N. 351 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 marzo 1999
N. 351 Ordinanza emessa il 9 marzo 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da Triolo Filippo contro l'Azienda Unita' sanitaria locale n. 1 di Agrigento Giustizia amministrativa - Devoluzione al giudice amministrativo delle controversie riguardanti le attivita' e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento dei pubblici servizi, ivi comprese quelle relative al Servizio sanitario nazionale - Mezzi processuali utilizzabili dal giudice amministrativo - Mancata previsione dell'utilizzabilita' di tutti i mezzi processuali previsti dal codice di rito per la tutela sommaria dei diritti, con particolare riferimento a quelli di cui al titolo I del libro IV del cod. proc. civ. - Violazione dei principi di uguaglianza, di imparzialita', buon andamento della p.a. e di tutela giurisdizionale. (D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33). (Cost., artt. 3, 97 e 113).(GU n.25 del 23-6-1999 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 481/1999 r.g., proposto dal dott. Triolo Filippo, titolare dell'omonima farmacia con sede in Montevago (Agrigento), rappresentato e difeso dall'avv. Sebastiano Maurizio Timineri, presso il cui studio, in Palermo, via Vittorio Emanuele n. 492, e' elettivamente domiciliato; Contro l'Azienda Unita' sanitaria locale n. 1 di Agrigento, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Iacono Manno, unitamente al quale e' elettivamente domiciliato in Palermo, via Cartagine n. 2, presso la sig.ra Spallino Rosa Mazzola, per la condanna, previa emissione di un provvedimento cautelare e di urgenza ex artt. 669-sexies e 700 c.p.c. e 21 u.c. della legge n. 1034/1971, con contestuale ingiunzione di pagamento delle forniture di medicinali effettuate dal farmacista ricorrente alla predetta Azienda, ex art. 186-ter c.p.c. e condanna alle spese ex art. 641 c.p.c. u.c.; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'A.U.S.L. di Agrigento; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore il cons. dott. Nicolo' Monteleone; Uditi, all'udienza camerale del 9 marzo 1999, l'avv. S.M. Timineri per il ricorrente e l'avv. G. Iacono Manno per l'A.U.S.L. resistente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto; F a t t o 1. - Con il ricorso in esame, notificato il 2 febbraio 1999 e depositato il giorno 18 successivo, il dott. Triolo Filippo espone: A) di essere titolare di farmacia che, in forza dell'Accordo nazionale stipulato con il Servizio sanitario nazionale per la disciplina dei rapporti relativi all'assistenza farmaceutica, ha provveduto ad effettuare, secondo la normativa in vigore, la fornitura relativa ai mesi di ottobre e novembre 1998, come risulta dalle distinte contabili riepilogative, per complessive L. 95.543.715; B) ai sensi del comma 5 dell'art. 8 del d.P.R. 6 luglio 1998, n. 371, approvativo del regolamento recante norme concernenti l'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private, il termine ultimo per l'effettiva corresponsione dell'importo relativo alla fornitura dei medicinali, sulla base del documento contabile e' fissato, comunque, nell'ultimo giorno del mese successivo a quello di spedizione delle ricette. Poiche', pero', la regione Sicilia, non ha ancora provveduto ad adottare l'accordo regionale richiamato dal d.P.R. n. 371/1998, deve tuttora applicarsi, il precedente d.P.R. n. 94 del 21 febbario 1989 il quale, all'art. 9 stabilisce che il pagamento delle forniture di cui alle distinte contabili riepilogative, debba avvenire entro il giorno 25 del mese successivo a quella di spedizione delle ricette; C) nonostante l'odierno ricorrente abbia provveduto a consegnare all'Azienda U.S.L. n. 1 di Agrigento le ricette ed il relativo documento contabile entro il giorno 5 del mese successivo a quello di spedizione, nonche' alla formale messa in mora dell'Amministrazione resistente, la stessa, ad oggi, non ha provveduto al pagamento dell'importo dovutole, violando cosi' le norme dell'Accordo collettivo nazionale che, ai sensi dell'art. 8, comma 2 del d.lgs. n. 502/1992 e successive modificazioni, regola il rapporto che si e' instaurato nell'ambito del Servizio sanitario nazionale con le farmacie aperte al pubblico, che assumono, quindi, la figura ed il ruolo di gestori di un pubblico servizio. 