N. 60 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 dicembre 1990

                                 N. 60
 Ordinanza  emessa  il  4  dicembre  1990  dal giudice per le indagini
 preliminari presso la pretura di Verona  nel  procedimento  penale  a
 carico di Zanetti Emanuelita ed altra
 Processo  penale  -  Decreto  di archiviazione - Richiesta del p.m. -
 Inesistenza di elementi idonei a sostenere  l'accusa  in  giudizio  -
 Omessa  previsione  solo  per il caso di manifesta infondatezza della
 notitia criminis - Lamentata violazione dei  principi  fissati  dalla
 legge-delega  -  Questione  gia' sottoposta alla Corte - Richiesta di
 riesame.
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 125).
 (Cost.,  art. 76; legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, primo comma,
 n. 50).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale  a  carico  di Zanetti
 Emanuelita e Rossetti Maria, sottoposte ad indagini per il  reato  di
 favoreggiamento personale;
    Rilevato  che  il p.m. ha richiesto l'archiviazione degli atti, in
 data 26 gennaio 1990, in quanto anche alla luce dell'art.  125  delle
 disp. att. del c.p.p. doveva ritenersi l'inconsistenza degli elementi
 per sostenere l'accusa in giudizio;
    Rilevato  che in data 31 gennaio 1990 questo giudice ha sollevato,
 d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 125 del
 d.lgs.  28  luglio  1989,  n.  271,  in  relazione  all'art. 76 della
 Costituzione per eccesso  rispetto  alla  delega  di  cui  al  n.  50
 dell'art. 2.1 della legge 16 febbraio 1987, n. 81;
    Rilevato  che con ordinanza n. 463/1990 la Corte costituzionale ha
 disposto la restituzione degli atti a questo ufficio, per il  riesame
 della  attualita'  e  concreta  rilevanza della questione proposta, a
 seguito del nuovo  quadro  normativo  risultante  dalla  sentenza  n.
 445/1990;
                             O S S E R V A
    Il   mutato   quadro  normativo,  dopo  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale  n.  445/1990,  non  determina  il  venir  meno  della
 rilevanza  della  questione  proposta,  a giudizio di questo ufficio,
 stante la peculiarita' della fattispecie, nella  quale  non  appaiono
 utilmente  esperibili  ulteriori  accertamenti.  Ed  invero, si e' di
 fronte ad una condotta oggettiva di collaborazione nel  tentativo  di
 occultare  derrate  alimentari scadute, nel corso di un controllo dei
 Carabinieri del n.a.s., la  quale  peraltro,  anche  per  le  ragioni
 esposte  nella  sua  richiesta  dal  p.m.,  non e' tale da fondare un
 giudizio di certa affermazione di penale responsabilita',  rebus  sic
 stantibus,  in ossequio al parametro di valutazione imposto dall'art.
 125 delle disp. att. del c.p.p.
    Premesso che appare indubitabile che quel parametro di valutazione
 delle  fonti  di  prova  acquisiste  valga   tanto   per   il   p.m.,
 nell'esercizio  della  scelta  che gli compete ai sensi dell'art. 405
 del c.p.p., quanto per il giudice per le  indagini  preliminari,  nel
 giudizio  sulla consistenza delle fonti di prova che gli e' richiesto
 ai sensi degli artt. 409.5  e  554.2  del  c.p.p.,  si  ripropone  la
 questione  della  legittimita'  costituzionale  di  questo  parametro
 normativo.
    Come  gia' indicato nella precedente ordinanza, infatti, l'art. 2,
 n. 50, della legge di delega 16 febbraio 1987, n.  81,  prescrive  al
 giudice   di   disporre,   su   richiesta   del  pubblico  ministero,
 l'archiviazione (solo) per manifesta infondatezza  della  notizia  di
 reato (oltre che per improcedibilita' dell'azione penale e per essere
 ignoti gli autori del reato). L'art. 408 del c.p.p. ha effettivamente
 previsto  l'archiviazione  nel  caso di infondatezza della notizia di
 reato, ma l'art. 125 delle disp. att. del c.p.p. ha fornito una nuova
 nozione normativa di "infondatezza": vi e' infondatezza della notizia
 di reato quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non
 sono   idonei   a   sostenere  l'accusa  in  giudizio.  Nel  progetto
 preliminare,  il  testo  dell'art.  115  prevedeva  la  richiesta  di
 archiviazione  ogni  qualvolta "gli elementi di prova acquisiti nelle
 indagini preliminari non (fossero) sufficienti al fine della condanna
 dell'imputato".  Questa  descrizione  del  contenuto della nozione di
 infondatezza  e'  rimasta  nell'art.  256  delle  disp.   att.,   che
 regolamenta  l'esito  della  fase  di indagini per i procedimenti che
 proseguono con il vecchio rito.
    Non  pare  tuttavia  che la diversa, ultima formulazione dell'art.
 125 delle disp.  att.  del  c.p.p.  abbia  determinato  un  mutamento
 rilevante  nella  sua  oggettiva  portata:  al p.m. (ed al g.i.p.) si
 richiede di non esercitare l'azione  penale  ove,  con  gli  elementi
 probatori  a  disposizione, non sia possibile richiedere utilmente la
 condanna dell'imputato (non si vede, infatti, quale altro senso abbia
 la locuzione "idonei a sostenere l'accusa in giudizio").
    Questa  interpretazione trova conferma dai concordi commenti della
 dottrina (tant'e' che si e' anche parlato di "azione penale concreta"
 quale  concetto  assolutamente inedito nel diritto processuale penale
 italiano) oltre che dalla prassi giudiziaria  di  questo  primo  anno
 (sicche'  numerose  situazioni  procedimentali,  che  sarebbero state
 riconducibili  a   sentenze   dibattimentali   di   assoluzione   per
 insufficienza di prove, sono definite con l'archiviazione ex art. 125
 delle disp. att. del c.p.p.).
