N. 391 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 gennaio 1986- 5 giugno 1990
N. 391 Ordinanza emessa l'8 gennaio 1986 (pervenuta alla Corte costituzionale il 5 giugno 1990) dal pretore di Montalto Marche nel procedimento civile vertente tra Mercuri Irma e Ciaffoni Rosa Contratti agrari - Mezzadria - Quota di ripartizione dei prodotti e degli utili - Assegnazione al mezzadro di una percentuale ulteriore del 6% sulla produzione lorda vendibile - Ingiustificato deteriore trattamento del proprietario del fondo rispetto al mezzadro, con incidenza sul contenuto economico del diritto di proprieta' nonche' sul principio degli equi rapporti sociali in materia di fondi agricoli - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 107/1974, 153/1977 e 181/1981. (Legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 37). (Cost., artt. 3, 42 e 44).(GU n.26 del 27-6-1990 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. (Svolgimento del processo) - Con ricorso del 17 maggio 1984 Mercuri Irma, premesso di essere legata da un rapporto di mezzadria alla signora Ciaffoni Rosa, concedente, dal 1974 fino al 1983 e di aver diritto alla corresponsione della somma di L. 7.155.079 oltre interessi e rivalutazione a titolo di indennita' di mancato reddito nonche' differenze contabili risultanti da libretti colonici, conveniva innanzi alla pretura di Montalto Marche la concedente sig.ra Ciaffoni Rosa per sentirla condannare al pagamento, in suo favore, della suindicata somma per i titoli suesposti, ovvero di quella diversa risultante dovuta oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo, con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite, con sentenza provvisoriamente esecutiva e con ogni altra pronuncia di ragione e di legge. Si costituiva con memoria del 26 giugno 1984 la convenuta sig.ra Ciaffoni Rosa chiedendo il rigetto delle domande avanzate dalla mezzadra Mercuri Irma e sollevando formalmente una questione di illegittimita' costituzionale in riferimento all'art. 37 della legge 3 maggio 1982, n. 203, e di ogni norma ad esso connessa dal titolo secondo della legge n. 203/1982 in relazione agli artt. 3, 4, 43, 44 e 45 della Costituzione. Il vice pretore, con decreto del 17 dicembre 1985, fissava l'udienza di discussione, alla quale le parti ed i loro procuratori comparivano, riportandosi al contenuto delle memorie in atti. Il tentativo di conciliazione non aveva esito, mentre veniva ammessa ed espletata, previa sostituzione del primo c.t., rinunciatario, c.t.u. contabile intesa alla definizione delle eventuali spettanze della ricorrente. Rifissata l'udienza di discussione, e riproposta dalla resistente la tempestivamente sollevata eccezione di incostituzionalita', il vice pretore, con ordinanza in calce, sospendeva il giudizio disponendo la trasmissione degli atti alla Corte. MOTIVI DELLA DECISIONE La questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 37 della legge n. 203/1982, sollevata da parte resistente, non appare manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione. Si osserva, infatti, che l'art' 37 della legge n. 203/1982, ha nuovamente modificato la quota di riparto dei prodotti e degli utili nella mezzadria, assegnando al mezzadro una percentuale ulteriore del 6% sulla produzione lorda vendibile, con la conseguenza di snaturare ulteriormente (certamente piu' di quanto gia' avvenuto con precedenti disposizioni legislative) il diritto di proprieta' dell'impresa concedente a mezzadria. La sorte delle quote di riparto dei prodotti e degli utili nella mezzadria e' stata, nel tempo, la seguente: con l'art. 2141 del c.c. fissata pariteticamente; con la legge 4 agosto 1948, n. 1094, modificata in ragione del 3% (a favore del mezzadro ed al discapito del concedente); con la legge 15 settembre 1964, n. 756, modificata ulteriormente del 5% (con le medesime modalita' attuative); con la legge 3 maggio 1982, n. 203, oggetto di esame, infine, aggiornata di un ulteriore 6%, sempre in favore del mezzadro. Occorre, qui, evidenziare come, in via di principio, la disposizione normativa oggetto di censura non costituisca una assoluta novita', ma e' opportuno, d'altro verso, considerare come il suo contenuto si innesti, ora, in una tematica ben piu' ampia di quella considerata dalle precedenti disposizioni del 1948 e del 1964, la cui portata risultava limitativa rispetto alla generale tematica dei contratti agrari e della evoluzione storico-sociale della materia organicamente trattata e, sostanzialmente, rivoluzionata con la legge n. 203/1982. E', infatti, indiscutibile che l'aumento della quota di riparto in discorso e' destinata esclusivamente ad incidere su quei rapporti associativi che, non convertiti, permangono in vita per un periodo transitorio compreso tra i sei ed i dieci anni (cfr. art. 34 della legge n. 203/1982). Il contrasto tra la volonta' legislativamente espressa di dare termine alla tipologia contrattuale mezzadrile e l'incidenza della norma in esame sulla sola quota di riparto e' stridente, e non si evidenziano, in proposito, giustificazioni logico-giuridiche di sorta. Va, qui, debitamente considerato che la fattispecie dedotta in lite si riferisce a contratto mezzadrile gia' cessato al momento della proposizione della domanda giudiziale. Sicche' si evidenzia, da un verso - normativamente - la