2. - Premesso che, nella fattispecie, si verte in tema di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. b) ed f), d.lgs. n. 80/1998, il ricorrente afferma il proprio diritto al pronto pagamento della complessiva somma di L. 95.543.715, maggiorata degli interessi legali dalla data della formale costituzione in mora a quella di effettivo soddisfo e, comunque, al risarcimento del danno ingiusto conseguente al mancato e/o ritardato pagamento delle somme dovute quale corrispettivo delle forniture di medicinali, effettuate nel periodo considerato come risultanti dalle due "distinte contabili riepilogative mensili" allegate al ricorso. Premesso, poi, che sussisterebbero fondati motivi di temere un grave ed irreparabile pregiudizio derivante dal tempo occorrente per ottenere la pronuncia di merito sul presente ricorso, il ricorrente chiede che l'adito tribunale assicuri provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, applicando le disposizioni del combinato disposto degli artt. 669-sexies e 700 c.p.c. Assume, inoltre, che ricorrono nella fattispecie, i presupposti e le condizioni previste dall'art. 186-ter c.p.c. per l'emissione nei confronti dell'Amministrazione intimata di una ordinanza collegiale di ingiunzione di pagamento della distinta contabile riepilogativa prodotta in giudizio, per l'ammontare complessivo di L. 95.543.715, oltre gli interessi moratori al tasso legale maturati e maturandi dalla data di formale costituzione in mora all'effettivo soddisfo nonche' le spese del giudizio cautelare. Secondo il ricorrente, l'applicazione delle superiori disposizioni del codice di procedura civile da parte del giudice amministrativo nella sua composizione collegiale si rende necessaria, per assicurare quella effettivita' della tutela giurisdizionale garantita dall'art. 113 della Costituzione (t.a.r. Lazio, sez. I-ter, ord.za n. 3444 del 10 dicembre 1998). 3. - Si e' costituita in giudizio l'Azienda U.S.L. intimata, che, con rituale memoria difensiva, ha contestato la ricevibilita', l'ammissibilita' e la fondatezza del ricorso, chiedendone la reiezione con ogni conseguente statuizione sulle spese. In particolare, l'Azienda ha osservato e dedotto: a) il potere cautelare d'urgenza attribuito al giudice ordinario non esiste rispetto a situazioni giuridiche, pur qualificabili come diritti soggettivi, tutelabili avanti il giudice amministrativo o ad altra giurisdizione speciale; b) il procedimento cautelare di condanna anticipata, cosi' come il procedimento monitorio, non si concilia con il procedimento avanti il t.a.r.; c) l'art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 80/1998 prevede la possibilita' di condanna della p.a. al pagamento di una somma determinata solo a seguito del ricorso previsto dall'art. 27, comma 1, del r.d. n. 1054/1924, e nella fase precedente al giudicato prevede la possibilita' per il giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali la p.a. o il gestore del pubblico servizio devono proporre il pagamento al creditore di una determinata somma di denaro; Nel merito, l'Azienda resistente ha contestato la esigibilita' del credito vantato in ricorso alla stregua delle norme contrattuali regionali in vigore e rileva, comunque, che il credito per il mese di ottobre e' stato interamente pagato mentre per quello di novembre e' stato versato un acconto, per cui residua un credito di L. 21.416.947. Alla Camera di consiglio del 9 marzo 1999, presenti i difensori delle parti - che si sono riportati agli scritti difensivi, insistendo nelle relative conclusioni - la causa e' stata posta in decisione. D i r i t t o 1. - Va preliminarmente ritenuta la giurisdizione di questo tribunale nel giudizio promosso col ricorso in esame. Ed invero, con