N. 693 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 1999

                                N. 693
  Ordinanza emessa il 17 settembre 1999  dal  tribunale  di  Bari  sul
 ricorso proposto da Rajendra Ramanah contro il prefetto di Bari
 Sicurezza   pubblica   -   Espulsione   amministrativa  di  immigrato
    extracomunitario  -  Ricorso  al  pretore   -   Termini   per   la
    proposizione  -  Eccessiva brevita' - Mancata considerazione della
    "qualita' del destinatario" del  provvedimento  -  Violazione  dei
    diritti fondamentali dell'uomo - Lesione del diritto di difesa.
 Sicurezza   pubblica   -   Espulsione   amministrativa  di  immigrato
    extracomunitario - Ipotesi di esplusione per mancata richiesta  di
    rinnovo  del permesso di soggiorno concesso per motivi di lavoro -
    Ricorso al pretore - Termini per la proposizione -  Previsione  di
    termine  di  cinque  giorni  dalla comunicazione del provvedimento
    anziche'  del  termine  ordinario  di  impugnazione   degli   atti
    amministrativi  -  Violazione dei diritti fondamentali dell'uomo -
    Contrasto con  i  diritti  al  lavoro  e  alla  libera  iniziativa
    economica - Lesione del diritto di difesa.
     D.Lgs.  25  luglio  1998, n. 286, art. 13; legge 6 marzo 1998, n.
    40, art. 11, comma 8.
  Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, 4, 10, 24,  primo  e  secondo
    comma, 41 e 113.
(GU n.51 del 22-12-1999 )
                               IL TRIBUNALE
   Nel  procedimento  iscritto  al  n.  115/1999,  promosso  dal  sig.
 Rajendra Ramanah, rappresentato e  difeso  dagli  avvocati  Francesco
 Tanzarella   e   Maria  Goffredo  e  presso  questi  ultimi  in  Bari
 domiciliato alla via Principe Amedeo, n. 40, giusta procura in  atti,
 opponente;
   Contro  il  prefetto di Bari, opposto, in punto a ricorso contro il
 decreto di espulsione emesso dalla prefettura  di  Bari,  prot.  Cat.
 A/11/1999  n.  161  del  26  agosto  1999,  il giudice dott. Giuseppe
 Carabba, letti gli atti e i documenti di causa;
                             O s s e r v a
   Con ricorso tardivamente depositato in data 7 settembre 1999 presso
 la cancelleria del tribunale ex pretura di  Bari,  il  sig.  Rajendra
 Ramanah  ha  proposto  opposizione  avverso  il decreto di espulsione
 emesso nei suoi confronti dal prefetto di Bari in  data  26    agosto
 1999 e comunicatogli il giorno stesso.
   A  fronte  dell'eccezione di tardivita' formulata dalla prefettura,
 il  ricorrente  ha  dedotto  di  non  aver  presentato   il   ricorso
 tempestivamente  perche' riteneva tali termini sospesi ai sensi della
 legge 742 del 1969 (sospensione dei termini processuali).
   Inoltre ha rilevato che il tribunale amministrativo regionale della
 Toscana, con quattro ordinanze di identico contenuto,  tutte  del  18
 giugno  1996,  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale
 (in seguito: q.l.c.) dell'art. 7, comma 5, del d.l. 17  maggio  1996,
 n.  269  (recte:  art.  7, comma 3, che introduce l'art. 7-quinquies,
 comma 5, nel citato d.l. n. 416 del 1989), in riferimento agli  artt.
 10,  24  e  113  della Costituzione, nella parte in cui stabilisce il
 termine di sette giorni per la presentazione del  ricorso  avverso  i
 provvedimenti  di  espulsione  dal  territorio  nazionale,  stante la
 brevita' del termine per la impugnativa del provvedimento.
   Infine ha sollevato  un'autonoma  q.l.c.,  ritenendo  lesivo  delle
 disposizioni  di  cui  agli  artt.  10,  24 e 113 Cost. il termine di
 cinque giorni per proporre ricorso ai sensi  dell'art.  11,  comma  8
 della  legge  40/1998  (ora  art.  13  del  d.lgs.  286/1998 del t.u.
 concernente la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizioni
 dello  straniero),  in  quanto  eccessivamente  breve  data  anche la
 qualita' del destinatario.
