N. 651 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 1997
N. 651 Ordinanza emessa il 9 maggio 1997 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Di Tanna Mario ed altri e le Ferrovie dello Stato Ente Ferrovie dello Stato - Dipendenti - Lavoro straordinario - Applicabilita' del decreto-legge n. 384 del 1992, e successive proroghe, che ha stabilito il "congelamento" della misura dell'indennita' integrativa speciale ai valori del 1992 - Incidenza sul valore orario della prestazione straordinaria, in quanto comprensiva di una quota di tale indennita' e conseguente, attuale inferiorita' del relativo importo rispetto a quello corrisposto per prestazione di lavoro ordinario - Lesione del diritto ad una retribuzione adeguata e proporzionata alla qualita' e quantita' del lavoro prestato. (D.-L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, comma 5, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438). (Cost., art. 36).(GU n.41 del 8-10-1997 )
IL PRETORE Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 9 maggio 1997 nel procedimento r.g.l. n. 7396/1996, promosso da Di Tanna Mario, De Iaco Giuseppe, Parisi Ezio, Trullo Angelo, Adinolfi Attilio e Sticca Giuseppe, contro le Ferrovie dello Stato - Societa' di trasporti e servizi per azioni. O s s e r v a Con un unico ricorso depositato presso la cancelleria della sezione lavoro il 25 giugno 1996, si costituivano in giudizio Di Tanna Mario e altri cinque ricorrenti, citando il proprio datore di lavoro Ferrovie dello Stato S.p.a. ed esponendo: di aver svolto e svolgere lavoro straordinario, venendo tuttavia retribuiti per tale voce con compensi inferiori a quelli spettanti per quello ordinario, poiche' il datore di lavoro immotivatamente avrebbe escluso, ai fini del calcolo delle aliquote per il primo tipo di lavoro, emolumenti retributivi aventi caratteristiche di continuita' ed obbligatorieta'. In particolare i ricorrenti si richiamavano al regio decreto n. 692/1923, nella parte in cui prevede un aumento retributivo per lavoro straordinario non inferiore al 10% della retribuzione per il lavoro ordinario, invocando in proposito la nullita' delle clausole del contratto collettivo nella parte in cui consentivano la violazione di tale norma, dovendo quest'ultima essere considerata di ordine pubblico. Si costituiva in giudizio la societa' Ferrovie dello Stato, ribadendo viceversa la correttezza del proprio comportamento, in particolare negando l'applicabilita' al caso di specie del regio decreto n. 692/1923, e richiamandosi viceversa alla legge n. 438/1992, che, convertendo il decreto legge n. 384/1992, obbligava alcuni datori di lavoro (tra cui la societa' convenuta) ad erogare anche negli anni successivi i compensi per lavoro straordinario (oltre ad una serie di altre voci), nella stessa misura dell'anno 1992. Dopo una serie di rinvii resisi necessari per chiarire nel dettaglio le questioni controverse e per consentire alle parti di effettuare conteggi corrispondenti alle varie ipotesi prospettabili, il pretore in esito alla discussione conclusasi il 9 maggio 1997, emetteva la presente ordinanza per le ragioni che vengono qui di seguito esposte. Allo scopo di evidenziare la rilevanza dell'eccezione sollevata, e' necessario rendere conto dell'iter logico-giuridico seguito dal pretore, per definire i parametri in base ai quali sono stati da ultimo effettuati quei conteggi di parte convenuta che hanno consentito di evidenziare come dall'ottobre 1994 in poi in realta' la retribuzione per il lavoro straordinario, se correttamente calcolata, sia diventata inferiore a quella erogata per il lavoro ordinario. Ed in proposito e' opportuno cominciare con l'osservare che il ragionamento centrale su cui e' articolato il ricorso non puo' che considerarsi errato: affermano infatti i ricorrenti che, ai sensi del citato regio decreto n. 692/1923, e precisamente in base al combinato disposto degli artt. 1 e 5 di tale legge, la retribuzione per lo svolgimento di un'ora di lavoro straordinario non potrebbe essere inferiore a quella prevista per il lavoro ordinario, maggiorata come minimo del 10%; tale norma avrebbe carattere