l'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e' stata conferita delega al Governo per emanare entro il 31 gennaio 1999, uno o piu' decreti legislativi diretti tra l'altro a l'"estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia di edilizia urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresi' un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti ...". In attuazione di tale delega e' stato emanato il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (recante "Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa ..."), il cui art. 33, tra l'altro, dispone che: 1) sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481 (ossia per l'energia elettrica il gas e le telecomunicazioni.). 2) tali controversie sono, in particolare, quelle: ... b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi; ... f) riguardanti le attivita' e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona e delle controversie in materia di invalidita'. Nella specie trattasi di controversia patrimoniale inerente ad attivita' di farmacista convenzionata svolta dalla odierna ricorrente nei mesi di ottobre e novembre 1998 (ossia in epoca successiva all'entrata in vigore del d.lgs. sopra citato) in favore della Azienda USL n. 1 di Agrigento; controversia che, all'evidenza, rientra nella previsione normativa surrichiamata e che, allo stato, appare pienamente suffragata dai documenti contabili depositati in atti dalla stessa ricorrente (le due "distinte contabili riepilogative mensili" di cui in narrativa). 2. - Cio' posto, la questione pregiudiziale che si pone e' quella dell'ammissibilita' dell'istanza formulata dalla ricorrente con riferimento agli artt. 669-sexies e 700 c.p.c., nonche' all'art. 186-ter c.p.c. e quindi alla emissione di una ordinanza collegiale di ingiunzione alla p.a. di pagamento del credito pari a complessive L. 95.543.715, oltre gli interessi moratori al tasso legale maturati e maturandi, nonche' le spese del giudizio cautelare. Cio' in relazione ad un irreparabile pregiudizio derivante dal lungo tempo occorrente per ottenere la pronuncia di merito. Secondo il ricorrente l'applicazione delle superiori disposizioni del codice di rito da parte del giudice amministrativo (nella sua composizione collegiale) sarebbe necessaria, per assicurare quella effettivita' della tutela giurisdizionale garantita dall'art. 113 della Costituzione secondo quanto gia' ritenuto dal t.a.r. Lazio, sez. I-ter, con ord.za n. 3444 del 10 dicembre 1998. Il t.a.r. Lazio, in realta', era stato adito per l'emissione di un decreto ingiuntivo, ma ha emesso la predetta "ordinanza" richiamando l'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998 e l'art. 186-ter c.p.c.; norma quest'ultima che prevede una forma di tutela urgente-cautelare (ordinanza ingiunzione) nell'ambito di un processo di cognizione. Viceversa, secondo l'Azienda resistente il potere cautelare e di urgenza sarebbe attribuito solamente al giudice ordinario e non anche al giudice amministrativo o ad altra giurisdizione speciale anche rispetto a situazioni giuridiche qualificabili come diritti soggettivi. In ogni caso il procedimento cautelare di condanna anticipata, cosi' come il procedimento monitorio, non sarebbe di per se' conciliabile con il procedimento avanti il t.a.r.. Tale ultima prospettazione si ritiene di potere condividere seppure nei limiti di seguito indicati. E' da ritenere, invero, che, sebbene le norme del processo civile siano dotate di una particolare vis espansiva, tale da renderle applicabili analogicamente in tutti i casi in cui manchi una regola processuale ben definita, esse incontrano inevitabilmente il limite costituito dalla struttura propria del processo amministrativo, entro il quale non puo' operarsi la trasposizione, di peso, del sistema processuale civilistico, non tanto per le ragioni quasi "ontologiche" che sembra ipotizzare la difesa dell'Azienda U.S.L., quanto, piuttosto, per ragioni di ordine dogmatico-sistematico e (non ultime) per ragioni pratiche ed organizzative, che non consentono al giudice