N. 680 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1999

                                N. 680
  Ordinanza emessa il 15 marzo 1999  dal  tribunale,  sezione  per  il
 riesame di Napoli sull'appello proposto da Schiavone Saverio Paolo
 Processo  penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare in
    carcere - Durata massima - Limite complessivo e limite di  fase  -
    Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione
    del  procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di efficacia
    della misura solo nel caso di superamento del  termine  di  durata
    complessivo  e  non  anche  nel caso di superamento del doppio del
    termine  di  fase  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto   alla
    disciplina  dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui
    all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen.
     Cod. proc. pen. 1988, art. 303, comma 4.
  Costituzione, art. 3.
(GU n.51 del 22-12-1999 )
                               IL TRIBUNALE
   Ha   emesso   la   seguente   ordinanza    sull'appello    proposto
 nell'interesse  di Schiavone Saverio Paolo avverso l'ordinanza emessa
 in data 14 agosto 1998 dalla  Corte  di  assise  di  S.  Maria  C.V.,
 sezione   feriale,   con   la   quale  veniva  rigettata  istanza  di
 scarcerazione per scadenza, nella fase  delle  indagini  preliminari,
 del termine massimo della custodia cautelare;
                             O s s e r v a
    1.  -  Come  risulta  dagli  atti trasmessi dall'a.g. procedente e
 dalla  "posizione  giuridica"  successivamente  acquisita,  Schiavone
 Saverio  Paolo  veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere per
 il reato di associazione mafiosa in  forza  di  ordinanza  coercitiva
 emessa   dal   g.i.p.   del   tribunale  di  Napoli  nell'ambito  del
 procedimento  c.d.  Spartacus,  notificata  all'indagato  in  data  5
 dicembre  1995 (successivamente la misura della detenzione in carcere
 e' stata sostituita con quella degli arresti domiciliari, tuttora  in
 esecuzione).
   L'appellante  venne  rinviato  a giudizio con decreto del g.i.p. di
 Napoli dell'8 novembre 1996 avanti alla Corte di assise di Napoli, la
 quale, pero', con sentenza 22  ottobre  1997,  dichiaro'  la  propria
 incompetenza  per  territorio  e rimise gli atti al p.m. della D.D.A.
 di Napoli perche' promuovesse l'azione penale avanti  alla  Corte  di
 assise di S. Maria C.V. - A tanto il p.m. ha poi provveduto e in data
 4  aprile  1998  e' stato emesso dal g.i.p. nuovo decreto di rinvio a
 giudizio.
   La  difesa  ha  formulato  istanza   di   scarcerazione   invocando
 l'applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con
 sentenza  n.  292/98 e, con l'appello proposto ai sensi dell'art. 310
 del c.p.p.  avverso il provvedimento di rigetto della Corte di assise
 di S. Maria C.V., deduce: "La  motivazione  dell'ordinanza  impugnata
 costituisce  una  palese  violazione  dell'art.  303,  commi 2 e 4 in
 riferimento alla disciplina dell'art. 304, comma 6  del c.p.p.
   L'istanza difensiva sottoponeva all'esame del  collegio  giudicante
 una  delicata  questione  interpretativa delle sopra richiamate norme
 procedurali, proponendone una soluzione coerente con il dettato della
 sentenza della Corte costituzionale n. 292/98 ....
   Infatti,  nel  caso  di  specie,  in  seguito  alla   sentenza   di
 incompetenza  resa  in  data 22 ottobre 1997 dalla Corte di assise di
 Napoli, V sez.    pen.,  si  e'  verificata  un'ipotesi  classica  di
 regressione ad una antecedente fase di giudizio con conseguente nuovo
 decorso  dei  termini  di  fase  previsti  dall'art. 303, comma 1 del
 c.p.p.
