N. 108 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 settembre 2016
Ordinanza del 2 settembre 2016 della Commissione tributaria provinciale di Messina sul ricorso proposto da Calanna Grazia c/Commissione tributaria provinciale di Messina. Spese di giustizia - Contributo unificato - Riscossione - Notificazione dell'invito al pagamento presso il domicilio eletto o, in mancanza, tramite deposito presso l'ufficio. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)»), art. 248, comma 2.(GU n.34 del 29-8-2018 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MESSINA Sezione 11 riunita con l'intervento dei sig.ri: Lanza Volpe Armando Calogero, presidente; Savasta Pancrazio Maria, relatore; Iarrera Michelina, giudice. Ha emesso la seguente ordinanza su ricorso n. 3654/2015 depositato il 16 ottobre 2015 avverso avviso di intimazione n. 0004953 Trib. Erariali 2013. Contro: Commissione tributaria provinciale di Messina. Proposto dal ricorrente: Calanna Grazia, CDA Rupila 29 98074 Naso ME. Difeso da: Sinagra Maria Tindara, Via U. Corica n. 36 98069 Sinagra ME. Ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 3, legge n. 87/1953. Fatto Con ricorso iscritto n. 3654/15, notificato il 16 ottobre 2015 e contestualmente depositato, la ricorrente, Calanna Grazia, rappresentata se difesa dall'avv. Maria Sinagra, ha impugnato l'intimazione di pagamento prot. n. 0004953 del 21 luglio 2015, con il quale, dopo un primo avviso notificato il 6 giugno 2013 al rag. Franco Micale, difensore della stessa nel contenzioso iscritto al R.G.R. 1143/13 instaurato presso questa Commissione Tributaria Provinciale, quest'ultirna - Ufficio Recupero Spese di Giustizia - le ha intimato il pagamento di € 1.500,00, per omesso versamento del contributo unificato e mancata indicazione del valore della lite relativo al predetto ricorso, oltre € 3.000,00, pari al 200% dell'importo dovuto e non versato, per complessivi € 4.508,75, comprensivi di spese di notifica. Il ricorso e' stato affidato alle censure che possono cosi' essere rappresentate: 1) nullita' dell'atto impugnato per carenza di elementi essenziali. Il provvedimento impugnato sarebbe nullo, in quanto privo dei seguenti elementi: a) mancata indicazione dell'Autorita' competente a ricevere il ricorso. b) mancata allegazione degli atti prodromici; c) «impossibilita' di poter impugnare l'invito al pagamento prot. n. 0001634», in quanto non direttamente conosciuto. 2) Violazione del termine decadenziale previsto dall'art. 248 T.U.S.G., per non essere stato il provvedimento notificato entro trenta giorni dal deposito dell'atto. 3) Desumibilita' del valore della lite «dalla copia del diniego della definizione della lite pendente prot., n. 2012/141514/6». In ogni caso, avrebbe dovuto essere applicato il contributo per valore indeterminabile, pari a € 120.00. 4) Mancanza dell'elemento soggettivo, in quanto la ricorrente e' venuta a conoscenza del mancato versamento del contributo soltanto con l'atto impugnato, preceduto dalla formale richiesta al rag. Franco Micale, verso il quale e' stata intrapresa azione per il riconoscimento della responsabilita' professionale. Costituitasi, l'Amministrazione ha concluso per l'infondatezza del ricorso. Con ordinanza n. 167/16 del 19 gennaio 2016, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato. All'udienza del 15 marzo 2016, la causa e' stata trattenuta in decisione. Diritto 1) La questione in punto di fatto. Con il ricorso in esame, parte ricorrente ha impugnato il provvedimento reso da questa Commissione Tributaria Provinciale - Ufficio Recupero Spese di Giustizia - con il quale e' stato intimato il pagamento complessivi € 4.508,75, comprensivi di spese di notifica , per mancato pagamento del contributo unificato relativo a un precedente ricorso anch'esso ivi introdotto. L'Ufficio ha riscontrato che, diversamente da quanto statuito dal comma 3-bis dell'art. 14 del T.U.S.G., nel ricorso non figurava l'indicazione del valore della lite, sicche', con atto del 14 gennaio 2013, ha richiesto alla ricorrente, presso il domicilio processuale eletto, la nota di iscrizione a ruolo, invitandola a indicare, tra l'altro, il predetto dato omesso. Come non smentito, tale ultima indicazione non e' stata dalla ricorrente rappresentata, sicche', in considerazione di quanto previsto dall'art. 