale, sentenza n. 184/ 2016). Il giudice delle leggi ha fornito inoltre numerose indicazioni tese ad evitare che il legislatore svuoti di significativita' il precetto di cui all'art. 81 della Costituzione: infatti, anche una discrezionalita' politica molto ampia deve essere esercitata in coerenza con i valori fondamentali della Carta costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 52 del 2016, nonche', in termini, n. 6 del 2019). Infatti, il precetto dell'equilibrio costituisce la naturale prosecuzione ed evoluzione dell'obbligo di copertura finanziaria gia' previsto dalla formulazione dell'art. 81, comma 3, della Costituzione anteriormente alle modifiche di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2012. La Corte costituzionale ha precisato che «...copertura economica delle spese ed equilibrio del bilancio sono due facce della stessa medaglia, dal momento che l'equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse...» (Corte costituzionale, sentenza n. 274/ 2017, punto 4 in diritto); si tratta di un equilibrio che non puo' che operare sul complesso dell'intero bilancio - ossia sulla totalita' delle sue componenti (voci di entrata e di spesa) - giacche' la conseguenza di mancate coperture si riverbererebbe, in senso negativo, sull'attuazione di tutte le politiche pubbliche aventi costi specifici, ivi comprese quelle relative alla promozione dei diritti sociali; rispettare l'equilibrio di bilancio significa quindi, in ultima analisi, supportare con risorse effettive le politiche pubbliche democraticamente determinate; questo significa anche, in parallelo, realizzare le condizioni affinche' la Repubblica possa rimuovere «...gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...», garantendo l'uguaglianza sostanziale dei cittadini art. 3, comma 2, della Costituzione cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 10/2016 e n. 70/2015). Sul piano temporale, l'equilibrio di bilancio e' stato declinato dalla Corte costituzionale in senso dinamico o tendenziale: la copertura della spesa deve essere nel tempo non solo «...previa...» ma anche «...costante...» (Corte costituzionale n. 247 del 2017); cio' impone «...all'amministrazione un impegno non circoscritto al solo momento dell'approvazione del bilancio, ma esteso a tutte le situazioni in cui tale equilibrio venga a mancare per eventi sopravvenuti o per difetto genetico conseguente all'impostazione della stessa legge di bilancio...» (Corte costituzionale n. 250 del 2013); di fatto, quindi, i soggetti, investiti di cariche pubbliche, hanno il preciso dovere di portare in equilibrio il bilancio, in sede previsionale, e di mantenerlo (o riportarlo) in equilibrio, in fase consuntiva, rammentando sempre che il profilo della «...salvaguardia di bilancio...» costituisce uno strumento di verifica e misurazione della responsabilita' dei soggetti titolari di cariche elettive: la violazione dell'equilibrio, infatti, attiva un sistema di responsabilita' giuridiche e politiche, attraverso cui il principio della legittimazione democratica delle istituzioni si rende effettivo (art. 97 della Costituzione). Come evidenziato dal giudice delle leggi, nella sentenza n. 228/2017, la disciplina di salvaguardia si pone come «...strumentale all'effettivita' di adempimenti primari del mandato elettorale [e] indissolubilmente legat[a] alla cura dei sottesi interessi finanziari. [Tale disciplina] si ricollega [...] a un'esigenza sistemica unitaria dell'ordinamento, secondo cui sia la mancata approvazione dei bilanci, sia l'incuria del loro squilibrio strutturale interrompono - in virtu' di una presunzione assoluta - il legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti...». Infine, sebbene l'orizzonte temporale della salvaguardia del bilancio copra di fatto un orizzonte triennale (articoli 162, 188, 193 e 194 T.U.E.L.), il principio dell'equilibrio dinamico o tendenziale elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (nell'imporre un processo continuo di verifica e adeguamento delle coperture finanziarie e degli obiettivi di bilancio, al fine di tenere «la bilancia dei conti» in equilibrio durante le diverse congiunture che caratterizzano l'economia nazionale e quella locale) corrisponde a un principio di trasparenza collegato all'equita' intergenerazionale; infatti, un bilancio in equilibrio, nel breve e nel lungo termine, garantisce quella «conservazione di risorse» che porta, poi, alla sostenibilita' economica, nel lungo termine, dei diritti sociali (gli stessi riconosciuti e tutelati dall'art. 2 della Costituzione) e garantisce che le generazioni future godano di tali diritti in misura almeno pari a quelli attualmente riconosciuti: in altre parole, un dovere costituzionalmente previsto attualmente, ossia il dovere di tenere i «conti» in equilibrio statico e dinamico, garantisce il principio di solidarieta' espresso dall'art. 2 della Costituzione in una dimensione presente e futura, secondo una aspirazione solidaristica e prudenziale che deve caratterizzare, in modo naturale e inevitabile, ogni ordinamento giuridico e costituzionale: non puo' non ritenersi che ogni ordinamento, e, in definitiva, ogni Costituzione, che ambisca a durare nel tempo, debba farsi carico di tutelare quanti in un futuro, piu' o meno lontano, si troveranno a comporre la societa' di cui quella Costituzione continuera' ad essere norma fondante. Del resto, l'art. 81 della Costituzione non e' l'unica disposizione della Carta costituzionale da cui si ricava una attenzione e una salvaguardia dell'equita' intergenerazionale. Infatti, l'art. 117, primo comma della Costituzione, richiede, come ben noto, che il legislatore italiano garantisca il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dalle normative dell'Unione europea; queste ultime tutelano espressamente la «... solidarieta' intergenerazionale...»: il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione sancisce, in particolare, che il godimento di tali diritti «...fa sorgere responsabilita' e doveri nei confronti degli altri come pure della comunita' umana e delle generazioni future...»; in modo non dissimile, anche l'art. 3 della versione consolidata del trattato sull'Unione europea prevede che la stessa «...combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parita' tra donne e uomini, la solidarieta' tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore...». Ancora, l'art. 97 della Costituzione, nel suo primo comma, afferma che «...Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita' del debito pubblico...»: sostenibilita' del debito significa, tra l'altro, che vi deve essere una necessaria corrispondenza tra quanti traggono beneficio dall'indebitamento pubblico e quanti dovranno poi ripagarlo, come del resto conferma l'art. 119 della Costituzione, secondo cui - in un quadro armonico che collega e «chiude» il cerchio dei principi espressi dagli articoli 81 e 97 della Costituzione - l'eventuale ricorso all'indebitamento volto a finanziare spese di investimento puo' avvenire «...solo con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio...». Tutto cio' premesso, si ritiene che il combinato disposto dell'art. 38, comma 2-bis e 2-ter e 1-terdecies, del decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019), nella parte in cui consente ai comuni, gia' interessati dalla disposizione di cui all'art. 1, comma 714, legge n. 208 del 2015 (come modificato dalla legge n. 232 del 2016, art. 1, comma 434, norma dichiarata incostituzionale con sentenza n. 18/2019) di riproporre il proprio PRFP, gia' approvato per una durata decennale, estendendolo in un orizzonte ultradecennale - e, nel caso concreto sottoposto al giudice a quo, ventennale - sia in frontale contrasto con il principio dell'equilibrio di bilancio che trova copertura costituzionale, nelle declinazioni supra evidenziate (equilibrio dinamico e intergenerazionale), negli articoli 81, 97 comma 1, 117 comma 1, 119, comma 6, anche in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione. Come gia' accennato, le norme, della cui legittimita' costituzionale si dubita, consentono che uno squilibrio, di origine risalente nel tempo, venga ripianato in un tempo doppio rispetto a quello - gia' non breve, in quanto decennale - originariamente prospettato, in assenza di qualsivoglia giustificazione se non quella riconducibile alla insostenibilita' del progetto di risanamento; cio' comporta il ribaltamento su generazioni future di debiti risalenti nel tempo, oltre alla liberazione di risorse (in virtu' dell'alleggerimento della quota annuale di disavanzo da recuperare) che, lungi dall'essere destinate al risanamento finanziario dell'ente, possono essere impiegate per espandere la spesa futura. Appare doveroso premettere che, secondo la recente sentenza n. 18 del 2019 della Corte costituzionale, «...i precetti espressi negli articoli 81 e 97, primo comma, della Costituzione hanno i caratteri di principi generali, nondimeno essi sono anche inverati dalle specifiche disposizioni normative che disciplinano - a regime - la gestione dei disavanzi degli enti territoriali: l'art. 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'art. 81, sesto comma, della Costituzione); l'art. 42 del decreto legislativo n. 118 del 2011; l'art. 188 del decreto legislativo n. 267 del 2000; l'allegato 1, numero 8), del decreto legislativo n. 118 del 2011. La prima disposizione, contenuta in una cosiddetta legge rinforzata, prevede che "[q]ualora, in sede di rendiconto di gestione, un ente [...] registri un valore negativo del saldo, il predetto ente adotta misure di correzione tali da assicurarne il recupero entro il triennio successivo, in quote costanti". La seconda stabilisce, ai commi 12 e 13, che "12. L'eventuale disavanzo di amministrazione accertato [...] a seguito dell'approvazione del rendiconto, al netto del debito autorizzato e non contratto di cui all'art. 40, comma 1, e' applicato al primo esercizio del bilancio di previsione dell'esercizio in corso di gestione. La mancata variazione di bilancio che, in corso di gestione, applica il disavanzo al bilancio e' equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione. Il disavanzo di amministrazione puo' anche essere ripianato negli esercizi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della legislatura regionale, contestualmente all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio. [...] 