   Tale evento processuale,  del  tutto  indipendente  dalla  volonta'
 dell'imputato,  ha  determinato  il  superamento  del termine massimo
 sancito dall'art. 304, comma 6 del c.p.p., in  quanto  il  giorno  di
 esecuzione  della misura cautelare e' risalente al 5 dicembre 1995 ed
 il rinvio a giudizio dinanzi al giudice competente venne disposto  in
 data 4 aprile 1998. Le predette deduzioni difensive venivano respinte
 dall'ecc.ma  Corte  di assise di S. Maria C.V., sostanzialmente sulla
 base di due osservazioni:
     la non applicabilita' dell'art. 304, comma 6 del c.p.p., ai  casi
 previsti  dal  303,  comma 1, in quanto relativo alle sole ipotesi di
 sospensione dei termini di custodia cautelare;
     la non  cumulabilita'  di  periodi  di  detenzione  carceraria  e
 domiciliare riferibili a fasi processuali diverse.
   Il  primo  argomento  ... isola sul piano interpretativo l'art. 304
 del c.p.p., limitandone l'applicazione ai soli  casi  di  sospensione
 dei  termini  della  custodia  cautelare: la conseguenza giuridica di
 tale ragionamento, nel caso di  regressione  del  procedimento  o  di
 rinvio  ad altro giudice, sarebbe rappresentata dalla possibilita' di
 protrarre la custodia cautelare con l'unico limite temporale previsto
 dal comma 4 dell'art. 303 del c.p.p.
   E'  facile  dedurre l'illogicita' di una simile conclusione, che in
 caso  di  condotte  ostruzionistiche   o   dilatorie   dell'imputato,
 comportanti la sospensione ex art. 304 del c.p.p., consentirebbe allo
 stesso  di  avvalersi  del  limite stabilito dal comma 6 del medesimo
 articolo, la cui operativita' sarebbe, al contrario, esclusa nel caso
 di regressione processuale per fatti  del  tutto  estranei  alla  sua
 volonta'.
   Inoltre,   non  si  comprenderebbe  la  scelta,  non  casuale,  del
 legislatore di richiamare espressamente,  nel  testo  dell'art.  304,
 comma  6  del  c.p.p.,  anche i commi 2 e 3 dell'art. 303, prevedendo
 anche per tali ipotesi un limite di durata della custodia  cautelare.
 ...
   Per cio' che concerne la non cumulabilita' di periodi di detenzione
 carceraria  e  domiciliare,  riferibili  a  fasi processuali diverse,
 risulta chiaro che tale riferimento  non  puo'  consentire  deduzioni
 contrastanti  con  il  principio  della proporzionalita' adottato dal
 legislatore come criterio regolatore della disciplina della  custodia
 cautelare.
   Proprio  il  principio  della  proporzionalita' ... ispira la ratio
 dell'art. 304, comma 6 e l'avverbio "comunque" ... assegna alla norma
 la funzione  di  "sbarramento"  della  disciplina  dei  termini,  che
 impedisce  qualsiasi  soluzione  interpretativa  in senso sfavorevole
 all'imputato".
   2. - Cio' posto, va osservato che non e' dubbio che nella specie, a
 seguito della sentenza di incompetenza  pronunciata  dalla  Corte  di
 assise  di  Napoli,  si e' verificata la regressione del procedimento
 nella fase delle indagini  preliminari  e  la  nuova  decorrenza  del
 termine della custodia cautelare relativo a tale fase, secondo quanto
 previsto dall'art. 303/2 del c.p.p. La norma citata dispone, infatti,
 che  "nel  caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte
 della  Corte  di  cassazione  o  per  altra  causa,  il  procedimento
 regredisca  a  una  fase  o a un grado di giudizio diversi ovvero sia
 rinviato ad altro giudice, dalla data del provvedimento  che  dispone
 il  regresso  o  il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della
 custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma  1
 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento".