13, comma 6, del T.U.S.G., con invito del 6 giugno 2013 prot. n. 1634, indirizzato sempre al predetto domicilio eletto, l'Ufficio le ha intimato il pagamento del contributo unificato massimo previsto, pari a € 1.500,00 (piuttosto che € 120,00, quale importo asseritamente dovuto), avvertendo, per altro, che l'omesso versamento avrebbe comportato, con separato provvedimento, l'applicazione delle sanzioni previste tra le quali, quella del 200% dell'importo dovuto, nell'ipotesi in cui la richiesta non fosse stata esitata entro il novantesimo giorno dall'intimazione. Non avendo provveduto nei predetti termini, l'Ufficio ha proceduto con l'intimazione di pagamento impugnata, notificata, questa volta, direttamente alla ricorrente e da questa ricevuta il 21 luglio 2015, con la quale, oltre a confermare la richiesta dell'importo massimo (€ 1.500,00) del contributo per omessa dichiarazione del valore, le e' stato ingiunto il pagamento di ulteriori € 3.000,00, quale sanzione pari al 200% dell'importo dovuto, oltre spese di notifica. La ricorrente, tra le altre censure, con il ricorso in esame ha sostenuto la nullita' dell'atto avversato per l'impossibilita' di impugnare, in quanto non conosciuti per essere stati notificati presso il domicilio eletto, i provvedimenti a questo presupposti e, quindi, per lo stesso motivo, la carenza dell'elemento soggettivo necessario per procedere al recupero fiscale. In somma sintesi, la ricorrente, pur non essendo stata posta in condizione di conoscere «direttamente» l'importo del contributo unificato dovuto (che ben avrebbe potuto onorare, stante, per altro, l'esiguita' dello stesso), in quanto gli atti presupposti alla conclusiva intimazione impugnata sono stati notificati presso il domicilio da questa eletto per il ricorso tributario, e' stata chiamata a rispondere, in effetti, sia della piu' che decuplicazione del contributo dovuto, che della conseguente sanzione, pari al 200% di quest'ultimo, con un risultato pari 37,5 volte la somma ex lege prevista. 2) La questione in punto di diritto. Premette il Collegio che, per i motivi di seguito rappresentati, nessuna menda e' possibile attribuire all'Ufficio procedente. L'art. 14, comma 1, del T.U.S.G. (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115) cosi statuisce: la parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione o la vendita dei beni pignorati, e' tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato. Il successivo comma 3-bis cosi' recita: nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 2 dell'art. 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito. Nelle ipotesi in cui non intervenga il pagamento previsto dal successivo art. 16, l'art. 248 del medesimo T.U.S.G. stabilisce che: 1. entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo, l'ufficio notifica alla parte, ai sensi dell'art. 137 del codice di procedura civile, l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra il valore della causa ed il corrispondente scaglione dell' art. 13, con espresso avvertenza che si procedera' ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese. 2. Salvo quanto previsto dall'art. 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, l'invito e' notificato, a cura dell'ufficio e anche tramite posta elettronica certificata nel domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio, e' depositato presso l'ufficio. 3. Nell'invito sono indicati il termine e le modalita' per il pagamento ed e' richiesto al debitore di depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall'avvenuto pagamento. A tanto l'Ufficio si e' conformato, procedendo a notificare gli atti presupposti al domicilio eletto nel processo e soltanto quello finale direttamente alla parte interessata, adeguandosi al comma 2 dell'art. 248, che come appena chiarito, tanto impone. E che di elezione di domicilio processuale si tratti appare certo proprio dalla circostanza espressa al secondo comma, che segue alla previsione del primo comma, che, a sua volta, regola la fattispecie del deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo. Per completezza e' bene precisare che l'art. 13, comma 6, stabilisce che: «Se manca la dichiarazione di cui all'art. 14, il processo si presume del valore indicato al comma 1, lettera g) Se manca la dichiarazione di cui al comma 3-bis dell'art. 14, il processo si presume del valore indicato al comma 5-quater, lettera f)». Quindi la mancata dichiarazione determina l'applicazione del contributo unificato nella misura della predetta lettera f), vale a dire «euro 1.500 per controversie di valore superiore a euro 200.000», che e il massimo stabilito per gli scaglioni del processo tributario. 