N. 147 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2019
Ordinanza del 14 maggio 2019 del Consiglio di Stato sul ricorso proposto dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato contro Monteverde Calcestruzzi S.p.a.. Sanzioni amministrative - Trattamento sanzionatorio per le infrazioni gravi in materia di intese lesive della concorrenza o di abusi di posizione dominante sul mercato - Modifiche all'art. 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990 - Regime sanzionatorio piu' favorevole - Applicazione retroattiva - Mancata previsione. - Legge 5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati), art. 11, comma 4.(GU n.39 del 25-9-2019 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione sesta) Ha pronunciato la presente Ordinanza sul ricorso numero di registro generale 4806 del 2015, proposto dalla: Autorita' garante della concorrenza e del mercato - AGCM, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Contro la societa' Monteverde Calcestruzzi S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Emilio Daniele Generoso, con domicilio eletto presso lo studio Ernesto Grez in Roma, lungotevere Michelangelo n. 9; Per l'annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sezione I, 25 febbraio 2015, n. 3342, che ha pronunciato sul ricorso n. 2840/2014 R.G. proposto per l'annullamento della deliberazione 10 dicembre 2013, prot. n. 24680, notificata il giorno 13 gennaio 2014, con la quale l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato - AGCM ha rideterminato in euro 35.000 la sanzione amministrativa pecuniaria posta a carico della Monte Verde Calcestruzzi S.p.a. per la partecipazione ad un'intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ed ha altresi' applicato alla stessa la maggiorazione dovuta ai sensi dell'art. 27, comma 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e di tutti gli atti presupposti, consequenziali, successivi e comunque connessi. In particolare, la sentenza ha annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui infligge alla Monte Verde Calcestruzzi S.p.a una sanzione non proporzionata alla gravita' e alla durata dell'intesa; ha rideterminato la sanzione in euro 10.500 ed ha infine annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ordinato alla stessa Monte Verde Calcestruzzi S.p.a. il pagamento della maggiorazione di cui sopra; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Monteverde Calcestruzzi S.p.a; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l'avvocato dello Stato Lucrezia Fiandaca e l'avvocato Gabriele Pafundi per delega dell'avv. Emilio Daniele Generoso; Ritenuto che 1. Con il proprio provvedimento 29 luglio 2004, n. 13457, l'Autorita' intimata appellante ha riscontrato l'esistenza di un'intesa vietata, in quanto lesiva della concorrenza, fra imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato, intesa volta a ripartire le forniture destinate a vari cantieri edili nella zona di Milano; l'Autorita' stessa, per quanto qui rileva, ha qualificato l'intesa come «molto grave» ed ha ritenuto che essa fosse stata mantenuta dal 1999 alla fine del 2002; di conseguenza, ha irrogato alle imprese partecipanti una sanzione amministrativa pecuniaria, pari per la ricorrente appellata a euro 35.000, e nel dispositivo del provvedimento ha ordinato di pagarla entro novanta giorni dalla notifica del provvedimento stesso, ovvero novanta giorni dal 6 agosto 2004, ed ha avvertito in modo espresso che in mancanza di pagamento entro un semestre dalla scadenza del termine assegnato, ovvero nella specie oltre il 5 maggio 2005, sarebbe stata dovuta la maggiorazione di cui all'art. 27, comma 6 della legge n. 689/1981, ovvero un decimo dell'importo di sanzione in piu' per ogni semestre di ritardo. 2. Con sentenza sezione I, 2 dicembre 2005, n. 12835, pubblicata quanto al dispositivo n. 73/2005 il giorno 23 marzo 2005, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio sede di Roma, avanti il quale le imprese partecipanti, e fra esse la ricorrente appellata, avevano impugnato il provvedimento suddetto, ha accolto in parte il ricorso relativo, e lo ha annullato «nella parte in cui le sanzioni da esso inflitte non risultano proporzionate ai limitati effetti dell'intesa» (cosi' nel dispositivo stesso), aggiungendo in motivazione che «la quantificazione delle sanzioni che hanno colpito le ricorrenti dovra' essere sotto questo profilo annullata, siccome inficiata da una sopravvalutazione delle conseguenze pratiche scaturite dall'intesa, ed in particolare da un'illegittima qualificazione della stessa infrazione come "molto grave", piuttosto che in termini di gravita' semplice» (p. 68 in fine). 