   L'odierno giudicante ritiene di condividere la q.l.c. sollevata dal
 ricorrente, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, e  di
 doverla  integrare  con  motivazioni  parzialmente  diverse,  che  si
 espongono di seguito.
                            Sulla rilevanza
   La q.l.c. sul termine per proporre ricorso e' rilevante  in  quanto
 in  caso  di  mancato  accoglimento  questo giudicante non potra' che
 prendere atto della tardivita' del  ricorso  medesimo  e  rigettarlo,
 quanto,   invece,   ad   una   sommaria  delibazione  appare  che  il
 provvedimento di espulsione, privo di adeguata  motivazione,  attinge
 un  soggetto  che  risiede  ufficialmente  in Italia dal 1990, avendo
 prestato regolare lavoro subordinato sino a qualche mese fa e da poco
 intrapreso un'attivita' autonoma.
                   Sulla non manifesta infondatezza
   Anzitutto va precisato che  la  Corte  costituzionale  si  e'  gia'
 pronunciata  sulla questione sollevata con riferimento alla normativa
 previgente con le ordinanze nn. 252 del 1997 e 263 del  1998,  ma  ha
 ritenuto  che  l'intervento della normativa di sanatoria consigliasse
 un nuovo vaglio da parte del giudice a quo, senza in effetti decidere
 la questione.
   Il pretore di Modena con ordinanza del 26 novembre 1998, pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale del 10 marzo 1999, ha  sollevato  la  q.l.c.
 sulla   stessa   disposizione  della  quale  dubita  anche  l'odierno
 giudicante.
   Non risulta che la Corte abbia deciso in ordine a tale q.l.c.,  che
 appare pertinente anche all'odierno giudizio: e' opportuno, pertanto,
 rimettere  anche  gli  atti  del presente giudizio dinanzi alla Corte
 costituzionale al fine di consentire alle parti di esporre le proprie
 ragioni.
   A profili sollevati nella predetta ordinanza vanno, poi, aggiunti i
 tre seguenti.
   Come sostenuto dal ricorrente la norma viola le disposizioni di cui
 agli  artt. 10, 24 e 113 Cost., in quanto il termine di cinque giorni
 per proporre ricorso e' eccessivamente breve data anche  la  qualita'
 del destinatario.
   La  norma  viola, altresi', gli artt. 2, 3, primo comma, 4, 10, 24,
 primo e secondo comma, 41 Cost. nella parte in  cui  tratta  in  modo
 omogeneo situazioni completamente diverse.
   I  parametri  di cui agli artt. 2 e 10 della Cost. sono richiamati,
 in  quanto  attraverso  di  essi  e'  possibile  individuare  diritti
 fondamentali  che  spettano  non  solo  ai  cittadini,  ma anche agli
 stranieri.
   I parametri di cui agli artt. 4, 24 e 41 Cost. sono richiamati,  in
 quanto  valori  costituzionali  il  cui bilanciamento va censurato ai
 sensi dell'art. 3, comma 1, a mente delle considerazioni che seguono.
   Il brevissimo termine di cinque giorni, unito all'altrettanto breve
 termine di  dieci  giorni  per  la  decisione  e'  stato  voluto  dal
 legislatore allo scopo di consentire l'effettivita' del provvedimento
 di  espulsione  nei  confronti di chi e' entrato clandestinamente nel
 territorio dello Stato.
   Ben diversa,  invece,  e'  la  situazione  di  chi  gia'  si  trova
 validamente  in Italia, il cui permesso di soggiorno e' scaduto e non
 e' stato rinnovato (caso per il quale Cass. 6374 del 1999 e Cons. St.
 870 del 1999 hanno  sancito  l'illegittimita'  del  provvedimento  di
 espulsione,  qualora l'unica ragione del provvedimento sia proprio il
 mero ritardo nella richiesta).
   In particolare nel  caso  di  permesso  rilasciato  per  motivi  di
 lavoro,  si ha un'irrazionale compromissione dei diritti fondamentali
 al lavoro ed  alla  libera  iniziativa  economica,  ben  diversamente
 tutelati  nel  nostro  ordinamento  in  altre  fattispecie,  in cui i
 termini per adire il giudice sono quelli ordinari.
   Dato che la congruita' del termine di decadenza per una determinata
 azione va valutata con riferimento tanto all'interesse del  soggetto,
 quanto alla funzione dell'istituto nell'ordinamento (cfr. Corte cost.
