N. 180 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 ottobre 2018
Ordinanza del 9 ottobre 2018 della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'Umbria nel giudizio di responsabilita' proposto dal procuratore regionale della Corte dei conti per l'Umbria contro S. C.. Impiego pubblico - Licenziamento disciplinare - Azione di responsabilita' per danno di immagine - Quantificazione del danno all'immagine. - Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), art. 55-quater, comma 3-quater, ultimo periodo.(GU n.51 del 27-12-2018 )
LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regionale per l'Umbria Composta dai seguenti magistrati: Salvatore Nicolella - Presidente; Pasquale Fava - Consigliere, relatore; Chiara Vetro - Consigliere; ha pronunciato la seguente sentenza non definitiva - ordinanza nel giudizio di responsabilita' iscritto al n. 12752 del ruolo generale, promosso dalla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l'Umbria, con atto di citazione depositato il 26 gennaio 2018, nei confronti di C. S., nata a ... il ..., residente in ..., rappresentata e difesa dall'avv. Siro Centofanti, presso il quale ha eletto domicilio in Perugia nello studio di via Cesare Fani n. 14 (siro.centofanti@avvocatiperugiapec.it). Visto l'atto introduttivo del giudizio. Visti gli altri atti e documenti di causa. Udito nella pubblica udienza del 18 luglio 2018, con ]'assistenza del segretario dott.ssa Melita Di Iorio, il Consigliere relatore Pasquale Fava. Uditi, nella medesima udienza, il Procuratore regionale Antonio Giuseppone e l'avv. Siro Centofanti. Svolgimento del processo 1. La prospettazione della Procura regionale. Con atto di citazione depositato il 26 gennaio 2018 la Procura regionale ha convenuto in giudizio la sig.ra C. S. per sentirla condannare al pagamento in favore del Comune di Assisi di € 20.064,81 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali su tale importo e spese di giustizia, queste ultime in favore dello Stato. La convenuta, nella qualita' di dipendente dell'Ufficio turismo del predetto Ente locale, avrebbe falsamente attestato la propria presenza in servizio nei giorni 20, 22, 27 e 29 marzo 2017 tra le 17,00 e le 18,00. La S. infatti, pur uscendo effettivamente alle 17,00, avrebbe attestato la propria presenza sino alle ore 18,00. Cio' sarebbe stato possibile in quanto l'Ufficio turismo e' separato dalla Sede comunale (nella quale soltanto sono collocati gli appositi strumenti di rilevamento delle presenze), quindi i dipendenti assegnati al medesimo possono usare il badge solo per attestare l'ingresso in servizio e non invero l'uscita, essendo la Sede centrale gia' chiusa alle 18,00. Per tali ragioni organizzative, i dipendenti dell'Ufficio turismo attestano l'orario di uscita su modelli poi acquisiti al sistema di rilevazione automatico delle presenze. La Procura regionale, in base ai tabulati acquisiti al procedimento penale promosso sugli stessi fatti, considerando infondate le eccezioni sollevate nelle controdeduzioni dalla convenuta, ha puntualizzato nei termini che seguono gli orari di entrata e di uscita - i secondi rispettivamente attestati ed effettivi - della dipendente nei giorni in questione: «giorno 20 marzo la dipendente e' entrata alle ore 8,19 ed e' uscita alle 18,00 (in realta' le 17,00, come gia' detto); il 22 marzo e' entrata alle 8,44, ed e' uscita alle 18,00 (17,00 effettive); il 27 marzo e' entrata alle 8,32 ed e' uscita alle 18,00 (17,00), il 29 marzo e' entrata alle 9,03 ed e' uscita alle 18,00 (17 reali)» (pag. 6 dell'atto di citazione). Di conseguenza le ha contestato un danno patrimoniale pari a € 64,81, derivante dalla percezione indebita della retribuzione nei periodi per il quali e' mancata la prestazione lavorativa. In aggiunta ha chiesto la sua condanna al pagamento del danno all'immagine da liquidarsi equitativamente in € 20.000,00 ai sensi dell'art. 55-quater, comma 3-quater, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124. 