N. 247 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 2014
Ordinanza del 16 luglio 2014 del Tribunale di sorveglianza di Messina nel procedimento di sorveglianza nei confronti di M.S.. Misure di sicurezza - Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici introdotte con decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52 - Applicazione nei confronti dell'infermo di mente e del seminfermo di mente di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia - Criteri - Accertamento della pericolosita' sociale - Previsione che l'accertamento venga effettuato sulla base delle qualita' soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all'art. 133, secondo comma, numero 4, cod. pen. (condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo ) - Previsione che non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali - Violazione dei principi a tutela del lavoro - Lesione dei diritti fondamentali della persona - Violazione del principio di ragionevolezza - Disparita' di trattamento rispetto agli imputabili - Contrasto con le finalita' preventive delle misure di sicurezza - Violazione del principio di irretroattivita' della legge penale - Lesione dei diritti della famiglia, del diritto alla salute e del diritto all'istruzione scolastica - Insussistenza dei presupposti della necessita' ed urgenza - Inosservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. - Decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2014, n. 81, art. 1, comma 1, lett. b). - Costituzione, artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117, primo comma, in relazione all'art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 5.(GU n.2 del 14-1-2015 )
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MESSINA Riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei sigg.ri: 1) Dott. Nicola Mazzamuto, Presidente; 2) Dott. Carmelo Ioppolo, Mag. Sorv.; 3) Dott. Luigi Lucchesi, Esperto; 4) Dott. Vittorio Crupi, Esperto. Sciogliendo la riserva di decidere espressa all'udienza del 16 luglio 2014 nel procedimento di sorveglianza promosso da M.S., nato a M.B. in Tunisia il //, in atto internato presso l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in esecuzione della misura di sicurezza detentiva della Casa di cura e custodia prevista fino al 3 maggio 2015, con atto d'appello ricevuto il 2 maggio 2014 avverso l'ordinanza del 28 febbraio 2014 del Magistrato di sorveglianza di Messina che rigettava istanza di revoca anticipata di tale misura; Ritenuto in fatto Premesso che con ordinanza dell'8 ottobre 2012 il Magistrato di sorveglianza di Palermo disponeva l'applicazione della misura di sicurezza detentiva della Casa di cura e custodia, a seguito di un complesso iter motivazionale che ricostruiva la vicenda individuale, familiare, sociale, psichiatrica e giudiziaria del M. ed esaminava il tentativo omicidiario e la sua criminogenesi alla luce della sentenza di condanna e delle risultanze peritali. In particolare, il Magistrato di sorveglianza di prima applicazione sottolineava che «Con richiesta del 5 gennaio 2011 la Procura della Repubblica di Palermo, chiedeva al Magistrato di Sorveglianza di procedere all'accertamento della pericolosita' sociale del predetto M.S. ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza della Casa di Cura e Custodia per anni 2, ordinata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza emessa il 17 marzo 2009, irrevocabile il 4 maggio 2009, che gli ha inflitto la pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione per il reato di tentato omicidio, riconosciuta la diminuente di cu all'art. 89 cp., ritenuta equivalente alla contestata aggravante di aver agito con crudelta' e della recidiva reiterata (fatto commesso il 20 marzo 2007 in danno di un connazionale). Con la medesima pronuncia e' stato disposto che a pena espiata il M.S. fosse ricoverato in una casa di cura e custodia per un tempo non inferiore ad anni due. Tanto premesso, deve osservarsi come a carico del M. oltre alla condanna da cui discende la misura di sicurezza in contestazione, gravi un precedente per il reato di interruzione di un servizio di pubblica utilita' e danneggiamento (f.c. 15 luglio 2000) e una per lesione personale continuata e porto di armi (f.c. 1° maggio 2006). Quanto ai fatti di cui alla condanna in esecuzione si rileva come si sia trattato di una condotta di tentato omicidio posta in essere ai danni di un connazionale, cui il M. seguito di una banale lite - ha inferto reiterati colpi al capo, tenendolo immobilizzato con il peso del proprio corpo, e proseguendo l'aggressione anche quando la vittima era ormai inerme e priva di sensi. In ordine, poi, al grado di imputabilita' del M. dalla perizia medico legale espletata nel corso del giudizio di cognizione, e' emersa la presenza di una patologia definibile "come discontrollo degli impulsi in soggetto con esiti di trauma cranico"; a tale riguardo viene rappresentato che il soggetto, a seguito di un grave sinistro occorsogli nell'anno 1999, e' stato sottoposto ad un intervento di craniectomia per l'evacuazione di ematoma extradurale, con permanenza di postumi invalidanti pari al 25% della capacita' di lavoro, dipendente dal lieve deterioramento mentale post traumatico, secondario al grave insulto che l'encefalo ha subito, comportante disturbi della volonta', dell'attenzione, deficit di capacita' critica e di autocontrollo, disturbi mnesici e modificazioni della personalita'. Secondo il perito il disturbo diagnosticato come. "discontrollo degli impulsi in soggetto con esiti di trauma cranico" era compatibile con il tipo di trauma cranico sofferto dal soggetto, evidenziando come nella causazione di accessi di violenza come quello che ha causato i fatti di cui alla condanna in esecuzione (al pari di altro episodio avvenuto il 1° maggio 2006 per cui il M. ha riportato condanna per lesione personale e porto di armi) giocava un ruolo scatenante la concomitante assunzione di bevande alcoliche, anche non in dose massiccia, che innestandosi nella patologia in atto, ne amplificava le manifestazioni di tipo violento. Sulla scorta di tali considerazioni medico legali all'esito del