13. La deliberazione di cui al comma 12 contiene l'impegno formale di evitare la formazione di ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed e' allegata al bilancio di previsione e al rendiconto, costituendone parte integrante". L'art. 188 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prescrive che "[l]'eventuale disavanzo di amministrazione [...] e' immediatamente applicato all'esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto. La mancata adozione della delibera che applica il disavanzo al bilancio in corso di gestione e' equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione. Il disavanzo di amministrazione puo' anche essere ripianato negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della consiliatura, contestualmente all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio". Infine, l'allegato 1, numero 8), del decreto legislativo n. 118 del 2011, di carattere complementare rispetto alle norme precedenti, statuisce che "[l]a congruita' delle entrate e delle spese deve essere valutata in relazione agli obiettivi programmati, agli andamenti storici ed al riflesso nel periodo degli impegni pluriennali che sono coerentemente rappresentati nel sistema di bilancio nelle fasi di previsione e programmazione, di gestione e rendicontazione". E' evidente che l'ordinamento finanziario-contabile prevede, in via gradata: a) l'immediata copertura del deficit entro l'anno successivo al suo formarsi; b) il rientro entro il triennio successivo (in chiaro collegamento con la programmazione triennale) all'esercizio in cui il disavanzo viene alla luce; c) il rientro in un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel corso del quale tale disavanzo si e' verificato. In sostanza, la fattispecie legale di base stabilisce che: a) al deficit si deve porre rimedio subito per evitare che eventuali squilibri strutturali finiscano per sommarsi nel tempo producendo l'inevitabile dissesto; b) la sua rimozione non puo' comunque superare il tempo della programmazione triennale e quello della scadenza del mandato elettorale, affinche' gli amministratori possano presentarsi in modo trasparente al giudizio dell'elettorato al termine del loro mandato, senza lasciare "eredita'" finanziariamente onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati; c) l'istruttoria relativa alle ipotesi di risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo storico, economico e giuridico. Nell'ambito di tale tessuto normativo inerente alla disciplina dei disavanzi sono state apportate le seguenti deroghe: a) l'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118 del 2011 prevede che: "[n]elle more dell'emanazione del decreto [del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno], l'eventuale maggiore disavanzo di amministrazione al 1° gennaio 2015, determinato dal riaccertamento straordinario dei residui [...] e dal primo accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilita' e' ripianato in non piu' di 30 esercizi a quote costanti l'anno"; b) l'art. 243-bis (Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale) del testo unico enti locali, nel testo precedente alle modifiche apportate dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) stabilisce che: "1. I comuni e le province per i quali [...] sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario [...] possono ricorrere, con deliberazione consiliare alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. [...] 5. Il consiglio dell'ente locale [...] delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziario". Nella versione attualmente in vigore, che peraltro non e' rilevante nel giudizio a quo, stabilisce che il "piano di riequilibrio finanziario pluriennale [puo' avere] durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso"...». I giudici di Palazzo della consulta hanno, quindi, evidenziato come l'ordinamento imponga la regola generale del ripiano «in tempi brevi» del disavanzo: infatti, il regime dei piani di riequilibrio pluriennale gia' costituisce una deroga al precetto generale, e proprio per tale motivo e' uno strumento «straordinario» di risanamento; le deroghe, tuttavia, non possono essere «eccentriche»: non possono essere tali, cioe', da produrre «...effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile...» (sentenza n. 192 del 2012, sentenza n. 184 del 2016); nel caso di specie, si ritiene che le disposizioni, della cui costituzionalita' si dubita, provochino questi «...effetti perturbanti...», apportando una deroga al principio dell'equilibrio di bilancio non sorretta dalla necessita' di tutelare altri principi di pari dignita' costituzionale (rectius: di dignita' costituzionale). La convinzione di questo giudice si basa su piu' elementi concordanti. In primo luogo, ci si trova di fronte a piani di riequilibrio che non nascono con orizzonte temporale di pianificazione gia' lungo, ma che mutano in corsa la loro natura, facendo si' che una pianificazione di risanamento «...di media durata...» (decennale) venga utilizzata, in modo forzoso, per un recupero di una massa passiva su un orizzonte temporale «...di lunga durata...» (ventennale); questa forzatura e' imposta dall'art. 38, commi 2-bis e 2-ter, dal momento che la riscrittura del PRFP e' di fatto limitata al «...ricalcolo complessivo del disavanzo gia' oggetto del piano modificato...» (art. 38, comma 2-ter) ma tiene, pero', fermi i tempi di pagamento dei creditori (quindi: gia' concordati con i creditori in base all'originario orizzonte, nella fattispecie decennale, di durata del PRFP); infatti, in virtu' del richiamo all'art. 1, comma 889, legge n. 205/2017, effettuato dall'art. 38, comma 2-bis, tali tempi (...che anche l'art. 1, comma 714, legge n. 208 del 2015 «...manteneva fermi...»...) non possono che essere quelli decennali o intra-decennali di durata «...originaria...» del piano (ossia della durata, non intaccata dalla modifica introdotta dall'art. 1, comma 888, legge n. 205/2017, che, come detto, incidendo sull'art. 243-bis, comma 5, T.U.E.L., ha esteso il teorico orizzonte temporale dei piani di riequilibrio in un arco compreso fra quattro e venti annualita'). Questa forzatura e' tanto piu' grave ove si pensi che non e' dovuta a fattori eccezionali o al perseguimento di finalita' compatibili con la tutela del precetto dell'equilibrio di bilancio - precetto che, come detto, impone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla individuazione delle pertinenti risorse per fronteggiarlo (Corte costituzionale, sentenza n. 274/2017) - ma di fatto all'unica esigenza di consentire ad enti, in affanno finanziario, di poter dilazionare nel tempo disavanzi storicamente accumulati; infatti, e' di tutta evidenza che, ad essere proiettato nel tempo futuro, e' solo un disavanzo pregresso, non avendo dato la norma di cui all'art. 38, comma 2-ter del decreto-legge n. 34 del 2019, la facolta' di «rivisitare in toto» il contenuto del PRFP, con l'inserimento di nuovi disavanzi nel frattempo emersi o accumulati durante il percorso di risanamento (ex art. 38, comma 2-ter: «...La riproposizione di cui al comma 2-bis deve contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo gia' oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente, ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi...»); prova ne e' che, con una sorta di fictio iuris, il comma, da ultimo citato, calcola la sostenibilita' del PRFP andando a ritroso nel tempo, ossia utilizzando, come base di calcolo, le passivita' incluse nel piano originario decennale, al chiaro scopo di consentirne la «spalmatura pro futuro» (una volta calcolato il loro rapporto con gli impegni del titolo I). In particolare, quindi, il legislatore, nella fattispecie normativa della cui costituzionalita' si dubita, impone irrazionalmente di calcolare la sostenibilita' del PRFP prendendo a riferimento dati del tutto disomogenei; infatti, il combinato disposto dell'art. 38, comma 2-ter, decreto-legge n. 34 del 2019 e dell'art. 38, comma 1-terdecies, del medesimo decreto-legge impone un improbabile raffronto tra un dato del passato (il disavanzo da PRFP, che, nel caso del Comune di Reggio Calabria, e' stato accertato nel 2012) e un dato del presente (gli impegni del titolo I della spesa dell'ultimo rendiconto approvato, nel caso del Comune di Reggio Calabria quello al 31 dicembre 2018); cio', al solo scopo di «allungare» (nel caso di Reggio Calabria di ben quattordici annualita') il ripiano di un deficit che, pur originato nel passato, non e' piu' lo stesso del PRFP un tempo approvato (in virtu' dei recuperi nel frattempo intervenuti). Ancora, spia evidente del meccanismo solo dilatorio e orientato all'unica finalita' di prolungare la durata del piano di riequilibrio per ridurre la quota annuale di rimborso del disavanzo (per consentire ad uno sparuto drappello di comuni di avere una forte agevolazione - si potrebbe dire una «boccata di ossigeno finanziario» - onde evitare il dissesto) e' anche la modifica del «rapporto di sostenibilita'» individuato dalla tabella di cui al comma 5-bis dell'art. 243-bis T.U.E.L., come sostituita dall'art. 38 comma 1-terdecies; questa tabella, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 888, legge n. 205 