2. Le difese della convenuta. C. S. ha contestato la fondatezza dell'atto di citazione deducendo che avrebbe sempre lavorato per tutto il giorno senza fruire di pausa pranzo, essendo oltretutto l'unica dipendente dell'Ufficio ad aver assicurato la propria disponibilita' alla permanenza anche nel pomeriggio. Circa i periodi di falsa attestazione della propria presenza in servizio, al termine della prestazione lavorativa giornaliera nei quattro giorni indicati, ha segnalato che, avendo compilato i moduli cartacei dopo svariati giorni, non avrebbe potuto ricordare con precisione l'orario di uscita. Ne ha dedotto la carenza di dolo e intenzionalita' data l'impossibilita' di rammentare, all'atto della compilazione, gli orari precisi di uscita effettiva. Sotto questo profilo ha sollecitato un'istruttoria presso il Comune di Assisi, onde ottenere l'esibizione dei predetti moduli con l'indicazione della data di compilazione degli stessi. ha anche segnalato la tenuita' dei fatti e l'esiguita' del danno patrimoniale relativo alla retribuzione indebitamente percepita per le poche ore in contestazione (il suo stipendio mensile lordo era di € 1.679,00 e quello netto di € 1.300,00, con valore della retribuzione oraria pari rispettivamente ad € 10,76 lordi ed € 8,33 netti). Dal punto di vista del quadro normativa su cui si basa l'accusa, la convenuta ha articolato alcune questioni di legittimita' costituzionale della disposizione di cui si e' detto; in particolare, per difetto di delega (art. 76 Costituzione) trattandosi di previsioni di diritto sostanziale non aventi ad oggetto il procedimento disciplinare bensi' quello contabile; ovvero per irragionevolezza (art. 3 Costituzione) in quanto la norma equiparerebbe situazioni diverse meritevoli di trattamento eterogeneo e obbligherebbe alla irrogazione di sanzioni gravi anche in presenza di fattispecie tenui (come accade nel caso di specie). Manifestando la propria disponibilita' a risarcire il danno arrecato, circa la quantificazione del pregiudizio all'immagine ha rappresentato che la fattispecie concreta non sarebbe sussumibile all'interno delle previsioni dei commi 3-bis e 3-quater dell'art. 55-quater del decreto legislativo n. 165 2001, non potendo affermarsi l'esistenza di un'ipotesi di flagranza, ne' di un accertamento della falsa attestazione attraverso strumenti di sorveglianza o di registrazione. In via di mero subordine, ha chiesto la liquidazione del danno all'immagine nella misura minima di € 7.800,00 (€ 1.300,00 x 6). 3. Nel corso del pubblico dibattimento del 18 luglio 2018 le parti hanno richiamato gli scritti gia' versati in atti e ne hanno illustrato le argomentazioni, ribadendo le domande, eccezioni conclusioni gia' rassegnate. La causa, in quanto matura, e' stata trattenuta in decisione ed e' stata definita, come da dispositivo, nella camera di consiglio del 19 luglio 2018, tenutasi al termine della complessiva udienza pubblica. Motivi della decisione A. Fondatezza dell'azione risarcitoria pubblicistica promossa dalla Procura regionale nei confronti della convenuta: condanna al risarcimento del danno patrimoniale da percezione indebita della retribuzione in mancanza di prestazione lavorativa e, limitatamente all'debeatur, del pregiudizio all'immagine. L'azione risarcitoria attivata dalla Procura regionale e' fondata per i profili di seguito indicati. Dalla documentazione versata in atti (note del Comune di Assisi 29 agosto 2017, prot. 30919; 27 settembre 2017, prot. 34948; 9 novembre 2017, prot. 41918, con allegati) emerge inequivocamente una condotta di falsa attestazione della presenza in servizio mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento e altre modalita' fraudolente di cui all'art. 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001, introdotto dall'art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nella formulazione in vigore al tempo dei fatti in questione, condotta accertata attraverso strumenti di sorveglianza e di registrazione. Il comma 1-bis del menzionato art. 55-quater, introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116, quindi in vigore al tempo dei fatti contestati alla convenuta, prevede che «costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalita' fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attivita' lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso». La condotta posta in essere dalla convenuta integra certamente la richiamata fattispecie che, allo stesso tempo, costituisce illecito penale, disciplinare e contabile. Gli art. 55-quater e 55-quinquies del decreto legislativo n. 165/2001 prevedono, inoltre, che la Procura regionale della Corte dei conti debba perseguire i responsabili richiedendo la condanna al risarcimento sia del «danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione», che