giudizio e' stato. ritenuto che il disturbo di personalita' presente nel soggetto fosse tale da incidere in modo oggettivo sulla capacita' d'intendere e volere dello stesso, con conseguente applicazione della diminuente prevista dall'art. 89 c.p.. Viceversa, durante il periodo di detenzione, protrattosi fino al 23 aprile 2011, il condannato ha mantenuto una condotta sostanzialmente regolare (ad eccezione di un episodio trasgressivo posto in essere il 10 febbraio 2011), si e' rapportato correttamente con agenti penitenziari e compagni di detenzione, ha svolto con impegno e serieta' l'attivita' lavorativa di giardiniere in modalita' di articolo 21 O.P. ed ha fluito di tre permessi premio giornalieri. Dopo la scarcerazione, tuttavia, dopo aver vissuto in situazioni precarie e problematiche per alcuni mesi, il soggetto ha fatto perdere le proprie tracce. Lo stesso, infatti, in un primo tempo ha vissuto a Mazara del Vallo, ove ha ripreso a svolgere l'attivita' di marinaio sui pescherecci, senza pero' riuscire a reperire, neppure con l'aiuto dei servizi sociali territoriali, compulsati anche da questo Ufficio, una sistemazione abitativa stabile e affidabile. Dopo alcuni mesi ha fatto ritorno a Palermo, ove e' stato ospite presso la Missione Speranza e Carita'. Dall'ultima relazione dell'UEPE del 21 settembre 2012, emerge, pero', che il M., dalla meta' circa del mese di agosto u.s. ha lasciato la Missione, senza fornire indicazioni o recapiti ove reperirlo. Ebbene, sulla base di tale compendio di elementi, tenuto conto che si tratta di soggetto nei cui confronti e' stata evidenziata una patologia che si sostanzia in un "discontrollo degli impulsi in soggetto con esiti di trauma cranico", in cui e' insito un forte grado di pericolosita', posto che, specie se associata all'assunzione, anche minima, di sostanze alcoliche (cui il M. e' dedito) puo' dar luogo a reazioni molto violente e incontrollate, cui si aggiunge che e' senza fissa dimora, senza occupazione, ed e' privo di punti di riferimento familiare che gli possano offrire una sponda di stabilita', non resta confermare il giudizio di pericolosita' sociale ed applicare la misura di sicurezza ordinata con la sentenza citata, per la durata di anni due.". Con l'ordinanza del 28 febbraio 2014 il Magistrato di sorveglianza di Messina, rigettando l'istanza di revoca anticipata di tale misura, sottolineava che "Agli atti emerge che l'internato e' affetto da "discontrollo degli impulsi in soggetto con esiti di trauma cranico"; il fatto per cui e' sottoposto a misura e' stato posto in essere ai danni di un connazionale, colpito ripetutamente al capo, anche quando la vittima era priva di sensi, e cio' a seguito di una banale lite. Dalla relazione dell'O.P.G. del 4 febbraio 2014 emerge che il soggetto "appare tranquillo e disponibile al colloquio, non emergono alterazioni della senso percezione ne' del pensiero. Umore congruo allo status ansia patologica. Lavora con profitto, buono il comportamento in reparto. Si mantiene senza terapia". Si riferisce che accede volentieri al colloquio, in merito al reato ha pero' assunto un atteggiamento evasivo; attualmente svolge attivita' lavorativa quale inserviente di reparto. Era in possesso di permesso di soggiorno, allo stato scaduto. Non e' stato possibile predisporre un progetto terapeutico perche' non e' possibile la presa in carico, non essendo residente nel territorio. L'equipe ritiene opportuno in ogni caso procedere ad una sperimentazione graduale sul territorio attraverso la partecipazione a gite socio-terapeutiche di reparto, con accompagnamento di operatori o volontari e la fruizione di licenze orarie e giornaliere in ambito protetto. Ritenuto, alla luce delle complessive risultanze istruttorie, che allo stato, stante l'assenza di progetto concreto e considerata la necessita' di osservazione e sperimentazione graduale sul territorio, che non possa accedersi alla richiesta di revoca della misura". Con provvedimento dell'11 aprile 2014 la Direzione dell'O.P.G. di Barcellona Pozzo di Gotto, nel presupposto delle stabili condizioni psichiche del M. e del suo comportamento corretto, lo ammetteva al lavoro esterno ex art. 21 della legge n. 354/75. Con atto d'appello del 16 aprile 2014 il M., tramite il suo difensore, chiedeva la revoca anticipata della misura di sicurezza detentiva, anche ai fini del suo rientro nel Paese d'origine, e, in via subordinata, l'applicazione della liberta' vigilata. All'udienza il P.G. e la difesa concludevano come da verbale allegato. Considerato in diritto Ai fini del presente giudizio, si appalesa rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 81/2014 di conversione del decreto-legge 31 marzo 2014 n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, nelle parti in cui stabilisce che l'accertamento della pericolosita' sociale "e' effettuato sulla base delle qualita' soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale" e che " non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali", per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117 della Costituzione, A) Sotto il profilo della rilevanza, l'interdizione normativa dell'uso prognostico di essenziali fattori, come le condizioni individuali, familiari e sociali e l'assenza di progetti terapeutici individuali, incide in modo determinante e profondamente discorsivo sul giudizio in corso, impedendo una valutazione compiuta della concreta pericolosita' sociale del soggetto interessato e del suo grado attuale. Invero, il M. affetto da "discontrollo degli impulsi in soggetto con esiti di trauma cranico", nel corso dell'esecuzione della misura di sicurezza detentiva presso l'O.P.G. di Barcellona Pozzo di Gotto, ha evidenziato condizioni psichiche stabili ed ha tenuto una positiva condotta, partecipando alle attivita' trattamentali con valenza terapeutica, con recente ammissione al lavoro ex art. 21 O.P. (cfr. provvedimento acquisito agli atti), a fronte di una situazione individuale, familiare e socio-assistenziale caratterizzata in chiave negativa dalla lontananza della famiglia residente in Tunisia, dalla mancanza di concreta prospettiva lavorativa e risocializzante, essendo