del 2017 (vigente dall'1 gennaio 2018 al 29 giugno 2019) prevedeva un rapporto fra passivita' e impegni del titolo I molto meno orientato a consentire spalmature future del debito, come risulta, all'evidenza, dal confronto di seguito riportato: 19C00335_Tab3.pdf Come si puo' osservare, la modifica di cui all'art. 38, comma 1-terdecies ha nettamente favorito i comuni di dimensioni medio-gradi, «calibrando», solo per questi ultimi, il rapporto «passivita' da PRFP/impegni del titolo I» in modo da favorire regimi di ripiano ventennali; infatti, un Comune come Reggio Calabria, anteriormente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 34 del 2019, avrebbe potuto - ove vi fossero stati gli estremi per l'applicazione della regola tracciata dall'art. 243-bis, comma 5-bis, T.U.E.L. come integrato dal piu' volte citato art. 1, comma 888 - presentare un PRFP di durata, al massimo, quindicennale. Neppure puo' sostenersi che le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 34 del 2019 siano tese a ricondurre ad unita' la disciplina dei piani di riequilibrio, consentendo a tutti i comuni di stabilire la durata dei loro piani di risanamento in modo oggettivo, ossia secondo un criterio di sostenibilita' univoco e omogeneo. Infatti, se la logica che muove il legislatore deve essere quella di individuare, in modo oggettivo, un parametro di sostenibilita' del PRFP, non si comprendono le ragioni per cui un Comune di medio-piccole dimensione (inferiore alla soglia di n. 60.000 abitanti) dovrebbe poter fruire di un piano di riequilibrio di piu' corta durata (e quindi affrontare un indebitamento «meno agevolato») solo in virtu' della sua classe demografica (la quale non ha evidentemente alcuna incidenza concreta sulla sostenibilita' di un percorso di risanamento), che raramente gli consentirebbe di accedere ad un piano di riequilibrio a lungo termine (occorrerebbe, infatti, un rapporto fra passivita' e impegni del titolo I superiore al 100%). Se, invece, il legislatore fosse stato mosso dalla reale necessita' di una «recondutio ad unitatem» della disciplina dei PRFP sotto il profilo della durata, avrebbe consentito di fruire del (piu' favorevole) rapporto passivita'/impegni del titolo I di cui alla tabella introdotta dall'art. 38, comma 1-terdecies, decreto-legge n. 34 del 2019 a tutti i comuni, consentendo l'adattamento dei piani non solo a quelli «...che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente..."; invece, come gia' detto, la disciplina di cui all'art. 38, comma 1-terdecies, e' destinata ad operare solo nei confronti di pochi enti locali e di quelli che approveranno il proprio PRFP dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 34/2019, convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019 (quindi dopo il 30 giugno 2019). E' evidente, quindi, che il nuovo rapporto «...passivita'/impegni del titolo I...», di cui all'art. 38, comma l-terdecies, e' cosi' palesemente teso a consentire ampliamenti dell'orizzonte temporale di restituzione del debitum solo ad alcuni comuni, da apparire in netto contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza, sanciti dall'art. 3 della Costituzione. In conclusione, ritiene questa Sezione che l'unica giustificazione all'intervento normativo, della cui costituzionalita' si dubita, sia quella di consentire ad alcuni comuni di evitare conseguenze come il dissesto; questa esigenza non puo' pero', in alcun modo, consentire deroghe ai fondamentali principi dell'equilibrio di bilancio e della equita' intergenerazionale. Infatti, in primis, il dissesto e' uno strumento legittimo e normativamente previsto dal sistema, con una funzione sua propria ed essenziale, non realizzabile col PRFP; in caso di sua attivazione il riequilibrio interviene in un tempo piu' breve (cinque anni, ai sensi dell'art. 265, comma 1, T.U.E.L.), mentre si provvede al ripiano tramite una gestione separata, facendo leva, da un lato, sulla riduzione concorsuale e consensuale delle passivita' nei confronti dei creditori (articoli 256-258 T.U.E.L.) e, dall'altro, sulla valorizzazione della massa attiva (art. 255 T.U.E.L.). Dunque, esso costituisce uno strumento di cui il legislatore prevede la necessaria attivazione quando le vicende del singolo ente (l'accertata incapacita' di adottare tempestivamente un PRFP congruo e la gravita' dello squilibrio) rendono necessario addivenire al risanamento sacrificando - parzialmente - il principio di universalita' di bilancio; infatti, come evidenziato dalla Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Campania in caso analogo, «...Solo in questo l'ordinamento "preferisce" la procedura di "predissesto", ai sensi dell'art. 243-bis TUEL e ss., al dissesto ai sensi degli art. 244 e ss. TUEL, in quanto la procedura pluriennale consente il riequilibrio «consolidato» delle finanze dell'ente, senza il rischio di occultamento di scompensi in gestioni separate di bilancio...» (cfr. deliberazione n. 19/2018/PRSP). Consentire una dilatazione non giustificata dell'orizzonte temporale del ripiano per non far incorrere alcuni comuni in procedure di dissesto, che l'ordinamento legittimamente e funzionalmente ha espressamente previsto, significherebbe rendere l'equilibrio di bilancio e il precetto dell'equilibrio un mero flatus vocis, volto a porre rimedio a forme episodiche di disavanzo, connesse ad inefficienze di gestioni concrete (Corte costituzionale, sentenza n. 6/2017), e non, invece, ad esigenze del sistema della finanza pubblica allargata. Inoltre, l'evitare il dissesto «a tutti i costi» non produce effetti favorevoli ai consociati dell'ente locale; infatti, la lunga durata di una procedura di riequilibrio non porta benefici in termini fiscali (le aliquote o tariffe dei tributi, nella procedura di cui all'art. 243-bis T.U.E.L., sono fissate nella misura massima consentita, cosi' come nella procedura di dissesto); inoltre, consentire il raddoppio dei termini del PRFP€ spostando il ripiano del disavanzo accumulato in pregresso su un lungo arco ventennale, significa: 1. non responsabilizzare i rappresentanti eletti dalla comunita' dei consociati dell'ente locale; 2. spostare, sulle generazioni future, il peso di gestioni finanziarie passate che, nel caso del Comune di Reggio Calabria, sono anche connotate dall'accumulo progressivo di ulteriori passivita': sia dato citare, in proposito, i debiti contratti verso il Ministero dell'interno (€ 45.682.648,16, per fondo di rotazione ex art. 243-ter T.U.E.L. ed € 20.000.000,00, per anticipazione ex art. 243-quinquies T.U.E.L.), verso la Cassa depositi e prestiti ( € 185.287.196,87, per anticipazioni di liquidita' percepite ex decreto-legge n. 35/2013, ed € 7.867.986,60, percepiti ex decreto-legge n. 78/2015 e successive modificazioni ed integrazioni), nonche' quelli verso la Regione Calabria per la fornitura del servizio idropotabile, riconosciuti per € 64.974.388,27 (cfr. nota del Comune di Reggio Calabria n. 130061 del 31 luglio 2019, acquisita al protocollo Corte dei conti n. 5333 del 2 agosto 2019) e, come gia' detto, mai ricondotti a bilancio pur essendo di rilevantissimo importo. In merito al primo aspetto (non responsabilizzazione dei rappresenti eletti dalla comunita' dei consociati dell'ente locale), si ribadisce che il PRFP del Comune di Reggio Calabria nasce con una durata decennale; questo arco decennale, pur non breve rispetto al ciclo di bilancio (che e' come detto triennale), consente ancora la separazione e l'imputazione dei disavanzi, alla base del piano o maturati in corso dello stesso, ai responsabili: addirittura, tali soggetti potrebbero - in linea teorica - essere rappresentanti del governo dell'ente per tutta la durata del percorso di risanamento, considerato che il mandato elettorale del sindaco e del consiglio comunale e' di durata quinquennale (art. 51 T.U.E.L.) e che e' possibile, per tutti i comuni, un secondo mandato del sindaco e dei consiglieri; sul punto, la stessa Corte costituzionale ha recentemente «suggerito» un nesso stringente tra la corretta presentazione (e, del pari, redazione) dei bilanci pubblici e il rapporto tra cittadini-elettori ed eletti; ad avviso del giudice delle leggi, infatti, e' evidente come la durata del mandato elettorale non sia determinata dal legislatore «...in modo arbitrario, bensi' bilanciando le esigenze di una tempestiva accountability nei confronti degli elettori e degli altri portatori di interessi e quelle inerenti alla rideterminazione o costruzione degli equilibri dei bilanci di previsione dei due esercizi successivi...» (sentenza n. 49 del 2018). Al contrario, uno scenario di riequilibrio ventennale mina alla radice uno degli aspetti piu' pregnanti della legalita' finanziaria nei Paesi - come l'Italia - fondati su una democrazia rappresentativa, ossia la funzionalizzazione delle procedure finanziarie al vincolo di mandato degli amministratori verso la comunita' che rappresentano; come recentemente affermato dalla Corte costituzionale, «... [i]l carattere funzionale del bilancio preventivo e di quello successivo, alla cui mancata approvazione, non a caso, l'ordinamento collega il venir meno del consenso della rappresentanza democratica, [risiede essenzialmente nell'assicurare] ai membri della collettivita' la cognizione delle modalita' [di impiego delle risorse e i risultati conseguiti da chi e' titolare del mandato elettorale]...» (sentenza n. 184 del 2016); ed ancora, e' stato affermato il principio per cui una eccessiva dilatazione del tempo di recupero del disavanzo non consente agli amministratori eletti o eligendi «...di presentarsi al giudizio degli elettori separando i risultati direttamente raggiunti dalle conseguenze imputabili alle gestioni pregresse. Lo stesso principio di rendicontazione, presupposto fondamentale del circuito democratico rappresentativo, ne