del danno all'immagine, la cui liquidazione e' rimessa alla «valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione [fermo restando che] i l'eventuale condanna non puo' essere inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia». I dipendenti pubblici tenuti al rispetto di un orario di lavoro, in quanto la prestazione puo' essere svolta solo presso l'Ufficio pubblico, sono obbligati a prestarla secondo le modalita', le forme e i tempi stabiliti dal datore di lavoro pubblico, avendo l'utenza un vero e proprio diritto pubblico soggettivo all'esercizio del potere e al disbrigo delle pratiche di ufficio per tutto il periodo di apertura della Struttura. La convenuta, invece, in violazione delle predette regole di condotta e degli obblighi di presenza in servizio, ha modificato l'orario di uscita, anticipandolo di un'ora rispetto a quello da lei dichiarato e attestato, disvelando una predeterminazione intenzionale. Al riguardo l'eccezione sollevata dalla medesima, relativa allo scollamento temporale tra il giorno dell'uscita e quello di sottoscrizione del relativo modulo cartaceo, non ha pregio uscita dall'Ufficio e avrebbe dovuto annotare il momento esatto per poi riportarlo sul modulo oppure compilare immediatamente lo stesso al tempo dell'uscita per poi consegnarlo successivamente. Per tali ragioni, la convenuta deve essere condannata al pagamento di € 64,81, pari alle retribuzioni indebitamente percepite in assenza di prestazione lavorativa. Poiche' l'illecito contabile ha natura di debito di valore, secondo i criteri seguiti costantemente dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (Cassazione civile, Sezioni unite, 17 febbraio 1995, n. 1712; Sezione terza, 10 marzo 2006, n. 5234) devono quindi essere corrisposti gli interessi legali sulla predetta somma rivalutata, anno per anno. Il dies a quo della liquidazione, nello specifico, deve essere individuato nella data di erogazione dei compensi non dovuti; il dies ad quem, invece, va individuato nella data di pubblicazione della presente sentenza non definitiva. Sul totale, risultante dal calcolo innanzi descritto, sono altresi' dovuti gli interessi legali dalla pubblicazione della presente decisione non definitiva fino all'effettivo soddisfo ex art. 1282, comma 1, c.c. A seguito della pubblicazione, difatti, tutte le somme per cui e' condanna risarcitoria divengono certe, liquide ed esigibili, determinandosi la cosiddetta conversione del debito di valore in debito di valuta. Venendo al danno all'immagine, il Collegio rileva che sussistono nella fattispecie tutti gli elementi oggettivi, soggettivi e sociali della posta risarcitoria avendo avuto la vicenda risonanza nella stampa locale (puntualmente allegata da parte attrice). Le nuove previsioni normative applicabili alla specie presentano, del resto, funzioni sanzionatorie e deterrenti onde rendere efficace il contrasto dei comportamenti assenteistici. L'azione di responsabilita' contabile intestata alla Procura regionale, ontologicamente compensativa (tendendo al ripristino del patrimonio pubblico danneggiato, come riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella celebre sentenza Rigolio c/Italia [CEDU, sentenza 13 maggio 2014 (ric. 20148/09)], subisce infatti nell'art. 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001, comma 3-quater, ultima parte dell'ultimo periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b), del decreto legislativo n. 116/ 2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, una evidente torsione sanzionatoria che non si presenta, sotto questo specifico profilo funzionale, costituzionalmente irragionevole in considerazione delle condotte che tende a contrastare. Per quanto sopra, dalla documentazione versata in atti emerge che la convenuta ha posto in essere la condotta contestata dalla Procura regionale e, per tale ragione, ella deve essere condannata a risarcire al Comune di Assisi, oltre al danno patrimoniale relativo alla retribuzione percepita in assenza di prestazione lavorativa, il pregiudizio all'immagine inferto all'Amministrazione locale. La quantificazione del danno all'immagine rende tuttavia rilevante risolvere la questione di legittimita' costituzionale della normativa introdotta dalla riforma del 2016 (di cui la Procura regionale ha invocato l'applicazione), questione che si articola nei profili di seguito illustrati. B.1 - La quantificazione del danno all'immagine. Sulla rilevanza delle questioni di costituzionalita' dell'art. 