N. 132 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 2017
Ordinanza del 5 luglio 2017 della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Lombardia nel procedimento contabile Pezzino Biagio contro INPS. Previdenza e assistenza - Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 - Riconoscimento integrale per i trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS e in diverse misure percentuali per quelli compresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento della perequazione per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il minimo INPS, relativa agli anni 2012-2013 come determinata dall'art. 24, comma 25, del decreto-legge n. 201 del 2011, nella misura del 20 per cento negli anni 2014-2015 e del 50 per cento a decorrere dall'anno 2016. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, commi 25 [, lett. b),] e 25-bis, nel testo novellato dall'art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109.(GU n.40 del 4-10-2017 )
CORTE DEI CONTI Sezione Giurisdizionale regionale per la Lombardia Nella persona del giudice monocratico Eugenio Musumeci, ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio pensionistico iscritto al n. 28463 del registro di segreteria della Sezione, proposto da Pezzino Biagio, nato a Caronia (ME) il 2 agosto 1958 e residente ad Albairate (Milano) in via Donatori di Sangue, n. 68; codice fiscale: PZZBGI58M02B804S, rappresentato e difeso dall'avv. Stefania Chiessi (del foro di Vigevano), nonche' elettivamente domiciliato a Milano in via Goffredo Sigieri n. 6 presso lo studio del difensore stesso, Contro l'Istituto Nazionale della previdenza sociale (INPS), in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Peco (iscritto nell'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati presso il Tribunale di Milano), nonche' elettivamente domiciliato a Milano in via Giuseppe Missori n. 8/10 presso l'Avvocatura distrettuale INPS. Fatto e diritto 1. Con ricorso notificato all'INPS il 29 febbraio 2016, nonche' depositato presso questa Sezione il 23 di quello stesso mese, Biagio Pezzino, titolare di una pensione (erogata dall'INPDAP anteriormente al 31 dicembre 2011 e dall'INPS poi) pari a € 1.757,64 mensili, ha lamentato che per il biennio 2012 - 2013 l'art. 24, comma 25, del decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011) aveva introdotto un blocco alla perequazione per le pensioni superiori al triplo del trattamento minimo INPS, senza alcun recupero negli anni successivi: cosi' modificando radicalmente la pregressa disciplina, di cui all'art. 34, comma 1, della legge n. 448/1998. Ha altresi' evidenziato che, nonostante la declaratoria di illegittimita' costituzionale del predetto art. 24, comma 25 pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70/2015, l'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015) aveva sancito una perequazione sensibilmente inferiore a quella previgente rispetto alla norma censurata dal giudice delle leggi. Pertanto il Pezzino ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, del decreto-legge n. 65/2015, per contrasto con gli articoli 2, 3, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione. Conclusivamente ha domandato, previa rimessione alla Corte costituzionale di tale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, la condanna dell'INPS al pagamento dei maggiori ratei pensionistici per il biennio 2012/2013. 2. Con comparsa depositata il 16 maggio 2016 si e' costituito l'INPS, contestando nel merito la fondatezza delle domande attoree; nonche' ricordando che al Pezzino, in virtu' del gia' menzionato art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, era stata riconosciuta la perequazione ivi sancita per le pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo INPS. All'udienza del 14 ottobre 2016 la causa e' stata discussa dalle parti e, infine, questo giudice l'ha trattenuta in decisione. 3. Nel merito, dal cedolino pensionistico di gennaio 2013 (all. 2 al ricorso), si evince che all'epoca la pensione lorda mensile del Pezzino, ammontando a € 1.757,64, si collocava fra il triplo e il quadruplo del trattamento minimo INPS: minimo che, come ricordato dal resistente stesso (a pag. 5 della sua comparsa difensiva), nel 2013 sfiorava i € 500,00 mensili. Orbene in quella fascia ultra triplum il comma 25, dell'art. 24, del decreto-legge n. 201/2011, quale novellato (all'indomani della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale) dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, ha fissato al 40% della misura integrale la perequazione per il biennio 2012/2013: in luogo dell'azzeramento sancito dalla norma dichiarata costituzionalmente illegittima e, pero', del 90% dettato dal previgente art. 69 della legge n. 388/2000. Risulta percio' indubbia la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della novella che il predetto art. 1 ha apportato al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011. 