risulta quindi gravemente compromesso...» (sentenza n. 18 del 2019). In merito al secondo aspetto (spostamento, sulle generazioni future, del peso di gestioni finanziarie passate), si osserva che esso costituisce una evidente lesione delle esigenze di tutela dell'equita' intergenerazionale; in proposito, senza pretesa di addentrarsi, in questa sede, in dissertazioni sul concetto sociologico o biologico di «generazione», appare evidente che un arco temporale di venti anni costituisce un periodo di tempo molto lungo nel ciclo di bilancio e comporta, ictu oculi, la traslazione del debito pregresso da una generazione all'altra. A tal proposito, appare necessario ricordare quanto affermato dalla Corte costituzionale: «...Ferma restando la discrezionalita' del legislatore nello scegliere i criteri e le modalita' per porre riparo a situazioni di emergenza finanziaria come quelle afferenti ai disavanzi sommersi, non puo' non essere sottolineata la problematicita' di soluzioni normative... le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali lunghi e differenziati, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equita' intergenerazionale» (sentenza n. 6 del 2017 e, in senso conforme, sentenza n. 107 del 2016); oltre a cio', il giudice delle leggi, con la sentenza n. 18/2019 (emessa in una fattispecie analoga alla presente e relativa al giudizio di legittimita' una norma - l'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015 - che aveva il solo scopo di consentire modifiche dei piani di riequilibrio lungamente dilatando nel tempo il recupero di un disavanzo pregresso) ha ribadito che «...La tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equita' intragenerazionale che intergenerazionale. Quanto al primo, e' stata gia' sottolineata da questa Corte la pericolosita' dell'impatto macroeconomico di misure che determinano uno squilibrio nei conti della finanza pubblica allargata e la conseguente necessita' di manovre finanziarie restrittive che possono gravare piu' pesantemente sulle fasce deboli della popolazione (sentenza n. 10 del 2015). Cio' senza contare che il succedersi di norme che diluiscono nel tempo obbligazioni passive e risanamento sospingono inevitabilmente le scelte degli amministratori verso politiche di «corto respiro», del tutto subordinate alle contingenti disponibilita' di cassa. L'equita' intergenerazionale comporta, altresi', la necessita' di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunita' di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo. E' evidente che, nel caso della norma in esame, l'indebitamento e il deficit strutturale operano simbioticamente a favore di un pernicioso allargamento della spesa corrente. E, d'altronde, la regola aurea contenuta nell'art. 119, sesto comma, della Costituzione dimostra come l'indebitamento debba essere finalizzato e riservato unicamente agli investimenti in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettivita' amministrate...». Quanto detto, rende evidente, a parere della Sezione, il contrasto della normativa, della cui costituzionalita' si dubita, con gli articoli 81 e 97, comma 1, 117, comma 1, 119, comma 6, in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione. 2) L'art. 38, comma 2-bis, decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019) appare in contrasto con gli articoli 3, 70, 100, 102, comma 1, 103, 113 della Costituzione nonche' degli articoli 24 e 111 della Costituzione. La Sezione ritiene che l'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58/2019), nella parte in cui consente agli «...enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019...» di «...riproporre..» il proprio PRFP, anche se «... inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente...», sia in contrasto con il principio di ragionevolezza e di certezza del diritto, riconducibile all'art. 3 della Costituzione, nonche' con quello di separazione dei poteri, cui e' improntato l'intero impianto costituzionale (e che si puo' ravvisare nella lettura congiunta dell'art. 70 della Costituzione, che dispone come «...la funzione legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere...», dell'art. 102, comma 1, che riserva la funzione giurisdizionale all'ordine giudiziario, nonche' nell'art. 104, comma 1, della Costituzione, che definisce la magistratura «...ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere...»); inoltre, il precetto normativo in esame confligge anche con l'effettivita' della tutela giurisdizionale (art. 24 della Costituzione) e del «...giusto processo...» (art. 111 della Costituzione), che e' inscindibilmente connesso con tale effettivita', in quanto consente ad alcuni comuni - e, nel caso concreto, consente al Comune di Reggio Calabria - di sottrarsi ad una pronuncia della magistratura contabile, che sancisce l'obbligo dello stesso Comune di conformare il piano di riequilibrio in essere ai principi della sentenza n. 18/ 2019 della Corte costituzionale. Per di piu', nel caso del Comune di Reggio Calabria, la deliberazione n. 31 del 2019, con cui questa Sezione ha affermato la riviviscenza - dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 18 del 2019 - del PRFP (di durata decennale), adottato con la deliberazione della commissione straordinaria di Reggio Calabria dell'8 febbraio 2013, n. 17 (come integrata e rimodulata dalla deliberazione della commissione straordinaria del 15 luglio 2013, n. 142) non e' stata mai impugnata dal Comune nelle sedi competenti (ossia le sezioni riunite di questa Corte in speciale composizione, unico giudice che ha potere di cognizione in materia, nei termini fissati dall'art. 243-quater, comma 5, T.U.E.L.), assumendo cosi' il carattere della definitivita'. Al riguardo, si osserva che le delibere delle sezioni di controllo non impugnate (o quelle confermate, mediante la reiezione del ricorso proposto avverso le stesse) assumono un carattere di definitivita' ed incontrovertibilita' dell'accertamento, in esse contenuto, che appare del tutto sovrapponibile a quello del passaggio in giudicato di qualunque provvedimento giurisdizionale; sul punto, basti ricordare quanto recentemente affermato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n 18/2019, ossia che: «...La forma della sentenza (articolata in motivazione in diritto e dispositivo) con cui si configurano le delibere di controllo sulla legittimita' dei bilanci e delle gestioni finanziarie a rischio di dissesto - e la sottoposizione di tali delibere alla giurisdizione esclusiva delle sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione - determinano un'integrazione della finzione giurisdizionale e di quella di controllo, geneticamente riconducibile al dettato costituzionale (articoli 100 e 103 della Costituzione) in materia di contabilita' pubblica, ove sono custoditi interessi costituzionalmente rilevanti, sia adespoti (e quindi di difficile giustiziabilita'), sia inerenti alle specifiche situazioni soggettive la cui tutela e' affidata, ratione materiae, alla giurisdizione a istanza di parte della magistratura contabile (articoli 11, comma 6, lettere a) ed e), e 172 e seguenti del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante: «Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124»)...». Peraltro, la predetta sentenza n. 18 del 2019 ha osservato che tale assunto e' condiviso dalla Corte di cassazione, secondo cui l'art. 243-quater, comma 5, del testo unico enti locali (introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera r), del decreto-legge n. 174 del 2012) «assegna alle sezioni riunite della stessa Corte dei conti la giurisdizione esclusiva in tema d'impugnazione avverso la delibera di approvazione o di diniego del piano, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, espressamente richiamando a tal proposito l'art. 103, secondo comma, della Costituzione, con un'ulteriore analoga previsione di giurisdizione esclusiva anche sui ricorsi avverso i provvedimenti di ammissione al Fondo di rotazione di cui al precedente art. 243-ter; da tali disposizioni chiaramente si evince l'intento del legislatore di collegare strettamente, in questa materia, la funzione di controllo della Corte dei conti a quella giurisdizionale ad essa attribuita dal citato art. 103, terzo comma, della Costituzione» (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 13 marzo 2014, n. 5805). Sempre, con la sentenza n. 18/2019, la Corte costituzionale ha precisato che il controllo di legittimità-regolarita' sui bilanci presenta - rispetto al controllo sugli atti - un ulteriore carattere che lo avvicina ancor piu' al sindacato giurisdizionale. Infatti, mentre le pronunce di controllo di legittimita' sugli atti possono essere in qualche modo disattese dal Governo, ricorrendo alla registrazione con riserva, e dagli stessi giudici delle altre magistrature l'accertamento, effettuato in sede di controllo finanziario, «...fa stato...» nei confronti delle parti, una volta decorsi i termini di impugnazione del provvedimento davanti alla Corte dei conti, sezioni riunite in speciale composizione («...che costituisce l'unica sede in cui possono essere fatti valere gli interessi dell'amministrazione sottoposta al controllo e degli altri soggetti che si ritengano direttamente incisi dalla pronuncia della sezione regionale di controllo...» (sempre Corte costituzionale, sentenza n. 18 del 2019). Dunque, in aggiunta ai caratteri che furono ritenuti sufficienti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 226 del 1976 per sollevare l'incidente di costituzionalita' nell'esercizio del controllo di legittimita' sugli atti di Governo, il controllo finanziario, e' munito di una definitivita' che non e' reversibile se non a opera della stessa magistratura dalla quale il provvedimento promana. Quanto detto rende palese, ad