amministrativo, come oggi strutturato, di operare (nel campo delle nuove materie affidate alla sua giurisdizione esclusiva) allo stesso modo di quanto in precedenza operato dal giudice ordinario. D'altronde la non immediata applicabilita' delle norme del codice di rito risulta evidente dallo stesso n. 80/1998 che, pur nella rilevante novella costituita dall'attribuzione al giudice amministrativo di nuova giurisdizione esclusiva per blocchi di materie (che coprono l'area intera dei pubblici servizi), richiama espressamente, all'art. 35, le norme del codice di rito solo per cio' che concerne i mezzi istruttori, demandando, per il resto, ad opportune future modifiche del regio decreto n. 642 del 1907 gli eventuali adattamenti suggeriti dalla "specificita' del processo amministrativo in relazione alle esigenze di celerita' e concentrazione del giudizio". Per cogliere la complessita' e la delicatezza dei problemi dogmatici ed organizzativi suddetti, basta solo considerare: la difficolta' di definire esattamente la natura della domanda incidentalmente proposta col ricorso in esame e che afferisce ora alla misura cautelare ex art. 186-ter c.p.c., ora alla misura di definizione urgente e sommaria della controversia ex art. 633 ed artt. 669-sexies e 700 c.p.c.; la difficolta' pratica e concettuale di definire la natura (sommaria, cautelare, monitoria) dell'ordinanza n. 3444/1998 del t.a.r. Lazio richiamata in ricorso (emessa in fattispecie sostanzialmente analoga alla presente) ed il porsi dell'ordinanza stessa con riguardo alla formazione del giudicato (ed alla definizione o meno del giudizio) ed al sistema delle impugnazioni (opposizione, reclamo, appello); un'ordinanza che appare come un vero e proprio ibrido tra l'ordinanza-ingiunzione in corso di causa ex art. 186-ter c.p.c., il decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., il provvedimento cautelare innominato ex 669-sexies c.p.c. e forse anche il provvedimento urgente ex art. 700 c.p.c.. Ed e' proprio un tale ibrido processuale che sostanzialmente viene richiesto col ricorso oggi in esame. 3. - Ne' puo' ritenersi che, per effetto stesso dell'attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo nelle materie in argomento, il sistema processo civile sia stato interamente richiamato implicitamente nell'ambito del processo amministrativo. Tale tesi, infatti, appare a questo collegio come una innaturale forzatura dei dati normativi sopra richiamati, nei quali il richiamo agli strumenti processuali del codice di rito e' operato solo con riguardo ai mezzi di prova, segno questo della volonta' del legislatore delegato di operare un richiamo normativo del tutto limitato. L'ipotesi inversa, ossia quella di un implicito e generalizzato richiamo da parte del legislatore delegato alle norme processuali civilistiche, si rivela, inoltre, intrinsecamente e tecnicamente insufficiente e sperequata, posto che una tale innovazione processuale (implicante anche - come gia' detto - rilevantissimi aspetti riorganizzativi della giustizia amministrativa) avrebbe dovuto essere disposta expressis verbis e non semplicemente "presumersi", o ricavarsi da una implicita, quanto incerta, voluntas legis. Alla stregua di tali premesse, pertanto, l'esigenza di tutela immediata e sommaria cui si fa riferimento nel ricorso in esame, sia in relazione agli artt. 66-sexies e 700 c.p.c., nonche' all'art. 186-ter c.p.c. (che richiama l'art. 633 c.p.c.), non puo' trovare accoglimento. 