N. 216 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 gennaio 1990

                                 N. 216
       Ordinanza emessa il 31 gennaio 1990 dal Pretore di Nardo'
    nel procedimento penale a carico di De Benedittis Grazia Teresa
   Edilizia  e  urbanistica  -  Reati  edilizi  -  Sanzioni  penali  -
 Esecuzione di lavori  in  zona  sottoposta  a  vincolo  paesistico  -
 Previsione  di un elevato minimo edittale (cinque giorni di arresto e
 lire trenta milioni  di  ammenda)  -  Conseguente  impossibilita'  di
 concedere  la  sospensione condizionale della pena anche in relazione
 ad interventi edilizi di modestissima entita' -  Ingiustificato  piu'
 rigoroso  trattamento  di  detti  reati  rispetto  a reati piu' gravi
 (furto  semplice  o  aggravato,  violenza  carnale,  in  presenza  di
 attenuanti  generiche, omicidio colposo, sequestro di persona, ecc.),
 non riconducibile a  scelte  di  politica  legislativa  incensurabili
 dalla  Corte,  ma sconfinante in irragionevolezza ed iniquita' e tali
 da  comportare  violazione  anche  del  principio   della   finalita'
 rieducativa della pena.
   (Legge  28  febbraio  1985,  n. 47, art. 20, primo comma, lett. c),
 u.p.).
   (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.19 del 9-5-1990 )
                               IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel procedimento penale a
 carico di De Benedittis Grazia Teresa,  imputata  del  reato  di  cui
 all'art.  20,  lett. c), della legge n. 47/1985, per avere realizzato
 due  vani  ed  una  veranda  senza  concessione  edilizia,  su   zona
 sottoposta  a  vincolo paesaggistico. In Porto Cesareo il 13 novembre
 1987.
                           PREMESSO IN FATTO
    I  carabinieri di Porto Cesareo, con rapporto del 4 dicembre 1987,
 denunziavano a questo pretore De Benedittis Grazia Maria da Copertino
 per il reato di cui in epigrafe, facendo presente che, interrogata la
 stessa nella sua abitazione, aveva dichiarato che,  a  causa  di  una
 frattura  della  colonna  vertebrale,  subiva  la paralisi degli arti
 inferiori e, pertanto, era costretta a star seduta  su  una  sedia  a
 rotelle. Cio', a dire della De Benedittis, l'aveva indotta a ritenere
 indispensabile la realizzazione di un vano di nove mq, da  adibire  a
 bagno  ed  un  altro  di  mq  16,  da  destinare  a  palestra ginnica
 (arredandola con tutti gli attrezzi necessari); infine, una  veranda,
 facendo  eseguire  i  lavori  in  breve  tempo  (circa  15  gg.)  con
 l'intervento di manovalanza giornaliera. Il tutto,  senza  richiedere
 la  prescritta  concessione  edilizia  su  zona  sottoposta a vincolo
 paesaggistico, ma con intento di chiedere la  sanatoria  ex  art.  13
 della legge n.  47/1985.
    Iniziatosi  procedimento  penale  a  carico  della  De Benedittis,
 costei veniva rinviata  a  giudizio  davanti  a  questa  pretura  per
 rispondere  del  reato  di  ci  all'art. 20, lett. c), della legge n.
 47/1985.
    Al dibattimento del 31 gennaio 1990, mentre il p.m. concludeva per
 la condanna dell'imputata a mesi uno di arresto  e  L.  7.000.000  di
 ammenda, oltre alle pene accessorie, il difensore della De Benedittis
 chiedeva la declaratoria di non punibilita' dell'imputata ex art.  54
 del  c.p.  ed, in subordine, il minimo della pena, con la concessione
 delle attenuanti di cui all'art. 62- bis e 133- bis del c.p. e con  i
 benefici  di  legge  (sospensione  della  pena  e  non  menzione  nel
 certificato del casellario giudiziale).