avviso del Collegio, un evidente conflitto tra la norma, della cui costituzionalita' si dubita, e la pronuncia emessa dall'organo giudiziario (la competente sezione di controllo della Corte dei conti), le cui prerogative sono costituzionalmente definite e presidiate anche per il tramite del principio di intangibilita' della res iudicata. La pronuncia della sezione regionale di controllo non impugnata (o quella impugnata, ma confermata, dopo il giudizio delle sezioni riunite), assume carattere di «...giuridica stabilita'...» con effetti analoghi a quelli di un decisum giudiziale poiche' «...le deliberazioni che concludono il procedimento stesso non possono qualificarsi atti amministrativi, pur non essendo "sentenze" in senso stretto. Trattasi infatti di atti atipici promananti da organo appartenente all'ordine giudiziario, in posizione di indipendenza e terzieta'...» (SS.RR. n. 15/2017/EL) e che «...intervengono all'esito di un'apposita fase di contraddittorio penetrante e pregnante instaurato con le amministrazioni territoriali in seguito alla contestazione di specifici parametri normativi...» (SS.RR. n. 19/2017/EL). In conclusione, quindi, sembra possibile affermare che le decisioni delle sezioni regionali di controllo, essendo pronunce a carattere decisorio, emesse in base a parametri normativi, configuranti «giudizi» di «legittimità-regolarita'» (cfr. sentenze Corte costituzionale n. 228/2017, n. 40/2014, n. 60/2013), ove non impugnate o non riformate da una sentenza di merito, vedono stabilizzare il contenuto dei loro accertamenti nonche' gli effetti di legge ad essi connessi. Cio' premesso, si osserva anche che, all'esigenza generale di attuazione delle pronunce giurisdizionali - attuazione che nella dottrina generale del processo si definisce «esecuzione» - non puo' mai derogarsi, qualunque sia la posizione ed il rango del soggetto e dell'organo nei cui confronti il comando contenuto nella pronuncia del giudice si dirige: si tratta di un principio che e' insito nella concezione stessa dello stato di diritto e che appare tanto piu' imprescindibile allorche', come nel caso di specie, tali pronunce non afferiscono a diritti disponibili delle parti, ma hanno ad oggetto interessi pubblici. Appare quindi sussistente, nella fattispecie, la violazione, da parte della normativa della cui costituzionalita' si dubita, del principio di ragionevolezza e di certezza del diritto riconducibile all'art. 3 della Costituzione, e di quello di separazione dei poteri, cui e' improntato l'intero impianto costituzionale. Infatti, la norma della cui costituzionalita' si dubita, presuppone, all'evidenza, l'emissione di una pronuncia giudiziale della Sezione di controllo competente (che abbia affermato l'obbligo dell'ente di conformare il piano di riequilibrio in essere ai principi sanciti dalla sentenza n. 18/2019 della Corte costituzionale) e, quindi, ne vanifica gli effetti al fine di consentire, all'ente, destinatario della stessa pronuncia, la riformulazione del piano di riequilibrio; peraltro, si ribadisce che, nella fattispecie, il Comune di Reggio Calabria non ha impugnato, nei termini, detta decisione, rendendola cosi' definitiva. Al riguardo, non possono non richiamarsi i chiari insegnamenti contenuti nella sentenza n. 282/2005 della Corte costituzionale ove viene affermato che «...al legislatore e' precluso intervenire, con norme aventi portata retroattiva, "per annullare gli effetti del giudicato" (sentenza n. 525 del 2000): se vi fosse un'incidenza sul giudicato, la legge di interpretazione autentica non si limiterebbe a muovere, come ad essa e' consentito, sul piano delle fonti normative, attraverso la precisazione della regola e del modello di decisione cui l'esercizio della potesta' di giudicare deve attenersi, ma lederebbe i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e le disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (cfr. sentenze n. 374 del 2000 e n. 15 del 1995)....»; nella fattispecie, appare evidente che la norma, della cui costituzionalita' si dubita, interviene retroattivamente su una situazione definita con pronuncia definitiva della Sezione di controllo ledendo «.... i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale...», modificando l'assetto degli interessi regolati definitivamente (per mancata impugnazione nei termini) dalla pronuncia stessa e ledendo, altresi', gli interessi dei creditori del Comune (che, avendo stipulato accordi per la riscossione dei loro crediti con il Comune medesimo, avevano fatto affidamento su un piano di riequilibrio di durata decennale e sulla circostanza, certamente valutata ai fini della solvibilita' dell'ente, che il bilancio dello stesso sarebbe stato stabilmente riequilibrato in un termine decennale). La norma della cui costituzionalita' si dubita, appare, quindi, espressamente diretta ad incidere immediatamente su pronunce giudiziali anche definitive (le pronunce delle sezioni regionali di controllo competenti) rimuovendo, in tal modo, dall'ordinamento, il giudizio definitivo dell'autorita' giudiziaria ed ogni relativo effetto e incide, quindi, pesantemente, in tal modo, sul principio di ragionevolezza e di certezza del diritto, riconducibile all'art. 3 della Costituzione, sui rapporti tra potere legislativo e potere giudiziario fissati dalla Carta costituzionale, sull'effettivita' della tutela demandata alla Corte dei conti e delle sue pronunce in sede di controllo e giurisdizionale (art. 100, 103, della Costituzione) e, infine, sul legittimo affidamento dei creditori del Comune sulla durata decennale del piano di riequilibrio. Tale incidenza sulle pronunce giurisdizionali divenute definitive non trova, peraltro, superiori giustificazioni (ossia necessita' di tutela di pari valori costituzionali); si ha infatti presente che l'ordinamento nazionale «...conosce ipotesi di flessione dell'intangibilita' del giudicato, che la legge prevede nei casi in cui sul valore costituzionale ad esso intrinseco si debbano ritenere prevalenti opposti valori, ugualmente di dignita' costituzionale, ai quali il legislatore intende assicurare un primato...» (Corte costituzionale sentenza n. 210 del 2013; in termini, sentenza n. 25 del 2019); nel caso di specie, pero', per quanto esposto in precedenza, tali ragioni non sussistono: infatti, non puo' ritenersi che evitare lo stato di dissesto finanziario - o, peggio ancora, consentire che alcuni enti possano godere di un «alleggerimento» del proprio percorso di risanamento, cosi' da poter utilizzare le «risorse liberate» non per un doveroso riequilibrio del bilancio ma per ampliare la propria capacita' di spesa in condizioni di gia' conclamato squilibrio strutturale - costituisca un valore degno di tutela costituzionale. 3) l'art. 38 comma 2-bis del decreto-legge n. 34/2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58/2019) appare in contrasto con gli articoli 3, 24, art. 111 della Costituzione e dell'art. 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1, nonche' art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. In proposito, si osserva che gli ultimi anni sono stati connotati da una produzione legislativa di continue concessioni di facolta' di rimodulazione/riformulazione dei piani di riequilibrio (art. 1, comma 15, del decreto-legge n. 35/2013 convertito nella legge n. 64/2013; art. 1, commi 714 e 715, della legge n. 208/2015; art. 1, commi 434 e 435, della legge n. 232/2016; da ultimo, gli art. 1, commi 848, 849, 888 e 889, della legge n. 205/2017), facolta' di cui quella concessa dall'art. 38, comma 2-bis, decreto-legge n. 34/2019 e' solo la piu' recente, in termini temporali. Questa continua riscrittura e integrazione della normativa, sui piani di riequilibrio pluriennali, rende, a giudizio della Sezione, difficile se non impossibile la verifica dello stato di salute finanziaria dell'ente, con conseguente pregiudizio delle ragioni dei consociati - a cui deve essere assicurata la piena trasparenza dei conti, essendo il bilancio, come piu' volte ribadito dal giudice delle leggi, un «...bene pubblico...» (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 184 del 2016 e, in termini analoghi, sentenze n. 228/2017, n. 247/2017 e n. 49/2018) - e dei creditori dell'ente, che possono subire i negativi effetti di questa incertezza giuridica quando agiscono in sede esecutiva. E' evidente, infatti, che le continue riscritture della normativa dei piani di riequilibrio certamente non favoriscono i controlli della magistratura contabile, impegnata in attivita' di «monitoraggio» di piani in cui si intersecano elevati profili di complessita' che rendono di difficile individuazione i cosiddetti obiettivi intermedi. Nel caso del Comune di Reggio Calabria, sia dato ricordare per esempio che il PRFP: e' stato adottato anteriormente alla vigenza del decreto legislativo n. 118 del 2011; non e' stato mai coordinato con la «contabilita' armonizzata», di modo tale che il ripiano del cosiddetto «extradeficit» (peraltro di incerta quantificazione in quanto e' stato ricalcolato dal Comune applicando norme attualmente sottoposte al vaglio di costituzionalita' (1) da' luogo ad un «piano di rientro» del deficit ulteriore rispetto a quello di cui all'art. 243-bis T.U.E.L.; e' stato piu' volte oggetto di modifiche (con deliberazione della commissione straordinaria n. 142 del 2013, con deliberazione del consiglio comunale n. 42 del 2016 e con deliberazione del consiglio comunale n. 23 del 2017) e la necessita' di valutare i contenuti di tali continue riscritture, oltre alla preclusione normativa di cui all'art. 1, comma 2-quater, decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, secondo cui «...Nelle more della complessiva riforma delle procedure di risanamento contemplate dal titolo VIII della parte seconda