N. 114 SENTENZA 7 marzo - 10 maggio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Capacita' giuridica e di agire - Limiti alla capacita' di donare - Donazione da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno. - Codice civile, art. 774, primo comma, primo periodo.(GU n.20 del 15-5-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Giorgio LATTANZI; Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 774, primo comma, primo periodo, del codice civile, promosso dal Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli, sull'istanza proposta da P. B. in qualita' di amministratore di sostegno di A. B., con ordinanza del 19 febbraio 2018, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2018. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 6 marzo 2019 il Giudice relatore Marta Cartabia. Ritenuto in fatto 1.- Il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 774, primo comma (rectius: primo comma, primo periodo), del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno. Quanto ai fatti del processo, il rimettente riferisce che il giudizio e' stato originato dalla richiesta di un'amministratrice di sostegno di essere autorizzata dal giudice tutelare a disporre una donazione in nome e per conto della beneficiaria dell'amministrazione di sostegno. L'amministrazione di sostegno a tempo indeterminato e' stata aperta nel 2006, individuando come amministratrice la sorella della beneficiaria. La beneficiaria, che ha due figli maggiorenni ed economicamente indipendenti, ha espresso il desiderio di donare alla figlia, in procinto di sposarsi, la somma di diecimila euro per l'acquisto di una cucina e contemporaneamente mettere "a riserva" la stessa somma nell'interesse dell'altro figlio. Sentita personalmente dal giudice, la beneficiaria ha confermato il suo desiderio e il giudice ha verificato che il patrimonio della beneficiaria ha la capienza necessaria per disporre la donazione. Il giudice conclude, dunque, che «la richiesta, alla luce delle indagini svolte, appare ammantata da intrinseca congruita', genuinita', e passibile di sicura condivisione». 2.- Nella ricostruzione compiuta dal giudice a quo, il sistema del codice civile non consentirebbe ai beneficiari di amministrazione di sostegno di effettuare valide donazioni neppure per il tramite dell'amministratore. Il rimettente premette che la fattispecie non e' disciplinata espressamente da norme di diritto positivo e non e' stata fatta oggetto di specifiche pronunce della Corte di cassazione. Il problema e' stato affrontato soltanto in sede dottrinale e dalla giurisprudenza di merito e risolto in senso negativo (il richiamo e' al decreto del Giudice tutelare del Tribunale ordinario della Spezia del 1° ottobre 2010). Dopo avere ricordato che l'art. 774, primo comma (rectius: primo comma, primo periodo), cod. civ. prevede che «non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacita' di disporre dei propri beni» e che le eccezioni a tale regola, tra le quali non compare il caso dei beneficiari di amministrazione di sostegno, sono espressamente previste dal codice civile (artt. 774, secondo comma [recte: primo comma, secondo periodo, e secondo comma], cod. civ. e 777, secondo comma, cod. civ., oltre alla presunzione stabilita dall'art. 776 cod. civ.), il giudice rimettente conclude che per i beneficiari di amministrazione di sostegno la possibilita' di disporre donazioni dipende dalla soluzione della questione se i medesimi abbiano una «piena capacita' di disporre dei propri beni» ai sensi dell'art. 774, primo comma, cod. civ. Sul punto il rimettente prende le distanze da alcune opinioni dottrinarie e dalla giurisprudenza di merito e ritiene che «una ablazione, anche parziale, e financo minima, della capacita' di agire del beneficiario costituisca [...] indefettibile risultato della applicazione della misura di protezione in parola». Cio', sia per ragioni letterali (perche' l'art. 1 della legge 9 gennaio 2004, n. 6, recante «Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonche' relative norme di attuazione, di coordinamento e finali»), nel disporre che la legge «ha la finalita' di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacita' di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia», implicitamente affermerebbe che una limitazione della predetta capacita', per quanto minima, necessariamente consegua all'applicazione dell'istituto), sia sulla base del combinato disposto dell'art. 405, quinto comma, numeri 3) e 4), cod. civ., da un lato, e dell'art. 409, primo comma, cod. civ., dall'altro, perche', «se la previsione di atti da compiersi in rappresentanza o in assistenza integra parte del contenuto indefettibile del decreto» e «se solo in relazione ad ogni attivita' diversa dalle predette il beneficiario conserva la capacita' di agire», allora «il beneficiario subisce immancabilmente una deminutio della sua capacita', per il solo fatto dell'apertura della misura». A tale conclusione, peraltro, si arriverebbe anche attraverso un'interpretazione di ordine sistematico, perche' sarebbe