    Nella  stessa udienza questo pretore sollevava d'ufficio questione
 di costituzionalita';
                         OSSERVANDO IN DIRITTO
    E'   necessario,  anzitutto,  precisare  che,  nella  specie,  non
 ricorrono motivi  di  sospensione  del  procedimento,  non  potendosi
 l'imputata  avvalersi  della  sanatoria  delle  opere  abusive da lei
 eseguite ex art. 31 e segg.  della  legge  n.  47/1985,  trattandosi,
 pacificamente,   di  costruzione  realizzata  ed  ultimata  in  epoca
 successiva al 1› ottobre 1983; ne risulta che siano stati  instaurati
 procedimenti  amministrativi  di  sanatoria  ex  artt. 13 e 22, primo
 comma, della stessa legge.
    Occorre rammentare, altresi', che per il reato di cui all'art. 20,
 lett. c), della legge n. 47/1985, e' prevista  la  pena  dell'arresto
 fino  a  due  anni  e  l'ammenda  da  L. 30.000.000 a L. 100.000.000.
 Pertanto, anche la pena minima, con l'eventuale concessione da  parte
 del  giudice delle attenuanti di cui all'art. 62-bis, in applicazione
 degli artt. 25 e 135 del c.p., supera i due anni di  pena  detentiva,
 con impossibilita', quindi, della sospensione condizionale della pena
 stessa ex art. 163 del c.p.
    Tale  conclusione  non  puo'  essere  superata  da quanto previsto
 dall'art. 133- bis del c.p., in quanto, la facolta'  del  giudice  di
 riduzione   della  pena  al  di  sotto  del  minimo,  deve  ritenersi
 esercitabile  nelle  situazioni  di   manifesta   sproporzione,   per
 eccessiva   gravosita'   della   sanzione   rispetto  alle  capacita'
 economiche dell'imputato (tra le altre Cass. 25 settembre 1982).
    Senza  voler  anticipare  in  questa sede la decisione della causa
 sulla base dei fatti pacificamente ammessi e descritti in  narrativa,
 osserva,   poi,  il  giudicante  che  l'applicazione  della  esimente
 prevista dall'art. 54 (stato di necessita'),  e'  possibile,  secondo
 l'orientamento    ormai    consolidato   della   dottrina   e   della
 giurisprudenza della s.c., quando il fatto e' stato commesso  perche'
 costretti  a  salvare  se'  od  altri  "da un grave danno dei diritti
 inviolabili della persona umana" (Cass. pen.  sez.  III,  4  dicembre
 1981,  n.  19772)  e  quando  "la  situazione  di pericolo (ancorche'
 relativa all'alimentazione, alle cure mediche, ecc.)  abbia  un  tale
 carattere  di indilazionabilita' e cogenza da non lasciare all'agente
 altra alternativa che quella di violare la legge" (tra le altre Cass.
 26 ottobre 1982, n. 9883).
    Occorre,  inoltre,  rilevare che l'esimente putativa dell'art. 59,
 ultimo periodo, del c.p. non puo'  essere  invocata  quando  l'errore
 dell'agente  cada  sull'efficacia obbligatoria o sulla sussistenza di
 una norma giuridica ed, infine, che il nuovo testo  dell'art.  5  del
 c.p.,  in  seguito alla sentenza n. 364/1988 di codesta Corte, prende
 in considerazione quale esimente l'ignoranza inevitabile della  legge
 penale.
    Tutto  cio' e' stato necessario far presente, per evidenziare che,
 nel caso di affermazione di responsabilita' dell'imputata, in  ordine
 al reato ascrittole, la stessa, nonostante le modestissime dimensioni
 delle opere eseguite e per le ragioni verosimili poste a  base  della
 sua  difesa,  pur con la puntuale osservanza di quanto previsto dagli
 artt. 62-bis, 133 e 133- bis del c.p., dovrebbe essere condannata  ad
 una  pena  detentiva  non suscettibile di sospensione condizionale ex
 art. 163 del c.p.