4. - Peraltro, proprio la chiesta adozione di un provvedimento non meramente cautelare, ma anche di cognizione sommaria del diritto di credito pecuniario fatto valere, impedisce al collegio di potere satisfattivamente applicare alla fattispecie il principio enunciato dalla Corte costituzionale, con sentenza 25 giugno 1985, n. 190, secondo cui il giudice amministrativo, nelle controversie patrimoniali sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva (allora in materia di pubblico impiego), puo' adottare tutti i provvedimenti urgenti che appaiano piu' idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, tutte le volte che il ricorrente deduca un pregiudizio imminente e irreparabile. Difatti, nell'ambito del processo, di qualunque processo, la "tutela cautelare" e la "cognizione sommaria" del diritto sono cose assolutamente diverse, sicche' l'astratta applicabilita' al caso di specie di una misura cautelare atipica, ai sensi del principio costituzionale sopra ricordato, non puo' dirsi interamente satisfattiva della domanda proposta in ricorso; domanda che ricalca l'impostazione data al problema dal t.a.r. Lazio con l'ordinanza sopra ricordata e che nel richiamare espressamente gli istituti di cui agli artt. 669-sexies e 700 del c.p.c. intende chiaramente alludere ai procedimenti sommari di cui al Libro IV, titolo I, del c.p.c. 5. - Nemmeno puo' pervenirsi all'affermazione di un parziale difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, nel senso di ritenere che per le materie di cui all'art. 33, le questioni risolvibili con "cognizione sommaria" o "cautelare" (decreti ed ordinanze ingiuntive, ordinanze cautelari ed urgenti) siano rimaste devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto cio' implicherebbe una sostanziale riduzione della portata della legge-delega, che, viceversa, ha chiaramente sancito e previsto la piena attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva nell'amplissima e variegata materia dei "servizi pubblici". Ne segue che, allo stato, le controversie a cognizione sommaria sopra indicate sfuggono alla giurisdizione di qualunque giudice: a quella del giudice ordinario in forza delle norme deleganti e delegate prima citate; a quella del giudice amministrativo in difetto della puntuale indicazione normativa degli strumenti processuali all'uopo necessari (e di quel minimo di necessaria ristrutturazione interna del relativo apparato. 6. - Non va trascurato, peraltro, che questo t.a.r., con recentissimo decreto presidenziale n. 113 del 22 febbraio 1999, ha dichiarato l'improcedibilita'-inammissibilita' del ricorso per decreto ingiuntivo, proposto da un farmacista convenzionato col S.S.N. per la corresponsione di somme dovute a fornitura di medicinali, nel presupposto che: "il procedimento speciale di cui al libro quarto del c.p.c. ed in particolare a quello di ingiunzione di cui ai ripetuti artt. 633 e segg., non e' adattabile al processo amministrativo nel quale manca istituzionalmente la figura e le funzioni del giudice monocratico"; "non e' peraltro possibile ritenere trasponibile agli istituti del processo amministrativo il ricorso di cui trattasi attesa la particolare natura formale e sostanziale dello stesso"; "la parte ricorrente non ha consumato i suoi poteri di impugnativa potendo svolgerli ex art. 33, d.lgs. 31 marzo 1988, n. 80, secondo i normali strumenti del vigente processo amministrativo". E tale ratio decidendi che il collegio condivide ben si applica anche alle richieste formulate col ricorso in esame, attesa l'assenza nel processo amministrativo della figura del "giudice istruttore", sia con riferimento alla chiesta ordinanza ex art. 186-ter c.p.c., che al chiesto provvedimento cautelare innominato ex art. 669-sexies e 700 c.p.c.; da questo la rilevanza della questione di cui infra. 7. - La superiore conclusione, tuttavia, che all'evidenza postula la necessita' per il creditore di attivare un processo cognitorio ordinario sostanzialmente inutile rispetto al procedimento monitorio, induce il collegio a sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, nella parte in cui non rende espressamente applicabili al giudizio amministrativo tutti gli strumenti processuali previsti dal codice di rito con riguardo alle controversie rientranti nei blocchi di materie innovativamente attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, atteso che, alla stregua della legge di delega, la tutela oggi erogabile dal detto giudice non puo' e non deve essere inferiore a quella che in precedenza gli stessi soggetti potevano chiedere ed ottenere dal giudice ordinario (ed e' un dato di comune