del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, qualora sia stato presentato o approvato, alla data del 30 novembre 2018, un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all'art. 243-bis del medesimo testo unico, rimodulato o riformulato ai sensi... dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, la verifica di cui al comma 7 dell'art. 243-quater del predetto testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 sul raggiungimento degli obiettivi intermedi e' effettuata all'esito dell'approvazione del rendiconto dell'esercizio 2018...») ha impedito alla Sezione di effettuare un congruo «monitoraggio» del PRFP, fermo all'esercizio 2014 (cfr. deliberazione SRC Calabria n. 89/2015). In tale contesto, appare chiaro che la pronuncia che la Sezione dovra' emettere, sul merito del PRFP riproposto, ex art. 38, comma 2-quater, decreto-legge n. 34/2019, e sul «rispetto degli obiettivi intermedi» negli esercizi 2015, 2016, 2017 e 2018, soffrira' delle incertezze derivanti dalle continue modifiche normative e dalla continua variazione dell'obiettivo dato dal ritmo di ripiano del deficit originariamente incluso nel piano; la Sezione, qualora gli obiettivi intermedi risultino gravemente violati nel periodo 2015-2018, potra' trovarsi di fronte alla necessita': di avviare l'ipotesi tipizzata di dissesto di cui all'art. 243-quater, comma 7, T.U.E.L.; ovvero di non tenere conto delle eventuali violazioni finanziarie accertate, nella prospettiva che la «spalmatura» del disavanzo di cui al PRFP in un arco ventennale (ove l'art. 38, commi 2-bis e 2-ter, in combinato con il comma 1-terdecies fossero ritenuti costituzionalmente legittimi) potrebbe ridare una (seppur precaria) boccata di ossigeno finanziario all'ente. Tale situazione di incertezza giuridica, da ultimo aggravata dall'art. 38, comma 2-bis, della cui costituzionalita' si dubita, pregiudica evidentemente la trasparenza del percorso di risanamento e puo' pregiudicare i diritti dei creditori dell'ente, sotto un triplice profilo: 1) nel loro legittimo affidamento sulla certezza e celerita' della procedura di riequilibrio, che «...non puo' rivelarsi un artificioso escamotage...», con il quale si evita la dichiarazione di dissesto, protraendo indebitamente una situazione nella quale gia' sussistono i presupposti richiesti dal legislatore per procedere alla dichiarazione prevista dall'art. 244 del Tuel (Sezione delle autonomie, deliberazione n. 16/SEZAUT/2012/INPR), che puo' comportare «...stravolgimenti del percorso di risanamento in fase di attuazione...» (in tal senso Corte dei conti, Sezione autonomie, deliberazione n. 5/SF2AUT/ 2018); 2) nel soddisfacimento effettivo delle legittime pretese dei creditori, che viene esposto ad un sacrificio temporalmente indeterminato, a causa del continuo dubbio e dell'incertezza sul regime di riequilibrio applicabile (dissesto o piano di riequilibrio rimodulato) e dall'allungamento dei tempi di valutazione da parte della Corte dei conti della fattispecie concreta; 3) nell'aumento del rischio di insolvenza, per un numero crescente di creditori del Comune; infatti, la dilatazione temporale dei tempi del PRFP (che per Reggio Calabria passa da dieci a venti anni) comporta, evidentemente, un possibile ampliamento della capacita' annuale di spesa (dovuta al ridursi della quota annua di recupero del disavanzo incluso nel PRFP); cio', in un ente strutturalmente deficitario, aumenta la possibilita' di contrarre debito e, quindi, aumenta il rischio che, in caso di insolvenza, un maggior numero di creditori resti insoddisfatto, con buona pace del fatto che l'ente debitore, in quanto soggetto pubblico, dovrebbe offrire una maggiore affidabilita' rispetto ad un soggetto privato. Inoltre, anche il comune cittadino puo' risentire delle inefficienze di un percorso di risanamento continuamente incerto: ne risente, in primis, il suo diritto alla trasparenza contabile poiche', come gia' ricordato, il bilancio «...e' un "bene pubblico" nel senso che e' funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell'ente territoriale, sia in ordine all'acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi e' chiamato ad amministrare una determinata collettivita' ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato...» (sentenza n. 184 del 2016 della Corte costituzionale e, in termini analoghi, sentenze n. 228/2017, n. 247/2017 e n. 49/2018); e' evidente che il piano di riequilibrio pluriennale e' inscindibilmente collegato alla trasparenza di bilancio, giacche' deve coordinarsi con le manovre di bilancio preventive e consuntive; non si vede come un percorso di risanamento continuamente turbato da modifiche normative, e in cui alla magistratura contabile e' stata - per i motivi gia' elencati - resa difficile se non impossibile una costante attivita' di monitoraggio, possa fornire ai cittadini quella accountability necessaria a compiere scelte elettorali ponderate. In definitiva, quindi, ammettere la possibilita' di un continuo ed illimitato procrastinarsi di tentativi di riequilibrio, lasciando una evidente incertezza sui tempi e sull'idoneita' delle misure di volta in volta ideate per il risanamento, finisce per compromettere irreversibilmente la trasparenza di un bene di rango costituzionale, quale il bilancio, nonche' per ledere o mettere in pericolo, a cascata, una serie di ulteriori interessi parimenti tutelati a livello costituzionale, come il diritto dei creditori di conoscere i tempi di soddisfazione del proprio credito al fine di poter programmare le loro attivita' economiche (tali soggetti infatti, a causa delle continue riformulazioni/rimodulazioni dei piani di riequilibrio e del conseguente procrastinarsi dei tempi di pagamento, possono subire un pregiudizio evidentemente irreparabile essendo, da un lato, obbligati al pagamento tempestivo dei tributi, in favore dell'ente, e, dall'altro limitati nel riscuotere i propri crediti del confronti del medesimo ente) e il diritto dei cittadini residenti ad essere trasparentemente informati sui documenti di bilancio e sul percorso di risanamento. Per tutto quanto detto, si ritiene che l'art. 38, comma 2-bis, sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, su cui si fonda l'esigenza di un diritto «certo» (alla base dell'uguaglianza fra cittadini: cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 2012) e, inoltre, depotenzi, in maniera non conforme alla Costituzione, l'azione della magistratura contabile e l'efficacia delle sue pronunce (anche se divenute definitive per mancata impugnazione nei termini), a scapito di una tutela effettiva (art. 24 della Costituzione) e ragionevole nei suoi tempi (art. 111 della Costituzione) dei soggetti terzi (creditori e cittadini); oltre a cio', si ritiene che tale disposizione contrasti anche con l'art. 117, comma 1 della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1, nonche' art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali poiche' l'indeterminatezza dei tempi di conclusione delle procedure di risanamento finanziario confligge con l'art. 1 del protocollo 1 (diritto al rispetto della proprieta', tra cui rientra anche la tutela dei diritti di credito), e l'art. 6, paragrafo 1 (diritto ad un giusto processo, nel caso di contenziosi - sia in fase di cognizione che di esecuzione - azionati dai creditori per la tutela dei loro diritti nei confronti dell'ente debitore). 4) L'art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies, appare in contrasto con gli articoli 3 e 77 della Costituzione. Infatti, l'art. 38, comma 2-bis, 2-ter e 1-terdecies, e' stato introdotto solo in sede di conversione del decreto- legge n. 34/2019 che originariamente (nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2019) era finalizzato a predisporre una serie di misure di «crescita economica» del Paese ovvero finalizzate alla risoluzione di specifiche crisi (tra le quali, ab origine, non era contemplata quella degli «enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente, possono riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205. Cio' premesso, si osserva che, in particolare, l'art. 38, comma 2-bis consente ad una platea molto ristretta di comuni di «riproporre» il proprio piano di riequilibri, la citata platea si restringe ulteriormente ove si considerino i soli comuni «incisi» da provvedimenti della Corte dei conti conformativi rispetto alla sentenza Corte costituzionale n. 18/ 2019: per quanto consta, si tratta di soli due enti nel panorama nazionale (ossia il Comune di Pagani, su cui e' intervenuta la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Campania n. 46/ 2019/ PRSP, e il Comune di Reggio Calabria, interessato dalla deliberazione della sezione regionale di controllo per la Calabria n. 31/ 2019/ PRSP). La disposizione, quindi, sembra avere una portata «ad personam» (...anzi, piu' precisamente....si passi il termine...., «ad comunem»...); pertanto, appare qualificabile come «norma-provvedimento», in quanto incide su un numero determinato e molto limitato di destinatari e finisce per l'avere contenuto particolare e concreto; cio' sembra francamente travalicare i limiti propri della funzione legislativa, che deve essere sempre connotata, per definizione, dai caratteri della generalita' ed astrattezza. Al riguardo, si osserva che, secondo la consolidata giurisprudenza del giudice delle leggi, non sussiste un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto, ossia di leggi-provvedimento (sentenza n. 347 del 1995). Tuttavia, queste leggi sono ammissibili entro limiti sia specifici, qual e' quello del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso, sia generali, e cioe' del principio della ragionevolezza e non arbitrarieta' (sentenze n. 492 del 1995, n. 346 del 1991, n. 143 del 1989); la conformita' alla Costituzione di questo tipo di leggi