cogente, ed inciderebbe quindi sulla validita' di qualunque clausola della contrattazione collettiva che, derogando ad essa, prevedesse una retribuzione per il lavoro straordinario maggiorata in misura inferiore al 10%. In accoglimento delle eccezioni formulate in proposito dalla convenuta, osserva il pretore innanzitutto che e' quantomeno ampiamente dubitabile l'applicabilita' al rapporto di lavoro de quo del citato regio decreto, poiche' l'art. 1 recita al terzo comma: "Per i lavori eseguiti a bordo delle navi, per gli uffici ed i servizi pubblici, anche se gestiti da assuntori privati, si provvedera' con separate disposizioni"; ed in effetti la piu' recente giurisprudenza di legittimita' riconosce che non puo' farsi applicazione del citato regio decreto-legge per le imprese esercenti servizi pubblici (vedi Cass. n. 1292/1994, Cass. n. 1669/1985, Cass. n. 2183/1984). Ne' in proposito puo' prospettarsi una questione di incostituzionalita', poiche' la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 716/1988, ha avuto modo di precisare quanto segue: "E' manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del regio decreto n. 692/1923, nella parte in cui esclude gli uffici e i servizi pubblici, anche se gestiti da assuntori privati, dall'applicazione delle altre norme del medesimo regio decreto, e in specie dell'art. 5 relativo al compenso del lavoro straordinario...". La questione del resto e' superabile anche da un altro punto di vista, poiche' i ricorrenti piu' o meno consapevolmente equivocano sulla portata delle disposizioni inderogabili (aventi cioe' valore di ordine pubblico) contenute nel citato regio decreto-legge: infatti, in ogni caso, l'inderogabilita' legale deriverebbe dalla previsione di un aumento minimo del 10%, ma solo con riferimento alle ore eccedenti la quarantottesima; mentre nel caso di specie non vi e' alcuna traccia nei conteggi in atti che qualcuno dei ricorrenti abbia mai superato le quarantotto ore di lavoro settimanali; ne' puo' seriamente affermarsi che, una volta definito dalla contrattazione collettiva come "lavoro straordinario" quello eccedente le trentasei ore settimanali (come si verifica nel contratto collettivo de quo), a tale definizione ontrattuale debba poi applicarsi la norma inderogabile di ordine pubblico: l'inderogabilita' prevista dal regio decreto, infatti, non puo' che riguardare la maggiorazione minima del 10% per le ore che eccedono la quarantottesima, la normativa inderogabile di ordine pubblico dovendo considerarsi infatti costituita dall'insieme dei parametri quantitativi presi in considerazione dal legislatore per fissare dei trattamenti minimi comunque inderogabili. L'erroneita' di tale ragionamento attoreo non implica pero' certo di per se' il rigetto delle domande, poiche', proprio sulla base della giurisprudenza sopra citata, rimane da valutare se vi sia stata viceversa violazione di un'altra disposizione di legge, peraltro anch'essa indicata dai ricorrenti, e precisamente l'art. 2108 c.c., questo sicuramente applicabile ai rapporti di lavoro de quibus. In particolare l'art. 2108 c.c., pur senza fissare (a differenza di quanto ha fatto il legislatore del 1923) parametri quantitativi, prevede che il compenso per le ore straordinarie debba comunque essere maggiore di quello dovuto per il lavoro ordinario, esplicitando al terzo comma che la durata del lavoro straordinario e di quello notturno, nonche' la misura della loro maggiorazione, sono stabiliti dalla legge o dalle norme corporative (oggi dalla contrattazione collettiva); da qui la rilevanza di tale disposizione codicistica, poiche', una volta definito dalla contrattazione collettiva come lavoro straordinario quello eccedente le trentasei ore, la retribuzione della trentasettesima ora e di quelle successive deve essere prevista in misura superiore "di almeno una lira" rispetto a quella prevista per la retribuzione ordinaria. Si tratta quindi di definire correttamente quale sia la retribuzione contrattuale prevista per un'ora di lavoro ordinario, e di paragonarla a quella prevista per un'ora di lavoro straordinario, allo scopo di verificare la