3. L'attuale ricorrente appellata ha a suo tempo impugnato la sentenza Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Roma 12385/2005, e il relativo appello e' stato definito con sentenza della sezione 29 settembre 2009, n. 5864, la quale, per quanto qui interessa, ha respinto l'impugnazione dell'Autorita' intesa a sostenere la qualificazione dell'intesa come «molto grave», e quindi ha tenuto ferma la qualificazione di «grave» ritenuta dal Tribunale amministrativo regionale (§ 6.3 della motivazione); ha poi accolto in parte l'impugnazione dell'impresa, ritenendo (§ 6.1 in fine) che «gli elementi invocati dall'Autorita', sono privi anche del valore indiziario e risultano quindi del tutto inidonei a dimostrare il proseguimento dell'intesa, la cui durata va quindi ridimensionata al periodo dal settembre 1999 al dicembre 2000» e di conseguenza che (§ 6.2) «l'accertamento della minore durata della sanzione rende inapplicabile la disciplina sanzionatoria prevista dall'art. 15 della legge n. 287/1990, come modificato dall'art. 11, comma 4, della legge 5 marzo 2001, n. 57, non essendosi l'intesa protratta fino all'entrata in vigore della novella». 4. Le due versioni della norma, ovvero dell'art. 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 succedutesi nel tempo, prevedono un diverso trattamento sanzionatorio delle intese lesive della concorrenza; 4.1 l'art. 15, comma 2 della legge n. 287/1990 nel testo in vigore dal 14 ottobre 1990 al 3 aprile 2001, prevede infatti che «Nei casi di infrazioni gravi» relative ad intese lesive della concorrenza o ad abusi di posizione dominante sul mercato, l'Autorita' «tenuto conto della gravita' e della durata dell'infrazione, dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria in misura non inferiore all'uno per cento e non superiore al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida relativamente ai prodotti oggetto dell'intesa o dell'abuso di posizione dominante, determinando i termini entro i quali l'impresa deve procedere al pagamento della sanzione»; 4.2 lo stesso art. 15, comma 2, nel testo modificato dall'art. 11 comma 4 della legge 5 marzo 2001, n. 57 e in vigore dal 4 aprile 2001 al 3 luglio 2006, prevede invece che «nei casi di infrazioni gravi» l'Autorita' «tenuto conto della gravita' e della durata dell'infrazione, dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida», eliminando quindi il minimo edittale della sanzione stabilito precedentemente fissato nell'un per cento del cd fatturato specifico, ovvero, nella terminologia usata dalla norma, del fatturato realizzato dall'impresa interessata «relativamente ai prodotti oggetto dell'intesa o dell'abuso di posizione dominante». 5. Di conseguenza, l'Autorita' ha avviato con atto 22 maggio 2013, prot. n. 24345 il procedimento per rideterminare la sanzione, dando atto di voler procedere in contraddittorio con le parti, sulla base della diversa qualificazione dell'intesa vietata, ovvero ritenendola «grave» e non «molto grave», e in applicazione del testo dell'art. 15, legge n. 287/1990 anteriore alla modifica operata dalla legge n. 57/2001; con l'atto meglio indicato in epigrafe, ha poi concluso il procedimento e applicato la sanzione stessa. Nella motivazione di tale procedimento, ha ritenuto astrattamente applicabile una sanzione pari all'1% del fatturato specifico di riferimento nel calcestruzzo dell'impresa ricorrente appellata, ovvero ad euro 39.224,56, pari appunto all'un per cento di euro 3.922.455,89; ha poi dato atto che in tal modo si sarebbe operata una non consentita reformatio in peius rispetto al precedente provvedimento, ed ha quindi determinato e applicato la sanzione nella misura originaria di euro 35.000; ha infine ordinato il pagamento del relativo importo e dei maggiori importi a suo dire dovuti in applicazione dell'art. 27, comma 6 della legge n. 689/1981, da calcolare sull'importo della sanzione cosi' determinato, e riconfermato nell'ammontare originario, per il periodo di ritardo compreso dal giorno successivo alla scadenza del termine in origine fissato per pagare la sanzione e sino al giorno di deposito della sentenza 5864/2009, che le ha imposto di rideterminare la sanzione stessa (per tutto cio', si vedano la sentenza di I grado e le altre di volta in volta citate pronunciate sulla vicenda). 6. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale ha accolto il ricorso proposto dall'impresa contro tale nuovo provvedimento sanzionatorio, e in dispositivo ha rideterminato la sanzione in euro 10.500, ritenendo invece non dovuta la maggiorazione di cui si e' detto. In motivazione, il Tribunale amministrativo regionale ha infatti ritenuto in primo luogo che in base ai principi della Costituzione, come integrati dalle norme europee e dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell'Uomo, la sanzione si sarebbe dovuta rideterminare tenendo conto della norma di favore introdotta nel 2001 di cui si e' detto, e quindi dell'eliminazione del minimo edittale; ha quindi proceduto direttamente in tal senso, fissando l'importo citato come a suo avviso proporzionato alla gravita' e alla durata effettive dell'intesa. In secondo luogo, ha qualificato la maggiorazione ai sensi dell'art. 27, comma 6 della legge n. 689/1981 come sanzione aggiuntiva, applicabile quindi solo in presenza dei presupposti della esigibilita' della sanzione principale e del ritardo imputabile nel pagamento di essa, presupposti che nel caso di specie ha ritenuto non sussistenti. 7. Contro tale sentenza, l'Autorita' ha proposto impugnazione, con appello che contiene cinque censure, corrispondenti secondo logica ai quattro motivi seguenti, che si riportano per intero a fini di chiarezza: con il primo di essi, corrispondente alla I censura a p. 7 dell'atto, deduce violazione del giudicato rappresentato dalla sentenza 5864/2009, la quale avrebbe a suo dire a torto o a ragione imposto di rideterminare la sanzione tenendo conto dell'originario testo dell'art. 15 della legge n. 287/1990, e quindi della previsione di un minimo edittale della sanzione irrogabile; con il secondo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 12 dell'atto, deduce violazione degli artt. 31, legge n. 287/1990 e 1, legge n. 689/1981, sostenendo che l'applicazione retroattiva della norma piu' favorevole non sarebbe prevista dalle norme citate, ne' sarebbe imposta da norme di rango superiore, e comunque non potrebbe avere le conseguenze ritenute dal Tribunale amministrativo regionale, che corrisponderebbero alla non ammessa combinazione delle due discipline, previgente e successiva; con il terzo motivo, corrispondente alla terza censura a p. 13 dell'atto, deduce violazione dell'art. 15 della legge n. 287/1990, ritenendo ad essa non conforme il ricalcolo della sanzione eseguito dal giudice di I grado; con il quarto motivo, corrispondente alle censure quarta e quinta alle pp. 17 e 21 dell'atto, deduce infine violazione dell'art. 27, comma 6 della legge n. 689/1981, nel senso che a suo dire la maggiorazione prevista da tale norma sarebbe dovuta non nei soli casi di ritardo in qualche modo imputabile, ma per i meri dati oggettivi dell'esigibilita' della sanzione e del ritardo ultrasemestrale rispetto al termine assegnato per pagarla, e cio' nella materia in esame sarebbe imposto anche dalla necessita' di assicurare l'effettivita' delle sanzioni. 8. L'impresa appellata ha resistito, con atto 5 giugno 2015 e memoria 7 marzo 2019, ed ha chiesto che l'appello sia respinto. 9. All'udienza del giorno 28 marzo 2019, la sezione ha trattenuto il ricorso in decisione. 10. All'esito, la sezione ritiene di sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della norma che prevede il nuovo regime sanzionatorio, ovvero del sopra citato art. 11, comma 4 della legge 5 marzo 2001, n. 57, nella parte in cui non prevede la retroattivita' della norma piu' favorevole da essa introdotta, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata. 11. In proposito, il Collegio osserva anzitutto che la questione e' rilevante, perche' le norme citate sono certamente applicabili alla fattispecie oggetto del giudizio, nel senso voluto, per tutte, dalle sentenze di codesta Corte 15 giugno 2016, n. 174 e 29 marzo 1983, n. 77. 