3) La rilevanza della questione Ai fini della decisione da assumere e di tutta evidenza che il Collegio, scrutinati i diversi motivi da ritenere non fondati, sarebbe tenuto, sulla base della normativa espressa dal richiamato art. 248, comma 2, a riconoscere che l'invito di pagamento rivolto al solo domicilio eletto determina la regolarita' della procedura, nonostante la parte interessata non abbia ricevuto alcun personale avviso di un contributo ritenuto pacificamente avente natura tributaria, tanto da sottoporlo, a prescindere dall'Organo accertatore, alla competenza specifica delle Commissioni tributarie. Ove l'intimazione fosse stata direttamente conosciuta dalla ricorrente, sarebbe stato possibile assolvere all'onere del pagamento di soli € 120,00 e, quindi, evitare sia la rideterminazione del tributo in € 1.500,00 che la successiva conseguente applicazione della sanzione del 200% su tale importo rideterminato. Deriva che, in presenza della infondatezza delle ulteriori censure, questa Commissione sarebbe costretta a rigettare il ricorso, piuttosto che accoglierlo, ove venga invece riconosciuta la non conformita' ai principi costituzionali del richiamato comma 2 dell'art. 248, nella misura in cui impone la notifica di un alto tributario al «solo» domicilio processuale eletto. E a tale risultato non e' possibile ovviare considerando un'interpretazione estensiva della norma, in quanto disposizione speciale che non lascia margini ermeneutici, sancendo il domicilio eletto quale quello, unico, utile per una corretta procedura (con alternativa, ancora meno garantista, del deposito presso l'Ufficio procedente, in caso di mancata elezione). Ne', inoltre, ammesso, che tale affermazione possa potenzialmente modificare il giudizio di rilevanza, e' possibile sostenere la sussistenza di una responsabilita' solidale del difensore, posto che la stessa, introdotta dall'art. 21 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 al comma 1-bis dell'art. 16 del T.U.S.G., e' stata soppressa in sede di conversione con la legge 4 agosto 2006, n. 248. E anche la possibile azione risarcitoria, pure asseritamente proposta in sede civile, non puo' modificare la rilevanza della questione introdotta, in quanto relazionata a norme, processi ed eventi diversi da quelli attratti dall'art. 248 in questione. Ne appare possibile fare uso di diverse disposizioni, secondo le quali e' consentito «spezzare» il vincolo soggettivo e, quindi, ritenere, a prescindere dalla notifica dell'avviso, rimediabile la mancata tempestiva conoscenza dell'atto impositivo. In tema di presentazione della dichiarazione dei redditi, il comma secondo dell'art. 1 della legge 11 ottobre 1995, n. 423 stabilisce, che «la sospensione e' disposta dal responsabile della direzione regionale delle entrate territorialmente competente, che provvede su istanza del contribuente o del sostituto d'imposta, da presentare unitamente alla copia della denuncia del fatto illecito all'autorita' giudiziaria o ad un ufficiale di polizia giudiziaria, dopo il pagamento dell'imposta ancora dovuta, e sempre che il contribuente dimostri di aver provvisto il professionista delle somme necessarie al versamento omesso, ritardato o insufficiente». La norma, all'evidenza, riguarda tributo diverso e, come tale, non puo' essere estesa al contributo unificato. L'ordinamento, tuttavia, riconosce la possibilita' di evitare il pagamento delle sanzioni «per fatto altrui». L'art. 5 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) pone il principio della necessita' della «colpevolezza» per l'irrogazione della sanzione tributaria. La norma cosi' recita: 1. Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione ad omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Le violazioni commesse nell'esercizio dell'attivita' di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficolta' sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave. (Omissis). 