compatibilita' delle disposizioni contrattuali rispetto alla norma codicistica. Parte convenuta, osservando che tale ragionamento non era stato sviluppato nel ricorso introduttivo, ha prospettato al giudice l'impossibilita' da parte di quest'ultimo di sostituire il suo ragionamento a quello attoreo, potendo in proposito verificarsi un'ipotesi di ultra oppure di extra petizione. Evidentemente non e' cosi', poiche' il petitum resta comunque un limite che il giudice non si accinge certo a travalicare, mentre la causa petendi, rimane anch'essa quella prospettata in ricorso, e cioe' "erogazione retributiva per lavoro straordinario"; cio' che il giudice si accinge a compiere, non e' gia' una modifica di tale causa petendi, ma l'applicazione di una diversa disposizione di legge rispetto a quella invocata nel ricorso, operazione certamente lecita ex art. 113 c.p.c.. Gran parte delle complicazioni contabili incontrate nell'impostazione dei dati quantitativi della presente controversia e' derivata dal fatto che una componente assai rilevante della retribuzione percepita dai ferrovieri e' costituita dalla cosiddetta indennita' di utilizzazione (parte variabile), che prevede retribuzioni differenziate per ogni ora di condotta, a seconda che essa sia diurna o notturna, ad agente unico o con due agenti, ecc.; la misura di tale indennita', che non varia a seconda che l'ora di condotta sia effettuata all'interno delle prime trentasei ore lavorative settimanali (e cioe' nell'orario ordinario) o oltre la trentaseiesima ora (e cioe' nell'ambito dello svolgimento di lavoro straordinario), assumerebbe certo rilevanza nell'ipotesi di applicabilita' al caso di specie del regio decreto del 1923, poiche' l'ora di condotta effettuata nella fascia oraria del lavoro straordinario implicherebbe ex lege un aumento retributivo almeno pari al 10% rispetto all'ora di condotta espletata nella fascia di lavoro ordinario; essa viceversa perde del tutto qualunque rilevanza nell'ottica dell'applicabilita' dell'art. 2108 c.c., poiche' in base alla giurisprudenza citata la norma codicistica non impone un aumento percentuale di tutte le voci componenti la retribuzione ordinaria, ma si limita a prevedere la necessita' di un risultato finale, in esito all'applicazione dei piu' disparati meccanismi contrattuali di calcolo, tale da soddisfare il precetto legale, e cioe' un'erogazione straordinaria comunque maggiore di quella ordinaria. E' dunque evidente che l'indennita' di utilizzazione (parte variabile) ben puo' essere prevista ed erogata senza alcuna differenziazione tra ora di lavoro ordinario e ora di lavoro straordinario, purche' venga conservata una qualche differenza retributiva tra le due, differenza che per l'appunto non viene modificata dall'aggiunta all'una e all'altra dell'indennita' di utilizzazione (parte variabile). Si tratta quindi di definire il valore dell'ora di lavoro ordinario "standard", e di paragonarla alla retribuzione prevista per l'ora straordinaria "standard", il tutto alla luce della contrattazione collettiva. L'art. 34 del contratto collettivo 90/1992 definisce "retribuzione base mensile" l'insieme dello stipendio (cosi' come individuato dal precedente art. 33), e dell'indennita' integrativa speciale; il successivo art. 35 definisce "retribuzione normale" quella di cui sopra, cui devono aggiungersi l'indennita' quadri, l'indennita' di utilizzazione (parte fissa), il rateo della tredicesima mensilita' e il rateo del premio esercizio. Poiche' quest'ultima, e cioe' la "retribuzione normale" costituisce la retribuzione ordinaria corrisposta a qualunque dipendente che si limiti a svolgere con regolarita' (solo) lavoro ordinario, a parere del giudice e' questa la retribuzione che deve essere presa in considerazione per paragonare ad essa quella contrattualmente prevista per il lavoro straordinario. A prescindere del tutto dalle percentuali di aumento per il lavoro notturno e/o festivo, l'art. 44 del contratto collettivo prevede che il lavoro straordinario "standard" (e cioe' non caratterizzato da ulteriori peculiari connotati lavorativi, quali il lavoro domenicale, festivo o notturno) sia