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001, comma 3-quater, ultima parte dell'ultimo periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b) del decreto legislativo n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s) della legge 7 agosto 2015, n. 124. Il decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116, in attuazione della delega posta del 7 agosto 2015, n. 124, ha disciplinato, in caso di falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze (ipotesi che si ravvisa nel caso concreto essendo stata accertata la falsa attestazione attraverso i sistemi di sorveglianza predisposti dalle Forze dell'ordine), la procedura sanzionatoria etichettata in dottrina «licenziamento abbreviato o per direttissima» in virtu' della quale il responsabile della Struttura in cui il dipendente lavora e' tenuto a disporne immediatamente la sospensione cautelare dal servizio, provvedendo nel contempo alla contestazione per iscritto dell'addebito e alla convocazione del dipendente stesso presso l'Ufficio per i procedimenti disciplinari dal quale - previo contraddittorio ed esercizio del diritto di difesa procedimentale - sara' poi irrogato, in caso di fondatezza, il provvedimento sanzionatorio (licenziamento disciplinare). Il comma 3-quater poi, prevede che la Procura della Corte dei conti sia tenuta a emettere l'invito a dedurre per danno all'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. Circa la quantificazione del pregiudizio all'immagine l'art. 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001, comma 3-quater, ultimo periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b), del decreto legislativo n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, dispone che: «l'ammontare del danno risarcibile e' rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non, puo' essere inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia». La Procura regionale ha chiesto l'applicazione di questa norma («Per giurisprudenza consolidata e per il disposto dell'art. 55-quater, comma 3-quater, decreto legislativo n. 165/2001 la quantificazione di detto danno deve avvenire equitativamente. A tal fine questo Requirente, applicando i parametri oggettivi, soggettivi e sociali elaborati dalla giurisprudenza [...] e considerando che ai sensi della predetta norma il danno all'immagine non puo' essere inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento della dipendente (quantificato dal Comune di Assisi in € 1.300,71 netti per il mese di giugno 2017), determina il danno all'immagine in € 20.000,00» - pag. 9 dell'atto di citazione). Non vi e' alcun dubbio, quindi, circa l'applicabilita' della norma censurata alla fattispecie controversa in quanto la falsa attestazione della presenza in servizio commessa dalla convenuta e' stata accertata attraverso strumenti di sorveglianza e registrazione degli accessi e delle presenze. B.2 - La quantificazione del danno all'immagine. Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001, comma 3-quater, ultima parte dell'ultimo periodo, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b) del decreto legislativo n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124. Le questioni di costituzionalita' sollevate dalla difesa della convenuta, oltre ad essere rilevanti (dovendo il Collegio dare applicazione al caso di specie dell'art. 55-quater, comma 3-quater, ultima parte, del decreto legislativo n. 165/2001), sono non manifestamente infondate, secondo quanto di seguito si osserva. B.2.1 - Sulla violazione dell'art. 76 della Costituzione. La norma, come correttamente rilevato dal difensore della convenuta, e' stata introdotta dal Legislatore delegato (art. 1, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116) in virtu' di potere legislativo conferito dall'art. 17, comma 1, lett. s) della legge 7 agosto 2015, n. 124, come emerge dalla stessa rubrica del decreto legislativo («Modifiche all'art. 