    Orbene,  il  giudicante,  al  cospetto di tale situazione, ritiene
 rilevante  e   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
 costituzionalita'  dell'art. 20, lett. c), della legge n. 47/1985 per
 contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
    Infatti,  per  quanto  concerne  l'art. 3, e' necessario rilevare,
 anzitutto, l'evoluzione legislativa tesa ad una specificazione ed  ad
 un   ridimensionamento  dell'ampia  formula  usata  dalla  disciplina
 urbanistica di  cui  alla  legge  n.  10/1977,  ed,  in  particolare,
 dall'art.  1  della  stessa  legge. Si fa riferimento agli interventi
 previsti dagli artt. 31 e 48  della  legge  n.  457/1978  "Norme  per
 l'edilizia  residenziale"  (interventi  per  i  quali  la concessione
 edilizia prevista dalla citata legge  n.  10/1977  e'  sostituita  da
 un'autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori) e di opere di cui
 all'art. 7 della legge n. 94/1982 - tra le quali sono anche  previste
 le  pertinenze  -  opere soggette ad autorizzazione gratuita "purche'
 conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, ecc.".
    Vi  e'  da aggiungere, poi, che ex art. 10 della legge n. 47/1985,
 per  gli  interventi  subordinati  all'autorizzazione   (manutenzione
 straordinaria,   restauri,   risanamenti   conservativi,  pertinenze,
 impianti  tecnologici,  demolizioni,  reinterri  e  scavi   che   non
 riguardano  cave  o  torbiere  e  siano  fini a se stessi) e' esclusa
 l'applicabilita' delle sanzioni penali previste  dall'art.  17  della
 legge  n. 10/1977, introducendosi, quindi la depenalizzazione di tali
 fattispecie.
    Non  puo'  considerarsi superfluo neppure il richiamo al d.P.R. 18
 dicembre 1981, n. 744 (concessione di amnistie e di indulto) il quale
 all'art. 2 statuisce: "l'amnistia non si applica:... omissis... lett.
 c) ai reati previsti: 1) dall'art. 41, primo comma, lett.  b),  della
 legge  n.  1150/1942  -  come  sostituito dall'art. 13 della legge n.
 765/1967 (legge urbanistica) - e dall'art. 17, lett. b), della  legge
 n. 10/1977, quando si tratti di inosservanza dell'art. 28 della legge
 n. 1150/1942 e succ. mod., ovvero i lavori eseguiti senza  licenza  o
 concessione  od  in totale difformita' da questa, salvo che si tratti
 di violazioni riguardanti un'area di piccola estensione,  in  assenza
 di  opere  edilizie  ovvero di violazioni che comportino una limitata
 entita' di volumi illegittimamente realizzate  o  limitate  modifiche
 dei  volumi  esistenti  e  sempre  che  non  sussista  lesione  degli
 interessi pubblici tutelati da vincoli  di  carattere  idrogeologico,
 ecc.".
    E'   d'uopo   far  presente,  inoltre,  che  il  ridimensionamento
 legislativo, di cui si e' accennato,  e'  stato  operato,  anche,  da
 parte   della   dottrina  e  della  giurisprudenza,  secondo  cui  la
 trasformazione  urbanistica  ed  edilizia,   l'entita'   dei   volumi
 illegittimamente   realizzati  o  delle  modifiche  apportate,  vanno
 esaminati in rapporto al contesto locale in cui si  inseriscono;  non
 sempre, infatti, la commisurazione in termini assoluti e' sufficiente
 a denotare un abuso di entita', tale da non potersi ritenere limitato
 (Cass.  14  ottobre  1981,  n.  8930).  Si  e'  pure osservato che il
 legislatore, quando disciplina i vari fenomeni  della  vita  sociale,
 molte  volte determina espressamente la dimensione minima al di sotto
 della quale il fatto resta irrilevante per il diritto. Cio' non  vuol
 dire,  pero',  che  ove  il  legislatore traccia a tal proposito, non
 possa  egualmente  ritenersi  che  tutte  le   attivita'   prese   in
 considerazione  dal  diritto,  divengano  in  concreto giuridicamente
 significative, solo quando  la  loro  entita',  avuto  riguardo  alla
 natura  dell'interesse  protetto  dalla  legge  ed  al contesto delle
 circostanze in cui vengono poste in essere,  superi  quella  che  ben
 puo'  definirsi  "soglia  di  rilevanza",  la cui individuazione, nel
 silenzio  della  norma,  e'  riservata  al   prudente   apprezzamento
 dell'interprete  (t.a.r. Lazio, sezione di Latina, 27 giugno 1980, n.