   La  previsione  dell'art.  303/2  era  stata  piu' volte oggetto di
 questioni di incostituzionalita', ma la Corte di cassazione ne  aveva
 sempre ritenuto la manifesta infondatezza, osservando:
     che  la norma, nel parificare, agli effetti dell'allungamento del
 termine di fase, la regressione del procedimento per nullita'  (anche
 nel  caso  di  gravi  vizi  di  costituzione  delle parti) alle altre
 ipotesi di regressione stabilite dalla legge,  non  contrasta  con  i
 principi   di   ragionevolezza   e   di  uguaglianza  (art.  3  della
 Costituzione), poiche'  essa  intende  in  ogni  caso  bilanciare  le
 conseguenze negative del riprendere ex novo l'iter processuale con il
 permanere  delle  esigenze  cautelari, consentendo l'allungamento del
 termine di fase, ma comunque entro il termine di  durata  complessiva
 della  custodia stabilito dall'art. 303/4 (Cass., sez. VI, n. 915/93,
 Esposito);
     che non sussiste violazione  dell'art.  13,  ultimo  comma  della
 Costituzione,  in  quanto la norma costituzionale impone che la legge
 ordinaria stabilisca, per il completamento dell'intero  procedimento,
 il  limite  massimo  alla carcerazione preventiva, ma non esige anche
 che  sia  fissato  altro  limite parziale interno a ciascuna fase del
 procedimento stesso (Cass., sez. VI, n. 3525/93, Massidda);
     che  non  sussiste  violazione  degli  articoli  13  e  24  della
 Costituzione  perche',  da  un  lato,  e'  comunque previsto un tetto
 massimo della custodia  cautelare,  conformemente  a  quanto  dispone
 l'art.  13  della Costituzione, che riserva alla discrezionalita' del
 legislatore ordinario i casi e i modi della detenzione e, in  genere,
 di  ogni forma di restrizione della liberta' personale e, dall'altro,
 non puo' farsi commistione tra il diritto di  difesa  inviolabile  in
 ogni  stato  e  grado  del procedimento, che consente di eccepire una
 nullita', e i riflessi che il suo esercizio puo' avere in materia  di
 liberta',   essendo   rimessa   alla  discrezionalita'  difensiva  la
 valutazione della  convenienza  di  esercitare,  o  meno,  una  certa
 facolta', anche per le implicazioni, le conseguenze e le interferenze
 di  fatto  in  ogni direzione (Cass., sez. I, n. 421/94, Gigliotti ed
 altri; Cass., sez. I,  n.  1431/96,  Affuso,  aveva  poi  escluso  la
 sussistenza  di  una  violazione dell'art. 76 della Costituzione, per
 eccesso di delega rispetto alla direttiva n.  61  dell'art.  2  della
 legge 16 febbraio 1987, n. 81).
   Peraltro,  con  ordinanza  22  novembre 1996 il tribunale di Reggio
 Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di
 ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4  del  c.p.p.,
 nella  parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la  situazione
 descritta nel comma 2 di detto art. 303".
   Nel  caso  che  dava  occasione  alla  questione vi erano state due
 successive regressioni del procedimento  nella  fase  delle  indagini
 preliminari,  a  seguito  di  sentenze  di  incompetenza, e la difesa
 istante aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando  che
 dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a
 giudizio  era  decorso  un  periodo  di tempo superiore al doppio del
 termine di fase.
   Il g.i.p. aveva rigettato la richiesta di scarcerazione sul rilievo
 che la situazione degli  imputati  era  disciplinata  unicamente  dai
 commi  2  e  4 dell'art. 303 e non anche dall'art. 304. Con l'atto di
 appello la difesa aveva riproposto la questione al tribunale e  nella
 discussione    aveva    poi,    in    via   subordinata,   denunciato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 304/6 in quanto applicabile
 al solo caso di sospensione dei  termini  e  non  anche  ai  casi  di
 regressione, con conseguente irragionevole disparita' di trattamento.
   Il  tribunale  di  Reggio  Calabria  con  l'ordinanza di rimessione
 rilevava che la questione era mal  posta  dalla  difesa,  poiche'  la
 fattispecie  del  regresso  "e'  disciplinata  dalle  norme contenute
 nell'art. 303 del c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304 del
 c.p.p.  ...    ogni  riferimento  all'art.  304  del  c.p.p.  e'  ...
 inconferente,  poiche'  disciplina  situazioni affatto differenti ...
 attiene  all'istituto  della  sospensione  del  termine  di  custodia
 cautelare ed ai suoi limiti cronologici".
