N. 217 ORDINANZA 26 maggio - 3 giugno 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Ulteriori indagini a  seguito  della  richiesta  di
 decreto  penale avanzata dopo la scadenza del termine per le indagini
 preliminari - Fissazione di un termine al P.M. per il loro compimento
 - Omessa previsione - Ragionevolezza -  Eterogeneita'  strutturale  e
 funzionale  delle  situazioni  poste a raffronto da parte del giudice
 rimettente - Ragionevolezza - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P. art. 459 terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.23 del 9-6-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 3,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa  il  7
 luglio 1998 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura
 di Udine, iscritta al n. 635 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  38,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 maggio 1999 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto che il giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  la
 pretura   di  Udine,  chiamato  a  pronunciarsi  sulla  richiesta  di
 emissione di decreto penale di condanna, ha sollevato, in riferimento
 agli artt.   3 e 24 della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  459, comma 3, cod. proc. pen., nella parte
 in cui non prevede che il giudice, se  ritiene  necessarie  ulteriori
 indagini a seguito della richiesta di decreto penale avanzata dopo la
 scadenza del termine per le indagini preliminari, fissi un termine al
 pubblico ministero per il compimento delle stesse;
     che  a  parere  del giudice a quo il sistema delineato dal codice
 sarebbe irragionevole, in quanto, se la richiesta di  decreto  penale
 viene  formulata  dopo  la  scadenza  del  termine  per  le  indagini
 preliminari e se si appalesa, come nella  specie,  la  necessita'  di
 svolgere  ulteriori  indagini,  il giudice non puo' che respingere la
 richiesta e  restituire  gli  atti  al  pubblico  ministero;  sicche'
 quest'ultimo,  a  sua volta, non potra' che o "formulare la richiesta
 di rinvio a giudizio"  (con  negative  conseguenze  sul  piano  della
 economia  processuale) o chiedere l'archiviazione, la quale peraltro,
 in   presenza   di   una   situazione  probatoria  incompleta,  dara'
 necessariamente luogo ad una "decisione ex art. 409, comma 4,  e  554
 c.p.p.";
     che  la  lamentata  omessa  previsione,  aggiunge  il rimettente,
 determina pure una disparita' di trattamento tra situazioni omogenee,
 in quanto il  potere  di  indicare  ulteriori  indagini  al  pubblico
 ministero  anche  dopo  la  scadenza  dei  relativi  termini e' stato
 riconosciuto al giudice in sede di archiviazione e, quindi,  "in  una
 situazione   processuale   di   analogo   controllo   giurisdizionale
 sull'attivita' del p.m.,  addirittura  di  incidenza  meno  immediata
 sulla  sfera  dei diritti di liberta' del cittadino rispetto a quella
 in esame";
     che violato sarebbe  anche  l'art.  24  della  Costituzione,  "in
 quanto dalla carenza dell'invocato strumento processuale non puo' che
 derivare   una  riduzione  complessiva  del  sistema  delle  garanzie
 difensive che proprio  l'introduzione  del  "filtro"  giurisdizionale
 nell'ambito  del  procedimento  per decreto (non previsto dal vecchio
 rito) voleva evitare";
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione  sia  dichiarata  "inammissibile  e
 comunque manifestamente infondata".
   Considerato  che  il  giudice  a  quo  pone  a fulcro delle proprie
 censure la prospettata analogia di situazioni che legherebbe fra loro
 l'ipotesi di specie - vale a dire la richiesta di decreto  penale  di
 condanna  formulata  dopo  la  scadenza  del  termine per le indagini
 preliminari  nel  caso  in  cui   il   giudice   ritenga   necessario
 l'espletamento  di  ulteriori indagini - e quella delineata dall'art.
 409, comma 4, c.p.p., in  tema  di  richiesta  di  archiviazione  non
 accolta;
     che  le  situazioni  poste a raffronto si appalesano, invece, fra
 loro strutturalmente e funzionalmente  eterogenee,  considerato  che,
 mentre la prima si iscrive nel panorama degli atti di esercizio della
 azione  penale, la seconda presuppone, al contrario, l'opposta scelta
 del pubblico ministero di non coltivare alcuna domanda di giudizio;
     che in tale  differenziata  ed  anzi  antitetica  prospettiva  si
 coglie  anche la diversa funzione dell'intervento giurisdizionale, e,
 dunque,  il  diverso  atteggiarsi  dei  relativi  epiloghi  decisori,
 giacche', mentre la disamina che il giudice e' chiamato a svolgere in
 presenza  della  richiesta  di  decreto penale di condanna e' volta a
 verificare la sussistenza dei presupposti, in rito e nel merito,  del
 procedimento  speciale  promosso dal pubblico ministero, e, quindi, a
 soddisfare specifiche ed intuibili esigenze di garanzia, il controllo
 in sede  di  archiviazione  e'  mosso  dal  ben  diverso  intento  di
 verificare  la legittimita' della "inazione", in stretta aderenza con
 il parametro offerto dall'art. 112 della Costituzione e dei  connessi
 valori di legalita' ed uguaglianza (v. sentenza n. 88 del 1991);
     che  per  altro  verso  l'esigenza di ulteriori indagini, dopo il
 decorso  dei   relativi   termini,   si   appalesa   come   evenienza
 ontologicamente  in  contrasto  con la natura stessa del procedimento
 per decreto, giacche' il rito monitorio postula un quadro fattuale di
 agevole e pronto  accertamento,  come  e'  anche  testimoniato  dalla
 circostanza   che,   nella  originaria  stesura,  l'art.  459  c.p.p.
 prevedeva che la richiesta  del  pubblico  ministero  dovesse  essere
 formulata  entro  il  breve  termine  di  quattro  mesi dalla data di
 iscrizione del nominativo dell'indagato nel registro delle notizie di
 reato: un termine, questo, che, anche se successivamente aumentato  a
 sei  mesi, e' comunque in se' dimostrativo della incompatibilita' del
 rito con la stessa ipotesi di proroga del  termine  per  le  indagini
 preliminari;
     che  nessuna  irragionevolezza  o  disparita' di trattamento puo'
 dunque ravvisarsi nel quadro normativo evocato dal rimettente,  cosi'
 come  del  tutto  impropria si rivela la pretesa violazione dell'art.
 24 della Costituzione,  considerato  che  il  diritto  di  difesa  e'
 integralmente  salvaguardato  in ciascuno dei successivi ed ipotetici
 sviluppi processuali cui la situazione denunciata puo' dar luogo;
     che  la  questione  proposta  deve  pertanto  essere   dichiarata
 manifestamente infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  459,  comma  3,  del  codice  di procedura
 penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3   e   24   della
 Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari presso la
 Pretura di Udine con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 3 giugno 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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