 41). Si e',  infine,  specificamente  affermato  che  la  concessione
 edilizia  non  e'  necessaria per ogni alterazione del mondo fisico -
 comunque incidente sulla morfologia del territorio  -  ma,  solo  per
 quelle  attivita'  (trasformazioni)  tali da determinare un rilevante
 mutamento dell'assetto edilizio ed urbanistico del territorio.  Scopo
 della  tutela  penale  e', infatti, l'interesse all'armonico sviluppo
 edilizio ed ad un controllato sviluppo  del  contesto  urbano  (Cass.
 sez.  III  18 ottobre 1982; 23 giugno 1987 e Cons. di Stato sez. V 21
 ottobre 1985) ed il bene giuridico protetto dai reati urbanistici  e'
 l'assetto  del  territorio  comunale nella sua concreta realta' e nel
 suo divenire.
    Nonostante  le  considerevoli  argomentazioni  ora  riportate,  il
 legislatore del 1985, non solo ha ancora una volta,  con  l'art.  20,
 evitato di indicare, univocamente, all'interprete giudiziario in sede
 penale - anche per il  rispetto  del  principio  di  legalita'  e  di
 tassativita'    -    le    opportune    differenziazioni   desumibili
 dall'orientamento dottrinale e giurisprudenziale teste' citato, ma ha
 addirittura  stabilito quanto segue nell'art. 20 lett. c): "salvo che
 il  fatto  costituisca  piu'  grave  reato  e   ferme   le   sanzioni
 amministrative,  si  applica...  c)  l'arresto  fino  a  due  anni  e
 l'ammenda da L. 30.000.000 a L. 100.000.000 nel caso di lottizzazione
 abusiva  di  terreni  a scopo edilizio, come previsto dal primo comma
 dell'art. 18. La stessa pena si applica anche nel caso di  interventi
 edilizi   nelle   zone   sottoposte  a  vincolo  storico,  artistico,
 archeologico, paesistico, ambientale, in  variazione  essenziale,  in
 totale  difformita'  o  in assenza di concessione. Le disposizioni di
 cui al comma precedente sostituiscono quelle di cui all'art. 17 della
 legge 28 gennaio 1977, n. 10".
    Appare  evidente,  quindi,  che  con palese violazione dell'art. 3
 della Costituzione,  sono  poste  sullo  stesso  piano  sanzionatorio
 penale  situazioni completamente differenziate, quali ed es. le opere
 realizzate dall'imputata De Benedittis (gia' descritte nella premessa
 in  fatto,  insieme  ai gravissimi motivi di salute ivi evidenziati),
 con costruzioni di ben altra  consistenza  (che,  purtroppo,  per  un
 complesso  di gravi motivi strutturali e funzionali, sicuramente noti
 a codesta Corte, sono stati realizzati con palese dispregio  di  ogni
 tutela in varie splendite zone della nostra penisola) e, addirittura,
 con  la  "lottizzazione"  abusiva  di  terreni  a   scopo   edilizio,
 puntualizzata, finalmente nell'art. 18 della stessa legge n. 47.
   Al  giudicante non sembra che tali discrasie possano esser superate
 con la gradualita' della pena prevista dello stesso art. 20 lett.  c)
 (arresto  fino a due anni ammenda da L. 30.000.000 a L. 100.000.000),
 applicate, con il rispetto dei doveri-poteri del giudice di cui  agli
 artt.  132  e  133-  bis  del c.p., in quanto, come gia' detto, anche
 l'applicazione della pena minima, con l'eventuale  concessione  delle
 attenuanti  ex art. 62- bis, non consente, ex artt. 25, 135 e 163 del
 c.p. la sospensione condizionale.