   Peraltro,  anche  il tribunale riteneva irragionevole la disparita'
 di disciplina tra istituti - quali appunto la sospensione dei termini
 e la interruzione dovuta a regressione o rinvio  del  procedimento  -
 che  presentano  una  "sostanziale  omogeneita'"  in quanto "entrambi
 rappresentano  degli  accidenti  che  si  verificano  nel cammino del
 procedimento, perlopiu' indipendenti dalla  volonta'  dell'imputato";
 pertanto  sollevava  la  questione  di  costituzionalita' nei termini
 sopra riportati (v.   ord. 22  novembre  1996,  tribunale  di  Reggio
 Calabria,  Ardizzone ed altro in Gazzetta Ufficiale n. 45/1997, prima
 serie speciale n. 756).
   La Corte costituzionale con la sentenza n. 292/98 ha dichiarato  la
 questione non fondata, affermando in motivazione che - contrariamente
 a  quanto  ritenuto dal giudice a quo - "il superamento di un periodo
 di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in
 considerazione, determina la  perdita  di  efficacia  della  custodia
 anche  se  quei  termini ... sono cominciati a decorrere nuovamente a
 seguito della  regressione  del  processo".  La  Corte,  infatti,  ha
 ritenuto  che  il  "limite finale" di durata della custodia cautelare
 nelle singole fasi, fissato dall'art. 304/6 nel doppio del termine di
 fase, trovi  applicazione  non  solo  nei  casi  di  sospensione  dei
 termini,  come  sembrerebbe  indicare la collocazione della norma, ma
 anche  in  quelli  di  proroga  o  di  interruzione  determinata   da
 regressione o rinvio del procedimento ad altro giudice.
   3.   -   La   soluzione   interpretativa   adottata   dalla   corte
 costituzionale  non  e'  giuridicamente   vincolante   nel   presente
 procedimento.
   Trattasi,  invero, di sentenza interpretativa di rigetto resa dalla
 Corte  costituzionale  e  tali  sentenze  non  sono  infatti   munite
 dell'efficacia  erga omnes propria delle decisioni con le quali viene
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale  di  una  disposizione  di
 legge,  per  cui  assumono  il  valore di mero precedente, certamente
 autorevole, ma non vincolante per il giudice (ss.uu. 930/96,  Clarke,
 e 21/98, Gallieri).
   Nel  caso  della  sentenza n. 292/98, la soluzione interpretativa -
 ispirata  dall'intento  di  superare  la   denunciata   irragionevole
 disparita'  di  disciplina  tra  i casi di sospensione dei termini di
 custodia e quelli di interruzione dovuta  a  regresso  o  rinvio  del
 procedimento  -  finisce per creare una omogeneita' di disciplina tra
 tali casi, nei quali l'allungamento della durata  della  custodia  e'
 per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato, e quello della
 evasione,  nel  quale  l'allungamento deriva invece dal comportamento
 dell'imputato, per di piu' penalmente  illecito  (nella  sentenza  n.
 292/98,  in  verita',  non  vi  e'  menzione  del  caso  di  evasione
 dell'imputato, ma anch'esso rientra  tra  "i  fenomeni  che  comunque
 possono  interferire con la disciplina dei termini di fase", ai quali
 tutti si riferirebbe il "limite finale" di  cui  all'art.  304/6,  e,
 d'altro  canto,  l'art.  303/3  e' espressamente richiamato dall'art.
 304/6).
   Anche prescindendo da tale rilievo, il collegio ritiene di  doversi
 discostare  dalla  soluzione interpretativa, pur cosi' autorevolmente
 indicata, per ragioni che attengono alla origine e alla ragione della
 norma di cui  all'art.  304/6,  alla  sua  collocazione  e  alla  sua
 letterale formulazione.
   Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della
 custodia  cautelare  e'  stata  avvertita  dal legislatore proprio in
 relazione all'istituto della sospensione dei termini, che  nelle  sue
 concrete  applicazioni  avrebbe potuto determinare la quiescenza sine
 die   del   decorso   dei   termini.  Il  "limite  finale"  e'  stato
 originariamente introdotto per la durata complessiva  della  custodia
 cautelare  (art.    272/9  del  c.p.p. abrogato; art. 304/4 del nuovo
 c.p.p. nel testo vigente anteriormente alla legge n. 532/1995)  e  la
 sua  collocazione (subito dopo le norme sulla sospensione dei termini
 e nel nuovo codice proprio nell'articolo intitolato alla sospensione)
 rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato.