sprovvisto di permesso di soggiorno in quanto scaduto, nonche' dalla mancanza della presa in carico da parte dei servizi sanitari territoriali in quanto non residente e dall'assenza di un progetto terapeutico e socio-riabilitativo (cfr. relazione penitenziaria e psichiatrica di sintesi del 4 febbraio 2014). Risulta evidente che, dovendo fondare il giudizio prognostico sulla base delle qualita' soggettive della persona ignorando forzatamente i fattori prognostici interdetti dalla normativa denunziata, ancorche' acquisiti alla cognizione del fascicolo processuale, la stessa prognosi risulta impossibile o radicalmente alterata, in quanto tale prognosi altro non e' che la previsione in chiave probabilistica dei comportamenti che il soggetto potra' assumere proprio nel contesto delle condizioni individuali, familiari, socio-assistenziali e sanitarie di cui la norma prescrive di non tener conto, con la conseguenza che sara' ardua e profondamente incerta ed affidata ad un volontarismo giudiziario arbitrario, cognitivamente inadeguato e teleologicamente disorientato, la scelta di se e di quale misura mantenere o adottare e del suo contenuto prescrittivo. Si aggiunga che, nel caso di specie, non e' esperibile la soluzione invocata dall'appellante della revoca anticipata della misura di sicurezza detentiva al fine di rientrare nel suo Paese d'origine, mancando le garanzie, necessarie ai fini specialpreventivi, sia dell'effettivita' di tale rientro - in difetto di una misura prefettizia di' espulsione in quanto annullata (cfr. verbale d'udienza in atti) e stante l'impossibilita', per il principio di tipicita' che non consente, della trasformazione della misura di sicurezza "psichiatrica" in corso con la misura di sicurezza "non psichiatrica" dell'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato (cfr. Cass. S.U. del 28 aprile 2011 n. 34091) - sia della stabile permanenza nel Paese d'origine e del conseguente non rientro in Italia. Invero, premessa la necessaria presenza del M. nel territorio nazionale, ai fini della valutazione prognostica e della conseguente decisione giudiziaria nei suoi confronti, non puo' essere indifferente - indifferentismo cui irragionevolmente rischia di condurre la normativa denunziata - se lo si valuti "soggettivamente" pericoloso e si scelga di mantenerlo nell'ambito penitenziario, ove riceve assistenza e trattamento terapeutico e socio-riabilitativo, come sopra riscontrato, ovvero se lo si ritenga "soggettivamente" inoffensivo o con pericolosita' sociale "scemata" e lo si collochi in liberta' affidato a se stesso o in liberta' vigilata, nonostante la mancanza di punti di riferimento familiari, socio-assistenziali e terapeutici - con il rischio consistente che le componenti violente ed aggressive insite nella sua personalita' e nel suo vissuto esistenziale, rimaste latenti in ambiente protetto, si "slatentizzino" in assenza di adeguati presidi ed in presenza di' fattori scatenanti e di agenti provocatori, come gia' accaduto in occasione dell'episodio criminoso sopra descritto - oppure ancora se lo si collochi in liberta' o in liberta' vigilata in un contesto adeguato sotto i profili, tra loro strettamente correlati, delle condizioni di vita individuale (vitto, alloggio, sobrieta' nell'uso di bevande alcoliche, impegno in attivita' lavorative e risocializzative etc.), familiare (la lontananza della famiglia puo' trovare un valido sostitutivo nell'ospitalita' di una comunita' d'accoglienza), sociale (la collocazione in un contesto urbano non degradato caratterizzato dalla presenza di agenzie di aggregazione, come la parrocchia o i centri sociali, e di un tessuto di solidarieta' umana, come il buon vicinato) e delle condizioni socio-assistenziali e terapeutiche (presa in carico del D.S.M. competente secondo un progetto individualizzato di cura psichiatrica e di' riabilitazione sociale). Fuori di una realistica e globale prospettiva prognostica, ridotta alla valutazione monca, isolata e decontestualizzata delle qualita' soggettive della persona, non resta che l'alternativa arbitraria se considerare il soggetto - si perdoni e si giustifichi l'uso in funzione icastica delle seguenti metafore letterarie - un "Lupo cattivo" in ragione del grave reato commesso e della sua malattia mentale, rimasto tale nelle sue potenzialita' criminogene ("delinquenti, matti o signori si nasce e non si diventa"), nonostante i trattamenti intramurari dispensati - si osservi per incidens che anche l'intramoenia dell'O.P.G. configura un contesto istituzionale, assistenziale e terapeutico, con determinate condizioni di vita individuale, familiare e sociale - oppure se considerarlo un "Lupo buono" divenuto tale in corso d'opera, grazie alla buona condotta penitenziaria ("delinquenti, matti o bravi cittadini non si nasce, si diventa"), senza tuttavia saper bene (o non sapendo affatto) in virtu' di quali fattori (endogeni o esogeni?) sia avvenuta tale trasformazione, se tali fattori siano transitori o duraturi, tali cioe' da permanere in ambiente libero, con o senza la vigilanza delle forze dell'ordine, l'aiuto degli assistenti sociali e le prescrizioni specialpreventive e terapeutiche di una misura di sicurezza, senza sapere bene (o non sapendo affatto) a quali pericoli si espongono nel Bosco, di cui dover ignorare le condizioni, sia Cappuccetto rosso, che rischia di essere divorata insieme alla Nonna, sia lo stesso Lupo che rischia di venire ucciso dal Cacciatore, ovvero ancora se considerarlo un "soggetto dimezzato" come il Visconte di calviniana memoria che rischia di combinar guai, per se' e per gli altri, sia nella versione cattiva, sia paradossalmente in quella buona della sua personalita' dimidiata o, infine, se osservarlo come il Giano bifronte, che tra passato e futuro resta in mezzo al guado, sulla soglia della porta che dall'O.P.G. conduce verso la citta' libera. Invero, fuor di metafore, senza un approccio globale e multifattoriale, garantito dalla normativa previgente ed interdetto dalla novella legislativa, casi come quello di M. non possono trovare soluzioni adeguate che soddisfino in modo equilibrato le compresenti diverse esigenze