    In  proposito,  e'  stato  osservato  che:  "...  stante l'elevata
 entita' del minimo di pena edittale (5 gg. di arresto e L. 30.000.000
 di  ammenda),  tale  da  non  consentire mai, neanche in relazione ad
 interventi  di  minima  entita'  ed  in  presenza  delle   attenuanti
 generiche  (le  uniche  attenuanti generalmente riconoscibili in casi
 del genere),  la  sospensione  condizionale,  questa  e'  consentita,
 invece  -  ovviamente  in presenza di tutte le altre condizioni - per
 reati da ritenersi molto piu' gravi,  sia  alla  stregua  di  criteri
 legali  (art.  16,  terzo  comma,  del  c.p.p.) sia in base al comune
 sentire, quali per esempio:  furto  semplice  o  aggravato,  violenza
 carnale,  in  presenza  di  attenuanti  generiche,  omicidio colposo,
 sequestro di persone, disastro  colposo  ecc.  Inoltre,  per  effetto
 dell'istituto   della   continuazione,   ormai  operante  secondo  la
 prevalente giurisprudenza anche tra  delitti  e  contravvenzioni,  si
 verifica  che,  in  caso  di condanna per il reato di cui all'art. 20
 lett. c) della legge n. 47/1985 unificato  ad  un  reato  piu'  grave
 quale  ad  es. quello di cui all'art. 324 del c.p., o di cui all'art.
 631 della s.C. - puo' essere sospesa la  pena  complessiva,  irrogata
 grazie  ad  un  aumento  della  pena  fissata per il reato piu' grave
 contenuto entro il limite di cui all'art. 163 del  c.p.,  mentre  non
 puo'  esserlo  in  caso  di  assoluzione per il reato piu' grave o di
 imputazione limitata al reato  di  cui  all'art.  20  citato"  (pret.
 Orvieto,  ord. di rimessione a codesta Corte su identica questione; 5
 dicembre 1989).
    Conviene,  altresi', il giudicante con le conclusioni della stessa
 ordinanza 5 dicembre 1989 e, cioe' che la disparita'  di  trattamento
 di  cui  innanzi  e'  piu'  che  evidente,  tanto da sconfinare nella
 irragionevolezza  ed  iniquita',  e,  quindi,  da  non  poter  essere
 giustificata con la liberta' del legislatore nelle scelte di politica
 normativa a tutela del territorio, dal momento che la  ragionevolezza
 e  l'equita' sono valori immanenti dell'ordinamento giuridico e della
 costituzione repubblicana.
    Si  conviene,  infine, che una pena irragionevole ed iniqua, lungi
 dal  contribuire  alla  rieducazione  del  condannato,   cosi'   come
 prescive, invece, l'art. 27, terzo comma, della costituzione, suscita
 un sentimento di ostilita'  se  non  addirittura  di  ribellione  nei
 confronti dell'ordinamento.
                                P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Solleva   d'ufficio,   perche'   rilevante  e  non  manifestamente
 infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  20,
 primo  comma, lett. c), ultimo periodo, della legge 28 febbraio 1985,
 n. 47, per contrasto con gli artt. 3 e 27 della  Costituzione,  nella
 parte  in  cui  a causa della misura della pena editta, non consente,
 neanche in relazione ad interventi di modeste  entita'  o  per  altre
 condizioni  oggettivamente  rilevanti,  la  sospensione  condizionale
 della pena, oltre che per quanto osservato in motivazione;
    Sospende,  quindi,  il  giudizio  in  corso  e dispone l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina,  poi, che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza
 sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, all'imputato
 ed  al  p.m.  d'udienza  e  comunicata ai Presidenti dei due rami del
 Parlamento.
      Nardo', 31 gennaio 1990
                            Il Pretore: SODO

 90C0509