esperienza che, nel settore delle farmacie convenzionate col S.S.N., vi e' stato, fino ad oggi, un uso amplissimo dell'agile e ben definito procedimento sommario di tipo monitorio finalizzato proprio ad evitare quell'ordinario processo cognitorio di cui alla decisione presidenziale sopra citata). Opinare diversamente significherebbe ammettere che il semplice spostamento della giurisdizione, a seguito dell'art. 33 cit., abbia determinato, in palese violazione dei limiti della legge delega e dei precetti di logica e razionalita', (che debbono presiedere alle scelte del legislatore), anche una sostanziale riduzione della consistenza stessa dei diritti soggettivi rientranti nelle materie di nuova giurisdizione esclusiva, quanto meno con riferimento alle possibili azioni sommarie (e non meramente cautelari) esperibili a tutela degli stessi. Come insegna la migliore dottrina, i procedimenti sommari delineati dal titolo I del Libro IV del codice di rito (tra cui quello monitorio ex art. 633 c.p.c., quello cautelare ed urgente ex art. 669-sexies, art. 700 c.p.c.) sono il riflesso processuale del contenuto sostanziale dei diritti soggettivi di volta in volta azionati, segnando la gamma di tutte le possibili forme di tutela degli stessi. In particolare, tali procedimenti, e le azioni correlate, connotano il diritto soggettivo di credito liquido ed esigibile di somme di denaro (basato su prova scritta) come un diritto tutelabile senza una vera fase processuale "cognitoria" (ossia senza la formale postulazione di un giudizio), e non possono essere menomate (ne' in tutto, ne' in parte) da un semplice spostamento della giurisdizione. I procedimenti sommari, in genere, altro non sono che il riflesso processuale di talune peculiarita' sostanziali dei connessi diritti e cio' avrebbe richiesto, secondo evidenti parametri costituzionali di razionalita' e buon andamento dell'Amministrazione lato sensu giudiziaria, che il legislatore delegato se ne facesse carico dettando, nell'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, o una norma espressa di richiamo degli strumenti processuali civilistici, ovvero una compiuta e chiara disciplina dei procedimenti sommari, urgenti e/o cautelari, sia di ordine sistematico, che pratico. Si consideri l'istanza di decreto ingiuntivo ex art. 633 (ed in parte anche quella di ordinanza ingiuntiva ex art. 186-ter): come e' noto si tratta di procedimento in cui si e' di fronte alla rivendicazione di un diritto (credito di somme di denaro) senza giudizio. L'ordinamento riconosce al creditore un'azione che ha carattenstiche sue proprie, che non si basa su prove in senso proprio, richiede solo l'esistenza di certe condizioni (somme di denaro liquide ed esigibili), si connota per l'attenuazione dell'esigenza del contraddittorio. Il giudizio di cognizione sul diritto fatto valere in via monitoria o sommaria e' meramente eventuale ed e' affidato all'iniziativa del debitore attraverso l'opposizione. L'azione sommaria, in tali casi, deve competere al creditore in forza delle caratteristiche proprie del suo diritto, quale che sia il giudice chiamato a decidere. Orbene, ipotizzare che una tale azione (riflesso del contenuto sostanziale del diritto di credito liquido, esigibile e fondato su prova scritta) possa, oggi, ritenersi priva di giudice legittimato a (sommariamente) conoscerla solo per effetto della nuova giurisdizione disegnata dall'art. 33 d.lgs. n. 80/1998, appare come apertamente in contrasto, non solo con lo spirito e la lettera della legge di delega, ma anche con quei principi di logica e di imparzialita' alla cui violazione la Corte costituzionale ha sempre saputo riconnettere la figura dell'eccesso potere legislativo. 