retribuito maggiorando del 21% la retribuzione convenzionale di cui all'art. 36, e cioe' l'insieme dello stipendio mensile tabellare comprensivo delle classi di stipendio, l'indennita' integrativa speciale ed il rateo di tredicesima mensilita' corrisposto nell'anno precedente; di per se' la previsione contrattuale e' lecita, ancorche' si limiti ad applicare la maggiorazione solo ad alcune delle voci previste come retribuzione normale per il lavoro ordinario, sempreche' il risultato finale sia coerente con l'art. 2108 c.c., e cioe' sempreche' un'ora di lavoro straordinario "standard" risulti retribuita in misura in ogni caso maggiore rispetto a quella ordinaria normale, cosi come previsto dall'art. 35 del contratto; tale paragone - ripetesi - puo' essere effettuato svincolando del tutto l'interprete da complicate quantificazioni del valore orario dell'indennita' di utilizzazione nella sua parte variabile, che si differenzia sulla base di tutti i parametri gia' citati (lavoro diurno o notturno, ad agente unico o doppio, ora di attesa o di condotta): e questo per il fatto che, come gia' chiarito, tale "variabilissima" indennita', aggiungendosi alla retribuzione "standard" sia ordinaria che straordinaria, non viene ad incidere sull'esistenza o sull'entita' della differenza retributiva tra lavoro straordinario e lavoro ordinario. Nella logica piu' sopra prospettata dal giudice, parte convenuta depositava conteggi retributivi riferiti ai ricorrenti, elencando mese per mese le retribuzioni ordinarie e straordinarie derivanti dall'applicazione del contratto collettivo vigente pro-tempore, cosi' calcolate: 1) l'ora ordinaria veniva computata in misura corrispondente alla retribuzione normale, cosi' come definita dall'art. 35 del contratto (comprensiva cioe' di stipendio, classi stipendiali, indennita' integrativa speciale, rateo tredicesima, rateo premio esercizio ed indennita' di utilizzazione fissa); 2) una seconda ipotesi di calcolo dell'ora ordinaria comprendeva tutte le voci gia' elencate sub 1), ad esclusione dell'indennita' di utilizzazione fissa; in tal modo si otteneva un valore orario ordinario piu' basso di quello precedente: ma il dato e' all'evidenza errato, tenuto conto che e' stata la stessa contrattazione collettiva, al gia' citato art. 35, a considerare come "retribuzione normale" quella comprensiva dell'indennita' di utilizzazione fissa, questo proprio perche' essa e' normalmente percepita da ogni lavoratore che effettui anche solo lavoro ordinario; e' comunque opportuno in proposito precisare che il giudice, nel ritenere necessaria l'inclusione dell'indennita' di utilizzazione fissa nel computo dell'ora ordinaria di riferimento, non vuol certo adombrare una qualche illegittimita' della successiva disposizione contrattuale che viceversa, per calcolare il valore del lavoro straordinario, pretermette tale voce dall'insieme di quella sulle quale deve essere applicata la percentuale di maggiorazione; 3) la retribuzione straordinaria e' stata invece calcola dal datore di lavoro in misura esattamente corrispondente a quanto previsto dall'art. 44, e cioe' aumentando del 21% le sole voci stipendio, classi stipendiali, indennta' integrativa speciale e rateo tredicesima mensilita'. Effettuati in tal modo i conteggi di cui trattasi, ed attuato quindi il paragone fra la voce sub 3) e quella sub 1), e' emerso che, in concreto, e per tutti i ricorrenti, la voce sub 3) risulta sempre superiore alla voce sub 1), in tal modo ottemperando alla previsione di cui all'art. 2108 c.c., e facendo quindi superare alle disposizioni contrattuali il vaglio di legalita'. Quando pero' si passa dalle astratte previsioni contrattuali alle concrete retribuzioni erogate dall'azienda per il lavoro ordinario e quello straordinario, i risultati invertono il loro segno a decorrere dall'ottobre 1994, poiche' l'azienda ha applicato sin dal 1992 l'art. 7, comma 5, del decreto-legge n. 384/1992 (convertito con la legge n. 438/1992), che recita: Tutte le indennita', compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi, per disposizioni di legge o atto amministrativo previsto dalla legge