costituzionalmente rilevanti. B) Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' sollevate dalla normativa denunziata, occorre premettere che in materia di misure di sicurezza e di giudizi di pericolosita' - che formano il presupposto cognitivo e giuridico dell'applicazione, trasformazione, proroga o revoca di tali misure - la Corte costituzionale ha elaborato fondamentali insegnamenti, che costituiscono l'habitat giuridico-costituzionale e l'humus culturale e assiologico della presente eccezione e che si riassumono intorno ad un nucleo essenziale rinvenibile nella sentenza "odigitria" n. 253 del 2003, laddove statuisce "l'equilibrio costituzionalmente necessario" 'fra le diverse esigenze che deve ...necessariamente caratterizzare questo tipo di fattispecie", "le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosita' sociale", attraverso "misure a contenuto terapeutico", "ragionevolmente... atte a contenere tale pericolosita'", "manifestatasi nel compimento di fatti costituenti oggettivamente reato e valutata prognosticamente in occasione e in vista delle decisioni giudiziarie conseguenti " ed a "tutelare la collettivita' dalle sue ulteriori possibili manifestazioni pregiudizievoli", "in un ordinamento ispirato al principio personalista (art. 2 della Costituzione), in quanto rispondano contemporaneamente a entrambe queste finalita', collegate e non scindibili (cfr. sentenza n. 139 del 1982), di cura e tutela dell'infermo e di contenimento della sua pericolosita' sociale", sicche' "un sistema che rispondesse ad una sola di queste finalita' (e cosi' a quella di controllo dell'infermo 'pericoloso"), e non all'altra, non potrebbe ritenersi costituzionalmente ammissibile". Invero, la normativa scrutinata si rivela strutturalmente e concettualmente mancante del "necessario equilibrio", in una materia governata dal principio di ragionevolezza che esige un sapiente e delicatissimo "bilanciamento delle diverse' esigenze costituzionali", onde la lesione di tale equilibrio, posto a presidio di essenziali beni della persona e della comunita', e' foriera di plurimi ed interconnessi profili di grave incostituzionalita', che di seguito partitamente si illustrano. 1) Violazione degli artt. 1 e 4 della Costituzione: la normativa denunziata viola il principio giuslavorista, giacche', censurando a fini prognostici le condizioni di vita individuale, familiare e sociale, impone di non tener conto della circostanza se la persona svolga o non svolga (o abbia o non abbia la prospettiva di svolgere) un'attivita' lavorativa che costituisce una delle fondamentali condizioni di vita individuale, familiare e sociale ed un potente fattore di prevenzione criminale, ove il lavoro onesto e' presente, ovvero, al contrario, un potente fattore criminogeno, ove tale lavoro non e' presente o assume persino i caratteri di attivita' illecite o criminali; si aggiunga che il lavoro costituisce un formidabile strumento del trattamento penitenziario, rieducativo, risocializzativo e terapeutico degli autori di reati, che assume speciale valenza ergonomica e riabilitativa nei confronti dei soggetti affetti da patologie psichiatriche e che il novello Legislatore, negandone la rilevanza prognostica, rischia di precluderne le possibilita' di accesso e di inibirne l'effettivita' dell'esercizio. 2) Violazione dell'art. 2 della Costituzione: l'istituto della pericolosita' sociale, siccome "dimidiato" nelle sue componenti essenziali e nei confronti della generalita' dei reati e degli autori inimputabili e semimputabili, espone diritti e beni fondamentali delle persone e della comunita' a gravi rischi razionalmente e giudizialmente non piu' controllati e controllabili, a causa dell'irragionevole rinunzia a strumenti cognitivi e normativi necessari al fine di un loro adeguato controllo, con ingiustificata compressione della discrezionalita' giudiziale normativamente male orientata attraverso l'imposizione di "rigidi vincoli" che non consentono l'apprezzamento globale della situazione concreta del soggetto e determinano la conseguente impossibilita' o grave difficolta' nella scelta della misura idonea a fronteggiare tali rischi; si aggiunga che la normativa scrutinata, censurando a fini prognostici le condizioni di vita individuale, familiare e sociale, lede il diritto inviolabile della persona a vedere riconosciuta e giudizialmente apprezzata la sua condizione di vita sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'. 3) Violazione dell'art. 3 della Costituzione: a) in ordine al principio sovraordinato di ragionevolezza, la normativa denunziata mostra tutta la sua irrazionalita' sotto molteplici angoli visuali e disciplinari; il riduzionismo cognitivo di una pericolosita' sociale "dimezzata" si rivela irragionevole sotto il profilo giuridico, in quanto determina una rottura dell'equilibrio costituzionale necessario in subiecta materia secondo l'ineludibile insegnamento del Giudice supremo delle Leggi, giacche' compromette o addirittura vanifica le finalita' costituzionalmente necessarie delle misure di sicurezza: quella di difesa sociale, restituendo la liberta' extramuraria a soggetti ritenuti fino a ieri pericolosi o molto pericolosi alla luce di un giudizio prognostico globale, oggi normativamente censurato, quella terapeutica, rimettendo in liberta' soggetti bisognevoli di cure psichiatriche, che bene o male nelle strutture penitenziarie vengono oggi dispensate, nonostante la concreta assenza di progetti terapeutici e socio-riabilitativi individualizzati e contestualizzati nei territori di appartenenza e/o di reinserimento. Si aggiunga che tale "pericolosita' sociale decontestualizzata", avulsa cioe' dal contesto ambientale, imponendo al giudice di "astrarre" dai fattori estromessi dalla base cognitiva del suo giudizio prognostico, gli impedisce l'accertamento in concreto della reale pericolosita' (o non pericolosita') sociale del soggetto e finisce con l'introdurre una forma mascherata e surrettizia di irragionevole e costituzionalmente censurabile presunzione legislativa di pericolosita' (o di non pericolosita'), senza una valida giustificazione scientifica, come meglio si dira' in