8. - La verita' e' che, ammettendo, come sembra necessario fare alla stregua del decreto presidenziale n. 113/1999 sopra citato, una riduzione dei mezzi di tutela da parte del legislatare delegato, si incappa, inevitabilmente, nella violazione dei limiti della delega e nella irragionevole quanto ingiustificata riduzione delle garanzie apprestate ai cittadini nei settori di giurisdizione esclusiva cui all'art. 33. Al giudice amministrativo si attribuisce - si - giurisdizione esclusiva in certe materie, ma questa sfera di tutela, allo stato, non e' (perche'?) la medesima, sotto il profilo dei mezzi processuali (che poi fanno la sostanza stessa del diritto), di quella che era riconosciuta in precedenza. E tale reductio non e' giustificata da ragioni riorganizzative degli apparati giudicanti o dei servizi ad essi connessi (il che, forse, avrebbe potuto consentire di parlare dell'esercizio di un'ampia discrezionalita' legislativa costituzionalmente insindacabile), ma e' solo ed esclusivamente l'automatica conseguenza dello spostamento della giurisdizione. Tanto che si potrebbe dire, con una iperbole, che il diritto di azione, nelle materie indicate dall'art. 33, ha subito - per effetto di tale articolo - una significante riduzione, non in correlazione alla legittimazione al giudizio, ossia all'ampiezza del potere cognitorio attribuito al nuovo organo giudicante (che e' piena ed incondizionata, sia nella legge delega che in quella delegata), ma (irrazionalmente) all'aspetto puramente "topico" dell'aula di giustizia entro cui il medesimo diritto viene oggi fatto valere: quella del giudice amministrativo, anziche' quella dell'A.G.O. In tal modo, risulta perpetrata anche la violazione dell'art. 3 e 113 Cost., sia perche' situazioni giuridiche identiche (il diritto soggettivo di credito di somme di denaro liquide ed esigibili) vengono ad essere tutelate, nel tempo, con strumenti di cognizione sommaria diversi in conseguenza del diverso giudice legittimato a conoscerle; sia perche' non viene assicurata, anche attraverso il processo amministrativo, quella effettivita' della "tutela sommaria" connessa al diritto fatto valere dinanzi al nuovo giudice. 9. - Sotto altro profilo, non puo' non rilevarsi che la acclarata inaccoglibilita' delle azioni sommarie formulate col ricorso in esame, rientrante in una delle materie di giurisdizione esclusiva ex art. 33, non solo implica una sostanziale riduzione dei mezzi di tutela per le medesime materie, non solo finisce col proiettare la normazione delegata ben oltre il mero spostamento di giurisdizione prefigurato dalla norma delegante, ma significa anche costringere il creditore a proporre (come nel caso di specie) azioni cognitorie per l'accertamento del titolo di credito (in cui magari insinuare una spuria istanza cautelare) nonostante gia' esista la prova documentale del credito (nella specie, le distinte contabili mensili della farmacia della odierna ricorrente); una prova alla quale l'ordinamento previgente, nell'ottica costituzionalmente rilevante della celerita' e concentrazione del processo, offriva l'agile procedimento "sommario" del ricorso per decreto ingiuntivo (ossia la richiesta di una statuizione senza processo, salva l'opposizione ad iniziativa del debitore ingiunto). Ed ognuno ben vede come sia irrazionale costringere il cittadino a proporre azioni cognitorie quando esistono mezzi di tutela rapidi ed efficienti gia' ampiamente praticati col giudice precedentemente legittimato. E lo stesso vale per la richiesta di ordinanza ingiuntiva ex artt. 186-ter e 633 c.p.c. ovvero dei provvedimenti cautelari innominati ex artt. 669-bis e 700 c.p.c. laddove e' evidente che la rilevata impraticabilita' della tutela sommaria finisce sempre per scaricare nella fase cautelare del giudizio amministrativo (normativamente ristretta nella formula della cosiddetta "sospensiva" dell'esecuzione dell'atto impugnato) problematiche sostanziali e processuali (si pensi ancora al sistema delle impugnazioni) del tutto estranee al processo amministrativo, con sviluppi allo stato del tutto imprevedibili (e che senza un chiaro e tempestivo orientamento da parte della Corte costituzionale richiederebbe anni ed anni di elaborazione giurisprudenziale con le relative, inevitabili, "oscillazioni" a detrimento della stessa "certezza del diritto"). Ed una prova della palese irrazionalita' del sistema