4. D'altro canto detta questione va reputata non manifestamente infondata, in riferimento sia al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, sia agli articoli 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione. Infatti, in argomento, il principio affermato dalla Corte costituzionale e' quello secondo cui «la proporzionalita' e l'adeguatezza devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurati anche nel prosieguo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta» (sentenza n. 173/1986). Inoltre, anche se «l'art. 38 Cost. non esige che l'adeguamento delle prestazioni previdenziali ai mutamenti del potere di acquisto della moneta proceda mediante meccanismi automatici...», potendo invece esso «... avvenire anche con interventi legislativi periodici ...» (sentenza n. 337/1992), in se' e per se' tale adeguamento non soltanto risulta indispensabile; ma deve altresi' consentire alle pensioni di «... essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta» (sentenza n. 316/2010). 5. Se dunque si va a verificare la misura di tale adeguamento delle pensioni al costo della vita, deve ricordarsi come sul piano generale l'aumento definitivo di perequazione automatica sia stato fissato: per il 2012, al 2,7% (decreto MEF 16 novembre 2012, nella Gazzetta Ufficiale 27 novembre 2012); per il 2013, al 3% (decreto MEF 20 novembre 2013, nella Gazzetta Ufficiale 29 novembre 2012); per il 2014, all'1,1% (decreto MEF 20 novembre 2014, nella Gazzetta Ufficiale 2 dicembre 2014); per il 2015, allo 0,2% (decreto MEF 19 novembre 2015, nella Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2015); per il 2016, allo 0%, in via previsionale (decreto MEF 19 novembre 2015 cit.). Inoltre, poiche' aritmeticamente tali aumenti si compongono tra loro (anziche' addizionarsi), ne scaturisce p.es. una variazione del 5,78% per il biennio 2012/2013 e del 6,94% per il triennio 2012/2014. Dopodiche' la dinamica inflattiva si e' pressoche' azzerata nel biennio 2015/2016; ma e' notorio come il tasso di inflazione che l'Unione europea considera ottimale sia pari al 2% annuo. Il che equivale a dire che, in virtu' della novella di cui all'art. 1 del decreto legge n. 65/2015, il potere d'acquisto della pensione del Pezzino e' stato salvaguardato soltanto nella misura dell'1,08% per il 2012 e dell'1,2% l'anno successivo (ossia il 40% della suddetta perequazione integrale): in luogo, rispettivamente, del 2,43% e del 2,7% che gli avrebbe garantito l'art. 69 della legge n. 388/2000, cioe' la normativa previgente rispetto a quella di cui era stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale, con una conseguente perdita di quasi tre punti percentuali in appena un biennio. 6. Ulteriore gravissimo ed irragionevole pregiudizio alle pensioni collocate nella fascia ultra triplum viene dal comma 25-bis del predetto art. 24 del decreto legge n. 201/2011, introdotto dall'art. 1 del decreto legge n. 65/2015: norma in virtu' della quale alla fine del biennio 2012/2013 gli aumenti perequativi, gia' riconosciuti nella su descritta misura del 40%, permangono acquisiti nel 2014 soltanto per una quota di appena il 20% di quel 40% (ossia per l'8% appena). Il che equivale a dire che, nonostante la poc'anzi ricordata variazione del 5,78% dell'inflazione nel biennio 2012/2013, in realta' alla data del 1° gennaio 2014 la pensione del Pezzino risultava superiore di appena lo 0,46% rispetto a quella di due anni prima: cioe' di neppure un decimo della predetta lievitazione del costo della vita, a fronte del 90% che invece gli avrebbe assicurato la normativa previgente all'originario comma 25 del piu' volte menzionato art. 24 e, quindi, la piana applicazione della sentenza n. 70/2015 della Consulta. 7. In buona sostanza quest'ultima pronuncia e' stata stravolta, merce' l'art. 1 del decreto legge n. 65/2015: attribuendo per le pensioni ultra triplum, ossia per quelle piu' vicine alla fascia di perequazione integrale, per gli anni 2012 e 2013 meri arretrati sulla base di una perequazione (al 40%, anziche' al 90%) piu' che dimezzata rispetto a quella sancita dalla normativa previgente rispetto a quella dichiarata costituzionalmente illegittima; e, a partire dal 1° gennaio 2014, pressoche' azzerando finanche quella modesta perequazione e dunque quasi ripartendo dalla pensione di due anni prima, Il risultato, all'inizio del 2014, si e' dunque tradotto in una pensione mensile di oltre ottanta euro piu' bassa rispetto a quella che avrebbe garantito al Pezzino l'art. 69 della legge n. 388/2000: come confermato dal confronto tra la mera applicazione, alle su ricordate variazioni dell'inflazione 2012/2013, della percentuale del 90% prevista dall'art. 