   Prima dell'entrata in vigore della  legge  n.  532/1995,  non  pare
 fosse,  in  realta',  neppure ipotizzabile l'applicazione del "limite
 finale" ai casi del regresso o del  rinvio  del  procedimento  (salvo
 quando  -  beninteso  -  dopo tali vicende fosse intervenuta anche la
 sospensione   dei   termini):   infatti,    nel    codice    abrogato
 l'irragionevole  prolungamento della custodia nei casi di regressione
 o rinvio del procedimento, disciplinati dal comma  5  dell'art.  272,
 era  assicurato  dalla  specifica previsione del comma 6 dello stesso
 articolo che fissava  limiti  massimi  di  durata  complessiva  della
 custodia  inferiori  al  "limite finale" di cui al comma 9; nel nuovo
 codice, anteriormente alla legge n. 532/1995,  i  termini  di  durata
 complessiva della custodia previsti dall'art. 303/4 - applicabili nei
 casi  di  regressione  o rinvio del procedimento - risultavano sempre
 inferiori al "limite finale" di cui all'art. 304/4.
   Cade, quindi, l'argomento "storico" prospettato per  sostenere  che
 il  "limite  finale"  abbia  portata  non  circoscritta  ai  casi  di
 sospensione dei termini.
   L'art. 15/1 della legge  n.  532/1995,  nel  riformulare  il  testo
 dell'art.    304,  ha  introdotto  un "limite finale" di durata della
 custodia anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase)  e
 ha  piu'  favorevolmente  disciplinato  il  "limite finale" di durata
 complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i
 termini di cui all'art.  303/4 aumentati della  meta'  e  richiamando
 comunque  il  previgente  "limite"  (due terzi del massimo della pena
 temporanea), da applicarsi pero' solo se piu' favorevole.
   Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei
 termini della custodia si desume  dalla  scelta  del  legislatore  di
 tener  ferma  la  collocazione  della  norma  nell'articolo  dedicato
 appunto alla sospensione.
   Ne'  pare  che  l'uso  dell'avverbio  "comunque"  nell'art.   304/6
 confermi  l'ipotesi  che  i  "limiti finali" siano riferiti a tutti i
 fenomeni che possono interferire con la  disciplina  dei  termini,  e
 percio'  anche  ai  casi  di  proroga  dei  termini e regressione del
 procedimento.
   Ben  puo'  ritenersi,  infatti,  che  l'avverbio  valga  invece   a
 sottolineare la correlazione tra la norma sui "limiti finali" e tutte
 le varie ipotesi di sospensione dei termini previste nei cinque commi
 che  precedono, nel senso cioe' che i limiti operano quale che sia la
 causa della sospensione.
   Ma vi e' una ragione  ulteriore  che  induce  a  escludere  che  il
 "limite  finale"  di  cui  all'art.  304/6  sia riferibile ai casi di
 regressione o rinvio del procedimento.
   Occorre infatti  considerare  che  l'art.  304/6,  come  sostituito
 dall'art.    15/1  della  legge  n.  332/95, fissa il "limite finale"
 relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare
 non puo' comunque superare il doppio dei termini  previsti  dall'art.
 303, commi 1, 2 e 3".
   La  norma,  dunque,  richiama espressamente i casi di regressione o
 rinvio del procedimento e il caso di evasione, nei  quali  i  termini
 decorrono ex novo, e la previsione risulta perfettamente giustificata
 anche  per  chi  ritenga,  come  qui si sostiene, che l'art. 304/6 si
 applichi solo in caso di sospensione dei termini: infatti,  ben  puo'
 darsi  il caso che il procedimento regredisca nella fase del giudizio
 e intervenga poi sospensione dei termini di custodia.
   Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e  3
 dell'art. 303 non puo' che essere quello di confermare, anche ai fini
 della  individuazione  del  "limite  finale" di durata della custodia
 nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o
 rinvio del procedimento e della evasione.
   Cio' comporta che, ad esempio, regredito il procedimento nella fase
 del giudizio di primo grado ed essendo stati poi sospesi  i  termini,
 la  custodia  cautelare  non potra' superare il doppio del termine di
 fase, calcolato pero' a partire dalla data del provvedimento  che  ha
 disposto  il  regresso  e  non  dalla emissione del provvedimento che
 originariamente aveva disposto  il  giudizio  (in  tal  senso  si  e'
 pronunciata  la  I sezione della Corte di cassazione, con sentenza n.