 85  del 1968), nel caso di lavoratore dipendente o autonomo, vi e' un
 interesse costituzionalmente  tutelato  alla  permanenza  nel  nostro
 paese, che non e' controbilanciato da un'esigenza di celerita' dovuta
 alla  funzione  dell'istituto, poiche' non sussistono quegli elementi
 di pericolo per la collettivita' che giustificano, invece, la  rapida
 espulsione dell'immigrato clandestino.
   Inoltre,  anche  da un punto di vista pratico, la piu' articolata e
 complessa, proprio perche' piu' protetta, situazione del  lavoratore,
 sia   esso   dipendente  o  autonomo,  comporta  un  maggior  impegno
 istruttorio e deduttivo per il soggetto ed il suo difensore, che  non
 sussiste nella diversa situazione dell'immigrato clandestino.
   Ai  fini dell'ammissibilita' della q.l.c. si ritiene che il termine
 ordinario per l'impugnazione degli  atti  amministrativi  dinanzi  al
 giudice  amministrativo (60 giorni) oppure il termine di impugnazione
 nel  caso  piu'  tipico  di  giurisdizione  del   g.o.   sugli   atti
 amministrativi  previsto dagli artt. 22 e 23 della legge 689 del 1981
 (30 giorni) rappresenti un termine di comparazione certo ed omogeneo.
   La norma viola, infine, l'art. 10 della Cost. nella parte in cui il
 termine di cinque giorni non garantisce diritti protetti dalla  Carta
 dei  diritti dell'uomo ed, in particolare, dall'art. 6, par.  3, lett
 b) che prevede il diritto a "disporre del tempo e delle facilitazioni
 necessarie  per  preparare la (sua) difesa", dall'art. 13 che prevede
 la possibilita' di "ricorsi effettivi" e dal protocollo  n.  4  della
 predetta convenzione del 16 settembre 1963 sulla libera circolazione.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante la questione sollevata dal pretore di Modena con
 ordinanza  del  26  novembre 1998 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 del 10 marzo 1999;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8 della legge 40/1998
 (ora  art.  13 del d.lgs. 286/1998 del t.u. concernente la disciplina
 dell'immigrazione e  norme  sulla  condizione  dello  straniero)  per
 violazione degli artt. 10, 24 e 113 Cost., nella parte in cui prevede
 un  termine  di soli cinque giorni per proporre ricorso, senza alcuna
 considerazione della qualita' del destinatario.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8 della legge 40/1998
 (ora  art.  13 del d.lgs. 286/1998 del t.u. concernente la disciplina
 dell'immigrazione e  norme  sulla  condizione  dello  straniero)  per
 violazione  degli artt. 2, 3, primo comma, 4, 10, 24, primo e secondo
 comma, 41 Cost., nella parte in cui  prevede  che  nelle  ipotesi  di
 espulsione  per  mancata  richiesta di rinnovo dopo i sessanta giorni
 dalla scadenza del permesso  di  soggiorno  concesso  per  motivi  di
 lavoro  si  applichi il termine di cinque giorni, anziche' il termine
 ordinario per impugnare un atto  amministrativo  davanti  al  giudice
 (trenta  giorni in caso di giudice ordinario, sessanta giorni in caso
 di giudice amministrativo);
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8 della legge 40/1998
 (ora  art.  13 del d.lgs. 286/1998 del t.u. concernente la disciplina
 dell'immigrazione e  norme  sulla  condizione  dello  straniero)  per
 violazione  l'art.  10  della  Cost.  nella  parte  in cui prevede un
 termine di cinque  giorni,  a  fronte  della  previsione  di  diritti
 protetti  dalla  Carta  dei  diritti  dell'uomo sul giusto processo e
 sulla libera circolazione: in particolare violando l'art. 6, par.  3,
 lett.  b)  che  prevede  il  diritto  a  "disporre  del tempo e delle
 facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa, l'art.  13  che
 prevede  la possibilita' di "ricorsi effettivi" ed il protocollo n. 4
 della  predetta  convenzione  del  16  settembre  1963  sulla  libera
 circolazione.
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina  la  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale, la
 notificazione del provvedimento  alle  parti  ed  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  nonche'  la  comunicazione dello stesso al
 Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, a
 cura della cancelleria.
     Bari, addi' 17 settembre 1999.
                          Il giudice: Carabba
 99C2231