seguito. Possono ripetersi mutatis mutandis le calzanti parole delle sentenza n. 153/2003, ancorche' dettate in riferimento a diversa fattispecie: "La legge qui adotta un modello che esclude ogni apprezzamento della situazione da parte del giudice, per imporgli un'unica scelta, che puo' rivelarsi, in concreto, lesiva del necessario equilibrio fra le diverse esigenze che deve invece necessariamente caratterizzare, questo tipo di fattispecie, e persino tale da pregiudicare la salute dell'infermo: cio' che, come si e' detto, non e' in alcun caso ammissibile". Tale riduzionismo, se non bastasse il rilievo giuridico-costituzionale, si rivela irragionevole anche sotto altri profili: "sotto il profilo filosofico e antropologico", in quanto stacca e isola l'uomo dall'ambiente e dimentica che l'essere umano e' costitutivamente zoon politikon, essere relazionale e sociale che vive in costante rapporto, biologicamente e storicamente necessario, con l'ambiente umano, animale, vegetale, minerale e cosmico circostante e che ogni giudizio significativamente predicabile di ogni "qualita' soggettiva" non puo' prescindere da tale sua condizione ontologica; "sotto il profilo gnoseologico ed epistemologico", in quanto "separa" e "sterilizza" una categoria di pregiate conoscenze di alto valore predittivo, pur acquisite e acquisibili al processo, tendendole giudizialmente inutilizzabili senza una valida ragione scientifica, ed isola la componente delle "qualita' soggettive" della persona in un simulacro di giudizio prognostico in vitro che perde la concretezza dell'adaequatio rei et intellectus; "sotto il profilo sociologico", in quanto configura il paradosso di una pericolosita' "sociale" senza la "societa'" che devesi iussu legis ignorare, chiude le porte al contributo delle scienze sociali, oblitera nella criminogenesi e nell'eziopatogenesi i fattori esogeni della realta' socio-ambientale, vanifica l'inchiesta socio-familiare dell'U.E.P.E. prescritta in materia di misure di sicurezza dal 2° comma, lettera a), dell'art. 72 della legge n. 354/75, incentra il giudizio prognostico sui fattori endogeni delle "qualita' soggettive", ossia sulla costituzione fisica e biopsichica. dell'individuo, dimenticando che quasi mai il reato e' un fatto individuale isolato, bensi' quasi sempre il prodotto di complesse cause sociali, oltre che individuali, e manda in soffitta fondamentali verita' riassunte nelle formule archetipe che riconoscono il ruolo della societa' nella genesi del delitto e vedono l'ambiente familiare e sociale come possibile specifico terreno di coltura della criminalita'; "sotto il profilo psichiatrico", in quanto - esautorando dal compendio prognostico il "programma terapeutico individuale" considerato elemento inidoneo a sopportare il giudizio di pericolosita' - disattende il dato di comune esperienza in ragione del quale e' fattore determinate ai fini della prognosi nei confronti di una persona affetta da patologie psichiatriche la circostanza se la stessa sia sottoposta o meno a trattamento terapeutico individualizzato e la circostanza correlata se tale trattamento sia affidato alla buona volonta' dell'interessato, spesso carente di coscienza di malattia e di conseguente compliance terapeutica, oppure imposta attraverso il regime prescrizionale di una misura di sicurezza; si aggiunga che tale esautoramento del momento terapeutico dall'orizzonte predittivo rischia di aumentate il "peso specifico" che la malattia mentale ha nella bilancia prognostica, in quanto principale "qualita' soggettiva" della persona inimputabile o semimputabile, e rischia di alimentare il pregiudizio secondo cui il malato di mente e' pericoloso in quanto tale, pericoloso perche' malato di mente, pregiudizio atavico e binomio automatico di cui la migliore psichiatria forense ha ampiamente dimostrato l'infondatezza scientifica; invero, la trama delle relazioni tra fatto di reato, malattia mentale, imputabilita' e pericolosita' sociale e' assai piu' complessa e multiforme di quanto tale riduzionismo unilaterale mostra e consente di comprendere; "sotto il profilo criminologico" (che costituisce l'ambito disciplinare di competenza specifica in materia di giudizi di prognosi criminale), in quanto dimentica che la pericolosita' e' un concetto elastico e dinamico, frutto di un giudizio multifattoriale, interattivo, relazionale, risultante combinatoria e sintetica di complesse variabili del rapporto biunivoco di interazione necessaria tra l'individuo e l'ambiente, in cui assumono rilievo centrale, secondo le prospettive piu' avanzate della moderna criminologia, il concetto di "pericolosita' situazionale", che considera la persona ed il suo eventuale potenziale criminogeno a seconda dei contesti relazionali in cui e' inserita o in cui puo' o deve essere inserita (la stessa persona puo' essere pericolosa in un contesto e non esserlo in un contesto diverso, anche nello stesso arco temporale), il concetto di "criminogenesi", come visione organica di un processo che comprende predisposizione (soma), carattere (psiche) e ambiente (physis) ed il concetto di "causalita' circolare" dei vari fattori criminogenetici e prognostici, che reciprocamente si influenzano e si condizionano; invero, l'uomo non e' un'isola o una monade e la pericolosita' sociale non e' uno status soggettivo, una stimmate biopsichica o un marchio individuale, sibbene un concetto relazionale complesso necessariamente "contestualizzato", sicche' non ha senso predicare la qualita' soggettiva di una persona come socialmente pericolosa se non con riferimento al contesto concreto in cui vive ed opera o in cui e' destinata a vivere e ad operare; la normativa scrutinata adombra, invece, un modello criminologico tendenzialmente "unifattoriale" di tipo individualistico - incentrato in via principale o esclusiva sui fattori endogeni, sulla personalita' del singolo individuo e sulle sue "qualita' soggettive", ossia sulle sue caratteristiche personali, psicologiche e psichiatriche - impone di ignorare le condizioni di vita individuale, familiare e sociale e l'ambivalenza del loro significato prognostico, potendo fungere tali condizioni, a seconda dei