deve, quindi, essere valutata in relazione al loro specifico contenuto. Infatti, in considerazione del pericolo di disparita' di trattamento insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio (sentenze n. 185 del 1998, n. 153 del 1997), la legge-provvedimento e', conseguentemente, soggetta ad uno scrutinio stretto di costituzionalita' (sentenze n. 429 del 2002, n. 364 del 1999, numeri 153 e 2 del 1997), essenzialmente sotto i profili della non arbitrarieta' e della non irragionevolezza della scelta del legislatore; inoltre, un tale sindacato deve essere tanto piu' rigoroso quanto piu' marcata sia la natura provvedimentale dell'atto legislativo sottoposto a controllo (sentenza n. 153 del 1997). Cio' posto, appare utile rammentare che, con sentenza n. 267 del 2007, la Corte costituzionale ha giudicato irragionevole ed arbitraria, e come tale contrastante con l'art. 3 della Costituzione, una disposizione finalizzata ad eludere un giudicato amministrativo in materia di dismissione di beni immobiliari introdotta, dopo la pubblicazione della sentenza del giudice amministrativo, nella legge di conversione di un decreto-legge finalizzato ad introdurre misure di contrasto all'evasione fiscale, nonche' disposizioni in tema di riscossione delle imposte, perequazione delle basi imponibili, previdenza e sanita'; in questo caso, i giudici di Palazzo della consulta hanno, infatti, ritenuto che la tempistica della legge-provvedimento e la considerazione che il decreto-legge, nel quale la norma e' stata inserita, concerneva materia diversa, evidenziassero un chiaro intento elusivo del decisum del giudice amministrativo. Cio' premesso, si osserva come la fattispecie, oggi in esame, in nulla sembra differire dal caso affrontato dalla Corte costituzionale con la sentenza, da ultimo, citata; infatti, l'art. 38, comma 2-bis e 1-terdecies, era assente, nel corpo originario del decreto-legge (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2019), ed e' stato introdotto nella sola legge di conversione n. 58 del 28 giugno 2019, proprio dopo che era stata depositata la deliberazione della Sezione delle autonomie n. 8/2019/QMIG (pubblicata il 7 maggio 2019) che, in sostanza, confermava i contenuti delle decisioni delle sezioni territoriali della Corte dei conti (ossia la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Campania n. 46/2019/PRSP, relativa al Comune di Pagani, e la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Calabria n. 31/2019/PRSP, relativa al Comune di Reggio Calabria) che avevano «...inciso...» i PRFP dei predetti comuni. Quindi, nella fattispecie, la tempistica del legislatore, come pure la considerazione che il decreto-legge, nel quale la norma e' stata inserita, intendeva disciplinare «la crescita economica» ovvero «specifiche situazioni di crisi» (tra le quali, ab origine non era contemplata, come gia' detto, quella degli «...enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente...») appaiono spia evidente della possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione, anche sotto questo ulteriore profilo; sul punto, la Corte costituzionale ha, piu' volte, affermato (ex multis sentenze n. 171/2007, 128/2008 nonche' 22/2012, 34/2013, 32/2014) che il legislatore non puo' profittare della conversione in legge per disciplinare questioni non omogenee, rispetto al contenuto del decreto stesso. Inoltre, come gia' detto, appare evidente come il complesso normativo, della cui costituzionalita' si dubita, abbia espressamente inteso paralizzare gli effetti di pronunce delle sezioni di controllo della Corte dei conti (che hanno doverosamente affermato l'obbligo dei comuni interessati di conformare il piano di riequilibrio in essere a quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 18/2019) al fine di consentire, ai comuni medesimi, di evitare la, altrettanto doverosa, dichiarazione di dissesto mediante la «...spalmatura...» del disavanzo, originariamente accertato in un piano di durata decennale, in un termine che, come nella fattispecie, puo' avere anche durata ventennale; detto complesso normativo, rimuove, sostanzialmente, iure autoritatis gli effetti di pronunce definitive della Corte dei conti (... il che appare di per se' manifestamente irragionevole, come esposto in precedenza...) per, poi, attribuire, «favore principis», solo ad alcuni comuni, «...incisi...» dalle pronunce in questione, la facolta' di ripresentare un nuovo piano di riequilibrio di durata financo ventennale (come nella fattispecie), per evitare la probabile dichiarazione di dissesto, con buona pace dei diritti delle future generazioni. In ultimo, da quanto sopra esposto, sembra che, nella fattispecie normativa della cui costituzionalita' si dubita, il Governo, abbia utilizzato lo strumento del decreto-legge, al di fuori dei limiti previsti dall'art. 77 della Costituzione che consente il ricorso a tale strumento solo in «...casi straordinari di necessita' e urgenza...». Al riguardo, si osserva che la Corte costituzionale, occupandosi della questione della «necessita' e urgenza» dei decreti-legge, nella sentenza n. 171 del 2007, ha affermato che «...Negli Stati che s'ispirano al principio della separazione dei poteri e della soggezione della giurisdizione e dell'amministrazione alla legge, l'adozione delle norme primarie spetta agli organi o all'organo il cui potere deriva direttamente dal popolo. A questi principi si conforma la nostra Costituzione laddove stabilisce che «la funzione legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere» (art. 70). In determinate situazioni o per particolari materie, attesi i tempi tecnici che il normale svolgimento della funzione legislativa comporta, o in considerazione della complessita' della disciplina di alcuni settori, l'intervento del legislatore puo' essere, rispettivamente, posticipato oppure attuato attraverso l'istituto della delega al Governo, caratterizzata da limiti oggettivi e temporali e dalla prescrizione di conformita' a principi e criteri direttivi indicati nella legge di delegazione. Lasciando da parte tale ultima ipotesi, che qui non interessa, e' significativo che l'art. 77 della Costituzione, al primo comma, stabilisca che «il Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria». Tenuto conto del tenore dell'art. 70 della Costituzione, la norma suddetta potrebbe apparire superflua se non le si attribuisse il fine di sottolineare che le disposizioni dei commi successivi - nel prevedere e regolare l'ipotesi che il Governo, in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, sotto la sua responsabilita', adotti provvedimenti provvisori con forza di legge, che perdono efficacia se non convertiti in legge entro sessanta giorni - hanno carattere derogatorio rispetto all'essenziale attribuzione al Parlamento della funzione di porre le norme primarie nell'ambito delle competenze dello Stato centrale...». E' sulla base di siffatti presupposti che questa Corte, con giurisprudenza costante dal 1995 (sentenza n. 29 del 1995), ha affermato che l'esistenza dei requisiti della straordinarieta' del caso di necessita' e d'urgenza puo' essere oggetto di scrutinio di costituzionalita'. La Corte tuttavia, nell'affermare l'esistenza del suindicato proprio compito, e' stata ed e' consapevole che il suo esercizio non sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione - in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti - ma deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l'assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito e' predisposto. L'espressione usata dalla Costituzione per indicare i presupposti alla cui ricorrenza e' subordinato il potere del Governo di emanare norme primarie ancorche' provvisorie - ossia i casi straordinari di necessita' ed urgenza - se da un lato, come si e' detto, evidenzia il carattere singolare di detto potere rispetto alla disciplina delle fonti di una Repubblica parlamentare, dall'altro, pero', comporta l'inevitabile conseguenza di dare alla disposizione un largo margine di elasticita'. Infatti, la straordinarieta' del caso, tale da imporre la necessita' di dettare con urgenza una disciplina in proposito, puo' essere dovuta ad una pluralita' di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi....». In tale circostanza, la Corte costituzionale, ha aggiunto che, come precisato nella sentenza n. 29/1995 difetto dei requisiti del «caso straordinario di necessita' e d'urgenza», una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge. Il suddetto principio e' stato ribadito con la sentenza n. 341 del 2003, mentre con altre la Corte ha ritenuto di prescindere da tale questione perche' era da escludere l'evidente carenza dei suindicati presupposti (sentenze n. 196 del 2004 e n. 178 del 2004). Diverso orientamento e' stato invece adottato, senza specifica motivazione sul punto, con le sentenze n. 330 del 1996, n. 419 del 2000 e n. 29 del 2002 e, sotto un particolare profilo, con la sentenza n. 360 del 1996...». Nel dirimere la questione, la Corte costituzionale, nel ribadire il principio affermato dalla citata sentenza n. 29/1995 (secondo cui « ...il difetto dei requisiti del "caso straordinario di necessita' e d'urgenza", una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge...» ha motivato: «....Se, anzitutto, nella disciplina costituzionale che regola l'emanazione di norme primarie (leggi e atti aventi efficacia di legge) viene in primo piano il rapporto tra gli organi - sicche' potrebbe ritenersi che, una volta intervenuto l'avallo del Parlamento con la conversione del decreto, non restino margini per ulteriori controlli - non si puo' trascurare di rilevare che la suddetta disciplina e' anche funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso. Affermare che la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie. Inoltre, se