o da disposizione contrattuale, di una quota di indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959 n. 324 e successive modificazioni, o di indennita' di contingenza prevista per il settore privato o che siano comunque rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita, sono corrisposti per l'anno 1993 nella stessa misura dell'anno 1992. Tale norma, poi prorogata con successive disposizioni di legge sino all'anno 1996, ha indotto la societa' convenuta a "congelare" al 1992 il valore orario della prestazione straordinaria, in quanto esso e' per contratto comprensivo di una quota di indennita' integrativa speciale; ed in effetti la stessa contrattazione collettiva del 1995 (art. 5 punto 6) sembra aver preso atto dell'applicabilita' della norma di cui trattasi, nel momento in cui e' stata prevista l'invarianza degli "... attuali importi scaturenti dall'applicazione dell'art. 44 del contratto collettivo l990/l992". Il risultato contabile del comportamento di parte convenuta e' facilmente immaginabile: il valore del lavoro straordinario, che per semplice applicazione dell'art. 44 ai valori retributivi vigenti pro-tempore, avrebbe consentito di mantenere una differenza positiva rispetto al valore del lavoro ordinario, ha viceversa evidenziato ovviamente un differenziale sempre piu' esiguo, di mano in mano che aumentava la retribuzione ordinaria; di conseguenza dall'ottobre 1994 la retribuzione del lavoro straordinario e' diventata inferiore alla retribuzione del lavoro ordinario, essendo rimasta la prima congelata ai valori di due anni prima; e tale differenziale negativo e' sostanzialmente rimasto anche per tutti gli anni successivi (anzi: e' ovviamente aumentato). Si tratta quindi di valutare l'applicabilita' al caso di specie del citato art. 7 del decreto-legge n. 384, nonche' la sua effettiva portata. A differenza di quanto opinano i ricorrenti, e viceversa coerentemente con le argomentazioni sviluppate dalla convenuta, ritiene il pretore che il citato art. 7, pur inserito nel capo terzo del decreto-legge n. 384, che porta il titolo "pubblico impiego", si applichi anche al personale delle Ferrovie dello Stato S.p.a.; a prescindere dal fatto che tale articolo, composto da 9 commi, si riferisce ai soggetti piu' disparati, (alcuni dei quali sicuramente non appartenenti al pubblico impiego, per quanto latamente inteso: v. il primo comma), gestendo materie del tutto disomogenee tra loro, resta pur sempre il fatto che il suo comma quinto, avente carattere di generalita', nell'accennare sia all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge n. 324/59, sia all'indennita' di contingenza prevista per il settore privato, sembra riferirsi a tutti quei dipendenti pubblici o di enti, aziende e societa' produttori di servizi di pubblica utilita', che in qualche modo vengono ad incidere sul bilancio dello Stato: siamo cioe' in presenza di uno dei primi tentativi di porre dei limiti al continuo incremento del disavanzo pubblico; ed in proposito la convenuta ha certo buon gioco nell'invocare la disposizione de qua, anche solo facendo presente come ricavi di esercizio coprano a malapena il 35% dei costi di gestione della societa' stessa, deficit interamente ripianato dallo Stato. E' quindi ben difficile per il giudicante negare l'applicabilita' alla convenuta della disposizione di cui trattasi, che, quale norma di legge successiva, ben puo' modificare anche la previsione di cui all'art. 2108 c.c., ai sensi di quanto previsto dall'art. 15 delle preleggi. Ne' potrebbe certo sostenersi che la legge voleva "congelare" solo la componente "contingenza" delle varie voci che compongono le numerose indennita': la contingenza e l'indennita' integrativa, infatti, erano ormai congelate per effetto del protocollo interconfederale del 31 luglio 1992, sottoscritto alcuni mesi prima dell'emanazione del decreto-legge n. 384/1992; la disposizione, per avere un significato ex art. 12 nelle preleggi, non puo' quindi che riferirsi all'intera voce retributiva al cui interno compaia, fra le varie componenti, l'indennita' integrativa speciale o la contingenza (anche se ormai irreversibilmente