che comincia a delinearsi balza evidente proprio dal ricorso in esame, nel quale il ricorrente, nonostante risulti essere in possesso di prova scritta del credito pecuniario vantato nei confronti dell'Azienda U.S.L. di Agrigento per le forniture di medicinali dei mesi di ottobre e novembre 1998, nonostante la parziale ammissione dell'Azienda circa la esigibilita' dello stesso (e' stato pagato il periodo di ottobre e parte di quello di novembre), ha dovuto proporre (nell'ottica dell'ordinanza del t.a.r. Lazio sopra indicata) il presente ordinario ricorso cognitorio, all'interno del quale ha ritenuto di dovere formulare, nella presupposizione che non era possibile proporre ricorso per decreto ingiuntivo, un'atipica ed estemporanea domanda sommaria-cautelare con riferimento agli artt. 669-sexies e 700 c.p.c. ed all'art. 186-ter stesso c.p.c. In tal modo finendo: col proporre un'azione cognitoria che col giudice precedentemente legittimato sarebbe stata del tutto inutile; con l'accomunare l'area della tutela sommaria (che e' proiezione della natura sostanziale di un compiuto diritto di credito accertato, sotto certe condizioni, ex lege) con l'area della tutela cautelare (che e' un semplice incidente del processo di cognizione). Il silenzio dell'art. 33, d.lgs. n. 80/1998 determina, in sostanza, una notevole e pericolosa confusione di istituti processuali e dei relativi concetti che, in definitiva, svuota la possibilita' per il giudice amministrativo (in sede collegiale o in sede presidenziale), pur investito di piena ed esclusiva giurisdizione (cognitoria-condannatoria) nella materia de qua, di adottare, nel caso di specie, non tanto una "decisione cautelare", ma direttamente una "decisione sommaria" (decreto ingiuntivo) che esaurisca subito la relativa pretesa, definendo compiutamente il giudizio alla stregua dei previgenti mezzi offerti dal codice di rito, salvo l'eventuale nuovo giudizio cognitorio a seguito di opposizione da parte dell'Azienda intimata. La verita' e' che il processo amministrativo conosce l'istituto della "decisione cautelare" (e nelle materie di giurisdizione esclusiva anche nelle forme atipiche di cui alla sentenza n. 190/1985 della Corte cost.), ma non quello della "decisione sommaria" della controversia, sicche' la devoluzione di nuova giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo nelle materie (e nell'amplissima casistica) dell'art. 33, d.lgs. n. 80/1998 avrebbe dovuto indurre il legislatore delegato a farsene carico. Ma cosi' non e' stato ed il totale silenzio dell'art. 33 cit., mentre esclude l'applicabilita' di ben conosciuti e consolidati procedimenti giurisdizionali di pronta definizione del giudizio (come quello monitorio), finisce col far sorgere una variegata tipologia di "domande incidentali" ed una correlativa giurisprudenza praetoria il cui "assestamento" richiedera', se non interverra' - da subito - la Corte costituzionale, un lunghissimo periodo di tempo, a tutto discapito della efficienza e razionalita' della nuova giurisdizione. In siffatto modo viene seriamente menomata, ad avviso di questo collegio, anche la pienezza del diritto di azione costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), nonche' il principio di economia dei mezzi giuridici, che costituisce un ineludibile corollario del principio del buon andamento e dell'efficienza dell'apparato giurisdizionale inteso come parte della p.a.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 97 e 113 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nella parte in cui, pur spostando la giurisdizione su talune materie dal giudice ordinario al giudice amministrativo, in via esclusiva, non consente a quest'ultimo di utilizzare tutti mezzi processuali previsti dal codice di rito per la tutela sommaria dei diritti sui quali e' oggi legittimato a decidere con particolare riferimento agli istituti di cui al titolo I del libro IV c.p.c.; Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 9 marzo 1999. Il presidente: Castiglione Il consigliere estensore: Iannini 99C0597