casi, come determinanti fattori criminogeni ovvero, al contrario, come potenti leve di promozione, reinserimento e recupero, e spezza cosi' l'unita' organica del giudizio prognostico consacrata dall'art. 133 del codice penale, in cui i vari fattori endogeni ed esogeni sono tra loro strettamente correlati e interdipendenti, interdice la naturale consequenzialita' tra la valutazione prognostica globale e la scelta della misura da adottare e del suo contenuto prescrittivo, stravolge la ferrea logica di una grundnorm del sistema penale, introducendovi aspetti di profonda irrazionalita' proprio nella sua dimensione prognostico-preventiva; in particolare, si appalesa l'intrinseca contraddittorieta' di poter tenere conto del carattere del reo, che e' il risultato dinamico dell'interazione tra il temperamento e l'ambiente, e di dover non tenere conto proprio delle condizioni ambientali su cui il carattere del reo agisce e che sul carattere del reo influiscono, schizofrenica criteriologia che si inscrive proprio nella fase prognostica del reinserimento ambientale del soggetto dall'istituzione totale alla societa' libera; inoltre, risulta davvero contraddittorio e paradossale poter tenere conto delle condizioni di vita "anteatta" del reo e dover non tenere conto delle sue condizioni di' vita individuali, familiari e sociali "attuali", ancorche' criminogene ed, anzi, anche se favorevoli; censurate le condizioni di cui al n. 4 del 2° comma dell'art. 133 c.p. e rese di per se' irrilevanti ai fini giudiziali le risorse terapeutiche territoriali, residuano i fattori prognostici immutabili e cristallizzati come la gravita' del fatto di reato contemplata dal 1° comma, i motivi a delinquere previsti dal n. 1 del 2° comma, i precedenti penali e giudiziari, la condotta e la vita antecedenti al reato previsti dal n. 2 e la condotta contemporanea al reato prevista dal n. 3, e si riducono i fattori prognostici modificabili in progress come il carattere del reo previsto dal n. 1 e la condotta susseguente al reato prevista dal n. 3, tuttavia ormai devitalizzati e decontestualizzati in quanto sganciati dalle condizioni di cui al n. 4 che costituiscono il pendant necessario di ogni dinamismo evolutivo della personalita' di un soggetto, del suo carattere e della sua condotta; il rischio e' che l'intento del legislatore verso una maggiore deistituzionalizzazione nel trattamento dei malati di mente autori di reato si inveii in pratica nel suo contrario, se prendera' corpo una cultura del "soggettivismo criminologico" socialmente disancorato e del "cronicismo psichiatrico" terapeuticamente disincantato e se aumentera' la propensione dei giudici a motivare sulla base delle qualita' soggettive desunte dai fattori immutabili ed a svalorizzare i fattori dinamici ed evolutivi, cosi' da perpetuare la misura piu' restrittiva in una sorta di "conservatorismo giudiziario" con la prospettiva di nuove proroghe seriali sine die e di nuovi ergastoli bianchi, non piu' aperti al sopraggiungere di fattori esogeni positivi, bensi' blindati nel fissismo di motivazioni cristallizzate sui fattori endogeni immodificabili; tale scenario prefigura una pericolosita' rigida, statica e autoconservativa, non piu' elastica, dinamica e aperta alle trasformazioni, e ridisegna il settore delle misure di sicurezza non piu' come laboratorio giudiziale, sociale ed istituzionale di works in progress, bensi' come galleria stereotipata di crisalidi criminali fissate nel tempo e nello spazio, magari con la copertura della nuovelle vague del "genetismo neuro-scientifico"; l'irragionevole irrigidimento normativa del giudizio prognostico rischia cosi' di determinare una sorta di "scotomizzazione (o dissonanza) cognitiva" che incide sulle concrete condizioni di psicologia giudiziaria in cui il decidente e' chiamato a svolgere il suo delicatissimo compito, con la forte tentazione di una criptica interpretatio abrogans in fraudem legis conseguente alla discrasia tra il motivo reale della decisione, inconfessabile in quanto censurato, ed il motivo apparente esternato sotto le mentite spoglie di una diversa categoria prognostica, con la probabile conseguenza, in damnosis per il soggetto interessato, che la motivazione apparente sia piu' sfavorevole di quella reale, come nei casi in cui la prima, a differenza della seconda, e' fondata su fattori immutabili, come tali non suscettivi di modifiche giudiziali nel tempo. b) in ordine alla irragionevole ed ingiustificata disparita' di trattamento tra casi simili, la normativa denunziata viola l'art. 3 della Costituzione, giacche' nei confronti degli imputabili la pericolosita' sociale continua ad essere accertata nella globalita' ed interezza dei fattori prognostici, mentre nei confronti degli inimputabili e dei semimputabili tale accertamento risulta "dimidiato", con l'aggravante che gli imputabili hanno maggior dominio dei fattori ambientali, a differenza degli infermi di mente che subiscono maggior condizionamento dall'ambiente ed hanno minore capacita' di controllo rispetto agli influssi ambientali, onde nei loro riguardi a fortiori si impone una valutazione giudiziale, nella pienezza dei fattori prognostici, che tenga conto in modo particolare proprio delle condizioni "censurate" di cui al n. 4 del 2° comma dell'art. 133 del codice penale e del loro grande valore predittivo; si aggiunga che con riguardo alla categoria dei semimputabili, come nel caso di che trattasi, l'irragionevole ed ingiustificata disparita' di trattamento risulta ancor piu' eclatante, ove si consideri che nei confronti dello stesso soggetto, a seconda se si versi nella fase esecutiva della pena o della misura di sicurezza detentiva psichiatrica, muta il quadro prognostico di riferimento con effetti disfunzionali e paradossali di palmare evidenza; invero, quale che sia l'ordine esecutivo delle due misure ai sensi dell'art. 220 c.p., la pericolosita' sociale del semimputabile che fino al giorno prima deve essere valutata alla luce di tutte le circostanze di cui all'art. 133 c.p., il giorno dopo deve essere rimodulata alla stregua dei nuovi criteri introdotti dalla normativa denunziata, con la possibile e irrazionale conseguenza che un soggetto ritenuto pericoloso o non pericoloso ieri diviene non pericoloso o pericoloso oggi; inoltre, analoga situazione con effetti parimenti irragionevoli si verifica nel caso ricorrente di coesistenza di una pluralita' di titoli esecutivi in capo allo stesso soggetto, il quale figura come imputabile con riguardo ad alcuni di essi ed inimputabile o semimputabile con riguardo agli altri; si osservi, infine, che l'irragionevole ed ingiustificata disparita' di trattamento raggiunge il suo acme nei casi dei soggetti imputabili cui e' sopravvenuta una infermita' psichica tale da comportarne il ricovero in O.P.G. ai sensi dell'art. 148 c.p.: nei loro confronti, essendo in espiazione di pena, non sara' applicabile la "nuova" pericolosita' sociale, a differenza dei loro compagni di internamento e, magari, di cella, in quanto sottoposti a misura di sicurezza detentiva di carattere psichiatrico. 