si ha riguardo al fatto che in una Repubblica parlamentare, quale quella italiana, il Governo deve godere della fiducia delle Camere e si considera che il decreto-legge comporta una sua particolare assunzione di responsabilita', si deve concludere che le disposizioni della legge di conversione in quanto tali - nei limiti, cioe', in cui non incidano in modo sostanziale sul contenuto normativa delle disposizioni del decreto, come nel caso in esame - non possono essere valutate, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, autonomamente da quelle del decreto stesso. Infatti, l'immediata efficacia di questo, che lo rende idoneo a produrre modificazioni anche irreversibili sia della realta' materiale, sia dell'ordinamento, mentre rende evidente la ragione dell'inciso della norma costituzionale che attribuisce al Governo la responsabilita' dell'emanazione del decreto, condiziona nel contempo l'attivita' del Parlamento in sede di conversione in modo particolare rispetto alla ordinaria attivita' legislativa. Il Parlamento si trova a compiere le proprie valutazioni e a deliberare con riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale titolare del potere esecutivo, non spetta emanare disposizioni aventi efficacia di legge. Del resto, a conferma di cio', si puo' notare che la legge di conversione e' caratterizzata nel suo percorso parlamentare da una situazione tutta particolare, al punto che la presentazione del decreto per la conversione comporta che le Camere vengano convocate ancorche' sciolte (art. 77, secondo comma, della Costituzione), e il suo percorso di formazione ha una disciplina diversa da quella che regola l'iter dei disegni di legge proposti dal Governo (art. 96-bis del regolamento della Camera e art. 78, comma 4, di quello del Senato)...». Cio' premesso, si osserva che, nella fattispecie, il preambolo del decreto-legge in questione e' stato cosi' testualmente formulato «...Considerata la straordinaria necessita' ed urgenza di stabilire misure per la crescita economica; Considerata, inoltre, la straordinaria necessita' ed urgenza di prevedere misure per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi...»; tale decreto-legge, quindi, era finalizzato a predisporre una serie di misure finalizzate alla «crescita economica» del Paese ovvero alla risoluzione di specifiche crisi (tra le quali, ab origine, non era contemplata quella degli «enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente...»); solo in sede di conversione, e' stato inserito il citato art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies, la cui «necessita' ed urgenza» non era stata, quindi, ritenuta sussistente all'atto della pubblicazione del decreto-legge medesimo nella Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2019; non si comprende francamente quale possa essere la ragione di «necessita' ed urgenza», sopraggiunta dopo la data di pubblicazione del decreto-legge in questione; infatti la sentenza della Corte costituzionale n. 18/2019 (che ha determinato l'espunzione dal sistema dell'art. 1, comma 714, legge 208 del 2015 quale sostituito dall'art. 1, comma 434 della legge n. 232 del 2016 - era stata gia' pubblicata in 14 febbraio 2019 e «la urgente necessita' di un intervento legislativo straordinario del Governo» non sembra possa essere giustificata da una interpretazione del giudice contabile (ossia quella, contenuta nella deliberazione della Sezione delle autonomie n. 8/2019/QMIG, depositata il 7 maggio 2019) che aveva sostanzialmente confermato quanto, in precedenza affermato, dalle citate deliberazioni delle sezioni regionali di controllo per la Campania e per la Calabria (che avevano ritenuto sussistente l'obbligo dei Comuni di Pagani e Reggio Calabria di conformare il loro piano di riequilibrio ai principi stabiliti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18 del 2019). Appare, infatti, in contrasto con i principi costituzionali in precedenza esposti, l'aver considerato come «necessaria e urgente», l'esigenza di paralizzare gli effetti di pronunce anche definitive (in quanto non impugnate) della Corte dei conti (come la delibera della Sezione regionale di controllo per la Campania n. 46/2019/PRSP, sul Comune di Pagani, quella della Sezione regionale di controllo per la Calabria n: 31/2019/PRSP, sul Comune di Reggio Calabria) e quella della Sezione delle autonomie di questa Corte n. 8/2019/QMIG (confermativa, sostanzialmente delle prime due) al fine di consentire agli enti (che, a dette pronunce, non hanno inteso conformarsi) di ripresentare un nuovo piano di riequilibrio di durata financo ventennale (come nella fattispecie), con buona pace dei diritti delle future generazioni. Da cio' deriva che, nella fattispecie, secondo i chiari principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 171/ 2007, l'art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies , appare in contrasto con l'art. 77 della Costituzione in quanto privo dei requisiti «...di necessita' e urgenza...» e poiche' «...il difetto dei requisiti del "caso straordinario di necessita' e d'urgenza", una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge...». (1) Con deliberazione n. 30/2019, la Sezione di controllo per la Regione Calabria ha evidenziato che, con ordinanza n. 5/2019/EL, le sezioni riunite di questa Corte avevano sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, come interpretato autenticamente dall'art. 1, comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 in relazione agli articoli 3, 81 97, primo comma, 119, sesto comma, e 136 della Costituzione, adombrando la necessita' di tenere distinti gli accantonamenti del FAL e del FCDE per evitare espansioni della capacita' di spesa degli enti locali ed affermando che la norma di interpretazione autentica di cui alla legge n. 205/2017 rende ancor piu' evidente l'espansione della capacita' di spesa, in violazione dei predetti precetti costituzionali, consentendo tra l'altro di utilizzare il FAL per il ripiano del cosiddetto disavanzo tecnico di cui all'art. 3, comma 13, decreto legislativo n. 118/2011; per tale ragione, considerando che la riquantificazione del cosiddetto extradeficit e' stata effettuata dal Comune di Reggio Calabria applicando, tra l'altro, l'art. 1, comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, il giudizio in ordine alla correttezza della operazione e' stato sospeso, dalla Sezione, fino alla pronuncia della Corte costituzionale.
P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Calabria, solleva nei termini di cui in motivazione, questione di legittimita' costituzionale: 1. dell'art. 38, comma 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in combinato disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, nella parte in cui tale complesso di disposizioni consente di rimodulare/riformulare il piano di riequilibrio decennale, precedentemente approvato, in un termine ultra decennale, poiche' appare in contrasto con i parametri stabiliti dagli articoli 81 della Costituzione, 97, primo comma, della Costituzione, 117, primo comma della Costituzione, per violazione del parametro interposto del preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 3 del trattato consolidato dell'Unione europea, nonche' dell'art. 119, sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione; 2. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, nella parte in cui consente agli «...enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019...», anche se «... inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente...» di poter «...riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente», poiche', consentendo l'elusione del decisum di pronunce della magistratura contabile (anche divenute definitive) appare in contrasto con i parametri stabiliti dagli articoli 3, 102 comma 1, 100, 103, e 113 della Costituzione nonche' degli articoli 24 e 111 della Costituzione; 3. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, nella parte in cui, consentendo una ennesima fattispecie di riscrittura del piano di riequilibrio, per comuni gia' beneficiari di facolta' di rimodulazione/riformulazione, lede la certezza del diritto e la salvaguardia delle esigenze dei terzi amministrati e dei soggetti creditori, poiche' appare in contrasto con gli articoli 3, 24, 111 e 117, comma primo, della Costituzione, rispetto al parametro interposto dell'art. 1 protocollo 1, nonche' dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 4. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in combinato disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, comma 1, poiche' appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione ed adottato dal Governo al di fuori dei «...casi straordinari di necessita' e urgenza...» in violazione dell'art. 77 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso, relativo alla approvazione o al diniego, ai sensi dell'art. 38, comma 2-quater, decreto-legge n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019) del piano di riequilibrio riproposto dal Comune di Reggio Calabria con deliberazione C.C. n. 37 del 2019, in attesa della pronunzia della Corte costituzionale sulle questioni prospettate. Ordina che, a cura della segreteria della Sezione, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sia: notificata: al Presidente del Consiglio dei ministri; al Presidente del consiglio comunale e al sindaco pro tempore al Comune di Reggio Calabria (RC); comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Ordina, altresi' alla segreteria della Sezione, di trasmettere gli atti, unitamente alle prove delle notificazioni e delle comunicazioni sopra indicate, alla Corte costituzionale. Cosi' deliberato, in Catanzaro, nella Camera di consiglio del giorno 26 agosto 2019. Il Presidente estensore: Lo Presti