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare»). Il testo della norma di delega fissa il seguente principio e criterio direttivo: «introduzione di norme in materia di responsabilita' disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare» (art. 17 comma 1, lett. s) della legge 7 agosto 2015, n. 124). Appare evidente che il decreto di riordino non avrebbe potuto incidere sulla disciplina dell'azione di responsabilita' amministrativa intestata alla Procura regionale della Corte dei corti, ne' tanto meno avrebbe potuto porre regole finalizzate a ridisciplinare in funzione sanzionatoria i criteri di computo del danno all'immagine. L'azione intestata alla Procura regionale di questa Corte per il risarcimento della specifica posta di danno all'immagine, pur avendo nel caso di specie una (eccezionale) natura sanzionatoria, in quanto fissa un criterio di determinazione del quantum dovuto che prescinde dall'identificazione puntuale del pregiudizio arrecato all'Amministrazione danneggiata, non e' confondibile, sia funzionalmente che strutturalmente, con il procedimento disciplinare che il legislatore delegato aveva posto ad oggetto della delega. Anche in ragione della natura di mero «riordino», fissata espressamente dall'art. 17 della legge n. 124/2015, del decreto legislativo in materia disciplinare («introduzione di norme in materia di responsabilita' disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare» - art 1, lett. s)], il Legislatore delegato non avrebbe potuto introdurre norme di diritto sostanziale volte a fissare criteri di liquidazione del danno all'immagine da falsa attestazione della presenza in servizio (peraltro fissando, come si vedra', una soglia sanzionatoria inderogabile nel minimo che potrebbe essere in concreto sproporzionata rispetto al caso concreto). Nell'ordinamento italiano, come pure giuridiche europee, e' ampiamente ammesso, nella materia del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, il cumulo di sanzioni civili, penali, amministrative e contabili (per il recente mutamento di indirizzo nella giurisprudenza convenzionale Corte EDU (Grande camera), sentenza 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11 e 29758/11; Corte costituzionale, sentenza 24 gennaio 2018, n. 43). Il presupposto largamente condiviso risiede nella eterogeneita' funzionale e strutturale delle svariate sanzioni che sono applicate da Autorita' diverse, seguendo procedimenti diversificati pur se coordinati, al fine di perseguire obiettivi non sovrapponibili sempre che la risposta sanzionatoria sia, nel complesso proporzionata (in proposito di recente anche Corte di giustizia, Grande sezione, 20 marzo 2018, C-524/15, Menci; C-537/16, Garlsson Real Estate e a.; C-596/16 e C-597/16 Di Puma e Zecca). La descritta eterogeneita' e non confondibilita' tra poteri sanzionatori disciplinari del datore di lavoro pubblico e poteri di azione nell'interesse generale intestati alla Procura regionale di questa Corte, rende palese l'eccesso di delega in cui, come correttamente rilevato dalla difesa della convenuta, e' incorso il Legislatore. B.2.2 - Sulla violazione dell'art. 3 della Costituzione [anche in combinazione con gli art. 23, 117, primo comma, della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e all'art. 4 del Protocollo n. 7 addizionale di detta convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto norme interposte]. La violazione dei principi di gradualita' e proporzionalita' sanzionatoria. Dal punto di vista della costituzionalita' sostanziale, la previsione normativa, come giustamente prospettato dalla difesa della convenuta, appare manifestamente irragionevole atteso che obbliga il Giudice contabile a irrogare una condanna sanzionatoria senza tener conto dell'offensivita' in concreto della condotta posta in essere. L'obbligatorieta' del minimo sanzionatorio («sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese d in ipotesi di fondatezza della contestazione relativa al danno all'immagine, impedisce al Collegio di dare rilevanza altre circostanze specifiche peculiari e caratterizzanti il caso concreto, come impone al Giudicante un verdetto condannatorio pur in presenza di condotte marginali e tenui che abbiano prodotto un pregiudizio minimo poco significativo, violando sia il principio di proporzionalita' che quello della gradualita' sanzionatoria. La disposizione, quindi, viola i principi fondamentali e generali n materia sanzionatoria impedendo a Giudicante una valutazione appropriata della fattispecie concreta, adeguando essa a complessiva risposta sanzionatoria del sistema come imposto dalla citata giurisprudenza sovranazionale convenzionale EDU ed eurounitaria. B.3. - La quantificazione del danno all'immagine. Sulla