irrazionale ipotizzare un controllo giudiziale sull'operato di un amministratore di sostegno incaricato di assistere «un soggetto in toto capace di agire»; ne' l'assistenza potrebbe mai essere ricostruita «in termini, del tutto indefinibili, di consiglio, blandizia, suggerimento, conforto, pena lo svuotamento del contenuto del munus conferito, e la sua insindacabilita' de facto». Molto piu' corretto apparirebbe invece tratteggiare l'assistenza in termini di compartecipazione dell'amministrazione di sostegno al compimento di «negozi giuridici apprezzabili nella loro essenza ed esistenza, ed altrimenti invalidi (ex art. 412 [secondo comma] c.c.)». Inoltre, deporrebbero per tale interpretazione sia la previsione dell'autorizzazione giudiziale al compimento degli atti di straordinaria amministrazione di cui agli artt. 375, primo comma, e 411, primo comma, cod. civ., sia le disposizioni di cui all'art. 411, secondo e terzo comma, cod. civ. Secondo il rimettente, in definitiva, «[...] alla apertura di una amministrazione di sostegno consegue necessariamente la privazione, anche solo minima, ma inevitabile, della capacita' di agire del beneficiario; [...] ad essa consegue altresi' la necessita' di prevedere come necessaria l'autorizzazione giudiziale per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, ivi compresi quelli dispositivi; [...] la piena capacita' di disporre dei propri beni costituisce corollario, e forse addirittura un quid pluris, rispetto al mantenimento di una integra capacita' di agire, che deve presupporsi; [...] il beneficiario di amministrazione di sostegno non puo' per definizione dirsi titolare di una integra capacita' di agire, e dunque, della piena capacita' di disporre dei propri beni; [...] egli non puo' quindi effettuare donazioni». 3.- Sulla base di queste premesse il rimettente, rilevata la propria legittimazione a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, sostiene, quanto alla non manifesta infondatezza, che la circostanza che i beneficiari di amministrazione di sostegno non possano porre in essere valide donazioni, neppure con le forme abilitative previste dal codice civile, confligga con gli artt. 2 e 3, primo e secondo comma, della Costituzione. In particolare, egli ricorda che l'art. 2 Cost. pone al vertice dell'ordinamento la dignita' ed il valore della persona (si richiama la sentenza n. 258 del 2017) e che tale precetto non puo' essere disgiunto ne' dall'art. 3, secondo comma, Cost., che affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona, ne' dall'art. 3, primo comma, Cost., dato che tra le condizioni personali che limitano l'eguaglianza si pone la condizione di disabilita' o di infermita'. Secondo il rimettente, la scelta del legislatore del 2004 di non prevedere la possibilita', in capo ai beneficiari di amministrazione di sostegno, di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite o con l'ausilio del soggetto incaricato di garantire loro protezione e con le ulteriori cautele del caso, sarebbe «evidentemente irragionevole, tanto intrinsecamente, quanto in riferimento a casi analoghi». Sotto il primo profilo, afferma il rimettente, «[s]e la legge sull'amministrazione di sostegno ha la finalita' di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia, approntando interventi di sostegno, e limitando al minimo la loro capacita' di agire, non vi e' chi non veda come l'inibizione sic et simpliciter della capacita' di donare ad altro risultato non conduca, se non a quello di una profonda mortificazione di questi soggetti. Molto piu' congruo sarebbe stato circondare tale capacita' (mantenendola viva) di opportuni presidi e cautele, come d'altronde previsto per gli atti di straordinaria amministrazione patrimoniale in generale». Inoltre, la norma denunciata «svuoterebbe completamente di contenuto (in questa materia) il disposto dell'art. 410 c.c. - vera norma "cardine" dell'istituto in discorso - secondo cui l'amministratore di sostegno, nell'adempimento dell'incarico, deve tenere conto dei desideri, delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario». Apparirebbe dunque del tutto palese il rischio di vera e propria «emarginazione» dei beneficiari di amministrazione di sostegno, che non potrebbero mai realizzare la loro volonta' di compiere un gesto che consta «di bellezza, nobilta', spontaneita', altezza», e che si configura quindi come una forma di pieno sviluppo della loro persona. Pertanto il giudice chiede che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 774, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno». Tale intervento non demanderebbe a questa Corte un indebito potere di creazione legislativa con usurpazione delle prerogative del legislatore, ma si limiterebbe a determinare «una ammissibile, e auspicabile, integrazione della materia in esame, attraverso il richiamo di norme gia' presenti nell'ordinamento (artt. 777, 375, 411 c.c.), capaci di diventare paradigma ed oggetto della addictio normativa, quale soluzione, in fondo necessaria, pienamente rinvenibile nell'ambito della cornice di sistema». 