 1063/96, Sarno, che ha confermato l'orientamento espresso  da  questo
 tribunale,  IV  sezione, con ordinanza ex art. 310 del c.p.p. in data
 21 dicembre 1995).
   Se il legislatore  del  1995,  ai  fini  della  individuazione  del
 "limite  finale"  di  durata della custodia nella fase, avesse inteso
 invece equiparare alle altre le situazioni di regresso o  rinvio  del
 procedimento  e  di evasione, si sarebbe limitato a prevedere che "la
 durata della custodia cautelare non puo' comunque superare il  doppio
 dei  termini  previsti  dall'art.  303,  comma  1 ...", eventualmente
 aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2
 e 3 dello stesso articolo".
   Il dato testuale appare dunque chiaro e il collegio e' obbligato  a
 tenere  conto,  poiche'  "nell'applicare la legge non si puo' ad essa
 attribuire altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal  significato
 proprio  delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e dalla
 intenzione del legislatore".
   Peraltro, cosi' interpretato il richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2
 e 3 dell'art. 303, appare ancor piu' evidente che il "limite  finale"
 non  si  riferisce ai casi di regressione o rinvio del procedimento e
 di  evasione,  nei  quali  potrebbe   trovare   rarissima,   se   non
 impossibile,  applicazione. Infatti, se detto limite nelle ipotesi di
 cui ai commi 2 e 3 dell'art. 303 va computato a partire  dal  momento
 di nuova decorrenza del termine, esso (salva l'ipotesi eccezionale in
 cui si verifichino tre o piu' regressi) non puo' concretamente essere
 superato  (in quanto ben prima viene a scadere l'ordinario termine di
 fase) se non intervenga, dopo la regressione,  anche  la  sospensione
 dei termini.
   Sicche',  in definitiva, trova ulteriore conforto l'interpretazione
 secondo cui il "limite finale" della custodia cautelare nelle singole
 fasi pari al doppio del termine ordinario di cui  all'art.  304/6  e'
 riferibile unicamente ai casi di sospensione dei termini.
   4. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente
 affermato  che,  sebbene  la sentenza interpretativa di rigetto della
 Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes,  facendo
 essa  sorgere  un  vincolo  solo  nel giudizio a quo, non si puo' mai
 giungere a sostenere che per gli altri  giudici  la  decisione  della
 Corte costituzionale sia da ritenersi inutiliter data.
   Sicche' il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi
 dall'interpretazione    proposta    nella    sentenza   della   Corte
 costituzionale non ha  altra  alternativa  che  quella  di  sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla  formula  normativa un significato ritenuto incompatibile con la
 Costituzione (ss.uu. 930/96, Clarke, e 21/98, Gallieri).
   Il collegio, uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene  di  dover
 sollevare nuovamente la questione di legittimita' dell'art. 303/4 del
 c.p.p.   per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando
 e facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza 22 novembre 1996  del
 tribunale di Reggio Calabria.
                                P. Q. M.
   Visto  l'art.  310  del  c.p.p., conferma l'impugnata ordinanza nei
 confronti dell'appellante Schiavone Saverio  Paolo  che  condanna  al
 pagamento delle spese della procedura incidentale;
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti;
   Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953;
   Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata "la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 303/4 del c.p.p.,  nella  parte
 in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo,
 possa  essere  causa di scarcerazione anche il superamento del doppio
 del termine di fase, allorche' si verifichi la  situazione  descritta
 nel comma 2 di detto art. 303";
   Sospende  nei  confronti di Schiavone Saverio Paolo il procedimento
 in corso e dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  all'appellante, ai suoi difensori, avvocati Delio Iorio e
 Romolo Vignola, al  pubblico  ministero  nonche'  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e  sia  comunicata  ai Presidenti delle due
 Camere del Parlamento.
     Napoli, addi' 15 marzo 1999.
                         Il presidente: Lopiano
                                              Il giudice est.: Daniele
 99C2203