3. La colpa e' grave quando l'imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non e' possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari Non si considera determinato da colpa grave l'inadempimento occasionale ad obblighi di versamento del tributo. 4. E' dolosa la violazione attuata con l'intento di pregiudicare la determinazione dell'imponibile o dell'imposta ovvero diretta ad ostacolare l'attivita' amministrativa di accertamento. Il successivo art. 6 prevede le «Cause di non punibilita'» e, tra queste, quella richiamata al comma 3. 3. Il contribuente, il sostituto e il responsabile d'imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non e' stato eseguito per fatto denunciato all'autorita' giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi. Nel caso in esame e', in effetti, da verificare se la disposizione possa trovare applicazione e se, conseguentemente, la parte interessata possa, per tale motivo, andare esente dall'irrogazione della sanzione. Tuttavia, ad avviso del Collegio, anche in questa ipotesi rimane la rilevanza della questione, posto che, comunque, la fase antecedente all'applicazione della sanzione, per effetto dell'art. 248, comma 2, e' stata comunque notificata al domicilio processuale eletto, con applicazione della maggiorazione da € 120 a € 1.500 del tributo dovuto e con l'«avvertimento», anch'esso non conosciuto direttamente, dell'applicazione della sanzione, poi applicata, pari al 200% di quest'ultimo, cosi' come rideterminato. Rimane, pertanto, l'interesse al controllo di legittimita' costituzionale di detta norma, quanto meno rispetto alla determinazione dell'entita' del dovuto. 4) La non manifesta infondatezza. 4.1.) La natura del contributo unificato. Come gia' premesso, il contributo unificato e' considerato un tributo e, come tale, e' attratto dalla giurisdizione del Giudice tributario. Come, infatti, rilevato da codesta Corte (cfr. Corte costituzionale, 11 febbraio 2005, n. 73) «La natura di "entrata tributaria erariale" del predetto contributo unificato Si desume infatti, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che lo disciplina: a) dalla circostanza che esso e stato istituito in fora: di legge a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi erariali gravanti anch'essi su procedimenti giurisdizionali, quali l'imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, oltre che dei diritti di cancelleria e di chiamata di causa dell'ufficiale giudiziario (art. 9, commi 1 e 2, della legge n. 488 del 1999); b) dalla conseguente applicazione al contributo unificato delle stesse esenzioni previste dalla precedente legislazione per i tributi sostituiti e per l'imposta di registro sui medesimi procedimenti giurisdizionali (comma 8 dello stesso art. 9); c) dalla sua espressa configurazione quale prelievo coattivo volto al finanziamento delle «spese degli atti giudiziari» (rubrica del citato art. 9); d) dal fatto, infine, che esso, ancorche' connesso alla fruizione del servizio giudiziario, e' commisurato forfetariamente al valore del processi (comma 2 dell'art. 9 e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata. Il contributo ha, pertanto, le caratteristiche essenziali del tributo e cioe' la doverosita' della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale e' quella per il servizio giudiziario (analogamente si sono espresse, quanto alle caratteristiche dei tributi, le sentenze n. 26 del 1982, n. 63 del 1990, n. 1 del 1995, n. 11 del 1995 e n. 37 del 1997), con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante». Il principio e' stato ribadito dal Giudice della Giurisdizione (cfr. Cassazione civile, sez. un. 5 maggio 2011, n. 9840), secondo il quale «la Corte osserva al riguardo che il contributo unificato previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 9, ha natura di entrata tributaria. Le ragioni di tale qualificazione Si trovano esposte nella sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2005 n. 73, pronunziata in sede di risoluzione di conflitto di attribuzione tra la Regione Siciliana e lo Stato (e della natura tributaria di tale entrata vi e' cenno nelle sentenze 8 febbraio 2008 nn. 3007 e 3008 di queste sezioni unite). Da tale qualificazione discende che conoscere della domanda proposta dall'attuale ricorrente, rientra nella giurisdizione del giudice tributario in base al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 1, e art. 19 lettera d)». 