4) Violazione degli artt. 25 e 27 della Costituzione: nel testo costituzionale e nel sistema del doppio binario adottato dal codice penale le misure di sicurezza si distinguono chiaramente dalle pene, avendo presupposti, contenuti e finalita' diverse, quantunque entrambe astrette dalla comune natura di sanzioni criminali e dal finalismo rieducativo che deve caratterizzare ogni trattamento sanzionatorio e sebbene nella prassi esecutiva tali diverse sanzioni conoscano forme di ibridazione e fenomeni di truffa delle etichette; la normativa scrutinata insinua e accentua, invece, una logica "confusiva", risultando evidente l'intentio legislatoris - sottesa all'amputazione ortopedica della base cognitiva del giudizio prognostico, unitamente alla previsione della durata massima delle misure di sicurezza detentive commisurata al limite edittale della pena prevista per il reato corrispondente, in una impropria prospettiva anticipatoria di un sistema a sanzione unica - di non far pagare al reo infermo di mente il fio delle colpe della societa', le conseguenze sanzionatorie delle responsabilita' collettive della non accoglienza familiare, sociale e istituzionale e delle carenze e indisponibilita' delle strutture sanitarie e psichiatriche territoriali; in realta', cosi' normando, con l'intento di contrastare i fenomeni negativi degli "ergastoli bianchi" e delle "proroghe seriali", si caricano le misure di sicurezza di valenze retributive e punitive che devono restare loro estranee (cfr. la sentenza n. 153/2003 nella parte in cui condivide l'argomento del giudice remittente che censura l'incostituzionalita' della norma in quanto finisce per attribuire alla misura di sicurezza "funzione retributiva anziche' di prevenzione speciale" ed impedisce "l'adozione di soluzioni idonee a difendere la collettivita' e insieme a curare adeguatamente un soggetto pericoloso"), si contrastano tali valenze negative in modo improprio, giacche' si' "sanziona" la collettivita' trasferendo su di essa il rischio giudizialmente incontrollato di nuove condotte antisociali e criminose, si espone a gravi pericoli la vittima dello stesso reato se ancora esistente e/o le altre vittime potenziali, con la conseguenza di fare pagare alla parte incolpevole della societa' il prezzo della cattiva coscienza di un trattamento inadeguato quando non disumano del reo folle, si espone quest'ultimo ai rischi di un reinserimento forzoso in contesti familiari e sociali impreparati o refrattari a riceverlo, si forza la mano attraverso una sorta di ricatto istituzionale per via legislativa al fine di costringere alle "prese in carico" i territori renitenti, non si percorre fino in fondo la via maestra, pure presente in talune disposizioni felici della legge in esame (cfr. la norma che "mette in mora" i Dipartimenti di salute mentale per la predisposizione obbligatoria dei programmi terapeutici individuali), della "responsabilizzazione" e della "non scotomizzazione" delle varie agenzie territoriali, della loro adeguata e graduale preparazione, della paziente costruzione di strutture e reti socio-sanitarie e di protocolli condivisi, opera non disgiunta dall'eventuale attivazione di meccanismi sanzionatori in presenza di persistenti condotte antigiuridiche e di pratiche d'inefficienza e/o di ostruzionismo da parte degli organi preposti; la violazione degli artt. 25 e 27 della Costituzione si apprezza, inoltre, sotto il profilo teleologico, giacche' la normativa denunziata - spezzando, a livello della prognosi giudiziaria, il rapporto inscindibile tra l'uomo e l'ambiente e rinunziando cosi' al dinamismo che da tale rapporto scaturisce, dinamismo necessario in ogni trattamento progressivo, in ogni processo trasformativo ed evolutivo della persona, in ogni processo terapeutico, rieducativo e risocializzativo - finisce col contrastare le stesse essenziali finalita' delle misure di sicurezza sottese al sistema costituzionale, come piu' volte ripensato e ricostruito dal Giudice supremo delle Leggi; si osservi ancora che la normativa scrutinata, in quanto mira a disciplinare le misure di sicurezza in corso di applicazione o di esecuzione, in relazione a fatti di reati posti in essere prima della sua entrata in vigore, rischia di impingere con il principio di irretroattivita' delle disposizioni penali sfavorevoli, che la Corte costituzionale ha esteso in talune pronunce alla materia delle misure di sicurezza (cfr. sentenza n. 19/1974 e ordinanza n. 392/1987), giacche' la censura legislativa dell' uso prognostico delle condizioni di cui al n. 4 del 2° comma dell'art. 133 del codice penale e' ambivalente e potenzialmente contra reum e quindi in malam partem; invero, cadono sotto la scure della novella legislativa sia le condizioni sfavorevoli sia quelle favorevoli, con la conseguenza che, estremizzando, un internato che mostra le sue "cattive qualita' soggettive" - in ragione del reato commesso, della patologia mentale da cui e' affetto, del carattere difficile e della negativa condotta tenuta in un ambiente penitenziario controindicato - continuera' a restare segregato tendenzialmente sine die, nonostante la presenza di condizioni esterne individuali, familiari e socio-terapeutiche favorevoli all'esperimento di un suo reinserimento sociale, con evidente effetto in malam partem della nuova disciplina, mentre un internato che esibisce " buone qualita' soggettive" - in virtu' del buon compenso psichico raggiunto in ambito penitenziario, del carattere mite ed influenzabile e della positiva condotta intramuraria - verra' rimesso in ambiente libero, nonostante le condizioni esterne patogene e criminogene e le carenze socio-terapeutiche, ove l'effetto in bonam partem e' piu' apparente che reale, se si considerano i condizionamenti ambientali ed i conseguenti rischi cui tale improvvido reinserimento espone lo stesso soggetto, la sua salute, la sua incolumita', la sua vita di relazione, la sua stessa liberta'. 