congelata). Ma a questo punto si pone un problema di compatibilita' fra la disposizione citata (che blocca al valore del 1992 la retribuzione corrispondente al lavoro straordinario) e l'art. 36 della Costituzione, che prevede comunque una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato. La questione deve considerarsi non manifestamente infondata, poiche' e' certo che nel caso di specie, quantomeno dall'ottobre 1994, i ricorrenti percepiscono una retribuzione per le ore eccedenti la trentaseiesima settimanale, inferiore alla retribuzione che compensa l'ora di lavoro ordinario: e questo implica, paradossalmente, che da quel momento l'ora di straordinario, che in realta' e' da considerarsi piu' faticosa, e' stata in concreto pagata meno di quella ordinaria. La questione e' altresi' rilevante, poiche' la norma, della cui legittimita' costituzionale si dubita, e' proprio quella che consente all'azienda di non tener conto (nel calcolo della retribuzione per lavoro straordinario) della dinamica contrattuale prevista per il lavoro ordinario: in caso di dichiarata incostituzionalita' della norma, infatti, riprenderebbe vigore l'art. 2108 c.c. nonche' l'art. 44 del contratto collettivo 1990/l992, determinandosi in tal modo l'accoglimento di parte delle pretese attoree. La Corte costituzionale ha sempre ribadito il principio secondo il quale "... la premessa interpretativa del giudice a quo nel denunciare l'assunto vizio di incostituzionalita' non e' suscettibile di revisione da parte della Corte costituzionale, allorche', in mancanza di un diritto vivente, dalle premesse l'interpretazione risulti non implausibile secondo gli ordinari canoni ermeneutici" (vedi da ultimo la sentenza n. 40/1996); ed in proposito ritiene opportuno il pretore ribadire che, pur nei margini di dubbio "oggettivi" che non possono non sussistere nel caso di specie, l'interpretazione sistematica piu' razionale sembra quella sopra prospettata, che e' stata addirittura fatta propria dalle parti contrattuali all'art. 5 del contratto collettivo del 1995 (e cioe': 1) applicabilita' della disposizione ai ferrovieri; 2) effettivo congelamento dell'ora di lavoro straordinario ai valori dell'anno 1992); ma e' evidente che nel caso di specie la Corte ben potrebbe ritenere "implausibile" il risultato ermeneutico prospettato, rendendo quindi inutile una ipotetica pronuncia ablativa: riprenderebbe infatti vigore l'art. 2108 c.c., pur con le complicazioni che sicuramente a quel punto sorgerebbero, per il fatto (paradossale) che la contrattazione collettiva del 1995 ha invece previsto e ha fatto proprio il congelamento degli "attuali importi scaturenti dall'applicazione dell'art. 44 del contratto collettivo 1990/1992", ipotizzando appunto consensualmente l'applicazione al caso di specie del citato art. 7; ma si tratterebbe in ogni caso di una complicazione ermeneutica appartenente ad una fase successiva a quella del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
P. Q. M. Dichiara d'ufficio non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5, del decreto-legge n. 384/1992, convertito con la legge n. 438/1992, nella parte in cui prevede che le retribuzioni per lavoro straordinario - in quanto comprensive, per disposizioni di legge o atto amministrativo previsto dalla legge o da disposizione contrattuale, di una quota di indennita' integrativa speciale di cui alla legge n. 324/1959 e successive modificazioni, o dell'indennita' di contingenza prevista per il settore privato o che siano comunque rivalutabili in relazione alle variazioni del costo della vita - siano corrisposte per l'anno 1993 nella stessa misura dell'anno 1992, e questo in relazione all'art. 36 della Costituzione, nella parte in cui e' previsto il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato; Ordina alla cancelleria la trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953, disponendone la notifica alle parti in causa nonche' al presidente del Consiglio dei Ministri oltre a comunicazione ai Presidenti delle due Camere e del Parlamento; Sospende il procedimento. Torino, addi' 9 maggio 1997 Il pretore: Grassi 97C1083