69 stesso ed i calcoli riportati nel messaggio INPS n. 4993 del 27 luglio 2015 (all. 2 INPS). Tutto cio' in riferimento ad una pensione che, come confermato da quel medesimo messaggio INPS, travalica di poco piu' di duecento euro il triplo del minimo INPS: entro cui, invece, la perequazione e' sempre rimasta integrale. Dunque va senz'altro condiviso il gia' ricordato insegnamento della Corte costituzionale secondo cui la protezione dell'inflazione, in misura non simbolica, risulta necessaria quale che sia la misura della pensione. E si appalesa, invece, la grave irragionevolezza delle norme qui censurate. Paradossalmente, anche in virtu' della normativa applicabile alle annualita' 2014 e successive (pur non specificamente censurata dall'odierno ricorrente), questi finira' con il trarre vantaggio dall'inevitabile attrazione della sua pensione nella fascia infra triplum: cioe' dall'impoverimento del potere d'acquisto della pensione stessa. 8. A quest'ultimo proposito quelle medesime esigenze finanziarie, le quali benche' invocate gia' nel decreto legge n. 201/2011 non hanno impedito alla Corte costituzionale di reputare «... valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalita' ...» (sentenza n. 70/2015), ad avviso di questo giudice non hanno indotto il legislatore, a dispetto del loro nuovo richiamo nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto legge n. 65/2015, ad esercitare in quest'ultimo, asseritamente attuativo della teste' menzionata pronuncia costituzionale, quel «... corretto bilanciamento ...» ivi auspicato dal giudice delle leggi. Percio' i timori di insufficiente protezione delle pensioni dall'inflazione, gia' palesati dall'art. 24, comma 25, del decreto legge n. 201/2011, per una pensione ultra triplum risultano ampiamente confermati dalla successiva legislazione qui censurata. Conseguentemente appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto legge n. 65/2015: che va sollevata in riferimento non soltanto al principio di ragionevolezza, ma anche a quei medesimi parametri costituzionali (ossia il primo comma dell'art. 36 ed secondo comma dell'art. 38) che, ad avviso della Consulta stessa, gia' non informavano l'art. 24, comma 25, del decreto legge n. 201/2011. Invero il rispetto di tali parametri, tanto piu' ove dipendesse dallo specifico quantum di adeguamento alla dinamica inflattiva apprestato (per ciascuna fascia di pensioni) con il decreto legge n. 65/2015, evidentemente compete alla Corte costituzionale stessa stabilire se in questa nuova occasione vi sia stato o meno: cio' che peraltro questo giudice esclude, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, per quanto possa rilevare rispetto al vaglio di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale qui delineata. 9 - E' infine appena il caso di osservare come le argomentazioni difensive dell'INPS varrebbero, a ben vedere, a dimostrare gia' la legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto legge n. 201/2011: talche' oggi esse appaiono palesemente finalizzate ad ottenere un inammissibile secundum iudicium della Consulta, stavolta in riferimento al decreto legge n. 65/2015, ancorche' quest'ultimo abbia pienamente reiterato, per le pensioni ultra sestuplum, un quadro normativo gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo.
P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, non definitivamente pronunciando in relazione al giudizio n. 28463, dichiara rilevante in tale giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione: del comma 25, dell'art. 24, del decreto legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011), quale novellato dall'art. 1 del decreto legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), nella parte in cui prevede che «la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta ... b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi»; del comma 25-bis del predetto art. 24, pure introdotto dall'art. 1 del decreto legge n. 65/2015; e per l'effetto: 1) solleva la questione di legittimita' costituzionale del comma 25, dell'art. 24, del decreto legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011), quale novellato dall'art. 1 del decreto legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), e del comma 25-bis quale introdotto da quel medesimo art. 1, in riferimento agli articoli 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione; 2) dispone l'immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale; 3) sospende il giudizio stesso sino alla comunicazione della decisione adottanda dalla Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale teste' sollevata; 4) dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; 5) dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso a Milano nella camera di consiglio del 2 dicembre 2016. Il Giudice: Musumeci