impossibilita' di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 55-quater del decreto legislativo n. 16512001, comma 3-quater, ultima parte dell'ultimo periodo come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b) del decreto legislativo n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, tale da escludere censure di costituzionalita'. La formulazione normativa preclude ogni margine di manovra all'interpretazione correttiva giudiziale costituzionalmente orientata. La norma, pur rimettendo la determinazione del danno all'immagine alla valutazione equitativa del giudice, obbliga, in caso di fondatezza dell'azione risarcitoria pubblicistica esperita dalla Procura regionale, a condannare il convenuto nella misura minima non inferiore a sei mensilita' dell'ultimo stipendio in godimento. L'obbligatorieta' del minimo edittale sanzionatorio rende impossibile ogni adeguamento al caso concreto, precludendo l'operarivita' del principio di proporzionalita' della sanzione che impone l'adeguamento della tipologia e consistenza della misura sanzionatoria al grado, natura e carattere della violazione riscontrata. Nel caso concreto questa Corte, stante la fondatezza dell'azione e nonostante la tenuita' del fatto e il carattere lieve delle violazioni riscontrate (pochissime ore di falsa attestazione in relazione a quattro giornate non reiterate), dovrebbe applicare il minimo sanzionatorio che appare, alla luce della fattispecie concreta, eccessivo, sproporzionato irragionevole. Per quanto sopra esposto, visti gli articoli 134 Costituzione e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, questa Sezione, dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le prospettate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 55-quater, comma 3-quater, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116 (recante «modifiche [...] in materia di licenziamento disciplinare»), in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, dispone, in conseguenza, la sospensione del giudizio in epigrafe, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e gli adempimenti a cura della Cancelleria di cui al dispositivo. Le spese del giudizio saranno liquidate alla definizione integrale del merito della presente controversia.
P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per L'Umbria, disattesa al riguardo ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, non definitivamente pronunciando sull'atto di citazione in epigrafe, condanna la sig.ra C. S. al pagamento, in favore del Comune di Assisi, di € 64,81 (sessantaquattro/81) a titolo di danno patrimoniale da indebita percezione della retribuzione in assenza di prestazione lavorativa, unitamente agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria nei sensi di cui in motivazione. Condanna, altresi', la sig.ra C. S. a risarcire il Comune di Assisi del danno all'immagine, riservando la quantificazione dell'importo di detta obbligazione - e, di conseguenza, degli accessori dovuti sul medesimo - all'esito della definizione del processo costituzionale attivato con la presente sentenza non definitiva - ordinanza. Visti, quindi, l'art. 134 Costituzione e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23: Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in riferimento agli articoli 76 e 3 della Costituzione (quest'ultimo anche in combinazione con gli articoli 23, 117, primo comma, della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e all'art. 4 del Protocollo n. 7 addizionale di detta Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto norme interposte), le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 55-quater, comma 3-quater, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116 (recante «modifiche [...] in materia di licenziamento disciplinare»), in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, questioni prospettate nei termini di cui in motivazione. Dispone la sospensione del presente giudizio; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della Segreteria della Sezione; Ordina altresi', alla Segreteria stessa, che la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio e al Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati; Spese del giudizio al definitivo. Cosi' deciso non definitivamente e provveduto in Perugia, nella camera di consiglio del 19 luglio 2018. Il Presidente: Nicolella Il consigliere-estensore: Fava