4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il dubbio di costituzionalita' sia dichiarato non fondato, perche' il risultato a cui il giudice rimettente intende pervenire chiedendo alla Corte costituzionale una pronuncia additiva sarebbe gia' consentito da una corretta interpretazione delle norme vigenti. L'Avvocatura sostiene, infatti, che la ricostruzione del quadro normativo contenuta nell'ordinanza di rimessione sia «fallace» e tradisca «lo spirito della legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno», che sarebbe «ispirata ad un'ottica di massimo contenimento della limitazione di capacita' dell'amministrato» (si citano la sentenza n. 440 del 2005 e giurisprudenza di legittimita' e di merito). In questo senso, da una lettura sistematica dell'art. 774 cod. civ., in relazione alla disciplina dell'istituto dell'amministrazione di sostegno e, particolarmente, degli artt. 409, primo comma, e 411, primo e quarto comma, cod. civ., si evincerebbe che l'apertura dell'amministrazione di sostegno «di regola non comporta la perdita della capacita' di agire se non per quanto espressamente previsto» e «consente - nei casi in cui il divieto sia previsto dal decreto - di superarlo attraverso l'autorizzazione del giudice tutelare», dato che appunto l'art. 411, primo comma, richiama gli artt. 374 e 375 cod. civ. Considerato in diritto 1.- Il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 774, primo comma (rectius: primo comma, primo periodo), del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno. Secondo il rimettente, il divieto per i beneficiari di amministrazione di sostegno di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite o con l'assistenza del soggetto incaricato di garantire loro protezione e con l'ulteriore cautela dell'autorizzazione del giudice tutelare, sarebbe innanzitutto lesivo del valore e della dignita' della persona umana di cui all'art. 2 della Costituzione. Tale divieto, inoltre, si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza intrinseca di cui all'art. 3, primo comma, Cost., perche' mortificherebbe i beneficiari dell'amministrazione di sostegno, in contrasto con la finalita' dell'istituto; esso, per altro verso, svuoterebbe di contenuto il disposto dell'art. 410 cod. civ., secondo cui l'amministratore di sostegno, nell'adempimento dell'incarico, deve tenere conto dei desideri, delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario. L'art. 3, primo comma, Cost. sarebbe violato anche per disparita' di trattamento in riferimento a casi analoghi, quali la previsione dell'autorizzazione giudiziale al compimento degli atti di straordinaria amministrazione di cui agli artt. 375 e 411 cod. civ. La norma censurata, infine, violerebbe anche l'art. 3, secondo comma, Cost., perche', impedendo a coloro che si trovano in una condizione di inabilita' e infermita' di realizzare il proprio desiderio di donare, integrerebbe un ostacolo di ordine sociale che impedisce il pieno sviluppo della personalita' umana. 2.- Le questioni non sono fondate. Il giudice rimettente muove dal presupposto che il divieto di donazione stabilito dalla disposizione censurata operi anche nei confronti dei beneficiari di amministrazione di sostegno. Tale presupposto interpretativo non puo' essere condiviso. 3.- L'art. 774, primo comma, primo periodo, cod. civ. stabilisce che «[n]on possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacita' di disporre dei propri beni». Tale divieto di donare e' sempre stato inteso come rivolto in modo esclusivo agli interdetti, agli inabilitati e ai minori di eta'. Inoltre, il codice civile consente al donante, ai suoi eredi o aventi causa di proporre l'azione di annullamento qualora la donazione sia disposta «da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui la donazione e' stata fatta» (art. 775, primo comma, cod. civ.). Quando il legislatore, con la legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonche' relative norme di attuazione, di coordinamento e finali), ha introdotto, nel corpo del codice civile, accanto ai tradizionali istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, l'innovativo istituto della amministrazione di sostegno, a vantaggio della «persona che, per effetto di una infermita' ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilita', anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi» (art. 404 cod. civ.), sono sorte alcune difficolta' di coordinamento con la preesistente disciplina codicistica. La disciplina dell'amministrazione di sostegno, in particolare, non contiene alcuna espressa previsione di raccordo con le disposizioni in materia di atti personalissimi quali la donazione, che qui rileva, il testamento e il matrimonio, atti dei quali invece le norme dello stesso codice civile relative a minori, interdetti e inabilitati si occupano con previsioni variamente limitative. Il silenzio del legislatore non ha impedito che in sede giurisprudenziale si chiarissero i rapporti intercorrenti tra l'amministrazione di sostegno e i coesistenti istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione. In particolare, le differenze tra le originarie previsioni codicistiche e la nuova misura si sono rivelate subito talmente profonde da impedire l'estensione analogica all'amministrazione di sostegno delle disposizioni codicistiche riguardanti l'interdizione e l'inabilitazione. 