linea di tendenza generale a stimolare (od imporre, nei casi previsti) la trasformazione dei contratti in essere in forme diverse e piu' attagliate e confacenti alla odierna realta' degli scambi e degli affari, e, sorprendentemente, d'altro canto, l'incidenza su rapporti mezzadrili addirittura cessati di modificazione di un minimo aspetto contrattuale quale quello delle quote di riparto. Aspetto minimo non gia' per la importanza che lo stimolo economico riversa sull'atteggiamento dei contraenti, bensi' minimo, come si diceva, in riferimento alla ben piu' ampia portata generale della legge n. 203/1982 organicamente ed integralmente intesa. Ora, se e' incontestabile che sostanziali censure vennero formulate dalla ecc.ma Corte costituzionale (sentenza n. 153/1977) a quelle norme lesive, non solo del principio di uguaglianza, ma anche dei poteri di iniziativa, di godimento, di disposizione dei proprietarii "ai quali veniva tolto cosi' ogni interesse a nuovi investimenti nelle loro terre, disincentivando e mortificando la proprieta' proprio nella sua funzione sociale e produttiva, cosi' come sancita negli artt. 42 e 44 della Costituzione" non si vede come la fattispecie dedotta, e l'indiscriminata modificazione delle quote di rispettivo riparto, possa sottrarsi alla censurata tipologia normativa. E' evidente che il mancato adeguamento dell'art. 37 ai principi di cui agli artt. 42 e 44 della Costituzione trova la sua ragione nella mancata giustificazione - nel contesto di cui si e' detto - della operata modifica di riparto. Ne' e' possibile rilevare ex post una giuridica o comunque ragionevole argomentazione a supporto, nella generale previsione di imminente o solo parzialmente differito abbandono definitivo del modello contrattuale mezzadrile. Allora, sia pure nel breve scorcio di vita residua (ed, anzi, nella fattispecie dedotta gia' cessata) il rapporto de quo scoraggia il concedente da ogni iniziativa od investimento che comporti apprestamento di mezzi e misure ingenti, a fronte del modestissimo vantaggio sul quale poter riporre affidamento, ed, anzi, ormai con la certezza di subire anche un danno. La critica alla legge n. 203/1982 si e' svolta, per lo piu', in linea generale, considerando che il legislatore abbia voluto impedire l'evolversi di quel preteso fenomeno di assenteismo della proprieta' che, pero', nella realta', non e' stato assolutamente verificato. Le ripetute disposizioni, venendo, in tal guisa, a limitare la proprieta' terriera, ha finito per togliere ai proprietari ogni interesse ad effettuare forme di investimento nella terra costituendo una notevole disincentivazione da simili attivita'; tutto cio', in palese violazione del dettato costituzionale che impone al legislatore ordinario di stabilire un equilibrio sostanziale tra le diverse categorie interessate: equilibrio che chiaramente rimane escluso in presenza di una normativa che privilegia smisuratamente una categoria a danno dell'altra. Il concedente, inoltre, si e' trovato a sostenere sempre maggiori oneri, sia a causa dei contributi previdenziali, assistenziali e di bonifica aumentati a dismisura, sia per l'impiego di nuovi mezzi meccanici nella conduzione dei fondi - a totale beneficio della famiglia mezzadrile che ha visto, cosi', tra le altre cose, diminuire notevolmente la propria manodopera -. Ad accentuare lo stato di disagio dei concedenti e' intervenuta la nuova normativa, la cui incongruenza appare ancor piu' evidente sol che si pensi alla sostanziale differenza esistente tra la percentuale, stabilita in eguale misura, per la contribuzione alle spese e quella di diversa entita' per la determinazione della quota di riparto dei prodotti e degli utili nella mezzadria. Ma poiche' quello di mezzadria e' un tipico rapporto associativo che importa la ripartizione delle spese nella stessa misura degli incassi, sarebbe logico oltre che rispondente ai piu' elementari principi di equita', disporre un analogo trattamento ai fini del riparto delle spese. Cio' che non pare sia stato disposto. Ne' e' a dirsi, o, comunque, a presumersi che una siffatta iniziativa (modifica delle sole quote di riparto degli utili e non, parimenti, delle spese) possa incontrare giustificazione in principii di "utilita' sociale" nei sensi di cui alle sentenze nn. 107/1974 e 181/1981 pronunziate dalla Corte ecc.ma, utilita' sociale intesa nel senso e con il limite di "assicurare la tutela di una sola delle parti del rapporto, anche se si tratta di quella contrattualmente piu' debole". D'altra parte ripartire le spese in misura diversa dagli incassi, condurrebbe all'assurda conseguenza che ad una parte deriverebbe un utile netto a scapito dell'altra che, invece, potrebbe addirittura subire una perdita; possibile conseguenza dell'applicazione indiscriminata dell'art. 37 in contesto, sicuramente in contrasto con il principio di cui all'art. 3 della Carta costituzionale.
P. Q. M. Ritenuta la non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37 della legge 3 maggio 1982, n. 203, in relazione agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione; Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con l'osservanza delle altre disposizioni di cui alla citata legge 11 marzo 1953, n. 87; Nulla sulle spese. Montalto Marche, addi' 8 gennaio 1986 Il vice pretore: (firma illeggibile) 90C0754