11.1 La norma dell'art. 11 in esame nulla dice di esplicito in ordine alla sua possibile retroattivita'; nel silenzio, deve quindi essere ritenuta non retroattiva in conformita' alla previsione generale dell'art. 1 della legge n. 689/1981: in tal senso, la sentenza di codesta Corte 20 luglio 2016, n. 193, che come e' noto ha respinto la relativa eccezione di incostituzionalita' sul presupposto che la norma citata disponga nel senso della irretroattivita' della disciplina sanzionatoria amministrativa piu' favorevole. 11.2 Cio' posto, come e' evidente, se la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 nel senso visto dovesse essere dichiarata fondata, i motivi di ricorso secondo e terzo proposti dall'Autorita' appellante dovrebbero essere respinti, in quanto la rideterminazione della sanzione operata dal Giudice di I grado si dovrebbe ritenere legittima; al contrario, se la questione dovesse essere dichiarata non fondata, i motivi in questione si dovrebbero accogliere. Infatti, la sanzione cosi' come determinata dal Giudice di I grado, pari come si e' detto a euro 10.500, risulta inferiore sia all'un per cento del fatturato specifico, ovvero all'un per cento del valore di euro 3.922.455,89 sopra riportato, sia all'importo di euro 35.000 applicato dall'Autorita' in base al ritenuto divieto di reformatio in peius, e quindi si potrebbe considerare legittima soltanto sul presupposto della inapplicabilita' dell'art. 15 della legge n. 287/1990 nel vecchio testo, con la relativa previsione di un corrispondente minimo edittale per le sanzioni del tipo in esame. 11.3 La conclusione sopra esposta non cambia anche considerando il primo motivo di ricorso dedotto, secondo il quale la necessita' di applicare al caso di specie la norma dell'art. 15 nel testo previgente, e quindi l'esclusione della possibilita' di applicare la nuova norma piu' favorevole, deriverebbero non direttamente dalla legge, incostituzionale o no che essa fosse, ma dal giudicato contenuto nella citata sentenza n. 5864/2009 di questo Giudice, e quindi rappresenterebbe un effetto conformativo del giudicato. In tale ordine di idee, la questione di costituzionalita' in esame non sarebbe rilevante, perche' della norma denunciata non si dovrebbe fare in realta' applicazione alcuna. 11.4 Ad avviso del Collegio, pero', tale ordine di idee non va condiviso, restandone confermata la rilevanza della questione. 11.5 La sentenza 5864/2009 citata in motivazione afferma testualmente: l'accertamento della minore durata della [condotta passibile di] sanzione rende la disciplina sanzionatoria prevista dall'art. 15 della legge n. 287/1990, come modificato dall'art. 11, comma 4, della legge 5 marzo 2001, n. 57, non essendosi l'intesa protratta fino all'entrata in vigore della novella.... L'art. 1 della legge n. 689 del 1981 (cui fa rinvio l'art. 31 della legge n. 287 del 1990) prevede che «Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati» in virtu' del principio di legalita', che implica il conseguente assoggettamento della violazione alla legge del tempo del suo verificarsi, ed esclude l'applicabilita' della disciplina posteriore anche laddove piu' favorevole... Cio' comporta che l'Autorita' dovra' rideterminare la sanzione, tenendo conto anche delle seguenti statuizioni... L'applicazione del previgente art. 15 della legge n. 287/90 dovra' riguardare tutte le odierne imprese appellanti principali...» fra le quali, come e' pacifico, vi e' la ricorrente appellata (motivazione, § 6.2 e ss.). 11.6 Cio' posto, quanto sostenuto dall'Autorita' intimata appellante, nel senso della necessita' di qualificare la fattispecie in base alle norme indicate dalla sentenza passata in giudicato, e' in generale condivisibile, dato che del giudicato, che copre come e' noto il dedotto e il deducibile, fa parte anche la qualificazione giuridica dei fatti, cui dunque e' necessario attenersi per l'effetto conformativo del giudicato stesso: in generale sul principio per tutte C.d.S. sezione VI, 6 agosto 2013, n. 4119 e sezione IV, 29 aprile 2005, n. 2032. In tali termini, quindi, la questione si potrebbe ritenere non rilevante perche' relativa ad un rapporto ormai esaurito, che com'e' noto prescinde dalla incostituzionalita' delle norme che lo regolano per ragioni, in sintesi, di certezza del diritto. 11.7 Questo Giudice ritiene peraltro che nel caso concreto la soluzione debba essere diversa, sulla base di quanto affermato in giurisprudenza in particolare da Cass. SS UU penali 7 maggio 2014, n. 18821 Ercolano e 14 ottobre 2014, n. 42858 Gatto per le sanzioni penali. Secondo tale orientamento, ai fini di una pronuncia di incostituzionalita' delle norme che lo disciplinano il rapporto e' esaurito non semplicemente quando su di esso si forma un giudicato, ma soltanto con l'esecuzione dell'ultimo frammento di pena. In altre parole, la norma incostituzionale, sia essa una norma incriminatrice ovvero una norma attinente trattamento sanzionatorio, e' invalida fin dal momento in cui e' venuta ad esistere, quindi la sua incostituzionalita' puo' essere comunque fatta valere sin quando permane il rapporto esecutivo di essa, a prescindere dalla formazione di un giudicato. Si osserva infatti che, a ritenere diversamente, sarebbero pregiudicati valori diversi dalla certezza del diritto, ma pur sempre di rango costituzionale, perche' si finirebbe per applicare una pena illegittima, che prescinde dal principio di responsabilita' personale e vien meno alla sua funzione rieducativa. 11.8 Ad avviso del Collegio, tali considerazioni vanno ripetute anche per il caso in esame, in cui, per le ragioni di cui si dira' oltre, si tratta di una sanzione amministrativa di sostanziale carattere penale, per la quale il trattamento processuale non puo' essere diverso. Ne viene quindi confermata la rilevanza della questione anche rispetto al primo motivo di appello, perche' se la questione stessa fosse dichiarata fondata, del giudicato contenuto nella sentenza n. 5864/2009 non si potrebbe in alcun modo tener conto. 11.9 Per completezza, va ricordato che la rilevanza della questione sussiste anche sotto un altro profilo, ovvero per l'impossibilita' di pervenire all'affermazione della retroattivita' della norma piu' favorevole in esame per mezzo di un'interpretazione adeguatrice, in ipotesi conforme a Costituzione. E' infatti ben noto che ai fini del giudizio di costituzionalita', le norme vanno considerate secondo l'interpretazione datane dal cd diritto vivente, ovvero dall'interpretazione datane dalla Corte di cassazione - in tal senso, codesta Corte a partire dalla sentenza 30 aprile 1984, n. 120 - interpretazione che e' costante nel senso della non retroattivita' della norma sanzionatoria amministrativa piu' favorevole: per tutte, Cassazione civile, sezione VI, 28 dicembre 2011, n. 29411 e sezione I, 6 febbraio 1997, n. 1127. 12. La questione di legittimita' costituzionale di che trattasi risulta altresi' non manifestamente infondata, in base alle argomentazioni esposte da codesta Corte nella gia' ricordata sentenza n. 193/2016 e nella recente sentenza 21 marzo 2019, n. 63, pronunciata su un caso analogo, argomentazioni alle quali ci si richiama. 12.1 Codesta Corte ha in primo luogo evidenziato che un principio costituzionale di retroattivita' della norma sanzionatoria piu' favorevole opera per le sanzioni penali, cosi' qualificate in modo espresso dal legislatore: ancorche' non lo si possa ricavare dall'art. 25 Costituzionale, esso infatti si desume anzitutto dall'art. 3 Costituzionale, per cui, in linea di massima, e' ragionevole che il medesimo fatto vada sanzionato nello stesso modo, sia stato commesso prima o dopo l'entrata in vigore della norma che lo depenalizza o lo punisce in modo meno severo: cosi' Corte costituzionale 22 luglio 2011, n. 236 e 23 novembre 2006, n. 394. Lo stesso principio si fonda pero' anche sull'art. 117 Costituzionale nella parte in cui esso fa assumere rango costituzionale alla identica previsione cosi' come ricavata dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - CEDU - firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - dalla giurisprudenza della relativa Corte, e in particolare dalla sentenza della Grande camera 17 settembre 2009 Scoppola: cosi' la citata Corte costituzionale n. 236/2011. 12.2 Cio' posto, codesta Corte ha affermato che identico principio, sulla base degli artt. 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e quindi dell'art. 117 Costituzionale si deve affermare anche per le sanzioni formalmente qualificate come amministrative, ma assumano il carattere sostanziale di sanzioni penali sulla base dei cd criteri Engel, ovvero dei criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo a partire dalla sentenza Grande camera, 8 giugno 1976, Engel. In tal senso quindi deve essere considerata penale, e assoggettata al relativo regime giuridico, non solo la sanzione che sia formalmente qualificata come tale, ma anche la sanzione la quale, pur qualificata come amministrativa, protegga erga omnes beni della collettivita' ovvero comporti sanzioni di natura e severita' sostanzialmente pari alla sanzione penale, ove i tre criteri appena esposti sono alternativi e non cumulativi. 13. Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio dubita della conformita' dell'art. 11 in esame al disposto degli artt. 3 e 117, primo comma, Costituzionale, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. La norma infatti, come e' del tutto evidente, da un lato protegge beni rilevanti per tutta la collettivita' dei cittadini, come la concorrenza e la correttezza nelle relazioni di mercato, e dall'altro prevede sanzioni della stessa natura delle sanzioni pecuniarie penali, oltretutto per importi non trascurabili, ai quali si ricollega una notevole forza afflittiva. Va evidenziato per completezza che non rileva la circostanza per cui, in via generale ed anche nel caso specifico, queste sanzioni sono applicabili a imprese costituite in forma di persone giuridiche: in proposito infatti va notato che un pregiudizio al patrimonio della societa' viene comunque sopportato dai soci, e che l'ordinamento nazionale ha da lungo tempo abbandonato il concetto tradizionale della non responsabilita' penale delle persone giuridiche, alle quali attualmente sono applicabili sanzioni penali, proprio del tipo in esame, ovvero pecuniarie. Si tratta quindi di una norma che prevede una sanzione sostanzialmente penale, che dovrebbe essere disciplinata come tale, in particolare nel senso della retroattivita' della norma sanzionatoria piu' favorevole. 14. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare pertanto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 11, comma 4 della legge 5 marzo 2001, n. 57 nella parte in cui, nell'introdurre una nuova disciplina sanzionatoria delle infrazioni gravi in materia di intese lesive della concorrenza o di abusi di posizione dominante sul mercato, per le quali la sanzione pecuniaria da applicare non contempla piu' il minimo edittale dell'uno per cento del fatturato specifico dell'impresa interessata, non abbia anche previsto che tale disciplina piu' favorevole sia da applicare retroattivamente. 15. Ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio davanti al Consiglio di Stato e' sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 16. Ai sensi dell'art. 23, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sara' comunicata alle parti costituite e notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
P. Q. M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), pronunciando sul ricorso n. 4806/2015 R.G, cosi' provvede: a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata ai sensi e sotto i profili di cui in motivazione la questione di legittimita' costituzionale infondata dell'art. 11, comma 4 della legge 5 marzo 2001, n. 57 nella parte in cui, nell'introdurre una nuova disciplina sanzionatoria delle infrazioni gravi in materia di intese lesive della concorrenza o di abusi di posizione dominante sul mercato, per le quali la sanzione pecuniaria da applicare non contempla piu' il minimo edittale dell'uno per cento del fatturato specifico dell'impresa interessata, non abbia anche previsto che tale disciplina piu' favorevole sia da applicare retroattivamente; b) dispone la sospensione del presente giudizio davanti al Consiglio di Stato e ordina alla Segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; c) ordina che, a cura della Segreteria, la presente Ordinanza sia comunicata alle parti costituite e notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica; Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 28 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati: Sergio Santoro, Presidente; Oreste Mario Caputo, consigliere; Francesco Gambato Spisani, consigliere, estensore; Stefano Toschei, consigliere; Oswald Leitner, consigliere. Il Presidente: Santoro L'estensore: Gambato Spisani