4.- Per quanto qui interessa, la giurisprudenza di questa Corte ha gia' chiarito che il provvedimento di nomina dell'amministratore di sostegno, diversamente dal provvedimento di interdizione e di inabilitazione, non determina uno status di incapacita' della persona (sentenza n. 440 del 2005), a cui debbano riconnettersi automaticamente i divieti e le incapacita' che il codice civile fa discendere come necessaria conseguenza della condizione di interdetto o di inabilitato. Al contrario, come risulta dalla giurisprudenza di legittimita', l'amministrazione di sostegno si presenta come uno strumento volto a proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilita', che puo' essere di qualunque tipo e gravita' (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 27 settembre 2017, n. 22602). La normativa che la regola consente al giudice di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all'amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacita' di autodeterminazione (in questo senso, Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11 maggio 2017, n. 11536; 26 ottobre 2011, n. 22332; 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584; ma si veda anche Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 11 settembre 2015, n. 17962). Introducendo l'amministrazione di sostegno, il legislatore ha dotato l'ordinamento di una misura che puo' essere modellata dal giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilita'. Cosi' l'ordinamento oggi mostra una maggiore sensibilita' alla condizione delle persone con disabilita', e' piu' attento ai loro bisogni e allo stesso tempo piu' rispettoso della loro autonomia e della loro dignita' di quanto non fosse in passato, quando il codice civile si limitava a stabilire una netta distinzione tra soggetti capaci e soggetti incapaci, ricollegando all'una o all'altra qualificazione rigide conseguenze predeterminate. La nuova disciplina si raccorda pienamente con i piu' recenti strumenti elaborati nell'ordinamento europeo e internazionale: con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita', fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, e con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, il cui art. 26 protegge «il diritto delle persone con disabilita' di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunita'». 5.- La giurisprudenza di legittimita' e' costante nell'interpretare le disposizioni in materia di amministrazione di sostegno in modo da valorizzare tutte le capacita' del beneficiario non compromesse dalla disabilita' fisica, psichica o sensoriale. L'orientamento costantemente seguito dalla Corte di cassazione, infatti, e' nel senso di ritenere che tutto cio' che il giudice tutelare, nell'atto di nomina o in successivo provvedimento, non affida all'amministratore di sostegno, in vista della cura complessiva della persona del beneficiario, resta nella completa disponibilita' di quest'ultimo. Sin dalle sue prime pronunce in materia, la Corte di cassazione ha affermato che la disciplina introdotta dalla legge n. 6 del 2004 «delinea una generale capacita' di agire del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, con esclusione di quei soli atti espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita l'amministrazione medesima». Ne consegue che il giudice tutelare si limita, in via di principio, a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l'intervento, «senza peraltro determinare una limitazione generale della capacita' di agire del beneficiario»: il giudice tutelare «non si muove, come il giudice della interdizione, nell'ottica dell'accertamento della incapacita' di agire della persona sottoposta al suo esame [...], ma nella diversa direzione della individuazione, nell'interesse del beneficiario, dei necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento lo ritenga inidoneo» (Cass., sez. prima civ., n. 25366 del 2006). E' significativo ricordare che l'applicazione di tale orientamento ha recentemente condotto la Corte di cassazione a ritenere che al beneficiario di amministrazione di sostegno non si estende il divieto di contrarre matrimonio (atto personalissimo, al pari della donazione che qui rileva), previsto per l'interdetto dall'art. 85 cod. civ., salvo che il giudice tutelare non lo disponga esplicitamente con apposita clausola, ai sensi dell'art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ. Anche in tale occasione la Corte di cassazione ha ribadito che deve escludersi «una generalizzata applicazione delle limitazioni dettate per l'interdetto, per via di analogia, al beneficiario dell'amministrazione di sostegno», dato che quest'ultima misura e' sempre volta a valorizzare le residue capacita' del soggetto debole (Cass., sez. prima civ., n. 11536 del 2017). In questa ricostruzione del sistema codicistico assume dunque importanza centrale l'art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ., secondo cui «[i]l giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l'amministratore di sostegno, o successivamente, puo' disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni». Cio' implica che in assenza di esplicita disposizione da parte del giudice tutelare non possono ritenersi implicitamente applicabili divieti e limitazioni previsti dal codice civile ad altro fine. 6.