4.2) I principi generali dell'Ordinamento. Il nostro Ordinamento conosce alcune disposizioni volte a dare certezza ai procedimenti di spesa. Ed invero, l'art. 1 decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367 (Regolamento recante semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili) stabilisce che: 1. Le procedure di spesa sono rette, oltre che dal principio di legalita', da principi di certezza, pubblicita', trasparenza, concentrazione e speditezza. Esse sono svolte, di norma, con tecnologie informatiche, in modo do assicurare certezza delle informazioni, efficacia dei controlli, rapidita' del pagamenti. L'art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), per altro limitato all'imposizione diretta, in tema di notificazione, at comma 1, cosi recita: La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente e' eseguita secondo le norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, con le seguenti modifiche: (Omissis). d ) e' in facolta' del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel Comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano. In tal caso l'elezione di domicilio deve risultare espressamente da apposita comunicazione effettuata al competente ufficio a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero in via telematica con modalita' stabilite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate. La legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto Diritti dei Contribuenti), all'art. 6, in tema di «conoscenza degli atti e semplificazione», al comma 1, cosi' recita: L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. A tale fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quota desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con modalita' idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari. Queste due ultime norme, quindi, antecedenti al Testo Unico in cui e' racchiuso il comma 2 dell'art. 248, indicano, la prima, che, per le imposte dirette, nel procedimento amministrativo volto all'irrogazione del tributo, l'Amministrazione ha l'obbligo di notificare l'atto direttamente al contribuente, la seconda, pone, proprio nello Statuto del contribuente, tale principio generale. In ambedue le fattispecie e' prevista la possibilita' di elezione di domicilio. Nel primo caso, la stessa deve essere fatta espressamente mediante comunicazione con raccomandata; nel secondo, si pone il principio per il quale il contribuente puo' eleggere domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. La norma contenuta nel secondo comma dell'art. 248, successiva a quella posta nello statuto del contribuente, invece, come chiarito, stabilisce la notifica dell'invito al pagamento del contributo unificato presso il domicilio eletto, dovendosi intendere, quindi, quello «processuale». Ad avviso del Collegio, e' proprio in questa disposizione che emerge, intanto, la difformita' con i principi che regolano la materia tributaria, che, come appena chiarito, richiedono, per un verso, la certezza dell'avvenuta conoscenza dell'atto impositivo da parte del contribuente mediante invio al suo domicilio, per un altro, la possibilita' di espressa deroga mediante elezione di domicilio mediante forme tipiche (raccomandata allo specifico Ufficio di controllo tributario) e, comunque, valevole soltanto nel caso di indicazione nello «specifico» procedimento speciale (tributario e non processuale). Si vuole, in altri termini, dire che nel procedimento tributario la regola e' la conoscenza diretta dell'atto impositivo, l'eccezione e' consentita solo mediante elezione specificamente rivolta a tale procedimento, sicche' la disposizione che «estenda» l'elezione del domicilio resa ai fini della difesa nel processo tributario appare un fuor di luogo ove riferita al contributo unificato, la cui natura giuridica, per come chiarito, e' tributaria e, come tale, si inserisce in un procedimento amministrativo seppur occasionato dal processo ed e', quindi, qualcosa di diverso, dall'atto processuale, cui l'elezione di domicilio processuale a certamente e' rivolta. Consegue che l'elezione del domicilio nel processo deve produrre i suoi effetti esclusivamente in tale ambito e non in quello diverso relativo al procedimento relativo al contributo unificato. Tuttavia, per quanto detto, la norma contenuta nel secondo comma dell'art. 248 e' chiara nel ritenere che tale elezione sia sufficiente per incardinare il procedimento (e non solo il processo) tributario relativo al contributo unificato. Ad avviso del Collegio, tale commistione tra procedimento e processo tributario: 1) non garantisce una adeguata difesa processuale, cosi' come prevista dall'art. 24 della Costituzione, che per essere tale deve consentire l'adeguata conoscenza degli atti prodromici al processo; 2) deroga dai principi di buon andamento e imparzialita' della Pubblica Amministrazione trasfusi nell'art. 97, comma 2, della Costituzione, la cui manifestazione non puo' non riguardare la non discriminazione e la trasparenza nell'attivita', quest'ultima certamente garantita dall'effettivita' della conoscenza degli atti amministrativi (perche' di atti amministrativi, e' bene ribadire, e non di atti processuali, nel caso di specie, si tratta); 3) costituisce un vulnus al principio del «giusto processo» regolato dall'art. 111 Cost.. In particolare, il principio di imparzialita' puo' dirsi effettivamente garantito nel procedimento amministrativo ove sia stata assicurata la necessaria integrita' del contraddittorio, quale presupposto della successiva attivita' dell'Amministrazione, che deve essere caratterizzata, per un verso, dalla completezza dell'istruttoria, dalla motivazione degli atti e dalla loro pubblicita' e, dall'altro, da una decisione che sia la sintesi dell'accertamento dei presupposti di fatto e dei contrapposti interessi in gioco. E' tale attivita', come e' certamente ormai consolidato quanto meno dalla legge 241/90 in poi, non puo' prescindere dalla concreta partecipazione del cittadino al procedimento, partecipazione che deve essere garantita e resa effettiva proprio dalla esatta informazione dell'attivita' in corso. Sembra al Collegio che quello in esame sia un caso scolastico di carenza informativa che ha determinato un procedimento gravemente sanzionatorio certamente evitabile sol che la norma avesse disposto che la notifica dei preavvisi e della stessa liquidazione dovesse essere preventivamente indirizzata al domicilio proprio della parte e non a quello eletto ai soli fini processuali. Ed invero (Cassazione civile, sez. un. , 13 gennaio 2005, n. 458), «l'intero sistema delle notificazioni, nella diversita' di procedimenti in cui si articola, si fonda su ragionevoli presunzioni di conoscenza dell'atto da parte del soggetto al quale la notifica e' rivolta, non essendo esigibile che quest'ultimo ne abbia sempre una conoscenza concreta (realizzabile soltanto nell'ipotesi di notificazione in mani proprie: art. 138 cod. proc. civ.), perche' il perseguimento di un tale risultato finirebbe per rendere troppo difficile l'esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio e si porrebbe, quindi, in contrasto con l'art. 24, primo comma, della Costituzione. «Ma anche il diritto di resistere ad una pretesa e espressione di una situazione giuridica costituzionalmente tutelata, in quanto costituente esercizio del diritto di difesa (art. 24, comma secondo, Cost.), che postula un'effettiva instaurazione del contraddittorio, indispensabile per garantire il giusto processo (art. 111, primo e secondo comma, Cost.). Pertanto, in un equo bilanciamento delle posizioni del notificante e del destinatario della notificazione, un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa al riguardo impone che le garanzie di conoscibilita' dell'atto da parte del destinatario medesimo siano ispirate ad un criterio di effettivita', come effettiva (e non soltanto formale) deve essere la tutela del contraddittorio. E cio' vuol dire che devono essere valorizzati tutti gli elementi idonei a perseguire il detto criterio di effettivita'». Per altro verso, i principi cui si deve conformare l'attivita' amministrativa sono «specificati» nell'art. 1 della legge 241/90, a mente del quale, «L'attivita' amministrativa retta da criteri di economicita', di efficacia, di imparzialita', di pubblicita' e di trasparenza nonche' dai principi dell'ordinamento comunitario». Il principio di imparzialita' richiede una valutazione complessiva degli interessi pubblici e di quelli privati e, pertanto, la fase conoscitiva e' il presupposto stesso della partecipazione del