5) Violazione degli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione: censurando a fini prognostici le condizioni di vita individuale, "familiare" e sociale e imponendo di ignorare l'ambiente familiare che costituisce, come e' evidente, sia un potente fattore di prevenzione criminale, in presenza di una famiglia sana, accogliente e capace, sia, invece, un potente fattore criminogeno, in presenza di una famiglia disastrata o incapace o addirittura dedita al crimine, la normativa denunziata lede i diritti della famiglia, in quanto rischia di impedirle di esercitare i suoi compiti "genitoriali" di mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, ancorche' malati di mente e autori di reato, oppure, al contrario, rischia di costringerla a subire il loro rientro, nonostante le sue condizioni affettive, psicologiche, psichiatriche, educative, culturali, esistenziali, economiche, abitative, socio-assistenziali etc. siano controindicate, o, addirittura, di agevolarla nelle sue attivita' illecite o criminose, con la conseguenza che, invece di sostenerla come prescrive il 2° comma dell'art. 30 Cost., si finisce con l'aggravarne le condizioni, senza giovamento anzi con danno di tutti i suoi membri e con grave pregiudizio sociale; si aggiunga che il rapporto con la famiglia costituisce un essenziale strumento del trattamento penitenziario, rieducativo, risocializzativo e terapeutico degli autori di reati, che assume speciale valenza affettiva, esistenziale e riabilitativa nei confronti dei soggetti affetti da patologie psichiatriche. 6) Violazione dell'art. 32 della Costituzione: la rimessione in liberta' o in liberta' vigilata, per effetto della nuova normativa, di soggetti affetti da patologie psichiatriche e bisognevoli di assistenza e cure, sebbene in condizioni di vita individuale, familiare e sociale controindicate, se non criminogene, ed in assenza di un progetto terapeutico individuale, espone tali soggetti al rischio di commettere non solo atti eterolesivi ma anche atti autolesivi, pregiudicando la loro salute ed il loro diritto a trattamenti terapeutici e socio-riabilitativi adeguati. 7) Violazione dell'art. 34 della Costituzione: censurando a fini prognostici le condizioni di cui al n. 4 del 2° comma dell'art. 133 del codice penale, con la conseguenza di dovere ignorare la frequenza scolastica (o la possibilita' di essa) - che costituisce, come e' evidente, una fondamentale condizione di vita individuale, familiare e sociale - la normativa scrutinata rischia di ledere il diritto del soggetto all'istruzione scolastica, perdendo di vista il grande valore predittivo dei gradi di alfabetizzazione e di scolarizzazione quali potenti fattori di prevenzione criminale; si aggiunga che la scuola costituisce un essenziale strumento del trattamento penitenziario, rieducativo, risocializzativo e terapeutico degli autori di reati, che assume speciale valenza pedagogica e riabilitativa nei confronti dei soggetti affetti da patologie psichiatriche. 8) Violazione dell'art. 77 della Costituzione: nell'ambito dell'iter legislativo della conversione di un decreto-legge che dispone la proroga del termine di chiusura degli O.P.G., non si ravvisa la necessita' e l'urgenza di introdurre modifiche strutturali di istituti secolari come la pericolosita' sociale, disciplinata dalle norme cardinali degli artt. 133 e 203 del codice penale, indirettamente stravolte dall'intervento riformatore, o come il sistema del doppio binario, che prevedeva l'indeterminatezza della durata massima di tutte le misure di sicurezza - spezzando il nesso di "interrelazione funzionale" e di "sostanziale omogeneita'" tra decreto-legge e legge di conversione - modifiche varate nel contesto di un dibattito parlamentare contrassegnato dalla fretta connessa all'esigenza politica della conversione "blindata" del decreto-legge (cfr. i resoconti dei lavori parlamentari e le perspicue osservazioni in subiecta materia della sentenza n. 22/2012 della Corte costituzionale). 9) Violazione dell'art. 117 della Costituzione: la normativa scrutinata, violando l'art. 2 Cost., nei sensi di cui si e' sopra argomentato, viola, altresi', l'art. 117 Cost., nella parte in cui impegna il Legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, ed in particolare viola l'art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani e l'art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che tutelano il diritto alla sicurezza, esponendo a gravi rischi non solo la sicurezza dei cittadini italiani, ma anche la sicurezza di tutti i cittadini che dalle Convenzioni internazionali ricevono protezione giuridica e che, per le piu' svariate ragioni, possono trovarsi sul territorio dello Stato italiano.
P.Q.M. Visti gli artt.134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 81/2014 di conversione del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, nelle parti in cui stabilisce che l'accertamento della pericolosita' sociale "e' effettuato sulla base delle qualita' soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale" e che "non costituisce elemento idoneo a sopportare il giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali", per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso. Dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'interessato, al P.M. ed al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Messina, 16 luglio 2014 Il Presidente ed il Magistrato di Sorveglianza coestensori Mazzamuto - Ioppolo