    Se  cosi'  e',  appare  evidente  come il p.m. (e il g.i.p.) debba
 formulare  con  la  richiesta  di  archiviazione  quel  giudizio   di
 sufficienza  di  prove,  rebus sic stantibus, per la condanna, che va
 addirittura oltre il giudizio di sufficienza di prove per il rinvio a
 giudizio,  che  l'abrogato  codice  attribuiva,  con  l'art.  374, al
 giudice istruttore.
    Sulla  distinzione manifesta tra i concetti di "infondatezza della
 notizia di  reato",  "sufficienti  indizi  di  colpevolezza",  "prove
 sufficienti  per  il  rinvio  a giudizio" e "prove sufficienti per la
 condanna dibattimentale", sia consentito il  mero  generico  richiamo
 alla  dottrina ed alla giurisprudenza che, vigente l'abrogato codice,
 hanno precisato  il  significato  normativo  dei  termini  "sospetto"
 "indizio  di  colpevolezza" "prova per il rinvio a giudizio" e "prova
 per la condanna dibattimentale": e non vi e' alcun dato positivo  per
 ritenere  che  il  legislatore delegante abbia inteso i termini usati
 con significato innovativo.
    Il  sistema  quale  concretamente  delineatosi  dopo  le  norme di
 attuazione sembra, in definitiva, opposto a  quello  stabilito  dalla
 legge   delega,  che  sostanzialmente  finiva  con  il  far  ritenere
 necessaria la  soluzione  dibattimentale  ogni  qualvolta  non  fosse
 evidente  l'infondatezza della notizia di reato - art. 408 del c.p.p.
 - ovvero l'estraneita'  della  persona  sottoposta  alle  indagini  o
 l'improcedibilita' - art. 425 del c.p.p. Sicche', nei procedimenti di
 competenza del tribunale o della corte d'assise (la  osservazione  e'
 solo  apparentemente  irrilevante  giacche'  il  richiamo  serve  per
 ragioni argomentative), puo' accadere che, sulla  base  dei  medesimi
 elementi  probatori,  se  il  p.m.  chiede  l'archiviazione il g.i.p.
 dovra' archiviare (secondo i parametri valutativi ex art.  125  delle
 disp.  att.  del c.p.p.), mentre se egli chiede il rinvio a giudizio,
 il g.i.p. dovra' ordinare il rinvio a giudizio ( ex artt. 424  e  425
 del  c.p.p.  -  si  noti la locuzione "risulta evidente" contenuta in
 quest'ultimo).
    Pertanto,  se  da un lato l'introduzione dell'art. 125 delle disp.
 att. del  c.p.p.  consente  di  ridurre  drasticamente  l'accesso  al
 dibattimento  (dando  probabilmente  al nuovo codice speranza di vita
 felice), dall'altro essa e' foriera di tali implicazioni culturali  e
 ordinamentali relative alla posizione del pubblico ministero (tant'e'
 che si e' parlato in dottrina di "sistema processuale in una fase  di
 transizione  proiettata  verso  una  sostanziale  ridefinizione della
 regola dell'obbligatorieta'") che pare doveroso il pretendere che, in
 armonia  con  i  principi  costituzionali  e  indipendentemente da un
 giudizio positivo sul suo contenuto (sotto il profilo pratico e sotto
 quello  sistematico),  sia  il  legislatore  e non il redattore delle
 norme di attuazione  -  in  ritenuto  eccesso  rispetto  alla  delega
 ricevuta - a prevederla, cosi' giustificandola politicamente.
    Appare  evidente  che  la scelta tra l'avviare il sistema verso la
 discrezionalita' nell'esercizio dell'azione penale ed il mantenere un
 rigoroso principio di obbligatorieta' e' scelta tipicamente politica,
 nel senso piu' positivo del termine, e spetta  esclusivamente  ad  un
 consapevole  Parlamento,  anche perche' non e' certo scelta con esito
 necessario (giacche' la mole di lavoro potrebbe, ad  esempio,  essere
 ridotta  con una accurata ed intelligente depenalizzazione e comunque
 fronteggiata con strutture, mezzi e uomini adeguati).
    Ed ecco perche' corre obbligo al giudice di chiedere un intervento
 della  Corte  costituzionale  che,   ove   dovesse   condividere   le
 argomentazioni  esposte,  dichiarando  l'illegittimita' dell'art. 125
 delle disp. att. del c.p.p. restituirebbe al Parlamento il compito di
 provvedere sul punto, con scelta consapevole e responsabile.
    La  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza della questione
 appaiono evidenti: quanto alla prima, ove dovesse  essere  dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  le persone sottoposte
 alle indagini in questo  procedimento  dovrebbero  essere  tratte  al
 giudizio    dibattimentale;   quanto   alla   seconda,   valgono   le
 argomentazioni  prospettate  in   riferimento   all'art.   76   della
 Costituzione.
                                P. Q. M.
    Solleva   d'ufficio,   questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 125 del d.lgs. n. 271  del  28  luglio  1989  in  relazione
 all'art.  76  della  Costituzione per eccesso rispetto alla delega di
 cui al n. 50 dell'art. 2.1› della legge n. 81 del 16 febbraio 1987;
    Sospende   il  presente  procedimento  nei  confronti  di  Zanetti
 Emanuelita e Rossetti Maria;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio dei ministri e alle parti e comunicata ai Presidenti  delle
 due Camere del Parlamento;
    Manda la cancelleria per l'esecuzione
      Verona, addi' 4 dicembre 1990
            Il giudice per le indagini preliminari: CITTERIO

 91C0139