cittadino, tant'e' che l'art. 7 della predetta legge 241/90 impone la comunicazione dell'avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale e' destinato a produrre effetti diretti e, secondo il successivo art. 8, «l'amministrazione provvede a dare notizia dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale». E la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento non determina annullabilita' del provvedimento solo qualora l'amministrazione, ai sensi dell'art. 21-octies del predetto testo legislativo, dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In definitiva, l'«esclusivita'», per altro «speciale», della norma in commento sembra disattendere dai principi costituzionali sopra indicati e dall'intero sistema procedurale amministrativo e, infine, a ben vedere, dalla stessa norma regolatrice la materia nel processo tributario, contenuta nell'art. 17 del decreto legislativo n. 546/92, a mente del quale: 1. Le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte dell'atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione. 2. L'indicazione della residenza o della sede e l'elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo. 3. Se mancano l'elezione di domicilio o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio dello Stato o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non e' possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria della commissione. Appare evidente che, al primo comma, diversamente da quanto stabilito dall'art. 248 T.U.S.G., e' consentita una notifica regolare ove effettuata mediante consegna in mani proprie, sia pur in presenza di elezione di domicilio. Ne consegue, ulteriormente, che la norma in esame appare altresi' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento, poiche' regola in maniera piu' restrittiva una situazione procedimentale analoga ad altre diversamente disciplinate sia in termini generali (dallo Statuto del contribuente e dalla legge n. 241/90) che nel medesimo ambito procedimentale e processuale del settore tributario, vulnerando cosi', il principio di pari trattamento sancito dall'art. 3 della Costituzione. Infine, per quanto premesso, un giusto processo non puo' essere instaurato ove le parti (private) non abbiano avuto la possibilita' di una tutela avanzata in fase procedimentale, poiche' l'effettivita' della tutela del cittadino non solo richiede la conoscenza della possibilita' dell'emanazione di un atto pregiudizievole, al fine di consentire a quest'ultimo di approntare le necessarie misure (anche collaborative e satisfattive) volte a scongiurare che cio' avvenga con conseguenze (notevolmente, come in questo caso) piu' gravose, ma anche di poter preventivamente, prima, e nell'ambito del processo, dopo, proporre argomenti utili a modificare in proprio favore l'esito del giudizio. E nel caso di specie, le tempestive non esitate intimazioni al domicilio eletto, scandite da disposizioni precise, ben difficilmente possono essere «contrastate» in sede processuale, ove operi una presunzione di conoscenza dell'atto pregiudizievole, in effetti, per quanto asserito, non avvenuta. 5) In conclusione, il Collegio ravvisa la rilevanza e la non manifesta infondatezza, per violazione degli articoli 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 248, comma 2, del T.U.S.G. (D.P.R. 30.5.2002, n. 115). Va, pertanto, disposta - ai sensi dell'art. 134 Cost., dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 - la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.
P.Q.M. La Commissione Tributaria Provinciale di Messina - Sezione XI - visti gli art. 134 Cost., 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata - per violazione degli art. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 248, comma 2 del T.U.S.G. (D.P.R. 30.5.2002, n. 115). Sospende il presente giudizio sino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale. Ordina, a norma dell'art. 23/2 legge n. 8711953, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con la prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni di cui al punto seguente. Dispone che, a cura della Segreteria della Commissione, la presente Ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Messina nelle Camere di consiglio del 15 marzo 2016 e 17 maggio 2016. Il presidente: Lanza Volpe L'estensore: Savasta