- Il richiamato percorso ermeneutico conduce a ritenere che il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacita' di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d'ufficio, ritenga di limitarla - nel provvedimento di apertura dell'amministrazione di sostegno o in occasione di una sua successiva revisione - tramite l'estensione, con esplicita clausola ai sensi dell'art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ., del divieto previsto per l'interdetto e l'inabilitato dall'art. 774, primo comma, primo periodo, cod. civ. Una tale interpretazione risponde del resto al principio personalista, affermato anzitutto dall'art. 2 Cost., che tutela la persona non solo nella sua dimensione individuale, ma anche nell'ambito dei rapporti in cui si sviluppa la sua personalita': rapporti che richiedono senz'altro il rispetto reciproco dei diritti, ma che si alimentano anche grazie a gesti di solidarieta' (sentenza n. 119 del 2015). Nell'architettura dell'art. 2 Cost. l'adempimento dei doveri di solidarieta' costituisce un elemento essenziale tanto quanto il riconoscimento dei diritti inviolabili di ciascuno, sicche' comprimere senza un'obiettiva necessita' la liberta' della persona di donare gratuitamente il proprio tempo, le proprie energie e, come nel caso in oggetto, cio' che le appartiene costituisce un ostacolo ingiustificato allo sviluppo della sua personalita' e una violazione della dignita' umana. Peraltro, come gia' ricordato da questa Corte ad altro proposito (sentenza n. 258 del 2017), il principio personalista impone di leggere l'art. 2 congiuntamente all'art. 3 Cost., primo comma, che garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle «condizioni personali», tra le quali si colloca indubbiamente la condizione di disabilita' di cui i beneficiari di amministrazione di sostegno sono portatori, sia pure in forme e gradi diversi; e secondo comma, il quale affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli, qual e' appunto la condizione di disabilita', che impediscono la liberta' e l'eguaglianza nonche' il pieno sviluppo della persona. Alla luce di tali principi, posti a fondamento dell'intero impianto della Costituzione italiana, deve escludersi che la persona beneficiaria di amministrazione di sostegno possa essere privata della capacita' di donare fuori dai casi espressamente stabiliti dal giudice tutelare ai sensi dell'art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ, restando tale capacita' integra in mancanza di diversa espressa indicazione. Si tratta di un approdo, tra l'altro, che la stessa giurisprudenza di legittimita' ha esplicitamente raggiunto, pronunciandosi per la prima volta sul tema dei rapporti tra contratto di donazione e amministrazione di sostegno in un momento successivo all'ordinanza di rimessione che ha sollevato le presenti questioni di costituzionalita' (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460). Secondo la Corte di cassazione, il giudice tutelare potrebbe d'ufficio escludere la capacita' di donare solo «in presenza di situazioni di eccezionale gravita', tali da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione della volonta' possa andare incontro a turbamenti per l'incidenza di fattori endogeni o di agenti esterni». 7.- La ricostruzione del quadro normativo ora esposta - che non ravvisa ne' nella disposizione censurata, ne' all'interno del codice civile alcun divieto legislativo di donare rivolto ai beneficiari di amministrazione di sostegno, fatti salvi gli specifici limiti disposti caso per caso dal giudice tutelare ai sensi dell'art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ. - appare, oltre che conforme al diritto vivente, aderente ai principi informatori dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, connotato da un consapevole e ponderato «bilanciamento tra esigenze protettive» e «rispetto dell'autonomia individuale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4709); come tale, essa e' idonea a superare tutti i dubbi di costituzionalita' sollevati dal rimettente.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 774, primo comma, primo periodo, del codice civile, sollevate dal Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli, in riferimento agli artt. 2 e 3, primo e secondo comma, della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2019. F.to: Giorgio LATTANZI, Presidente Marta CARTABIA, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2019. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA